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Autore: spongansss    16/03/2016    3 recensioni
Emma aveva sempre cercato di controllare la sua vita, nulla era mai riuscito a distruggere i suoi piani, tranne l'arrivo di Henry, finché un incontro le ha fatto capire che le nostre vite non possono essere controllate fino in fondo.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7
Quella panchina, la loro panchina






 
-“Killian, abbiamo entrambi la mattinata libera, andiamo a fare colazione insieme?”
-“Amico scusami, ho un impegno. Facciamo un’altra volta?”
-“D’accordo, purché mi presenti questo impegno, prima o poi. Oramai è impossibile passare del tempo con te la mattina. Da chi vai?”
-“Mi hai beccato amico, ma non ti darò la soddisfazione di ottenere una risposta concreta.”
-“Sai che lo scoprirò, vero?”




Era iniziato per puro caso, dopo quella mattina, la loro mattina.
Un accordo non verbale era nato tra loro.
Ogni volta che Killian aveva la mattinata libera si recava al parco, sempre alla stessa panchina, la loro panchina; ed Emma faceva lo stesso.
Killian portava con se il suo iPod, Emma il libro e il blocco da disegno.
A volte si incontravano, a volte no.
I turni non se li erano mai comunicati, lasciavano che fosse il caso a decidere.
Quando le loro anime si trovavano, non parlavano. Stavano seduti vicini, come la prima volta, in silenzio.
Le loro conversazioni non andavano oltre il saluto di cortesia, o qualche complimento di Killian nei confronti dei disegni di Emma.
Era una situazione strana ma estremamente intrigante. Andavano avanti così da un paio di settimane, senza parlarsi, lasciando solamente che i loro corpi si sfiorassero casualmente e che i loro occhi si cercassero vicendevolmente.
Era il loro modo di smettere di fuggire. Erano a contatto, la felicità a portata di mano, mai afferrata, solo sfiorata.
Era il loro modo per non soffrire, non avevano ancora il coraggio di superare le loro paure, ma neanche la capacità di stare lontani.
Così le loro navi si incontravano in mare aperto per poi sfuggirsi, e incontrarsi di nuovo, e sfuggirsi ancora.
Avevano smesso di scappare, dovevano solo riuscire a guardare in faccia la realtà.


Quel giorno Emma decise di non portare con sé il libro. Voleva disegnare qualcosa di indefinito, qualsiasi cosa si trovasse al parco in grado di ispirarla, qualsiasi cosa potesse creare un’emozione su carta.
Andò alla solita panchina, trovò Killian già seduto lì, con la sua solita giacca di pelle, quella che metteva in risalto le sue bellissime spalle. Sarebbe rimasta ad osservarlo per ore così, da lontano, senza farsi notare.
Erano giorni che pensava che quella situazione stesse diventando davvero strana, aveva intenzione di smettere di andare in quel parco, ma non ci riusciva. La sua anima era come calamitata da quella panchina, la loro panchina.
Lo raggiunse e gli si sedette accanto.
Si scambiarono un sorriso, come sempre. Non una parola, come sempre.
Tirò fuori il suo blocco e cominciò a tracciare qualche linea.
Tentò di disegnare l’albero che era davanti a loro, ma capì subito che non era quella l’emozione che cercava.
Doveva guardarsi attorno, trovare altro, qualcosa che davvero potesse diventare emozione.
Poi vide Killian con le solite cuffiette nelle orecchie, la testa leggermente reclinata indietro, gli occhi chiusi.
Non guardava ciò che stava disegnando, era strano.
Poi se ne accorse. Una lacrima rigava il suo viso. Una piccola scia bagnata si avvicinava lentamente al suo mento.
Allora capì, quella era l’emozione che cercava.
Pensò che la canzone che stava ascoltando dovesse essere davvero commovente. Forse triste, forse bella e basta.
Si girò leggermente cercando di farsi notare il meno possibile, in modo che l’atmosfera non venisse guastata.
Cominciò a delineare i tratti del suo volto, il ciuffo smosso dal vento che gli ricadeva sulla fronte, gli occhi chiusi da cui uscivano poche lacrime silenziose.
Finite di tracciare le linee guida si disse che avrebbe potuto continuare in seguito, a memoria o guardandolo in un altro momento.
Il pianto era aumentato e decise che il momento della privacy era finito.
Non poteva essere solo la canzone, era qualcosa di più. Quella non era commozione, era dolore.
Qualunque cosa lo facesse stare così, per quanto potesse non essere affar suo, la stava facendo stare male.
Si avvicinò al suo volto, con il polpastrello del pollice asciugò la sua guancia.
La sensazione calda di quel tocco lo fece risvegliare dal suo stato di semi-trance, neanche si era accorto di aver cominciato a piangere tanto era assorto.
Emma posò un lieve bacio sulla sua guancia, portando via, così, l’ultima goccia salata.
Killian tremò al suo tocco, sperò non se ne fosse accorta. Lei fece finta di nulla, ma in quel momento un’insana e irrazionale gioia si insinuò in lei.
Posò la sua testa sulla spalla di lui stringendolo forte a sé.
Non avrebbe chiesto nulla, gli sarebbe stata vicina, il passo successivo toccava a lui, perché solo lui sapeva se fosse pronto a parlare del qualunque cosa gli stesse facendo quell’effetto.


