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Autore: BaschVR    29/03/2009    2 recensioni
Il giorno della morte di Zack Fair, il cielo era nuvoloso, ed egli era morto lasciando qualcosa più grande di lui su questa Terra.
Il giorno della morte di Cloud Strife, pioveva, e la sua dipartita aveva messo in moto parecchi avvenimenti che avrebbero portato fine ad una lunga storia.
In entrambi i casi Aerith Gainsborough, in un modo o nell'altro, era una delle dirette responsabili: perché la follia non esiste finché non la si considera come tale.
Genere: Dark, Mistero, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Altro Personaggio, Cissnei, Cloud Strife, Zack Fair
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Da questo capitolo in poi, dopo una breve introduzione, sarà presente il flashback di cui vi parlavo nelle note del prologo, e che ripercorrerà tutta la storia fino a riallacciarsi agli eventi del capitolo scorso.

Vi auguro una buona lettura^^

 

 

 

Capitolo 1

 

24 Novembre 2009, 17:23

Aerith Gainsborough non si era mai considerata come “psicopatica” o in qualche modo, anormale. E nemmeno le persone che vivevano accanto a lei avrebbero mai dubitato della sua normalità, e questo lo sapeva.

Aerith Gainsborough lo pensava, e nello stesso istante il corpo di Cloud Strife toccava terra, scivolando tra le spire tenebrose della morte. E nel frattempo tenne lo sguardo alto e fiero, mentre sentiva il peso della vita svanire dal corpo di Cloud.

Si guardò poi intorno, forse spaventata, ma vide che il colpo secco che era scaturito dall’arma non aveva destato nessun ignoto ascoltatore, e se ne compiacque. Dopotutto, chi è che in quell’orribile giornata di pioggia avrebbe notato una cosa del genere? La risposta affiorò nella sua mente in maniera naturale. Nessuno.

Non si voltò indietro, mentre si muoveva a passo svelto per le lapidi di marmo che picchiettavano al tocco della pioggia. Mentre le sue mani aprivano la porta che dava sul corridoio posteriore della cattedrale, per un attimo si ritrovò spaesata, ma poi proseguì per il cammino che prima aveva percorso in senso contrario, felicitandosi per l’assenza del Reverendo McRonis, dato che non aveva voglia di vedere nessuno. Fu una liberazione quando la luce plumbea di quell’odiata giornata le irradiò di nuovo il volto, uscendo dalla chiesa.

Non sapeva quanto tempo sarebbe passato prima che avessero trovato il corpo esanime del Dottor Strife, o prima che la polizia riuscisse ad intuire le sue implicazioni nell’avvenimento. Probabilmente solo poche ore, visto che sarebbe in breve diventata l’indiziata numero uno. E poi sarebbe dovuta fuggire.

Ma comunque, la cosa non le importava. Ormai aveva deciso che era disposta a scoprire cosa la ShinRa stesse tramando, e come Zack ne fosse coinvolto. Comunque sarebbe andata a finire.

Per prima cosa, decise di fare un salto a casa sua, per un ultima volta, alla ricerca dei documenti che forse avrebbero potuto spiegare qualcosa in più riguardo a quella storia, che si stava facendo sempre più complessa e ostica, ogni minuto che passava.

 

 

 

 

 

27 Settembre 2009,  6:00

Forse stava sognando, forse era sveglio. Tutto ciò che Cloud Strife in quel momento sapeva era che il suono della sveglia lo stava disturbando parecchio. Non aveva voglia di alzarsi, non per cominciare nuovamente una giornata che probabilmente si sarebbe rivelata poco fruttuosa e assolutamente frustrante. Allungò una mano verso la sveglia e la colpì, cercando di far cessare quel rumore infernale, ma tutto era inutile, e fu costretto ad aprire gli occhi e ad essere perfettamente conscio di essere sveglio.

“Già ora di alzarsi” sospirò poi, trattenendo a stento uno sbadiglio.

 “A quanto pare si” rispose una voce femminile alle sue spalle.

