Da
questo capitolo in poi, dopo una breve introduzione, sarà
presente il flashback di cui vi
parlavo nelle
note del prologo, e che ripercorrerà tutta la storia fino a
riallacciarsi agli
eventi del capitolo scorso.
Vi
auguro una buona lettura^^
Capitolo
1
24
Novembre 2009, 17:23
Aerith
Gainsborough non si era mai considerata come
“psicopatica” o in qualche modo,
anormale. E nemmeno le persone che vivevano accanto a lei avrebbero mai
dubitato della sua normalità, e questo lo sapeva.
Aerith
Gainsborough lo pensava, e nello stesso istante il corpo di Cloud
Strife toccava
terra, scivolando tra le spire tenebrose della morte. E nel frattempo
tenne lo
sguardo alto e fiero, mentre sentiva il peso della vita svanire dal
corpo di
Cloud.
Si
guardò poi intorno, forse spaventata, ma vide che il colpo
secco che era
scaturito dall’arma non aveva destato nessun ignoto
ascoltatore, e se ne
compiacque. Dopotutto, chi è che in quell’orribile
giornata di pioggia avrebbe
notato una cosa del genere? La risposta affiorò nella sua
mente in maniera
naturale. Nessuno.
Non
si voltò indietro, mentre si muoveva a passo svelto per le
lapidi di marmo che
picchiettavano al tocco della pioggia. Mentre le sue mani aprivano la
porta che
dava sul corridoio posteriore della cattedrale, per un attimo si
ritrovò
spaesata, ma poi proseguì per il cammino che prima aveva
percorso in senso
contrario, felicitandosi per l’assenza del Reverendo McRonis,
dato che non
aveva voglia di vedere nessuno. Fu una liberazione quando la luce
plumbea di
quell’odiata giornata le irradiò di nuovo il
volto, uscendo dalla chiesa.
Non
sapeva quanto tempo sarebbe passato prima che avessero trovato il corpo
esanime
del Dottor Strife, o prima che la polizia riuscisse ad intuire le sue
implicazioni nell’avvenimento. Probabilmente solo poche ore,
visto che sarebbe
in breve diventata l’indiziata numero uno. E poi sarebbe
dovuta fuggire.
Ma
comunque, la cosa non le importava. Ormai aveva deciso che era disposta
a
scoprire cosa la ShinRa stesse tramando, e come Zack ne fosse
coinvolto.
Comunque sarebbe andata a finire.
Per
prima cosa, decise di fare un salto a casa sua, per un ultima volta,
alla
ricerca dei documenti che forse avrebbero potuto spiegare qualcosa in
più
riguardo a quella storia, che si stava facendo sempre più
complessa e ostica,
ogni minuto che passava.
27
Settembre 2009, 6:00
Forse
stava sognando, forse era sveglio. Tutto ciò che Cloud
Strife in quel momento
sapeva era che il suono della sveglia lo stava disturbando parecchio.
Non aveva
voglia di alzarsi, non per cominciare nuovamente una giornata che
probabilmente
si sarebbe rivelata poco fruttuosa e assolutamente frustrante.
Allungò una mano
verso la sveglia e la colpì, cercando di far cessare quel
rumore infernale, ma
tutto era inutile, e fu costretto ad aprire gli occhi e ad essere
perfettamente
conscio di essere sveglio.
“Già
ora di alzarsi” sospirò poi, trattenendo a stento
uno sbadiglio.
“A quanto pare
si” rispose una voce femminile
alle sue spalle.
Cloud si voltò e
vide Cissnei, in piedi, già
sveglia, che riordinava la camera. “E tu quando ti sei
svegliata?” chiese.
“Beh…
non è che avessi parecchio sonno, a dir la
verità… Resti qui a fare colazione o
la prendi nello studio?” chiese la donna, mentre rifaceva il
letto. Cloud la
guardò e si perse nei suoi meravigliosi capelli rossi, e nel
suo sguardo dolce
ma profondo al tempo stesso. Poi si riscosse, mentre nella sua mente
rimbombava
la domanda che gli era appena stata posta.
“Non
ho tempo di restare qui, mi dispiace. Prendo qualcosa fuori casa, prima
di
andare a lavoro” rispose poi, prendendo camicia, giacca e
cravatta da un
cassetto e chiudendosi in bagno per cambiarsi.
“Bah,
io continuo ad essere dell’opinione che dovresti passare
almeno un po’ di tempo
con tuo figlio!” esclamò Cissnei, perplessa.
