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Autore: Panenutella    10/03/2016    2 recensioni
Dal primo capitolo.
"Uno spiraglio fra loro e lo vedo: rimango sbalordita.
Alto, due spalle larghe così, capelli scuri, ricci e lunghi, occhiali da sole, maglietta grigia a maniche corte, tatuaggi lungo tutto un braccio.
Mannaggia la miseria.
È Harry Styles."
Basta capitare nel posto e nel momento voluti dal destino, e l'impatto dell'incontro tra una non-fan italiana dei 1D e Harry Styles cambierà per sempre le vite di entrambi.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ohilà! Prima di lasciarvi leggere il nuovo capitolo, ci tengo a dire prima di ogni altra cosa che dedico questo capitolo a Elena (olivia_106), che segue silenziosamente la storia fin dall’inizio: questo capitolo è ben poca cosa, ma è tutto per te! Buon compleanno!
Nut

 24 – Brick Lane

 ***
Annie

Una persona che ci vede perfettamente non sa quanto sia bello riuscire a vedere le foglie sugli alberi, o il soffitto appena sveglio: soltanto chi è miope come una talpa riesce a comprenderlo. La stessa cosa succede quando si recupera la memoria: prima c’è il vuoto completo e tu scavi come un minatore pompato di steroidi senza trovare niente, e un attimo dopo è tutto lì davanti ai tuoi occhi, e d’un tratto riconoscere i volti dei propri cari diventa uno dei doni più grandi della vita. Capiamo quello che avevamo solo dopo che l’abbiamo perso.

Sto finendo di piegare l’ultima maglietta per riporla nel borsone, e poi potrò finalmente uscire dall’ospedale e tornare a casa.
Ho passato un intero giorno ancora qui dentro, per via di tac e risonanze magnetiche che la dottoressa mi aveva prescritto per controllare che non avessi complicazioni, oltre al gran mal di testa e ai punti in fronte.  Harry, vestito con un morbido maglione blu scuro e, incredibilmente, scarpe da ginnastica, è appollaiato sulla sedia accanto a me e sta scorrendo le immagini nella sua Reflex. Da quando ho recuperato la memoria e abbiamo fatto pace non ci siamo separati un secondo. Non ci si può di biasimare, no?
L’ho perdonato davvero? Oh, sì. Quando non ricordavo chi fosse, il dolore sul suo viso era la prima cosa che mi colpiva quando lo guardavo: non il suo bel volto, non i suoi occhi smeraldo, ma un profondo e angoscioso rimorso. Non credevo che potessi essere davvero io la ragazza che ama così tanto, ma è così. Per questo l’ho perdonato.
- Fatto! – Chiudo di fretta le cerniera del borsone e me lo metto in spalla. – Andiamo?
Harry balza in piedi buttandosi la macchina al collo. – Pronti! – Esclama subito prima di prendermi il borsone. – Allora ti accompagno da Liam a prendere le ultime cose e a casa? Manca poco alla consegna ufficiale delle chiavi.
- Certo!
- Odierò separarmi di nuovo da te! – Esclama platealmente.
- Non fare lo stupido, mi aspetterai in macchina! Ci metterò un secondo!
Ride e mi mette un braccio attorno alle spalle.
Devo dire che quando i ricordi sono tornati sono rimasta sorpresa dal fatto che KK non si sia fatto vedere mentre ero in ospedale. Però Liam, che in questi giorni si è tenuto in contatto con lui in vece di Harry, mi ha spiegato tutto: KK ha lottato strenuamente per due giorni per mettere a tacere la stampa sui fatti di Harrods, e ha fatto sì che nessuno ci speculasse sopra. È proprio uno squalo!
Non ho il coraggio di guardare le riprese delle telecamere, non adesso. Voglio godermi i momenti con Harry.
Nonostante tutti gli sforzi di KK, però, all’uscita dall’ospedale un gruppo di giornalisti ululanti ci salta addosso accecandoci con i flash delle macchine fotografiche. Io e Harry li vediamo dall’atrio, ma non possiamo fare altro che uscire e ritrovarci nella mischia.
- Annie! Annie, che cos’è successo realmente da Harrods? Puoi spiegarci?
La luce abbagliante dei flash mi impedisce di vedere dove sto mettendo i piedi, e il mal di testa esplode di nuovo come una granata, come se volesse far saltare i punti da un momento all’altro.
- C’è stata una rapina e ne ho ricavato un gran mal di testa, niente di più!
- È vero che hai affrontato uno dei rapinatori?
- Ho fatto ciò che andava fatto!
Stringo il braccio di Harry in una morsa, e lui si interpone. – Non siate maleducati, per l’amor di Dio! Lasciatela respirare! Capisco che vogliate la prima notizia, ma così non è possibile!
I giornalisti ignorano Harry e continuano a fare domande uno sopra l’altro, creando una confusione incredibile, e noi cerchiamo di arrivare alla macchina il più in fretta possibile. Per fortuna in nostro aiuto arriva la guardia del corpo di Harry, un ragazzone nero simile a un armadio a quattro ante, che tuonando “Signor Harry!” comincia a spingere via i giornalisti come foglie facendoci largo fino alla macchina.
Saliamo quasi di corsa, buttando borsone e macchina fotografica sui sedili posteriori, e dopo un cenno di saluto e ringraziamento alla guardia del corpo Harry parte sgommando lasciando il gruppo di cronisti soli con le loro domande.