 Cloud si voltò e vide Cissnei, in piedi, già sveglia, che riordinava la camera. “E tu quando ti sei svegliata?” chiese.

“Beh… non è che avessi parecchio sonno, a dir la verità… Resti qui a fare colazione o la prendi nello studio?” chiese la donna, mentre rifaceva il letto. Cloud la guardò e si perse nei suoi meravigliosi capelli rossi, e nel suo sguardo dolce ma profondo al tempo stesso. Poi si riscosse, mentre nella sua mente rimbombava la domanda che gli era appena stata posta.

“Non ho tempo di restare qui, mi dispiace. Prendo qualcosa fuori casa, prima di andare a lavoro” rispose poi, prendendo camicia, giacca e cravatta da un cassetto e chiudendosi in bagno per cambiarsi.

“Bah, io continuo ad essere dell’opinione che dovresti passare almeno un po’ di tempo con tuo figlio!” esclamò Cissnei, perplessa.

“Sai che oggi non  ne ho proprio il tempo!” rispose lui dalla porta.

“Ma non ci sei mai! Adesso che gli dirò quando mi chiederà dov’è suo padre?”

“Potrai raccontargli che sono in missione segreta per salvare il mondo, oppure che sono stato preso in ostaggio dalla mafia giapponese” scherzò Cloud “Così ti toglieresti un grave impiccio ed io potrei ricominciare una vita a Costa del Sol” continuò.

“Oppure potrei ucciderti e metterti dentro un urna sul camino, così ti avremmo sempre in casa” continuò Cissnei sorridendo.

“Ok, questo disegno non mi piace molto” rispose Cloud un po’ spaventato “però ti prometto che stasera parlerò io con Artie, tranquilla. Nel frattempo puoi riempirgli la testa di maldicenze sul mio lavoro”

“Caspita, quanta fiducia” mormorò la rossa con un sussurro appena udibile.

Cloud uscì dal bagno già pronto per uscire, mentre si annodava la cravatta. Cissnei gli gettò uno sguardo prima di incamminarsi verso la cucina e cominciare a preparare la colazione in vista dell’imminente risveglio del figlio.

Il biondo invece si fermò un momento a pensare. Beh, certamente aveva un po’ deluso Cissnei. Magari lei si aspettava qualcosa in più, ma non poteva chiedergli di mollare tutto per un motivo si solitudine. Non adesso. Quando fu pronto, le augurò una buona giornata, uscì di casa e, attraversando il vialetto, si diresse verso la sua auto.

Per un momento, appena si fu seduto, restò in silenzio, immerso nei suoi pensieri. Poi partì, ed un’altra giornata ebbe inizio.

 

 

 

 

Quando Zack Fair, nello stesso istante, accese il motore della sua auto, non poteva sapere che entro all’incirca due mesi avrebbe trovato la morte. Non sapeva nemmeno che il Dottor Strife e sua moglie Aerith sarebbero stati due dei diretti responsabili della sua dipartita, e non immaginava neppure che presto sarebbe stata innescata la molla che avrebbe portato ad eventi molto più grandi di ciò che poteva immaginare.

Egli sapeva solo quello che gli era dato sapere. E tra le cose che gli erano date sapere, molte erano “poco nobili”.

Eppure Zack Fair, per ogni gesto che compiva, pensava di essere nel giusto. Il concetto di bene e male è spesso relativo, e non è possibile distinguere i due concetti neutralmente. Quindi, quella mattina, gli sembrò naturale comporre un numero di cellulare che chiamava spesso in quel periodo, ed attendere con ansia che qualcuno rispondesse.

“Pronto, qui Tifa Lockheart” rispose una voce femminile.

“Era ora” esclamò Zack, inviperito “Sai da quanto tempo sto cercando di chiamarti?”

“Mi spiace, ma ho avuto diversi contrattempi. Si stanno scoprendo parecchie faccende irrisolte della ShinRa, e purtroppo devo occuparmene” si giustificò quella.

“Beh, tutto deve essere pronto entro qualche mese. Se siamo fortunati, entro poche settimane potremo dare il via al Progetto”.

