-CAPITOLO
11-
Impossibile
le
aveva detto Marcel, che tu riesca a
colpirmi bendata. Così Allison si era sentita
quasi in dovere di dargli una
dimostrazione concreta di quello che sapeva fare.
Gli
porse la mano per aiutarlo ad alzarsi e sospirò versandosi
un bicchiere di
acqua che bevve tutto d’un sorso. Era stanca e si sentiva
spossata ma
quantomeno non era costretta a rimanersene chiusa in casa se Marcel era
lì a
farle compagnia. Era questo il
termine che usavano adesso, da quando Allison aveva messo in chiaro che
la
parola guardiano non le piaceva
affatto.
“Com’è
possibile?” le chiese per l’ennesima volta il
vampiro scuotendo il capo.
Sbalordito, forse anche un po’ infastidito
dall’essere stato messo al tappeto
da una donna tanto minuta in confronto a lui, e umana per lo
più.
“Mi
sono allenata moltissimo nel corso degli anni, Marcel”
rispose lei
sistemandosi le bende con cui si era fasciata le mani. “Se
sei un essere umano
che combatte contro il soprannaturale parti svantaggiato a prescindere.
Voi
avete dei poteri, delle abilità che io non ho. Non posso
battervi con la forza
quindi uso l’astuzia e utilizzo al massimo tutti i miei
sensi. Tu sei veloce e
sei forte ma respiri e muovendoti muovi anche l’aria intorno
quindi in qualche
modo ti percepisco.”
Lui
la fissava perplesso, un sopracciglio alzato e un’espressione
indecifrabile sul
viso. Era piena di soprese Allison Morgan, e lo aveva potuto appurare
negli
ultimi dieci giorni; giorni in cui aveva trascorso molto tempo da quel
lato del
fiume aiutandolo ad allenare i suoi vampiri.
“Continuo
ad essere senza parole” le confessò sinceramente
tirando fuori da sotto il
mobile bar una bottiglia di vodka. “Ti va di bere qualcosa di
più forte dell’acqua?
O è ancora troppo presto per te?”
Allison
guardò l’orologio; segnava le nove del mattino.
Troppo presto per un
bicchierino di vodka, ma in fondo, si disse, non doveva rendere conto a
nessuno.
“Da
qualche parte nel mondo è l’ora giusta,”
gli disse. “Quindi versa pure.”
Marcel
lo fece con un sorriso e le porse il bicchierino. La guardò
berlo tutto d’un
fiato, poi guardare il suo cellulare per la centesima volta da quando
avevano
iniziato ad allenarsi un’ora prima.
Pensava
di sapere che telefonata stesse aspettando ma non glielo avrebbe
chiesto perché
dubitava che gli avrebbe risposto.
Inoltre,
ricordò, aveva avuto una dimostrazione piuttosto chiara di
quanto fosse
suscettibile riguardo all’argomento, il giorno che Klaus ed
Hayley erano
tornati in città senza Elijah.
QUATTRO
GIORNI PRIMA
I
vampiri di Marcel si stavano
allenando con Allison quando Klaus era arrivato. L’Ibrido si
era fermato a
guardarla con un sorriso divertito sul viso mentre lei atterrava Josh
per la
terza volta in due ore.
Marcel
doveva ammetterlo, tre
erano meno delle volte che immaginava sarebbe finito al tappeto.
“Ottimi
riflessi! Come sempre” mormorò
l’Originale incrociando le mani dietro la schiena.
“Lasciatevelo dire,”
continuò rivolto ai vampiri. “State decisamente
imparando dalla migliore… dopo
di me ovviamente.”
Allison
ridacchiò, poi fece un
cenno a Marcel e si allontanò poco con Klaus.
“Siete
tornati” gli disse. “È
tutto okay?”
Lui
annuì. “Tutto sotto
controllo ma Elijah è rimasto lì ancora per un
po’, mi ha detto di darti
questo.”
La
cacciatrice afferrò il
bigliettino che Klaus le porgeva e sospirò aprendo
delicatamente la busta che
conteneva il cartoncino chiaro.
Tornerò
appena possibile.
Per favore, aspettami
prima di
decidere qualunque cosa.
Con
un movimento lento rimise il biglietto
dentro la bustina e guardò il suo amico. “Elijah
si è preso qualche giorno in
più perché c’è ancora
bisogno della sua presenza oppure perché vuole ritardare
la mia partenza?” gli chiese. Poi alzò un dito e
glielo poggiò sul petto. “E
non mentirmi.”
Klaus
fece un grosso respiro. “Entrambe le
cose, se lo chiedi a me.”