 Busso piano alla porta di Liam emozionata e leggermente in imbarazzo. Lui, in camicia a quadri rossi e beige e barbetta sexy, apre la porta senza preoccuparsi di chi sia e appena mi vede sorride apertamente.
- Ciao, piccola! – Mi abbraccia.
- Ciao, Liam. Sono venuta a prendere le mie ultime cose.
- Certo, le ho preparate qui. Vuoi accomodarti?
- Solo cinque minuti, Harry mi sta aspettando in strada.
- Certo. Certo, ehm… entra pure – si sposta da un lato e io entro. Casa sua è rimasta esattamente come due giorni fa, come mi ricordo che fosse due giorni fa. Avere memoria è una cosa straordinaria.
- Allora… come va la testa? – Mi chiede passandomi accanto sfiorandomi un braccio.
- A meraviglia! Solo qualche mal di testa ogni tanto… a volte ho ancora dei flash e ricordo cose nuove.
Liam si apre in un sorriso. – Oh, bene! Scusami, vado a tirare giù il caffè. Ne vuoi un po’?
- Ok!
Sparisce un secondo in cucina, e lo sguardo mi capita per caso sul suo telefono. Mi avvicino ben consapevole di star facendo una cosa inopportuna, e apro la schermata. Liam… unico essere umano che si fida abbastanza da non mettere una password al telefono.
La casella dei messaggi è aperta, mostrando la cronologia delle conversazioni: la prima è di una certa Cheryl di cui Liam mi ha parlato solo una volta, tanto tempo fa; la seconda è di Harry: leggo l’ultimo messaggio, rimanendo alquanto sorpresa. Recita:
“Trovatene un’altra, perché lei è mia”.
Non faccio in tempo a riflettere che Liam riemerge dalla cucina con due tazze di caffè in mano. Mi metto davanti al suo telefono per non fargli vedere che lo schermo è acceso, imbarazzata da morire. Ricordo la sua dichiarazione, fatta quando pensavo di essere nel 2010. Non l’ho dimenticata, ma finora ho fatto finta di niente per evitare di spezzargli il cuore. Ora però sono costretta a parlargliene…
- Grazie – accetto di buon cuore la tazza che Liam mi sta porgendo e la svuoto tutta in un sorso. Il liquido caldo mi scorre giù per la gola, regalandomi una piacevole sensazione. Mi sento i suoi occhi addosso.
- Liam, senti… - rigiro la tazza fra le mani, tentando di trovare le parole giuste. – Preferirei buttarmi sotto a un treno piuttosto che dirti questo, ma non posso continuare a ignorare quello che mi hai detto in ospedale. Ascoltami… vorrei davvero essere la ragazza che ti renderà felice e ti riempirà il cuore, ma non posso esserlo. Ti voglio bene più di quanto tu possa immaginare e ti sono grata per avermi ospitata senza nemmeno pensarci, e per essere stato per me di conforto e aver dormito con me per difendermi dagli incubi. Ma io… per quanto possa volerti bene, io non sono innamorata di te. Il mio cuore è di Harry, nonostante quello che ha fatto.
- Annie, lo so. – Liam mi rivolge un mesto sorriso, e posando la sua tazza su un tavolo mi posa una mano sulla guancia, accarezzandomela. – Ho capito che non saresti mai stata mia quando ti ho vista arrivare al braccio di Harry, quella sera a Roma. Dal modo fiero in cui lui ti teneva stretta, ho compreso che non ti avrei mai avuta e mi sono fatto da parte. Preferisco non averti ed essere tuo amico che non parlarti mai più. Non posso dire che ne sono felice, ma mi sta bene. Davvero. Non c’è problema, ok?
- Ok – ricambio il suo sorriso. – Grazie, Liam. Grazie di tutto.
Mi bacia la fronte e io lo stringo forte.
- Spero davvero che troverai la ragazza dei tuoi sogni, che ti renda felice. – Mormoro.
- Lo spero anch’io.
- Ti voglio bene.
Un altro abbraccio, poi sono costretta a prendere le mie cose e uscire dalla porta per evitare di scoppiare in lacrime di gioia e tristezza assieme. Mi viene in mente un pezzo della canzone “Teorema” di Marco Ferradini, e come una preghiera la rivolgo a Liam:
Non esistono leggi in amore, basta essere quello che sei
Lascia aperta la porta del cuore, vedrai che una donna è già in cerca di te.