“Tutto dipende dai progressi di Hojo sullo studio al tempio degli Antichi” rispose Tifa  “E poi dipende da te. Hai già recuperato le informazioni nascoste dai Krauger?”

“Non ancora” rispose tetro, mentre armeggiava con lo scompartimento dell’auto alla ricerca di alcuni documenti. “Non posso intrufolarmi in una villa del genere senza destare sospetti. Per la prossima settimana la Signora Krauger ha organizzato una festa, e sia il mio che il tuo nome risultano tra gli invitati”.

 “Si, ne avevo sentito parlare. Certo, magari in quelle condizioni sarà più facile cercare i documenti, con la villa così affollata” rispose la donna via cellulare.

“Sarò lì tra poco. Sto per partire da casa” continuò Zack.

“D’accordo” rispose Tifa “A tra poco” aggiunse chiudendo la conversazione. Zack, dopo qualche secondo di smarrimento, si decise a partire da casa. Si mosse con disinvoltura attraverso il vialetto di casa, poi si ritrovò in strada, con gli occhi rivolti all’asfalto e la testa immersa in mille pensieri diversi.

Vide il sole sorgere, forse in ritardo, come lui; vide la città svegliarsi, Midgar all’alba che si preparava per un altro giorno, che l’avrebbe vista partecipe dei cambiamenti che avvenivano nella città. Da qualche parte in quella gigantesca metropoli, qualcuno stava nascendo, qualcun altro stava dicendo addio alla propria vita; ed il ciclo infinito di morte e rinascita sarebbe continuato, e Midgar, la città Eterna, in qualche modo ne era partecipe. Forniva la spinta capace di creare tutto questo.

Ed  i pensieri di Zack Fair si fondevano nell’intricata nube che pareva avvolgere una città come quella. I suoi erano pensieri eterni eppur in qualche modo effimeri. Pensieri antichi, che esistevano sin dagli albori del mondo.

Si fermò ad un incrocio, e mentre aspettava che il verde gli desse il via libera, un Gargoyle di pietra nera lo squadrò da un edificio imponente, posto sul ciglio sinistro della strada. Zack non lo guardò direttamente, ma sentiva il suo sguardo inquisitore addosso. E gli procurava disagio.

Pertanto, fu davvero un sollievo per lui quando il verde del semaforo scattò e lui si sottrasse allo sguardo lungimirante del Gargoyle, che rimase immobile, appollaiato nella grande costruzione, pronto a raggelare qualcun altro con il suo sguardo.

Il viaggio di Zack durò ancora per qualche minuto. Quando infine, nel parcheggio, spense la macchina, era tentato di telefonare alla moglie Aerith. Si sentiva solo, aveva bisogno di parlare con qualcuno che non gli ricordasse in che faccende era stato coinvolto. Compose il numero, ma il telefono squillò a vuoto per parecchi secondi, ed alla fine nessuno rispose. Rassegnato, sbadigliò un’ultima volta, prima di aprire la portiera della macchina e rivolgere lo sguardo verso il grigio edificio che avrebbe accompagnato, ancora una volta, la sua giornata di lavoro.

 

 

 

 

 

Quella mattina, quando Arthur C. Strife si era svegliato, cercava di tenere in mente il sogno che aveva fatto durante la notte. Ricordava ombre che si muovevano, fuochi perpetui,valli profonde e foreste rigogliose. Poi, quando lo sentì scivolare dalla sua memoria, cercò di concentrarsi su qualcosa di importante che avrebbe dovuto ricordare. Ma visto che nulla gli subentrava in mente, decise che forse non era qualcosa di rilevante e se ne dimenticò del tutto.

Per Artie sarebbe stato strano vedere come quel giorno la vita gli si sarebbe messa contro. Avrebbe trovato difficoltà nel risolvere i problemi di geometria, sarebbe stato preso in giro da qualche bulletto di quinta elementare, avrebbe trascorso gran parte della ricreazione da solo, lontano dai suoi amici. Ma non era ancora tempo di saperlo, e quindi, come sempre, si era alzato da letto, un po’ con malavoglia, un po’ con curiosità.

