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Autore: ElaineAnneMarley    12/03/2016    2 recensioni
È il primo giorno d’estate e Agata viene avvicinata da un ragazzo dall’aria smarrita. È la prima volta che incontra qualcuno di Levante, il continente al di là delle montagne. Lui ha i tratti tipici dei levantini: la pelle olivastra e gli occhi a mandorla. Gli occhi. Occhi di un colore simile non esistono, neanche a Levante. Sono di un blu intenso con scaglie ambrate e sembrano racchiudere la storia del mondo.
«Ti ho trovata» e il ragazzo lascia andare un sospiro di sollievo «appena in tempo.»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4

PONENTE, 6 ANNI E 27 GIORNI FA – Il levantino


“Mi dispiace di averti graffiato” ripeté lui.
“Mi dispiace di averti rovinato i vestiti” rispose lei, ripromettendosi di smettere di ordinare doppia porzione di salsa verde su qualsiasi cosa.
Il ragazzo sembrò accorgersi solo in quel momento che camicia, casacca e pantaloni erano completamente macchiati. Agata stava ancora cercando di capire in che lingua stessero parlando, o almeno lei era certa di parlare ponentese, ma non era in grado di dire con certezza che lingua stesse parlando il levantino. Eppure lo capiva perfettamente.
“Il mio nome è Tseren e vengo da molto lontano” si presentò lui accompagnando la frase con un inchino.
“Dalla zona montuosa di Levante…” completò Agata.
“Come lo sai?” chiese Tseren sorpreso spalancando gli occhi cobalto.
“Dai vestiti…” e lo sguardo le cadde di nuovo sul disastro che aveva combinato con la salsa.
“Riesci a capire da dove arrivano le persone dai vestiti?” il ragazzo sembrava colpito.
“Ti accompagno a sciacquarli” e senza ammettere replica la ragazza si diresse verso il chiosco dove aveva comprato gli spiedini di calamari e chiese al proprietario di usare il bagno di servizio. L’uomo sembrò impietosito dalla condizione degli abiti di Tseren e li fece entrare.
“Non è un problema… sul serio…” continuava a ripetere il levantino mentre Agata gli passava un fazzoletto di carta dopo l’altro.
Quando furono di nuovo all’aperto la ragazza sorrise imbarazzata. Non le capitava tutti i giorni di conoscere qualcuno di Levante, voleva approfittarne per fare due chiacchiere.
“Vivi qui o sei di passaggio?” domandò.
“Sono arrivato stanotte, dopo quasi un mese di viaggio” rispose Tseren. Quasi un mese, troppo poco per aver circumnavigato. Forse aveva preso un velivolo per oltrepassare la catena montuosa e poi aveva proseguito con mezzi di fortuna. “Attraversare a piedi le montagne è stato un incubo” precisò lui.
“Attraversare a piedi?!” esclamò Agata. “È impossibile attraversare le montagne a piedi, non esistono sentieri percorribili!”. Aveva dato l’esame di ‘Geografia di Levante’ il giorno prima ed era certa che gli unici due modi per passare da un continente all’altro fossero volare sopra le montagne o navigare lungo la costa. Tseren rimase un attimo in silenzio, come se fosse stato colto sul fatto.
“Io conosco un modo…” tagliò corto.
Agata era sempre più perplessa e le tornò alla mente che ancora non era sicura di che lingua stessero usando per comunicare. Quella conversazione stava diventando sempre più surreale e pensò che fosse arrivato il momento di tornare a casa. Aprì bocca per congedarsi, ma il ragazzo si era avvicinato allo stand del cibo.
“Mi compreresti qualcosa da mangiare? Non mangio da due giorni…” e si voltò a guardarla titubante.
Agata era sempre più allibita, ma stranamente non riusciva ad andarsene. Forse si sentiva in colpa per avergli rovinato i vestiti, o forse voleva andare a fondo della questione ‘attraversamento delle montagne a piedi’.
“Cosa vuoi ragazzo?” chiese l’uomo dietro la griglia, “Spiedini o sacchetto di pesci fritti? Che tipo di salsa?”
“Cosa mi sta dicendo?” e Tseren fece cenno ad Agata di avvicinarsi.
“Mi stai prendendo in giro? Se capisci me, capisci lui…” sbottò la ragazza, che cominciava a sentirsi presa in giro.
“Ti assicuro che non è così” rispose lui tranquillamente.
“Allora avete deciso? C’è altra gente che aspetta di essere servita!” intimò loro il proprietario del chiosco.
“Cosa preferisci? Questo o quello?” disse Agata spazientita.
“Tutti e due” rispose lui come se fosse scontato che Agata gli comprasse da mangiare. E la ragazza, suo malgrado, si ritrovò a comprargli una porzione di spiedini e una di pesci fritti per non essere sgridata di nuovo dal proprietario del baracchino.
“Grazie davvero!” esclamò Tseren addentando il primo pescetto, “stavo morendo di fame… finchè ero in campagna sono riuscito a mangiare regolarmente, ma da quando sono entrato in questa città, non so come fare senza soldi…”
“Sei completamente senza soldi?” la ragazza cominciava a essere preoccupata, forse lo strano ragazzo era un mendicante e l’aveva puntata.
“Sì, ho solo qualche moneta di Levante, ma qui non hanno alcun valore” sospirò lui.
“E come hai fatto in campagna?” Agata avrebbe voluto alzarsi e andarsene, ma le domande le uscivano una dopo l’altra. Non era mai stata così incuriosita da un’altra persona in vita sua.
“Principalmente cacciando. Poi in qualche villaggio ho trovato delle persone che mi hanno offerto da mangiare. Bastava che facessi qualche gesto…” e mentre parlava il levantino mimò l’azione di portarsi una posata alla bocca. “Qui però non ha funzionato. Non appena capiscono che non ho soldi mi cacciano via malamente…”
Agata continuava a guardarlo sbigottita. Il bello era che raccontava tutte quelle stranezze come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Cacciando cosa?” e cacciando come, soprattutto, visto che è illegale introdurre delle armi da Levante a Ponente.
“Un po’ di tutto, principalmente animali di piccola taglia. Alcuni non li avevo mai visti prima, non ci sono dalle mie parti. Ce n’è uno che mi piace particolarmente… è grande più o meno così, orecchie lunghe, baffi e salta…” il levantino aveva spazzolato gran parte del cibo e stava mimando allegramente quello che descriveva a parole.
“Coniglio” sussurrò Agata, immaginandosi il ragazzo di Levante che cacciava e mangiava conigli senza neanche sapere cosa fossero. “Si sta facendo tardi… è ora di andare…” aggiunse, finalmente decisa a concludere quella conversazione senza senso.
  “Andiamo dove?” domando lui addentando l’ultimo calamaro.  


   
 
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