“Sai
che oggi non ne ho
proprio il tempo!”
rispose lui dalla porta.
“Ma
non ci sei mai! Adesso che gli dirò quando mi
chiederà dov’è suo padre?”
“Potrai
raccontargli che sono in missione segreta per salvare il mondo, oppure
che sono
stato preso in ostaggio dalla mafia giapponese”
scherzò Cloud “Così ti
toglieresti un grave impiccio ed io potrei ricominciare una vita a
Costa del
Sol” continuò.
“Oppure
potrei ucciderti e metterti dentro un urna sul camino, così
ti avremmo sempre
in casa” continuò Cissnei sorridendo.
“Ok,
questo disegno non mi piace molto” rispose Cloud un
po’ spaventato “però ti
prometto che stasera parlerò io con Artie, tranquilla. Nel
frattempo puoi
riempirgli la testa di maldicenze sul mio lavoro”
“Caspita,
quanta fiducia” mormorò la rossa con un sussurro
appena udibile.
Cloud
uscì dal bagno già pronto per uscire, mentre si
annodava la cravatta. Cissnei
gli gettò uno sguardo prima di incamminarsi verso la cucina
e cominciare a
preparare la colazione in vista dell’imminente risveglio del
figlio.
Il
biondo invece si fermò un momento a pensare. Beh, certamente
aveva un po’
deluso Cissnei. Magari lei si aspettava qualcosa in più, ma
non poteva
chiedergli di mollare tutto per un motivo si solitudine. Non adesso.
Quando fu
pronto, le augurò una buona giornata, uscì di
casa e, attraversando il
vialetto, si diresse verso la sua auto.
Per
un momento, appena si fu seduto, restò in silenzio, immerso
nei suoi pensieri.
Poi partì, ed un’altra giornata ebbe inizio.
Quando
Zack Fair, nello stesso istante, accese il motore della sua auto, non
poteva
sapere che entro all’incirca due mesi avrebbe trovato la
morte. Non sapeva
nemmeno che il Dottor Strife e sua moglie Aerith sarebbero stati due
dei diretti
responsabili della sua dipartita, e non immaginava neppure che presto
sarebbe
stata innescata la molla che avrebbe portato ad eventi molto
più grandi di ciò
che poteva immaginare.
Egli
sapeva solo quello che gli era dato sapere. E tra le cose che gli erano
date
sapere, molte erano “poco nobili”.
Eppure
Zack Fair, per ogni gesto che compiva, pensava di essere nel giusto. Il
concetto di bene e male è spesso relativo, e non
è possibile distinguere i due
concetti neutralmente. Quindi, quella mattina, gli sembrò
naturale comporre un
numero di cellulare che chiamava spesso in quel periodo, ed attendere
con ansia
che qualcuno rispondesse.
“Pronto,
qui Tifa Lockheart” rispose una voce femminile.
“Era
ora” esclamò Zack, inviperito “Sai da
quanto tempo sto cercando di chiamarti?”
“Mi
spiace, ma ho avuto diversi contrattempi. Si stanno scoprendo parecchie
faccende irrisolte della ShinRa, e purtroppo devo
occuparmene” si giustificò
quella.
“Beh,
tutto deve essere pronto entro qualche mese. Se siamo fortunati, entro
poche
settimane potremo dare il via al Progetto”.
“Tutto
dipende dai progressi di Hojo sullo studio al tempio degli
Antichi” rispose
Tifa “E
poi dipende da te. Hai già
recuperato le informazioni nascoste dai Krauger?”
“Non
ancora” rispose tetro, mentre armeggiava con lo
scompartimento dell’auto alla
ricerca di alcuni documenti. “Non posso intrufolarmi in una
villa del genere
senza destare sospetti. Per la prossima settimana la Signora Krauger ha
organizzato una festa, e sia il mio che il tuo nome risultano tra gli
invitati”.
“Si, ne avevo
sentito parlare. Certo, magari
in quelle condizioni sarà più facile cercare i
documenti, con la villa così
affollata” rispose la donna via cellulare.
“Sarò
lì tra poco. Sto per partire da casa”
continuò Zack.
“D’accordo”
rispose Tifa “A tra poco” aggiunse chiudendo la
conversazione. Zack, dopo
qualche secondo di smarrimento, si decise a partire da casa. Si mosse
con
disinvoltura attraverso il vialetto di casa, poi si ritrovò
in strada, con gli
occhi rivolti all’asfalto e la testa immersa in mille
pensieri diversi.