 Harry sta battendo con le dita un qualche strano ritmo sul volante quando arrivo e apro la portiera. Si è legato i capelli nell’attesa.
- Ehi, love! Ci hai messo un’eternità!
- Ho fatto prima che potevo – sistemo lo scatolone che Liam mi ha preparato e mi siedo sul sedile accanto a lui. Sospiro. – Senti, Harry… ti andrebbe di andare a Jawbelly Ville? Ci serve un periodo per noi, per staccare.
- Ma certo, my love! – Mi scompiglia teneramente i capelli. – Quando vuoi partire?
- Domani? – Propongo.
- Prenderò i biglietti dopo Brick Lane – promette. Sorrido.
Harry avvia il motore e parte, mentre l’emozione per l’imminente consegna delle chiavi mi travolge come un’onda. Chissà che cosa ha combinato mamma…
Mi sbatto una mano sulla fronte. – Oh Cristo!
- Che c’è? Hai ricordato qualcos’altro? – Harry si volta preoccupato verso di me.
- Mia madre! Non l’avete avvisata di tutto quello che è successo!
- Louis ci ha provato più di una volta, ma non siamo riusciti a rintracciarla. Non mancava molto al suo viaggio in Madagascar, no? Ascolterà i messaggi che abbiamo lasciato in segreteria.
- Ok… spero non le prenda un colpo!
- Lascia un messaggio!
- Buona idea – ammetto tirando il cellulare fuori dalla tasca della giacca. Fuori cominciano a cadere le prime gocce di pioggia. Premo il tasto delle chiamate rapide e subito risponde la segreteria di Morgana.
“Salve, sono Morgana Vittorini! Se avete voglia di lasciare un messaggio, sappiate che a Papua non prende! Buona serata!”
- Mamma, sono io. Annie. – Parlo in italiano - Senti, ehm… non preoccuparti. Ho ricordato tutto. Tutti i maledetti sei anni. Quindi, no problema! Goditi i Loris Lento. Ti voglio bene. Sto andando a Brick Lane. Ciao!
Chiudo la telefonata e metto il telefono in tasca. 

