Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: TheSlavicShadow    09/03/2016    1 recensioni
Quando all'improvviso decidi di prendere in mano le redini del tuo destino e ci sono delle scelte da compiere.
{JeanMarco; sequel di "Three Days Till..."}
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Three Days'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Marco Bodt era un uomo adulto. Aveva ormai superato i trenta da un paio d'anni. Aveva un lavoro in cui la dialettica era tutto.

E ora si trovava a bocca aperta, con la mano ancora a mezz'aria, a guardare l'uomo che era appena giunto.

Di fianco a lui, sul marciapiede a poco più di un metro di distanza, Jean Kirschtein lo osservava con un sopracciglio inarcato.

“Ah...! Ehi..! Ciao...! Passavo di qui per caso e...!” La mano che era ancora a mezz'aria l'aveva portata ai propri capelli, passando le dita tra di essi.

“Si, per caso. Una passeggiata dopo il tè delle cinque.” Jean aveva scosso la testa, buttando a terra la sigaretta non ancora finita e calpestandola con il tacco degli anfibi che portava quel giorno. Il biondo aveva mosso un passo verso di lui, guardandolo seriamente.

Marco aveva subito pensato che neppure Jean credeva di vederselo piombare di fronte. Non dopo come erano andate le cose tra loro dieci anni fa, o anche solo pochi giorni prima. Non poteva biasimarlo del resto. Aveva fatto di tutto per nascondersi al mondo. Lo aveva lasciato. Si era quasi sposato. Tutto per nascondere il suo vero io, per nascondere qualcosa di cui non c'era nulla di cui avere paura, ma con cui l'avevano terrorizzato per tutta la sua esistenza.

Jean aveva di nuovo scosso la testa, come se avesse scacciato un pensiero molesto, e lo superava per aprire il cancello.

“Vieni. Ho appena finito di lavorare e devo almeno fare un salto a casa.”

Aveva seguito Jean lungo il vialetto. Aveva percorso quei pochi metri così tante volte che i suoi piedi si muovevano come se non avesse mai smesso di frequentare quella casa. Era sicuro di conoscere ancora la disposizione di ogni albero che c'era in giardino e che aspettava solo un po' più di sole per poter germogliare.

“Sono a casa!” Jean aveva urlato non appena aveva varcato la porta d'ingresso.

Marco sentiva dei passi leggeri ma veloci provenire dal piano di sopra e poco dopo eccola scendere le scale velocemente, per gettarsi tra le braccia del padre. Il moro li aveva osservati. Aveva attentamente guardato Jean, mentre stringeva forte la bambina a sé. E poi aveva posato lo sguardo su due occhi cangianti che lo osservavano.

“Papà, chi è questo signore?” Marie continuava a guardarlo, mentre si stringeva di più al padre.

“Un vecchio amico di papà.” Il biondo si era alzato, tenendo la bambina in braccio. “Coraggio Marie, saluta.”

“Ciao.” Lo scrutava ancora, mentre appoggiava la testa sulla spalla del padre. “Hai tante lentiggini, sai?”

E a quella frase Marco si era rilassato a tal punto che aveva ridacchiato. “Oh si, lo so! Me lo ha detto spesso anche il tuo papà!”

“Perché è fottutamente vero!”

“Papà, non si dice quella parola!”

Jean aveva alzato gli occhi al cielo al rimprovero della figlia, e Marco aveva sentito il cuore ancora più leggero. Aveva temuto quell'incontro più di qualsiasi altra cosa al mondo. Anche più del confronto con Annie, o quello che avrebbe dovuto avere con i propri genitori.

Jean era in quel momento la persona che più temeva. Perché sarebbe bastata una sola parola per distruggerlo.

“Oddio! Marco, sei proprio tu?”

Al sentire quella voce pronunciare il suo nome, Marco aveva deglutito, voltandosi verso la cucina. Joséphine Kirschtein si stava asciugando le mani in un grembiule e gli si avvicinava sorridendo.

“Buonasera. Mi scuso per essere piombato così dal nulla, senza avvertire.” Aveva passato le dita sulla nuca, ricambiando il sorriso della donna.

“Oh, non essere sciocco! Sono così felice di rivederti.”

Prima che potesse rendersi conto di cosa stava succedendo, Joséphine lo aveva abbracciato. Lo aveva inglobato in un abbraccio che non gli lasciava scampo.

“Sei diventato davvero un bell'uomo, Marco.” Gli aveva sorriso una volta sciolto l'abbraccio, anche se ancora teneva le mani strette sulle sue braccia. Lo guardava e gli sorrideva dolcemente, come se non fosse mai successo nulla. Come se gli ultimi dieci anni fossero stati solo una manciata di minuti e nulla di più. Gli sorrideva come se stesse ancora parlando con il ragazzino che aveva passato tanto tempo tra quelle mura.

