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Autore: j a r t    14/03/2016    2 recensioni
Dal primo capitolo:
L'espressione di Michael si addolcì.
«Sì, lui guadagna bene. Noi viviamo insieme, ma io non volio stare a sue spese... non so se tu capisce cosa voglio dire» riprese, mentre con uno straccio asciugava il bancone.
«Capisco.»
Federico sorrise.
«Sei un bravo ragazzo, Michael.»
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fedez, Morgan, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Michael quasi correva per raggiungere la strada e uscire da quel portone, che improvvisamente gli sembrava alquanto claustrofobico. Federico lo seguì con una corsetta e non appena arrivarono in strada gli fu davanti. Lo bloccò tendendogli le mani davanti al petto, ma solo dopo notò che il viso del riccio era un mix di guance rosse e lacrime che le rigavano. Si asciugò rapidamente con la manica del cappotto e si svincolò da Federico passandogli accanto e dirigendosi chissà dove.
Federico era stanco di seguirlo. Fisicamente e moralmente.
«Non puoi fare sempre così» si limitò a gridare, il giusto per non sembrare pazzo e allo stesso tempo per farsi udire da Michael.
Il riccio si bloccò in mezzo al marciapiede e abbassò lo sguardo. Un paio di persone gli finirono addosso maledicendolo in inglese per essersi fermato all’improvviso, ma lui non se ne curò affatto.
Sapeva che Federico aveva ragione, ma lui cosa poteva farci se ogni volta che guardava suo padre rimpiangeva i momenti belli passati assieme?
Il tatuato lo raggiunse avvicinandosi cautamente, come se volesse evitare di far spaventare e fuggire un cucciolo impaurito. Con un sorriso accennato gli accarezzò una guancia e Michael lo guardò con i suoi occhioni di cui Federico non riusciva più a fare a meno da troppo tempo.
Il riccio non disse niente, solo attirò a sé Federico in un abbraccio e lo strinse forte, per fargli capire che si stava grappando a lui con tutte le sue forze e lui doveva esserci, in quel momento. Glielo stava chiedendo per favore, ma Federico voleva esserci con tutto sé stesso, per lui. Per il suo ragazzo, per la persona che amava.
 
Nell’ultima notte a Londra Michael si addormentò subito. Erano entrambi stanchi per le passeggiate in giro per la città, ma il riccio era visibilmente provato dal peso dei ricordi, specialmente quelli che riguardavano suo padre. Perciò Federico, quando uscì dal bagno, lo trovò già addormentato. Si sdraiò al suo fianco e lo guardò per un numero imprecisato di minuti; poi gli venne da sorridere nel vederlo dormire in una maniera così dolce e gli accarezzò i ricci un paio di volte. Quando finì si diede dello stupido per le strane sensazioni che il riccio gli provocava, ma semplicemente, in risposta, rise sommessamente per non svegliare l’altro e si coricò, spegnendo poi la lampada sul comodino.
 