Artie credeva che avere sette anni fosse qualcosa di brutto. Era piccolo per la sua età, magro, con i capelli spettinati biondi che aveva ereditato dal padre. Non era molto espansivo e aveva pochi amici, che non sapeva nemmeno mantenere tali a lungo. Suo padre a volte gli diceva che si rivedeva in lui, ma Artie non ci credeva proprio. Si sentiva parecchio diverso da suo padre, anche se non sapeva in cosa.

Per tutto il viaggio verso la scuola, con sua madre, fu silenzioso; Ma Cissnei, che lo accompagnava, non se ne preoccupò, poiché non era la prima volta che Artie preferiva stare in silenzio. Osservava il paesaggio scorrere dal finestrino, con gli occhi chiari che si perdevano nel grigio panorama di una tiepida mattina di Settembre.

Poi, quando l’auto stridette fermandosi davanti alla scuola, sbuffò e prese in mano lo zaino, aprì la portiera, non rispose all’augurio di passare una buona giornata della madre e si lanciò verso gli alti cancelli dell’Accademia in cui studiava.

Camminò per un po’ fuori, nel cortile, all’ombra dei bastioni merlati dell’edificio principale della scuola, lontano dagli sguardi dei compagni di classe. Poi entrò dall’entrata principale, seguì uno dei vari corridoi senza una meta precisa ed attese che la campana suonasse, meditando sul sogno che aveva fatto.

Infine, quando la campana trillò, si diresse in classe, a testa china e senza nemmeno rispondere al saluto dei compagni. Si sedette con lo sguardo vuoto e non parlò fino a tre ore più tardi, quando un ragazzino, durante la ricreazione, gli chiese se volesse giocare a Chocobo Matto con lui.

“No” rispose lui in tono severo, non avendo nemmeno la minima idea di che gioco fosse Chocobo Matto.

“Ma è divertente!” affermò il bambino in un tono supplicatorio, cercando di tirarlo per la maglietta verso un gruppetto riunito sotto il sole, qualche metro più in là.

“Ho detto no” sibilò lui, in tono così velenoso da spaventare l’altro, che se la diede a gambe, decidendo che avere un giocatore in meno non era necessariamente un problema.

Artie, dal canto suo, non aveva alcuna intenzione di giocare ad una stupidaggine inventata dai suoi stupidi compagni di scuola. Ed era inutile qualunque cosa sua madre gli dicesse – sul fatto che quella scuola era prestigiosa e che sarebbe dovuto essere felice di poter frequentare un posto del genere -, a lui quell’istituto non piaceva. Sbuffò sonoramente e si sedette sui vasti prati che circondavano l’Accademia, ed allungò le gambe facendo lo sgambetto ad un paio di bambini dell’asilo che passavano di lì, che si allontanarono singhiozzanti alla ricerca di un entità superiore che potesse punire un tale crimine.

Artie istintivamente rise, un po’ stupito da se stesso, un po’ divertito da come si sarebbe sentita la mamma se l’avesse trovato a fare sgambetti ai bambini di cinque anni. Poi una mano si posò sulla sua spalla.

Quando alzò lo sguardo vide che qualcuno lo stava guardando. Una bambina, dai vividi occhi verdi e dai capelli dorati, più o meno della sua età, che gli sorrideva dolcemente.

“Ciao!” disse lei.

“Ciao” rispose Artie, un po’ imbarazzato.

“Ieri non ti sei più fatto vedere” sussurrò la bambina, sedendoglisi accanto.

“Scusa, mi dispiace” disse Artie, arrossito.

“Non preoccuparti” rispose la bambina guardandolo con i grandi occhi curiosi e sorridendogli amabilmente.

“Davvero, mi dispiace tantissimo, Eliza”

“Fa niente” rispose quella, mettendosi ad osservare il cielo. “Guarda che azzurro che c’è oggi” disse, indicando la vasta distesa che si estendeva sopra le loro teste fino all’orizzonte.