Joséphine Kirschtein era quello che lui avrebbe desiderato da sua madre. Totale accettazione. Non aveva mai sentito Jean lamentarsi seriamente di sua madre. Solo per le classiche cose di cui tutti i ragazzi lamentavano. Voti a scuola, comportamento, qualche predica sul futuro. Ma mai una volta aveva sentito Jean lamentarsi di sua madre per quanto riguardava il suo orientamento sessuale.

Margherita Bodt al contrario aveva molto da ridire su questo. E questo lo aveva segnato molto più di quanto aveva pensato.

“Mamma, non credo sia venuto qui per ascoltare i tuoi complimenti.”

“Oh, Jeanbo! Non lo vedo da tantissimo tempo!” La donna si era voltata verso il biondo, guardandolo male. “So benissimo che non è qui per me, bensì per te. Ma sono felice di rivederlo.”

Jean aveva alzato gli occhi al cielo, probabilmente pensando a qualche ingiuria che non avrebbe pronunciato di fronte alla madre, e poi aveva messo la figlia a terra. Aveva guardato verso Marco, per poi rivolgersi alla donna.

“Non so se torno per cena.”

Joséphine gli aveva sorriso dolcemente, guardandoli entrambi.

“Non importa. Basta che vi chiariate.”

 

 

***

Marco si era guardato attorno non appena Jean lo aveva trascinato in un locale in cui non era mai stato, ma in cui Jean sembrava una presenza fissa dal modo in cui tutti i camerieri lo salutavano. In dieci anni cambiavano molte cose, e le volte in cui lui era tornato a Parigi non era uscito spesso per locali.

Le sue visite erano spesso delle toccate e fuga durante i fine settimana, con arrivo il sabato mattina e partenza la domenica sera. Non era uscito seriamente a Parigi neppure quando era ancora all'università, perché senza Jean che conosceva tutti i locali – e ancora si chiedeva come facesse, visto che erano sempre insieme – si sentiva sperduto anche nella sua stessa città.

“Allora, Bodt.” Jean gli si era seduto di fronte non appena avevano trovato un tavolo libero e aveva ordinato da bere per entrambi. Marco si era quasi stupito che Jean ancora ricordasse cosa gli piacesse, ma del resto lui stesso avrebbe saputo cosa ordinare per il biondo. “Come mai sei qui? Non dovresti essere in viaggio di nozze ora?”

“Dovrei. Se solo mi fossi sposato.”

Marco lo aveva visto spalancare gli occhi.

“Ma... Le foto sul profilo Facebook di Connie...? C'era la festa. Vi ho visti ballare insieme.”

“Festa di non nozze?” Marco aveva sorriso un po' di fronte allo stupore del biondo. “Connie non ti ha detto nulla? Neppure Ymir?”

“Perché mai avrebbero dovuto? Tranne Armin nessuno ha capito cos'è successo mentre ero a Londra. O almeno credo.” Nervosamente Jean si era passato le dita tra i capelli. “Oddio, non sei sposato...” Aveva mormorato portandosi una mano sulle labbra.

Marco gli aveva sorriso, cercando ancora qualcosa da dirgli. Non poteva, non aveva alcun diritto di piombare nuovamente nella sua vita, nonostante fosse quello che in quel momento avrebbe desiderato di più.

“Armin mi ha dato un pugno. Non troppo forte, ma comunque un pugno.”

“Cosa?” Jean lo aveva guardato di nuovo, cercando di mettere in ordine i propri pensieri.

“Hanji, una mia collega ha fatto il video della cerimonia. Te lo farò vedere.” Aveva ridacchiato di scherno verso sé stesso, per poi riprendere a parlare e guardare l'altro uomo. “Ho lasciato Annie all'altare.”

“Marco, no.” Il biondo si era alzato, passandosi di nuovo le mani tra i capelli. “Non puoi averlo fatto sul serio. Ti prego, dimmi che è uno scherzo.”

“No, Jean. Ho lasciato Annie e ora sono qui, di fronte a te.”

Jean aveva chiuso gli occhi, mordendosi le labbra dopo aver pronunciato qualche blasfemia.

“Cazzo, Marco. Non mi hai cercato per dieci anni! Ho cercato in tutto questo tempo di far finta di nulla, di dimenticare te e tutto quello che c'era stato tra di noi. Non puoi scoparmi dopo dieci fottuti anni e lasciare anche la tua ragazza. Non è così che funziona. Mi ero già messo l'animo in pace una volta uscito dal tuo appartamento che non ti avrei più rivisto e mi andava bene così.”

Il moro si era sporto sul tavolo, sfiorando uno dei pugni che Jean ora teneva stretti ai fianchi.