Vide
il sole sorgere, forse in ritardo, come lui; vide la città
svegliarsi, Midgar
all’alba che si preparava per un altro giorno, che
l’avrebbe vista partecipe
dei cambiamenti che avvenivano nella città. Da qualche parte
in quella
gigantesca metropoli, qualcuno stava nascendo, qualcun altro stava
dicendo
addio alla propria vita; ed il ciclo infinito di morte e rinascita
sarebbe
continuato, e Midgar, la città Eterna, in qualche modo ne
era partecipe.
Forniva la spinta capace di creare tutto questo.
Ed
i pensieri di Zack
Fair si fondevano
nell’intricata nube che pareva avvolgere una città
come quella. I suoi erano pensieri
eterni eppur in qualche modo effimeri. Pensieri antichi, che esistevano
sin
dagli albori del mondo.
Si
fermò ad un incrocio, e mentre aspettava che il verde gli
desse il via libera,
un Gargoyle di pietra nera lo squadrò da un edificio
imponente, posto sul
ciglio sinistro della strada. Zack non lo guardò
direttamente, ma sentiva il
suo sguardo inquisitore addosso. E gli procurava disagio.
Pertanto,
fu davvero un sollievo per lui quando il verde del semaforo
scattò e lui si
sottrasse allo sguardo lungimirante del Gargoyle, che rimase immobile,
appollaiato nella grande costruzione, pronto a raggelare qualcun altro
con il
suo sguardo.
Il
viaggio di Zack durò ancora per qualche minuto. Quando
infine, nel parcheggio, spense
la macchina, era tentato di telefonare alla moglie Aerith. Si sentiva
solo,
aveva bisogno di parlare con qualcuno che non gli ricordasse in che
faccende
era stato coinvolto. Compose il numero, ma il telefono
squillò a vuoto per
parecchi secondi, ed alla fine nessuno rispose. Rassegnato,
sbadigliò un’ultima
volta, prima di aprire la portiera della macchina e rivolgere lo
sguardo verso
il grigio edificio che avrebbe accompagnato, ancora una volta, la sua
giornata
di lavoro.
Quella
mattina, quando Arthur C. Strife si era svegliato, cercava di tenere in
mente
il sogno che aveva fatto durante la notte. Ricordava ombre che si
muovevano,
fuochi perpetui,valli profonde e foreste rigogliose. Poi, quando lo
sentì scivolare
dalla sua memoria, cercò di concentrarsi su qualcosa di
importante che avrebbe
dovuto ricordare. Ma visto che nulla gli subentrava in mente, decise
che forse
non era qualcosa di rilevante e se ne dimenticò del tutto.
Per
Artie sarebbe stato strano vedere come quel giorno la vita gli si
sarebbe messa
contro. Avrebbe trovato difficoltà nel risolvere i problemi
di geometria,
sarebbe stato preso in giro da qualche bulletto di quinta elementare,
avrebbe
trascorso gran parte della ricreazione da solo, lontano dai suoi amici.
Ma non
era ancora tempo di saperlo, e quindi, come sempre, si era alzato da
letto, un
po’ con malavoglia, un po’ con
curiosità.
Artie
credeva che avere sette anni fosse qualcosa di brutto. Era piccolo per
la sua
età, magro, con i capelli spettinati biondi che aveva
ereditato dal padre. Non
era molto espansivo e aveva pochi amici, che non sapeva nemmeno
mantenere tali
a lungo. Suo padre a volte gli diceva che si rivedeva in lui, ma Artie
non ci
credeva proprio. Si sentiva parecchio diverso da suo padre, anche se
non sapeva
in cosa.
Per
tutto il viaggio verso la scuola, con sua madre, fu silenzioso; Ma
Cissnei, che
lo accompagnava, non se ne preoccupò, poiché non
era la prima volta che Artie
preferiva stare in silenzio. Osservava il paesaggio scorrere dal
finestrino,
con gli occhi chiari che si perdevano nel grigio panorama di una
tiepida
mattina di Settembre.
Poi,
quando l’auto stridette fermandosi davanti alla scuola,
sbuffò e prese in mano
lo zaino, aprì la portiera, non rispose
all’augurio di passare una buona
giornata della madre e si lanciò verso gli alti cancelli
dell’Accademia in cui
studiava.
Camminò
per un po’ fuori, nel cortile, all’ombra dei
bastioni merlati dell’edificio
principale della scuola, lontano dagli sguardi dei compagni di classe.