“V-vero” assentì Artie, non sapendo precisamente come rispondere alla precedente affermazione della bambina.

Eliza notò la sua insicurezza “Non ti piace il cielo?“domandò.

“No, non è questo” rispose lui, non sapendo perfettamente spiegare ciò che stava provando.

“Beh, a me piace tantissimo. Specie quando è così blu da sembrare il mare di Costa del Sol!” continuò la bambina, sorridendo.

 “Beh, questo è davvero importante” biascicò Artie, non sapendo cos’altro dire.

Eliza sorrise e lo guardò, un po’ confusa dalle sue parole, ed Artie divenne rosso dalla vergogna. Si chiese perché quando stesse con la bambina tutto fosse così difficile e non seppe più cosa dire. Allo stesso tempo, però, una parte di lui voleva parlare, altrimenti Eliza se ne sarebbe andata, in cerca di migliori attrattive. La guardò, mentre lei osservava una farfalla che volava lì vicino e si posava su un delicato fiore.

“Oggi puoi uscire a giocare?” chiese poi Artie, cercando di deviare l’argomento su qualcosa che non richiedesse lunghi e noiosi silenzi.

“Boh, non lo so. Credo di si” rispose Eliza, senza nemmeno ascoltarlo sul serio, ancora ammaliata dall’insetto colorato. In effetti era una gran bella farfalla. Molto grossa, con le ali variopinte che creavano un grandissimo mosaico di colori, e che volteggiava aggraziata per l’area antistante loro, come lusingata dalle attenzioni della bambina. I grandi occhi di Artie si socchiusero in un lampo di gelosia, e, con una veloce mossa, prese un sasso e lo lanciò contro l’insetto, che scappò via contrariato dal modo in cui era appena stata trattata. Un attimo dopo Eliza lo guardò storto.

“Ma perché lo hai fatto?” domandò irata. Poi si alzò, gli rivolse un occhiataccia e si allontanò, camminando lentamente e con un atteggiamento fiero, non voltandosi mai a guardarlo. Artie guardò la sua figura confondersi nella folla del giardino, finché non la perse di vista, poi decise di non rincorrerla. Al contrario, si concentrò sulla bellezza effimera di quel fiore che era riuscito ad attirare la farfalla grazie ai suoi petali sgargianti e luminosi. Lo colse, lo stracciò, lo lanciò a terra. Adesso la bellezza del fiore era svanita, e colse un’ironia fuori dal comune nella sorte della pianta, retrocessa da calamita di farfalle a insulsa erbaccia, che sarebbe successivamente stata tolta dai custodi della scuola.

Per tutta la restante mattinata a scuola fu distratto, ed i suoi occhi vagarono per le grigie strade che vedeva dalla finestra, incontrando qualche passante distratto e illuminandosi di temporanea curiosità, che veniva comunque presto sostituita da una meno piacevole monotonia.

Quando infine la campanella suonò, a grandi passi si diresse verso i cancelli dell’accademia, aspettando sua madre e sbuffando sonoramente.

In lontananza vide Eliza che si allontanava dietro sua madre, la salutò con la mano ma lei non rispose, distogliendo con orgoglio lo sguardo. Probabilmente era ancora arrabbiata con lui per il modo in cui aveva trattato la farfalla che tanto le piaceva poco prima. Beh, non importava, qualunque cosa avesse contro di lui le sarebbe passata presto. Probabilmente quello stesso pomeriggio avrebbero giocato insieme, come se non fosse accaduto nulla.

Ma si sbagliava. Eliza non si fece vedere subito dopo pranzo, non lo cercò dopo aver finito i compiti, nemmeno all’ora della merenda. Ormai Artie cominciava a dubitare del fatto che sarebbe venuta, e più ci pensava, più credeva di dover fare qualcosa per impedire di perdere quell’amicizia che dopotutto un po’ gli importava.

Fu così che alle sei del pomeriggio, sotto la luce vermiglia di un sole morente, si decise ad uscire di casa. L’aria era già più fredda rispetto a quella del pomeriggio, e ad Artie venne istintivo rabbrividire. Poi si disse che non faceva poi così freddo, e si mise a correre per l’area antistante casa sua verso il marciapiede del vialetto, da cui si affacciavano numerose ville simili a quella nella quale anche lui abitava.