“Maledizione!”
la donna si tolse le bende
dalle mani, con rabbia afferrò la sua felpa e la
indossò mentre andava via.
“Ancora?”
le chiese Marcel alzando la bottiglia.
Lei
scosse il capo e gli sorrise. “No, grazie” disse.
“Ti va un altro round?” gli
chiese prima che il suo cellulare prendesse a squillare.
****
“Finalmente
ti sei deciso a telefonarmi” fu la prima cosa che gli disse
quando rispose.
“Esattamente, perché ti ci sono voluti tre
messaggi di testo e almeno una
dozzina di telefonate prima che mi richiamassi?”
Dall’altra
parte ci fu un sospiro, poi una specie di risatina. “Anche
per me è bello sentire la tua voce…”
mormorò.
“Trovi
tutto questo divertente, Elijah? Perché io non mi diverto
affatto. Mi stai
trattando come fossi un burattino in mano al suo burattinaio. Mi chiedi
di
aspettare il tuo ritorno prima di decidere cosa fare, mi dici che
tornerai
presto ma, sorpresa delle sorprese, tutti tornano a New Orleans tranne
te che
mi mandi un bigliettino criptico in cui mi chiedi di nuovo di aspettare
che tu
torni” gli disse tutto d’un fiato. “Credi
che sia un gioco per caso? Credi che
trovi piacevole mettere la mia vita in stallo in attesa che tu
decida…”
“Decida
cosa?” la
interruppe lui.
“Qualunque
cosa tu debba decidere!” esclamò lei infastidita
dal tono divertito
dell’Originale.
Seguì
un attimo di silenzio, poi Elijah parlò. “Sarò
a casa domani, i bagagli sono già pronti e caricati in auto
e, Allison io…”
Tutto
quello che Allison sentì dopo, fu il rumore assordante di
un’esplosione.
“Elijah!”
lo chiamò. “Elijah che succede?”
Riattaccò
mentre Marcel la raggiungeva e insieme a lui uscì diretta
alla tenuta.
****
Il
giorno dopo, mentre tutti aspettavano l’arrivo di Elijah,
Camille e la piccola
Hope nel grande atrio, Allison si ritrovò a pensare che,
qualunque cosa
l’Originale le avesse detto una volta arrivato, era davvero
arrivato il momento
che lei se ne andasse.
La
paura che aveva provato quando aveva sentito quell’esplosione
al telefono le
aveva in un certo senso aperto gli occhi.
Era innamorata
di Elijah Mikaelson, lo era da sempre e quell’amore la stava
logorando. Non le
piaceva la sensazione che provava, non le piaceva per niente. Era una
specie di
intenso solletico che però non la faceva ridere, le rigava
solo le guance di
lacrime.
Quando
il maggiore dei Mikaelson varcò la soglia di casa
accompagnato da quella
giovane barista che Allison conosceva appena, con in braccio quella
bellissima
bambina che era finalmente tornata a casa, tutto quello che la
cacciatrice
riuscì a fare fu sospirare di sollievo prima di lasciarli da
soli e salire a
rifugiarsi in camera sua.
Sentire
bussare alla porta, qualche minuto dopo, non la sorprese. Vedere Elijah
sporco
ma vivo la spinse sull’orlo delle lacrime.
“Sto
bene” le sussurrò lui rimanendo immobile davanti
alla porta chiusa.
“Ti
detesto” rispose lei. “Dal più profondo
del mio cuore.”
“Allison…”
“No!”
esclamò lei avanzando di qualche passo, fino a raggiungerlo.
“Non ti è permesso
rimanere coinvolto in un’esplosione, non ti è
permesso rischiare la vita. Non
se io sono qui ad aspettarti. Non ti è permesso spaventarmi
così, hai capito?”
Gli
puntò le mani sul petto, a palmi aperti quasi volesse
spingerlo via, ma non
fece alcuna pressione. Scoppiò in lacrime ed Elijah sapeva
che quel pianto non
era solo causato dallo spavento che si era presa, era tutto un insieme
di cose
che si era tenuta dentro e che adesso stava lasciando uscire fuori.
“Sto
bene” le disse prendendole il viso tra le mani, la voce
spezzata. Vederla in
quello stato gli faceva male e gli faceva tenerezza. “Sto
bene” ripeté
asciugandole il viso.
Si
chiese se gli era permesso baciarla, perché voleva
disperatamente farlo in quel
momento. Ma chiederglielo gli sembrava fuori luogo.
Così,
semplicemente, lo fece. Poggiò la bocca sulla sua e sorrise
felice quando lei
dischiuse le labbra lasciandosi andare.