Poi
entrò dall’entrata principale, seguì
uno dei vari corridoi senza una meta
precisa ed attese che la campana suonasse, meditando sul sogno che
aveva fatto.
Infine,
quando la campana trillò, si diresse in classe, a testa
china e senza nemmeno
rispondere al saluto dei compagni. Si sedette con lo sguardo vuoto e
non parlò
fino a tre ore più tardi, quando un ragazzino, durante la
ricreazione, gli
chiese se volesse giocare a Chocobo Matto con lui.
“No”
rispose lui in tono severo, non avendo nemmeno la minima idea di che
gioco
fosse Chocobo Matto.
“Ma
è divertente!” affermò il bambino in un
tono supplicatorio, cercando di tirarlo
per la maglietta verso un gruppetto riunito sotto il sole, qualche
metro più in
là.
“Ho
detto no” sibilò lui, in tono così
velenoso da spaventare l’altro, che se la
diede a gambe, decidendo che avere un giocatore in meno non era
necessariamente
un problema.
Artie,
dal canto suo, non aveva alcuna intenzione di giocare ad una
stupidaggine
inventata dai suoi stupidi compagni di scuola. Ed era inutile qualunque
cosa
sua madre gli dicesse – sul fatto che quella scuola era
prestigiosa e che
sarebbe dovuto essere felice di poter frequentare un posto del genere
-, a lui
quell’istituto non piaceva. Sbuffò sonoramente e
si sedette sui vasti prati che
circondavano l’Accademia, ed allungò le gambe
facendo lo sgambetto ad un paio
di bambini dell’asilo che passavano di lì, che si
allontanarono singhiozzanti
alla ricerca di un entità superiore che potesse punire un
tale crimine.
Artie
istintivamente rise, un po’ stupito da se stesso, un
po’ divertito da come si
sarebbe sentita la mamma se l’avesse trovato a fare sgambetti
ai bambini di
cinque anni. Poi una mano si posò sulla sua spalla.
Quando
alzò lo sguardo vide che qualcuno lo stava guardando. Una
bambina, dai vividi
occhi verdi e dai capelli dorati, più o meno della sua
età, che gli sorrideva
dolcemente.
“Ciao!”
disse lei.
“Ciao”
rispose Artie, un po’ imbarazzato.
“Ieri
non ti sei più fatto vedere” sussurrò
la bambina, sedendoglisi accanto.
“Scusa,
mi dispiace” disse Artie, arrossito.
“Non
preoccuparti” rispose la bambina guardandolo con i grandi
occhi curiosi e
sorridendogli amabilmente.
“Davvero,
mi dispiace tantissimo, Eliza”
“Fa
niente” rispose quella, mettendosi ad osservare il cielo.
“Guarda che azzurro
che c’è oggi” disse, indicando la vasta
distesa che si estendeva sopra le loro
teste fino all’orizzonte.
“V-vero”
assentì Artie, non sapendo precisamente come rispondere alla
precedente
affermazione della bambina.
Eliza
notò la sua insicurezza “Non ti piace il
cielo?“domandò.
“No,
non è questo” rispose lui, non sapendo
perfettamente spiegare ciò che stava
provando.
“Beh,
a me piace tantissimo. Specie quando è così blu
da sembrare il mare di Costa
del Sol!” continuò la bambina, sorridendo.
“Beh, questo
è davvero importante” biascicò
Artie, non sapendo cos’altro dire.
Eliza
sorrise e lo guardò, un po’ confusa dalle sue
parole, ed Artie divenne rosso
dalla vergogna. Si chiese perché quando stesse con la
bambina tutto fosse così
difficile e non seppe più cosa dire. Allo stesso tempo,
però, una parte di lui
voleva parlare, altrimenti Eliza se ne sarebbe andata, in cerca di
migliori
attrattive. La guardò, mentre lei osservava una farfalla che
volava lì vicino e
si posava su un delicato fiore.
“Oggi
puoi uscire a giocare?” chiese poi Artie, cercando di deviare
l’argomento su
qualcosa che non richiedesse lunghi e noiosi silenzi.
“Boh,
non lo so. Credo di si” rispose Eliza, senza nemmeno
ascoltarlo sul serio,
ancora ammaliata dall’insetto colorato. In effetti era una
gran bella farfalla.