Anche sotto la pioggia Brick Lane è piena di bancarelle coperte da grandi teloni bianchi, e i venditori accolgono con un sorriso coloro che si avvicinano a comprare i souvenir etnici disposti sui tavoli. I ristoranti indiani sono già aperti e i clienti stanno mangiando seduti ai tavoli, così come nei ristoranti pakistani.
Davanti alla porta della casa, proprio sulla strada, ci stanno aspettando l’agente immobiliare e il capo degli operai che mia madre ha assunto, tali signor Doubt e Fire. In questi mesi, poveretti, li ho massacrati di battute su “Mrs. Doubtfire”, il film con Robin Williams.
Io e Harry ci avviciniamo e loro ci salutano con una calorosa stretta di mano.
- Signorina Everdeen, ho visto i notiziari: quello che ha fatto è stato incredibilmente coraggioso. La ammiro moltissimo – dice l’agente immobiliare, il signor Doubt.
- Grazie – sorrido nervosamente ricambiando la stretta.
- Perfetto. È il momento.
Stringo la mano di Harry mentre l’agente tira fuori un mazzettino di chiavi dalla tasca dei pantaloni, me lo mostra e me la posa nel palmo della mano.
- Sono tutte sue! Se le serve qualsiasi cosa, trova i nostri numeri vicino all’entrata. – Spiega il signor Fire, capo del cantiere. Poi i due salutano e se ne vanno sotto la pioggia lasciandoci soli davanti alla grande porta blindata blu.
Io e Harry ci scambiamo un’occhiata tesa, poi infilo le chiavi nella serratura e con uno scatto apro la porta. Pensavo di trovarmi di fronte alle scale ma, sorprendentemente, subito dietro c’è un’altra porta con agganciato vicino un apparecchio per l’allarme. Attaccato allo stipite c’è un post-it con scritto il codice dell’allarme di sicurezza.
- L’inquietante idea della doppia porta l’hai avuta tu, neh? – Chiedo premendo i tasti nell’ordine giusto. Con uno scatto la serratura si apre.
- Ah-ah. – Annuisce Harry.
- Sciocco iperprotettivo.
- Ho il diritto di stare tranquillo una volta nella vita quando si parla di te, sì o no?
Sospiro e gli lancio un’occhiata di semi rimprovero, poi spingo la porta.
Le scale sono state completamente riparate con del legno chiaro, i muri intonacati senza nemmeno una crepa. Saliamo le scale e mi manca il fiato.
L’open space è stato completamente trasformato: doveva essere un monolocale e comprendere cucina, bagno, salotto e camera da letto in una stanza, per come l’avevo pensato io. Ora invece, salite le scale, si arriva in un grande salotto con pavimento in parquet scuro anticato e le pareti intonacate di bianco. A destra, poco lontano dalle scale, sopra a un divano a L di legno chiaro imbottito di grandi cuscini blu sta appesa una riproduzione a dimensioni originali del “Lo stagno delle ninfee, armonia verde” di Monet.* Il divano si trova davanti a un tavolino basso e a un caminetto di mattoni, che si trova sotto a una tv a schermo piatto. I toni chiari delle pareti fanno sembrare tutto più grande. La cosa più bella è che ovunque ci siano le mie cose, quelle che erano a casa di Harry fino a non so quanto tempo fa.
Poco oltre il divano c’è una chiara e stretta scala a chiocciola che porta al piano superiore, e dietro di essa una nicchia con una cucina a vista completa di isola e mobili di legno chiaro. Accanto alla cucina, che rispetto al salotto è di dimensioni leggermente ridotte, sta una stanza con una porta bianca e un gigantesco smile “;)” dipinto in nero. In un attimo mi torna in mente il bigliettino che Harry mi ha dato la sera della vigilia di Natale, e ho paura di scoprire che cosa si è inventato.
Attraverso velocemente la stanza senza smettere di stupirmi del mobilio scelto con estrema cura, e apro la porta con lo smile.
- OH, PORCA PUTTANA! – Grido in italiano.
Dentro, il paradiso.
Harry (indiscutibilmente Harry) ha riempito la stanza con ogni tipo di tela bianca, pennelli intonsi, carboncini, matite colorate, acquerelli in tubetti di stagno. Il tutto è illuminato da una grande finestra che dà sulla strada.
Una stanza dei dipinti. La mia. Fottuta. Stanza. Dei dipinti.
- Buon Natale, love – ridacchia Harry vedendo la mia faccia. – Un po’ in ritardo.
- Adesso muoio, qui e ora. – Dico sedendomi per terra.
- Non sali di sopra? – Chiede appoggiandosi allo stipite della porta.
- Dopo. Prima mi riprendo da questo colpo incredibile.
Scommetto che è per questo che gli operai hanno voluto cinque giorni in più per darmi le chiavi!