Berlino era bella e caotica, ma di un caos diverso che Federico non seppe spiegarsi: bello a modo suo, concluse. Michael invece era già stato una volta nella capitale tedesca, ma l’aveva visitata da piccolo e non ricordava molto. Perciò quel giorno si era munito di una semplice cartina da turisti e un sito internet che li avrebbe aiutati a visitare i principali monumenti di Berlino in una sola giornata.
Il riccio volteggiò a braccia aperte sul marciapiede, girando su sé stesso un paio di volte e guardando il cielo.
«Uffaaaa, questo è il ultimo giorno della nostra vacanza! Fedeee» si lamentò il più grande, che fu prontamente afferrato dal tatuato prima di finire addosso a una persona.
«La smetti di fare le pirouette? Così caschi addosso alla gente come un deficiente.»
Michael era strano. Federico a volte non lo capiva davvero.
«Ok» guaì ricomponendosi al fianco di Federico e procedendo con lui verso la Porta di Brandeburgo. «Ma questo è ultimo giorno.»
«Lo so, dispiace anche a me» sospirò il tatuato nel constatare che presto sarebbe tornato anche lui al suo noioso lavoro di sempre.
Presero al volo un gelato dai gusti semplici e lo consumarono mentre passavano a visitare il Parlamento Tedesco.
«Sei stranamente silenzioso» constatò Federico alzando un sopracciglio.
«È che io non conosco Berlino. Io sa poche cose da veri
Il riccio annuì a conferma della sua stessa affermazione e il tatuato cominciò a sperare che Michael se ne stesse davvero così buono buono per tutto il giorno. Giusto per non riempirgli la testa di chiacchiere come accadeva in genere.
Visitarono anche il Monumento all’Olocausto, Postdamer Platz e - su richiesta di Michael - tantissimi negozi di abbigliamento e accessori, poi dovettero tornare in hotel per la cena.
La giornata volò troppo rapidamente per i gusti di entrambi, che distesi sul letto a guardare il soffitto meditavano sulle imminenti giornate lavorative che li attendevano.
«Dopo questa vacanza volio solo licenziarmi» brontolò Michael.
«Non essere stupido.»
«Non sono stuppido
«No, infatti sei stupido con una “p”.»
Il riccio si voltò a guardarlo male, ma Federico già non riusciva più a trattenere la sua risata.
Così Michael tirò le labbra e decise di vendicarsi facendogli il solletico. Il tatuato non riusciva proprio a sopportare il solletico e rise così tanto da farsi scendere le lacrime.
«Mich, ti prego, basta!» Biascicò tra una risata e l’altra.
Anche il riccio rise e si fermò solo per afferrare il corpo di Federico che, per schivarlo, stava per finire sul pavimento. I loro visi si trovarono immediatamente vicini, alla distanza di un soffio. I loro fiati caldi si scontravano accarezzandosi e i loro occhi si fissavano con dolcezza. In un attimo Federico fu sul corpo di Michael e sulle sue labbra. Assaporò le labbra morbide e carnose del libanese, così come il suo sapore che assaggiava sempre ma che ogni volta sembrava che gli mancasse.
Le mani di Michael andarono ad accarezzare la schiena del tatuato. Questo si staccò per un attimo dal bacio e si sentì tremendamente melenso quando gli sussurrò “ti amo”.
 
Inizialmente fu difficile tornare alla quotidianità, ma ci riuscirono. Tornarono entrambi al loro lavoro e ripresero in mano anche i loro progetti musicali.
Era la seconda settimana di settembre quando Michael si lasciò stancamente andare sul divano della casa di Marco. L’uomo lo fissava dall’alto, alzando un sopracciglio e tenendo le braccia incrociate al petto.
«E va bene che siamo amici» cominciò il più grande, «e che mi mandi i selfie anche quando sei sulla tazza del cesso, praticamente. Ma avresti potuto avvisarmi prima di presentarti a casa mia. Sai... per tua fortuna stavo giusto ritirandomi a casa, altrimenti avresti aspettato davanti alla porta come un idiota per chissà quanto tempo.»
In risposta Michael chiuse gli occhi e si portò un braccio alla fronte. Sembrava più volersi addormentare che parlare, e perciò Marco riprese parola e si sedette accanto a lui, stavolta parlando con un tono più dolce.
«Che c’è che non va, piccolo
Il riccio storse il naso: Marco si divertiva a chiamarlo in quel modo, anche se a lui dava sempre fastidio. Ma ormai lo aveva salvato così anche in rubrica, e non appena Michael lo aveva saputo aveva cambiato il suo nome sul cellulare da “Marco Castoldi” a “Vecchio stronzo”.
«Sono stanco. Non volio più fare quel lavoro di merda, io volio lavorare con la musica! Come te.»
Marco annuì e guardò davanti a sé, pensieroso. Giusto un paio di settimane prima aveva firmato il contratto con una casa discografica, assieme ad alcuni suoi amici con cui aveva messo su quella band da musica sperimentale.
«Posso passarti alcuni contatti di case discografiche anche straniere. Ce ne sono molte di Londra, forse troverai più fortuna lì.»
Michael annuì lentamente, anche se ormai il suo ottimismo andava scemando già da qualche mese.
Passarono dei minuti di silenzio, poi Marco si alzò e accese lo stereo.
«Ti faccio ascoltare alcune tracce, ti va?»
Michael annuì e sollevò il busto sorridendo e prestandogli maggiore attenzione.
Marco inserì un CD nello stereo e lo fece partire.
Dopo un po’ Michael saltò su eccitato e fece un piccolo balzo sul divano.
«Questa è quela che ho sentito l’altra volta!»
«Già» sorrise Marco.
«Ora è mooolto melio» rise Michael.
«Sì, infatti. Io e la band abbiamo fatto come mi hai consigliato tu. Abbiamo un po’ ripulito il sound  togliendo qualche strumento e sistemando alcuni accordi degli strumenti rimasti. Non abbiamo tolto proprio tutti i suoni, ma direi che va benissimo così!»
Il riccio annuì scuotendo i boccoli castani e gongolò nel pensare che un po’ era stato anche merito suo.
 