Molto grossa, con le ali variopinte che creavano un grandissimo mosaico
di
colori, e che volteggiava aggraziata per l’area antistante
loro, come lusingata
dalle attenzioni della bambina. I grandi occhi di Artie si socchiusero
in un
lampo di gelosia, e, con una veloce mossa, prese un sasso e lo
lanciò contro
l’insetto, che scappò via contrariato dal modo in
cui era appena stata trattata.
Un attimo dopo Eliza lo guardò storto.
“Ma
perché lo hai fatto?” domandò irata.
Poi si alzò, gli rivolse un occhiataccia e
si allontanò, camminando lentamente e con un atteggiamento
fiero, non
voltandosi mai a guardarlo. Artie guardò la sua figura
confondersi nella folla
del giardino, finché non la perse di vista, poi decise di
non rincorrerla. Al contrario,
si concentrò sulla bellezza effimera di quel fiore che era
riuscito ad attirare
la farfalla grazie ai suoi petali sgargianti e luminosi. Lo colse, lo
stracciò,
lo lanciò a terra. Adesso la bellezza del fiore era svanita,
e colse un’ironia
fuori dal comune nella sorte della pianta, retrocessa da calamita di
farfalle a
insulsa erbaccia, che sarebbe successivamente stata tolta dai custodi
della
scuola.
Per
tutta la restante mattinata a scuola fu distratto, ed i suoi occhi
vagarono per
le grigie strade che vedeva dalla finestra, incontrando qualche
passante
distratto e illuminandosi di temporanea curiosità, che
veniva comunque presto
sostituita da una meno piacevole monotonia.
Quando
infine la campanella suonò, a grandi passi si diresse verso
i cancelli
dell’accademia, aspettando sua madre e sbuffando sonoramente.
In
lontananza vide Eliza che si allontanava dietro sua madre, la
salutò con la
mano ma lei non rispose, distogliendo con orgoglio lo sguardo.
Probabilmente
era ancora arrabbiata con lui per il modo in cui aveva trattato la
farfalla che
tanto le piaceva poco prima. Beh, non importava, qualunque cosa avesse
contro
di lui le sarebbe passata presto. Probabilmente quello stesso
pomeriggio
avrebbero giocato insieme, come se non fosse accaduto nulla.
Ma
si sbagliava. Eliza non si fece vedere subito dopo pranzo, non lo
cercò dopo
aver finito i compiti, nemmeno all’ora della merenda. Ormai
Artie cominciava a
dubitare del fatto che sarebbe venuta, e più ci pensava,
più credeva di dover
fare qualcosa per impedire di perdere quell’amicizia che
dopotutto un po’ gli
importava.
Fu
così che alle sei del pomeriggio, sotto la luce vermiglia di
un sole morente,
si decise ad uscire di casa. L’aria era già
più fredda rispetto a quella del pomeriggio,
e ad Artie venne istintivo rabbrividire. Poi si disse che non faceva
poi così
freddo, e si mise a correre per l’area antistante casa sua
verso il marciapiede
del vialetto, da cui si affacciavano numerose ville simili a quella
nella quale
anche lui abitava.
Camminò
verso destra, contro la luce del sole, e per un attimo
guardò la sua ombra
venir proiettata lontano da lui, alle sue spalle. Poi diresse lo
sguardo di
fronte a sé e aumentò la velocità del
passo.
Durante
quel breve viaggio la sua mente vagò attraverso vari
pensieri. Si ricordò
troppo tardi di non aver avvertito sua madre che stava uscendo, e si
ripromise
di stare fuori per poco, per non farla preoccupare. Pensò
anche a quali parole
era meglio usare per scusarsi con Eliza, che, a quanto pare, era
davvero
offesa. E poi la sua mente fu invasa da moltissimi altri pensieri,
pensieri
leggeri simili a veli di seta che scivolavano nella sua mente,
intangibili. Non
riusciva ad afferrarli, eppure li sentiva e li percepiva in
sé.
Si
fermò davanti ai cancelli di Villa Krauger, e
sbirciò all’interno, nella
speranza di vederla correre per il prato che circondava la casa.
Ma
Eliza non c’era, lo percepì subito
nell’aria, ancora prima di guardare con
attenzione per il vasto giardino della tenuta. Probabilmente era dentro
casa, a
giocare per conto proprio, forse – e questo lo fece sentire
un po’ in colpa –
ancora arrabbiata con lui. Stette ancora un po’ davanti al
cancello, nella vana
speranza che si facesse viva, ma quando realizzò che non
sarebbe venuta, l’aria
della giornata si fece più fredda ed il sole si
smorzò.