Camminò verso destra, contro la luce del sole, e per un attimo guardò la sua ombra venir proiettata lontano da lui, alle sue spalle. Poi diresse lo sguardo di fronte a sé e aumentò la velocità del passo.

Durante quel breve viaggio la sua mente vagò attraverso vari pensieri. Si ricordò troppo tardi di non aver avvertito sua madre che stava uscendo, e si ripromise di stare fuori per poco, per non farla preoccupare. Pensò anche a quali parole era meglio usare per scusarsi con Eliza, che, a quanto pare, era davvero offesa. E poi la sua mente fu invasa da moltissimi altri pensieri, pensieri leggeri simili a veli di seta che scivolavano nella sua mente, intangibili. Non riusciva ad afferrarli, eppure li sentiva e li percepiva in sé.

Si fermò davanti ai cancelli di Villa Krauger, e sbirciò all’interno, nella speranza di vederla correre per il prato che circondava la casa.

Ma Eliza non c’era, lo percepì subito nell’aria, ancora prima di guardare con attenzione per il vasto giardino della tenuta. Probabilmente era dentro casa, a giocare per conto proprio, forse – e questo lo fece sentire un po’ in colpa – ancora arrabbiata con lui. Stette ancora un po’ davanti al cancello, nella vana speranza che si facesse viva, ma quando realizzò che non sarebbe venuta, l’aria della giornata si fece più fredda ed il sole si smorzò.

“Probabilmente è ora di tornare a casa” si disse pensoso. Mentre il tramonto segnava la fine di una strana giornata, Artie si disse che avrebbe fatto meglio a scusarsi l’indomani, e che probabilmente tutto sarebbe andato per il meglio. O almeno, così sperava.

 

 

 

 

 

Quando, al tramonto, Scarlet Krauger aveva acceso le luci in giardino, aveva subito notato il figlio degli Strife che guardava distrattamente il cancello, immerso in chissà quali pensieri. Dopo qualche minuto passato ad osservarlo, aveva avvertito la figlia Eliza della presenza dell’amico, ma lei si era dimostrata poco interessata, mostrando in verità una sorta di noncuranza nei suoi confronti. “Chissà cos’è successo tra quei due”, si era chiesta tra sé e sé per un attimo. Ma poi, lentamente, il pensiero era scivolato nei più oscuri meandri della memoria, sostituito da altri di maggiore importanza. Scarlet, dopotutto, aveva altro a cui pensare.

Camminò per il corridoio del piano superiore, attraversando la penombra che invadeva lentamente l’area e la sua anima. Entrò nella camera da letto, ed osservò il pallido raggio di sole che attraversava la stanza svanire lentamente nella sera. Dopo ciò si pose vicino alla finestra e guardò nuovamente al di fuori della sua casa, facendo errare il suo sguardo sul viale senza in realtà prestarvi attenzione.

In quei giorni, Scarlet era molto pensierosa. Chiunque la conoscesse, avrebbe potuto dire che, in verità, Scarlet era sempre stata un po’ con la testa fra le nuvole: continuamente distratta, mentre la sua testa si lasciava andare a mille ragionamenti di ogni sorta. Eppure, in quei giorni, si sentiva in qualche modo ancor più assente. E l’aveva notato sua figlia Eliza, che però non si era per niente intromessa; l’avevano notato i suoi dipendenti, che però non osavano dirle qualcosa che avrebbe potuto compromettere la loro posizione di lavoro. Dopotutto, Scarlet non era nota per la sua eccessiva bontà.