Michael ricevette tre risposte negative e una positiva da una casa discografica londinese. Non appena il riccio lesse quell’e-mail balzò letteralmente dalla sedia. Non poteva crederci. Rilesse la mail quattro volte prima di realizzare che finalmente qualcuno aveva trovato interessanti i suoi demo e che voleva proporgli un contratto da decidere assieme a Londra.
Michael si portò le mani sul volto e pianse di felicità per qualche minuto. Poi prese un grosso respiro e decise di darsi un contegno. La sua mente vagava già oltre, però, e vide lui stesso e Federico vivere in una bellissima casa a Londra, con tanti cani e con il suo lavoro dei sogni, finalmente. Il cuore sembrò scoppiargli di felicità, forse era giunta la sua ora di essere felice. Tentò di calmarsi nuovamente e decise che ne avrebbe prima parlato con il suo ragazzo, ovviamente. Eppure si sentiva già più a Londra che a Milano.
Michael sentì la porta di casa sbattere e Federico gettò un urlo per fargli capire che era tornato. Il riccio sorrise un’ultima volta davanti allo schermo del portatile, prima di richiuderlo e precipitarsi in soggiorno. Lì trovò Federico che poggiava a terra un piccolo sacchetto della spesa che avrebbe poi sistemato in cucina. Il tatuato aveva un sorriso raggiante sul volto e lo stesso sorriso lo si poteva vedere anche sul viso di Michael.
«Devo darti una bellissima notizia, Mich!» Cominciò il tatuato.
«Anche io Fede! Prima la tua però!»
Federico annuì e pronunciò la frase quasi tutta d’un fiato.
«Una casa discografica milanese mi ha proposto un contratto. Cazzo, Mich, cazzo, ancora non ci credo! Aspettavo da una vita, capisci? Da una vita!»
Gli occhi di Federico brillavano mentre quelli di Michael si spegnevano. Il riccio attraversò un breve attimo di puro smarrimento, prima di forzare un sorriso per non far insospettire l’altro.
«Sono contento per te, Fede!»
Si lanciò ad abbracciarlo per far sì che Federico non vedesse il suo volto. Ma sicuramente il tatuato era troppo contento per curarsi delle sue emozioni.
«Cos’è che dovevi dirmi tu, Mich?»
Federico sciolse dolcemente l’abbraccio e lo guardò. Michael finse un altro sorriso abbastanza convincente e sminuì con un gesto della mano.
«Oh, niente, cosa non importante!»
Il riccio si abbassò a prendere la busta della spesa mentre l’altro alzava le spalle e continuava a saltellare dalla gioia e a raccontare tutti i dettagli del suo incontro con i discografici.
 