-“E’ passato un anno da quando il dolore è iniziato.”
-“Killian, non devi se non vuoi.”
Killian continuò a parlare, aveva bisogno di sfogarsi, stretto a lei si sentiva meglio, così capì che era la persona giusta con cui farlo.
-“Convivevo con una donna da parecchio tempo, stavo bene, bene come per anni non ero stato. Lei e mio fratello mi hanno trovato in un periodaccio, i miei genitori erano venuti a mancare uno dopo l’altro, mi sono dovuto trasferire dall’Irlanda nel Montana, dove mio fratello viveva da qualche tempo. All’epoca ero minorenne, così venni affidato a lui.
Avevo perso tutto: la mia famiglia, la mia casa. Avevo perso me stesso, non ero più io.
La presenza di mio fratello aiutava, certo, ma non bastava. Il dolore era troppo forte, era un fuoco troppo potente per essere spento soffiandoci sopra. Il processo di riappacificazione con me stesso e con il mio passato era estremamente lento. Poi è arrivata lei. Milah è stata una lanterna nell’oscurità.
Avevo 19 anni, per la prima volta mi innamorai veramente. Per la prima volta potevo ricominciare a credere in qualcosa. Siamo stati insieme dieci anni, eravamo felici. Entrambi, so che è così.
Un anno fa mi è stata portata via. Anzi, questa è la bugia che mi sono raccontato per mesi. Devo guardare in faccia la realtà. Se n’è andata via. E’ fuggita con un altro uomo, un uomo ricco, anche piuttosto anziano se devo dirla tutta. Io non credevo che lei fosse così, che avrebbe buttato tutto all’aria da un momento all’altro e che, soprattutto, potesse farlo per i soldi.
Oltre al dolore dell’abbandono, ho subito il dolore della delusione.
Io ci credevo, Emma, ci credevo davvero. Pensavo che saremmo diventati come i miei genitori, che si sono amati sempre, fino al giorno in cui mia mamma si è spenta.
Dopo la morte di mia madre, mio padre si è lasciato andare. Il suo dolore lo aveva avvelenato, lo aveva ucciso.
Io non volevo fare la stessa fine, così sono fuggito da quel posto che mi stava distruggendo. Avevo cominciato a sentirmi meglio, ma mi ero reso conto che in quella casa, in quella città non sarei mai riuscito ad allontanarmi pienamente da lei.
Ed ora che credevo finalmente di esserci riuscito, ora che cominciavo a sentirmi bene, è bastata una stupida canzone a riaprire quelle dannate ferite.
C’è un lato positivo, però, in tutto questo: queste lacrime io ho capito cosa sono. Non sono le stesse lacrime che hanno rigato il mio viso per mesi. Sono lacrime consapevoli di un ricordo, di un qualcosa che non c’è più. Sono lacrime di accettazione.”
Si era messo completamente a nudo con lei. Quella era una storia che non era mai riuscito a raccontare a nessuno, neanche suo fratello sapeva come fossero andate le cose, o almeno non completamente. Con lei ci era riuscito. Con lei si sentiva al sicuro.
Abbassò lo sguardo verso il volto di lei, poggiato sul suo petto. Una lacrima silenziosa rigava la sua guancia destra.
Killian alzò il suo mento, in modo che potessero guardarsi negli occhi, poi lentamente asciugò quella lacrima solitaria con la mano.
Emma era rimasta immobile, quasi in apnea. Quella situazione l’aveva spiazzata e le emozioni la stavano travolgendo.
Erano troppo vicini, non riusciva a rimanere lucida se la distanza tra di loro era così breve.
Era talmente scombussolata che la concezione dello spazio smise di funzionare. Era così presa da quegli occhi blu che le sembrava la distanza tra loro diminuisse sempre più.
Le ci volle poco più di un attimo per capire che quella non era una sensazione, ma la pura ed evidente realtà.

 
Killian la vedeva così inerme. Gli dispiaceva così tanto che il suo racconto potesse averle fatto del male.
Nei sui occhi vedeva comprensione, non pena.
Lei lo capiva perché anche lei aveva sofferto tanto nella sua vita.
Ora era lui a volerla consolare, a volerla stringere più forte a sé per fermare il suo dolore.
Ma i suoi occhi erano incatenati a quelli di lei. Per quanto il cervello gli ordinasse di stringerla, il suo corpo non ubbidiva. Si avvicinava a lei, ma non come gli era stato richiesto. I loro nasi si sfiorarono.


Le sue labbra su quelle di lei.
Occhi chiusi.
Entrambi immobili.
Fermi ma insieme.
Lei schiuse le labbra.
Il cuore di lui parve bloccarsi.
Poi correre all’infinito.
Labbra fra le labbra.
Una mano tra i capelli dorati.
Un’altra accarezzava una barba poco curata.
Cervelli spenti.
Cuori accesi.
Poco spazio tra loro.
Un respiro.
Occhi negli occhi.
Un sorriso contornato da piccole fossette.
Spazio sempre più ristretto.
Occhi chiusi.
Labbra unite.
Anime unite.









Angolo dell'autrice
Ciao a tutti.
Il capitolo è più breve del solito, lo so, perdonatemi.
E' nato per puro caso, scritto totalmente di getto. Per la prima volta, adoro interamente ciò che ho scritto.
Non l'ho allungato perché pensavo davvero che così fosse perfetto.
Però dai, la brevità è compensata dal poco tempo che avete dovuto attendere e, soprattutto, da quello che è successo tra i nostri adorati.
Come proseguirà? Sarà un inizio? Avranno ancora paura? E i loro amici?
Bah, chi lo sa.
Come sempre spero il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima.
   
 
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