“So che non funziona così. E so che molto probabilmente non dovrei neppure essere qui.” Aveva stretto le dita attorno al suo pugno. Da quanto tempo non lo sfiorava così? “Ho sbagliato così tanto sia nei tuoi confronti che in quelli di Annie, e non ho scuse per il mio comportamento.”

“Hai ancora paura?”

Marco lo aveva guardato, specchiandosi in quei occhi che tante volte aveva ammirato.

Sapeva che da quella semplice risposta sarebbero dipese molte azioni future.

 

 

***

“Cosa diavolo sta succedendo qui?”

Marco era rientrato poco dopo le 20 per trovare la sorella in attività in cui non l'aveva praticamente mai vista coinvolta.

Straccio in mano, Ymir stava spolverando tutte le librerie, cercando in seguito di ordinare i libri sugli scaffali. Marco si era guardato attorno, notando che la cucina era già stata pulita, e che il salotto era diventato più vivibile.

“Mamma ha detto che passava a trovarti?”

“No, per quella non metto in ordine da diversi anni ormai.”

Il moro aveva tolto la giacca, lasciandola sullo schienale del divano, prima di piombare su di esso a peso morto. Aveva da tempo smesso di chiedersi come funzionassero gli ingranaggi nella testa di Ymir e aveva altre cose a cui pensare. Se voleva fare le pulizie, qualsiasi ora fosse, poteva farlo. Bastava che ogni tanto pulisse il luogo in cui viveva e passava la maggior parte del suo tempo.

“Non mi chiedi perché sto pulendo?”

Con un ghigno la donna era piombata accanto a lui e lo guardava negli occhi.

“Perché dovrei?”

“Tu fallo e basta.”

Marco aveva sospirato, chiuso gli occhi per qualche secondo e quando li aveva riaperti Ymir lo guardava ancora. Accucciata accanto a lui, lo osservava come una bambina che aveva appena combinato una marachella ed era orgogliosa di ciò. Nel caso di Ymir, la bambina non era mai cresciuta.

“Perché stai facendo le pulizie, somma e divina Ymir?”

“Somma e divina Ymir.” La donna di era portata due dita al mento, riflettendo bene sulle parole appena pronunciate dal fratello. “Mi piace. Dovrò dire al mio editore di chiamarmi così la prossima volta. Ma tornando a noi. Domani abbiamo ospiti.”

Lo scintillio negli occhi della sorella lo stava quasi facendo preoccupare.

“Ospiti?”

Ymir aveva annuito vigorosamente, sporgendosi di più verso di lui.

“So che tu non credi in queste cose. So che hai una mente pragmatica che non si piega mai all'irrazionale. Ma ci sono istanti, Marco, in cui bisogna solo ascoltare il proprio cuore e lasciare il cervello al pascolo da qualche parte.”

“Non sto capendo dove vuoi arrivare con questo. E credo sia anche irrazionale la mia presenza qui.”

“No, da solo non saresti mai venuto. Ti ci è voluto un sonoro calcio in culo per salire sull'aereo.”

Marco aveva sbuffato, ma non poteva ribattere, perché Ymir aveva assolutamente ragione.

“Al tuo non matrimonio ho conosciuto una ragazza.” La mora aveva continuato, sorridendo dolcemente, come poche volte le aveva visto fare. “E so che ti suonerà stupido, so che queste cose sono buone solo se guardi qualche stupido film. Ma Marco, lei mi ha sorriso. Mi ha sorriso in un modo tale che non sapevo più cosa dirle. E credimi, di solito so come conquistare una donna. Il suo sorriso però mi ha disarmata. Le sue parole mi hanno fatto capire subito che non volevo solo scoparmela e mettere anche lei nella lista infinita delle mie storie da una notte.” Ymir si era morsa un labbro, guardando poi il fratello. “Non so a cosa tutto questo porterà. Non so se durerà un mese o tutta la vita, ma non voglio lasciarmela sfuggire. Non posso farlo ora che l'ho incontrata. Ora mi dirai che il colpo di fulmine non esiste, che anche l'attrazione per una persona è solo chimica e bisogno di soddisfare le proprie frustrazioni sessuali. Solo che con lei non è così. Non me la sono neppure portata a letto!”

Marco l'aveva osservata, serio ed in silenzio. Aveva guardato il suo viso, il sorriso che sfoggiava mentre ne parlava. E non l'aveva mai vista così emozionata. Ma da qualche parte nel suo cervello, lui sapeva di quale emozione lei stesse parlando.

Perché molto tempo addietro lui aveva provato le stesse emozioni ingenue e piene di speranza. Molto tempo addietro, aveva creduto nell'esistenza di quel vero amore di cui Ymir parlava e di cui aveva tanto letto.

Molto tempo addietro, quelle stesse parole le avrebbe potute pronunciare anche lui parlando di Jean.

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: TheSlavicShadow