Erano passati già tre giorni e Federico aveva ufficialmente stipulato un contratto discografico. Michael invece ripensava sempre alla sua opportunità: andare a Londra e seguire il suo sogno significava lasciare Federico in Italia, lasciarlo per sempre; avrebbe potuto portarlo con sé, se Federico non avesse ottenuto anche lui il suo contratto discografico. E perciò Michael realizzò che era pronto a rinunciare al suo sogno per stare con Federico e vederlo felice.
In quei giorni però il riccio era stranamente silenzioso e quello a Federico non passò inosservato. Decise che gliene avrebbe chiesto il motivo, ma aveva prima una marea di faccende da sbrigare per il suo nuovo lavoro.
«Vado a fare una doccia, Fedé» gli urlò Michael dal corridoio per farsi sentire, poi richiuse la porta del bagno.
Federico staccò gli occhi dal block-notes.
«Mich, posso usare il tuo computer?»
Non ricevette risposta e pensò che Michael non lo avesse sentito. Ne ebbe conferma, infatti, quando passò per il corridoio e sentì l’acqua che scorreva dal soffione. Si avviò comunque in camera da letto e si sedette alla piccola scrivania che condividevano. Aprì il MacBook e notò che era già acceso. Sullo schermo del computer era aperta l’applicazione che gestiva la casella di posta di Michael. E Federico avrebbe davvero rispettato la privacy del suo ragazzo se solo non avesse distrattamente letto il titolo dell’ultima e-mail ricevuta.
 
Record Deal
 
Era il titolo di quella e-mail, e Federico ci mise un attimo per copiarla e incollarla nel traduttore inglese-italiano di Google. Lesse la traduzione con il cuore che da un momento all’altro minacciava di fermarsi. Lesse tutto d’un fiato e solo quando giunse alla firma digitale del mittente realizzò che anche Michael aveva avuto una proposta discografica. Stava quasi per esultare quando notò che l’e-mail era di tre giorni fa e che Michael non aveva ancora risposto.
Allora Federico fece mente locale.
Capì che era lo stesso giorno in cui anche lui aveva ricevuto la sua proposta dalla casa discografica, ed era lo stesso giorno in cui anche Michael aveva annunciato di avere una bella notizia da dargli, che poi non gli aveva più rivelato.
Federico scattò in piedi e si sentì girare la testa. Si appoggiò alla scrivania.
Michael sapeva che andare a registrare a Londra voleva dire lasciare Federico e far sì che le loro strade si dividessero per sempre. Michael stava sacrificando il suo sogno per stare con lui, e lui non poteva accettarlo. Sapeva cosa significasse aspettare un’opportunità per tutta la vita, come poteva permettere che Michael rinunciasse? Era per quello che il riccio aveva deciso di non parlargliene affatto.
Federico abbassò lo sguardo al pavimento e i suoi occhi divennero improvvisamente lucidi; d’un tratto vide la stanza come circondata da pareti di vetro e strinse gli occhi nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime. Richiuse il portatile di scatto e uscì dalla stanza.
Tornò in soggiorno e si convinse davvero di non aver visto nulla, almeno finché non si sentì maledettamente egoista. Ecco cos’era. Un egoista. Michael stava rinunciando alla sua felicità e lui semplicemente voleva far finta di nulla, solo perché aveva paura di perderlo. Lo voleva per sé, così come voleva il suo sogno. E non aveva pensato neanche per un attimo che anche Michael potesse volere le stesse cose, ecco perché era un maledetto egoista.
Federico sollevò gli occhi al cielo.
Cosa doveva fare?
Si lasciò cadere sul divano, stancamente.
In un attimo gli sembrò tutto molto più chiaro. Doveva chiamare Marco Castoldi.


ANGOLO AUTRICE
Vi prometto che capirete l'ultima frase, davvero. Dall'inizio del prossimo capitolo sarà tutto più chiaro ahah comunque siamo giunti al momento principale della storia. Si tratta anche degli ultimi avvenimenti perché, ahimé, la storia sta per giungere al termine. Non so seriamente quanti capitoli mancano (sicuramente pochi, però), e non ve lo dico per fare la preziosa o la cattiva, ma perché davvero non lo so ahah ho l'arco di storia in mente e il finale, ma non ho avuto la possibilità di scriverli già tutti, quindi avrete a sorpresa l'ultimo capitolo ahah
Vi chiedo solo di non uccidermi.
<3
  
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