Il piano superiore è anche meglio: c’è una grande camera da letto con un soffice matrimoniale e sempre il parquet scuro, una cabina armadio, una grande libreria in un secondo piccolo e raccolto salotto e, udite udite, un bagno con una vasca idromassaggio! Il Nirvana, quello vero e proprio. Non metto piede in questo appartamento da mesi, da prima che venisse ristrutturato, eppure lo sento già come il mio rifugio, la mia tana.
Grazie nonni materni, in qualsiasi paradiso karmico siate.

 Vorrei restare nella Tana (ho rinominato così l’appartamento di Brick Lane) per i prossimi centovent’anni, lo desidero con tutte le mie forze. Il problema è che ieri ho promesso ad Anne e Gemma di andare a trovarle: non hanno osato farsi vedere dopo che io e Harry avevamo rotto, preoccupate che potessi cacciarle in malo modo, e naturalmente non volevano turbarmi in ospedale. Perciò quando ho recuperato la memoria Harry le ha avvisate, e io ho promesso loro di andare a trovarle a Redditch.
Così eccoci qui, seduti sul divano del loro salotto. Anne, Gemma e Robin non riescono a smettere di abbracciarmi e controllarmi i punti in fronte e riempirmi di domande sui fatti di Harrods. Io mi sento abbastanza a mio agio da riuscire a raccontare almeno a loro ciò che è veramente successo, e per fortuna a nessuno degli Styles-Cox viene in mente di farmi vedere i video le registrazione delle telecamere.
Mi sorprendo moltissimo quando scopro che alla fine del mio racconto, Gemma ha le lacrime agli occhi. L’espressione triste del suo viso fa riemergere dalla nebbia dei miei ricordi le persone che ho visto morire per mano dei rapinatori, il cranio in frantumi, il sangue dappertutto, le vite spezzate. Mi sento coinvolta in un dovere morale di ricordare quelle vite, fare qualcosa per render loro onore.
Il poliziotto e l’uomo comune. Persone che avevano progetti, idee, sogni, desideri. Persone che sono morte per difenderne altre, in un giorno normale in cui nessuno doveva farsi male.
Non ci avevo ancora ripensato, e questi pensieri mi appesantiscono il cuore. Piango anch’io. 

La prima sera alla Tana di Brick Lane si rivela molto piacevole. Io e Harry ci siamo concessi un idromassaggio e abbiamo ordinato una pizza, mangiandola davanti al caminetto acceso.
- Adoro questo posto – commenta Harry guardandosi intorno. – Ti rispecchia.
- Aspetta che abbia finito di riempirlo di disegni – ammicco. Lui sogghigna. Dalla strada arrivano lontani i suoni allegri di musica e ristoranti.
- Il volo domani è domattina presto. Forse dovremmo andare a dormire – suggerisce.
- Mmm – poso il cartone della pizza per terra e mi avvicino a lui. Quando sono a un millimetro dalle sue labbra sussurro:
- Prima dovrai farti perdonare come Dio comanda.
Lo bacio. Prima leggermente, poi sempre più pressante. Le lingue giocano e i corpi scivolano uno sull’altro, mentre si accende una scintilla che non si era mai completamente estinta. Gli salgo a cavalcioni senza staccare la bocca dalla sua e lui mi avvolge con le braccia attirandomi a sé. Il crepitio del fuoco è l’unico rumore in casa, oltre ai nostri gemiti.
Mi sfila la maglia a maniche lunghe che indosso e io il maglioncino, restiamo a petto nudo e in reggiseno.
- Sono contento di non averlo concesso a Kendall – mormora, la voce roca.
- Taci. Non voglio più sentir nominare Kendall.
Lo spingo a terra senza concedergli di condurre il gioco, stavolta. Accarezzo la pelle sulla clavicola e la bacio, disegnando un arco sul suo collo. Il desiderio si sta facendo irresistibile per entrambi. Harry respira pesantemente, la gola arida.
- Mi sei mancata. – Mi guarda, gli occhi ardenti di libido.
- Anche tu. – Gli abbasso la cerniera dei pantaloni e lascio che lui giochi con la mia.
Ci abbandoniamo uno all’altro lì, proprio davanti al fuoco.
Il calore non ci dà fastidio, stiamo bruciando entrambi.