Adesso, anche l’ultimo raggio di sole era sparito oltre le romite colline che circondavano Midgar, lasciando il posto alla sconfinata notte che invase sempre più la stanza. Ancora alla finestra, ripensò a tutto quello per cui stava lavorando. Sapeva ciò che la ShinRa stava facendo con il progetto denominato “Ambrosia”, ed era decisa a cercare di saperne di più. Non aveva scoperto ancora molto, nonostante avesse una spia all’interno della società. O almeno, non aveva scoperto ancora nulla di materialmente interessante. Solo un’informazione, fino a quel momento le era stata utile: il recupero di alcuni file riguardanti un tempio, su un’isola a sud del continente di Midgar. Soprannominato come “Il tempio degli Antichi”. Cosa c’entrasse con la ShinRa e con il progetto da lei creato, non lo sapeva, ma era decisa a scoprirlo con la festa che aveva organizzato per la settimana successiva. Ed anche se ancora non lo sapeva, entro una settimana avrebbe ricevuto parecchie informazioni interessanti, che purtroppo non avrebbe nemmeno avuto il tempo di sfruttare a dovere.

 

 

 

Eccomi qui, ad aggiornare dopo ben tre mesi di assenza! Innanzitutto mi scuso tantissimo per il ritardo, ma a causa di impegni, scuola, compiti ed anche di un po’ di pigrizia (soprattutto per quella!) il tempo è volato, quindi ritenevi fortunati di aver avuto la possibilità di leggere questo capitolo in tre mesi circa... sarebbe potuto passare persino un anno!

Passiamo adesso al capitolo: sinceramente non mi convince un granché, a dire la verità lo trovo piuttosto stupido e privo di avvenimenti, ma lascio ai posteri l’ardua sentenza! Ho sempre più la paura che questo stile non mi sia per niente adatto, e che quindi la fan fiction possa venire orribile e priva di senso, cosa a dir la verità parecchio probabile. A tale scopo, vi consiglio di rileggere un paio di volte il capitolo, poiché, se interpretato bene, può svelare parecchi avvenimenti futuri nella fan fiction.

Ed ecco che viene il momento di rispondere alle recensioni per il primo capitolo della storia:

 

Bankotsu: Ciao e Grazie tantissime per i complimenti! Lo so che la storia inizialmente è un po’… scioccante, ma questo capitolo rientra più nei canoni tradizionali (infatti è per questo che non mi piace)! Beh, aspetto con ansia di sapere che cosa ne pensi di questo capitolo, e spero di non averti deluso, dato che lo aspetti da tanto tempo!

 

Valeriana: Come vedi, anche se Zack è morto, tramite la narrazione-flashback potremo scoprire il perché sia morto, in quali circostanze, e cosa nascondono di preciso Cloud ed Aerith! E poi, davvero la bambina ti ha ricordato la povera Samara? Caspita, letta dall’esterno la scena deve risultare parecchio inquietante O_O Grazie inoltre per aver messo la storia nei preferiti!

 

Roy4ever: Ciao e ancora scusa per aver mancato all’aggiornamento della raccolta (mi sento davvero in colpa T_T)! In quanto alla morte di Cloud e Zack, grazie al flashback è come se fossero presenti nella fan fic, quindi non preoccuparti per la loro morte! Il motivo per cui non parlo quasi mai di Tifa è perché la odio (xD), ma come vedi le ho trovato una piccola particina u.u In quanto alla bambina-Aerith, ho semplicemente pensato all’incarnazione del subconscio di Aerith, quindi la mia mente, per quanto malata, non ha mica avuto un gran ruolo nella realizzazione! (ma comunque qualche tiro me l’ero fatto lo stesso, ma non dirlo a nessuno xD)

 

Ikumi91: Grazie per i complimenti, vedo che adori Cloud e Aerith *-* bene, questa è senz’altro una cosa positiva! E ti dirò di più: Zack non è mica l’unico agnello sacrificale nella storia! xD Se continuerai a seguire, a tempo debito saprai tutto!

 

Ancora una volta mi scuso per il ritardo e per gli eventuali errori presenti nella fic… Spero di poter aggiornare in tempi decisamente più brevi rispetto a quelli che ho impiegato questa volta!

 

Dopo un ulteriore grazie a coloro che hanno inserito la storia tra i preferiti (Shiva Fuyu e Valeriana), vi lascio, alla prossima!

   
 
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