 Il mio Iphone comincia a squillare incessantemente nel momento stesso in cui io e Harry mettiamo un piede fuori dall’aereo, nell’aeroporto di Los Angeles. È Louis, e ho altre sue cinque chiamate perse.
Sono le quattro del pomeriggio del 21 gennaio, cosa può essere successo di così grave? Lo richiamo preoccupata, vagliando ogni possibilità alla massima velocità che il criceto nel mio cervello possa concedersi, mentre Harry si prodiga per chiamare un taxi posando il borsone a terra.
- Annie! Grazie a Dio! – La sua voce dall’altra parte della cornetta rasenta l’isteria.
- Louis! Cosa…
- Briana è in travaglio! Vuole te!
- Che significa che vuole me?
- In sala parto! Vuole te a tutti i costi, dice che senza di te non può partorire! Per favore, vieni subito!
- Sto arrivando. In quale ospedale siete?
- Los Robles Hospital. Per favore, sbrigati!
Chiudo di scatto la telefonata e raggiungo Harry di corsa. Gli spiego la situazione in poche, brevi parole, e impongo al taxista di premere sull’acceleratore con tutta la fretta di questo mondo se non si vuole ritrovare con un orecchio staccato a morsi. Harry intanto si è attaccato al telefono con Louis e sta cercando di tranquillizzarlo, spiegandogli che non manca molto.
Un quarto d’ora dopo il taxi ci deposita di fronte all’ospedale e noi entriamo correndo verso il reparto maternità. Alle infermiere basta darci un’occhiata per capire che siamo qui per Louis e Briana e ci indicano la strada senza troppe cerimonie.
Io ho bidoni di adrenalina nel sangue. Anzi, ho il sangue diluito nell’adrenalina.
Louis sta scavando un solco nel corridoio delle sale parto, un corridoio pieno di panchette e con le pareti dipinte un lato di rosa e l’altro d’azzurro. Da dietro a una spessa porta blu arrivano le urla acute di Briana.
- Annie! Eccoti, per fortuna! – Mi abbraccia convulsamente, e poi passa a Harry. Io entro, ho troppo fiatone per poter anche solo rispondergli.
Un’infermiera imbragata in un largo camice e cuffietta per i capelli mi chiede se sono Annie Everdeen e non appena annuisco mi avvolge in un camice identico al suo e mi spinge verso Briana. È sdraiata su un letto da parto, con le gambe appoggiate a uno di quei cosi per le puerpere, e sta strizzando le lenzuola fra i pugni come non ci fosse un domani. L’ostetrica, con la faccia affondata fra le sue gambe, continua a incitarla dicendo che manca poco per vedere la testa. La madre di Briana sta in un angolino, terrorizzata.
Com’è che mi ritrovo di continuo in queste situazioni piene di pazzi? Come?
Mi avvicino a Briana e le metto una mano sulla spalla, lei non smette di urlare.
- Briana, sono qui.
- Oh, Annie! – Realizza che sono entrata solo quando sono a due centimetri da lei. – Annie, non ce la faccio! – Singhiozza.
- Sì che ce la fai. – Cerco di tranquillizzarla, il cuore che batte a mille all’ora.
- No, non posso! Non uscirà mai!
- Briana, non uscirà mai se continui ad avere quest’ansia – la sgrida l’ostetrica. – Devi RESPIRARE.
Capisco perché Louis mi abbia chiamato con così tanta urgenza. Qui rischiamo grosso: se il bambino non riceve abbastanza ossigeno al momento del parto rischia gravi danni cerebrali. Lo so dai tempi di Grey’s Anatomy.
Oso sbirciare da sopra la spalla dell’ostetrica: Briana è quasi completamente dilatata, e strilla come un’aquila.
Deglutisco. Non farò mai figli.
Urla ancora, singhiozzando: - Non ce la faccio!
Anche la madre scoppia in singhiozzi e corre fuori dalla sala parto. Che madre matura, anche lei!
Non ho la minima idea di quello che devo fare, e il criceto scende dalla ruota, si apre una rivista e mi augura buona fortuna.
Qualcosa nel mio cervello scatta: forse istinto di sopravvivenza.
Briana è completamente piegata in avanti sul letto, e lascia abbastanza spazio dietro la sua schiena per un’altra persona. In un attimo mi inginocchio dietro di lei sul letto, la faccio sdraiare su di me e la afferro per una mano, contrastando la sua morsa meccanica.
- Ce la fai. So che puoi farcela, Briana. Forza. Respira, ok? Spingeremo insieme. Ok?
Briana tira su col naso e annuisce, poi si sforza di respirare con regolarità. L’ostetrica mi lancia uno sguardo di approvazione.
- Sei completamente dilatata, Briana: alla prossima contrazione, spingi più forte che puoi. Intesi?
- S-sì…
Un secondo di silenzio, poi la stretta sulla mia mano aumenta ancora: la contrazione è arrivata.
- Pronta? – Sto quasi gridando. – Pronta? SPINGI! 

- Ma ciao, piccoletto! Chi è il piccolo Freddie? Sì, esatto! Sei proprio tu!
Dio, è proprio vero che i neonati ti rincoglioniscono.
Freddie Reign Tomlinson, figlio riconosciuto di Briana Jungwirth e Louis Tomlinson, è nato alle 18.23 del 21 gennaio 2016 al Los Robles Hospital di Los Angeles.
Sono state due ore di fatica immensa per Briana e di “non mi sento più la mano” da parte mia. Ma quando questo esserino infagottato è venuto finalmente al mondo e l’ostetrica ha annunciato “è un maschietto”, è stato amore a prima vista e il mondo ha smesso di girare. Briana l’ha stretto e l’ha abbracciato, completamente sudata, e l’ha chiamato Freddie. Louis e Harry sono entrati di corsa: Louis è andato da Briana con le lacrime agli occhi, e lei gliel’ha passato fra le braccia.
- Sono papà – ha detto Louis, ed è scoppiato in lacrime di commozione.
- Mi sento un po’ malino in questo momento – Harry si stringe gli occhi in una pinza, secondo me per non far vedere che anche lui era commosso. Briana mi ha lanciato uno sguardo di fiera vittoria e un sorriso di ringraziamento, e io ho annuito come per dire “prego”. Non c’era bisogno delle parole.
Sono le undici di sera adesso, e il piccolo Freddie ha appena finito di fare la pappa. Mi stringe il mignolo con la forza di un operaio, proprio come la mamma, e io sto facendo versi stupidi da mezz’ora come una cretina ma a bassa voce, perché Briana si sta addormentando.
Harry si è seduto su una sedia e si è addormentato con la nuca contro il muro, attività che sta diventando la sua specialità in questi ultimi tempi. Non mi è neanche venuto in mente che io e Harry non abbiamo visto Jawbelly Ville nemmeno di striscio, da quando siamo scesi dall’aereo, né abbiamo mangiato o bevuto qualcosa. Avevamo cose più importanti e urgenti a cui pensare.
- Annie – la voce di Briana è assonnata, ma continua a guardare Freddie con un orgoglio che ho visto solo negli occhi di un’altra madre. – Io e Louis abbiamo discusso di una cosa, e vorrei dirtela. Mi sembra il momento adatto, ora. Louis, che ne pensi?
Lui, in piedi accanto a Briana, si limita ad emettere un grugnito senza smettere di fissare suo figlio con sguardo adorante.
- Dimmi pure.
- Ecco… noi vorremmo che tu fossi la madrina, e Harry il padrino. Ci piacerebbe moltissimo che, nel caso ci succedesse qualcosa, foste voi a prendervi cura di nostro figlio. Che ne pensi? Accetti?
Rimango ammutolita, paralizzata dall’immenso onore che mi stanno facendo.
- Lo sarò con piacere. – Mi apro in un largo sorriso.  
Briana ricambia il sorriso, si china sull’incubatrice e prende Freddie in braccio per poi porgermelo.
- Prendilo, non avere paura! – Mi incita.
Allungo le mani e lo prendo in braccio, facendo la massima attenzione a tenergli sollevata la testa. Guardo il suo visetto bitorzoluto e addormentato, e vengo travolta da un’ondata di amore per lui. Il mio figlioccio.

* http://www.studiolegalesterzi.it/wp-content/uploads/2014/02/1.jpg

   
 
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