“Probabilmente
è ora di tornare a casa” si disse pensoso. Mentre
il tramonto segnava la fine
di una strana giornata, Artie si disse che avrebbe fatto meglio a
scusarsi
l’indomani, e che probabilmente tutto sarebbe andato per il
meglio. O almeno,
così sperava.
Quando,
al tramonto, Scarlet Krauger aveva acceso le luci in giardino, aveva
subito
notato il figlio degli Strife che guardava distrattamente il cancello,
immerso
in chissà quali pensieri. Dopo qualche minuto passato ad
osservarlo, aveva
avvertito la figlia Eliza della presenza dell’amico, ma lei
si era dimostrata
poco interessata,
mostrando in verità una
sorta di noncuranza nei suoi confronti.
“Chissà
cos’è successo tra quei due”,
si era chiesta tra sé e sé per
un attimo. Ma poi, lentamente, il pensiero era scivolato nei
più oscuri meandri
della memoria, sostituito da altri di maggiore importanza. Scarlet,
dopotutto,
aveva altro a cui pensare.
Camminò
per il corridoio del piano superiore, attraversando la penombra che
invadeva lentamente
l’area e la sua anima. Entrò nella camera da
letto, ed osservò il pallido
raggio di sole che attraversava la stanza svanire lentamente nella
sera. Dopo
ciò si pose vicino alla finestra e guardò
nuovamente al di fuori della sua
casa, facendo errare il suo sguardo sul viale senza in
realtà prestarvi
attenzione.
In
quei giorni, Scarlet era molto pensierosa. Chiunque la conoscesse,
avrebbe
potuto dire che, in verità, Scarlet era sempre stata un
po’ con la testa fra le
nuvole: continuamente distratta, mentre la sua testa si lasciava andare
a mille
ragionamenti di ogni sorta. Eppure, in quei giorni, si sentiva in
qualche modo
ancor più assente. E l’aveva notato sua figlia
Eliza, che però non si era per
niente intromessa; l’avevano notato i suoi dipendenti, che
però non osavano
dirle qualcosa che avrebbe potuto compromettere la loro posizione di
lavoro.
Dopotutto, Scarlet non era nota per la sua eccessiva bontà.
Adesso,
anche l’ultimo raggio di sole era sparito oltre le romite
colline che
circondavano Midgar, lasciando il posto alla sconfinata notte che
invase sempre
più la stanza. Ancora alla finestra, ripensò a
tutto quello per cui stava
lavorando. Sapeva ciò che la ShinRa stava facendo con il
progetto denominato “Ambrosia”,
ed era decisa a cercare di saperne di più. Non aveva
scoperto ancora molto,
nonostante avesse una spia all’interno della
società. O almeno, non aveva
scoperto ancora nulla di materialmente interessante. Solo
un’informazione, fino
a quel momento le era stata utile: il recupero di alcuni file
riguardanti un
tempio, su un’isola a sud del continente di Midgar.
Soprannominato come “Il tempio
degli Antichi”. Cosa
c’entrasse con la ShinRa e con il progetto da lei creato, non
lo sapeva, ma era
decisa a scoprirlo con la festa che aveva organizzato per la settimana
successiva. Ed anche se ancora non lo sapeva, entro una settimana
avrebbe
ricevuto parecchie informazioni interessanti, che purtroppo non avrebbe
nemmeno
avuto il tempo di sfruttare a dovere.
Eccomi
qui, ad aggiornare dopo ben tre mesi di assenza! Innanzitutto mi scuso
tantissimo per il ritardo, ma a causa di impegni, scuola, compiti ed
anche di
un po’ di pigrizia (soprattutto per quella!) il tempo
è volato, quindi ritenevi
fortunati di aver avuto la possibilità di leggere questo
capitolo in tre mesi
circa... sarebbe potuto passare persino un anno!
Passiamo
adesso al capitolo: sinceramente non mi convince un granché,
a dire la verità
lo trovo piuttosto stupido e privo di avvenimenti, ma lascio ai posteri
l’ardua
sentenza! Ho sempre più la paura che questo stile non mi sia
per niente adatto,
e che quindi la fan fiction possa venire orribile e priva di senso,
cosa a dir
la verità parecchio probabile. A tale scopo, vi consiglio di
rileggere un paio
di volte il capitolo, poiché, se interpretato bene,
può svelare parecchi
avvenimenti futuri nella fan fiction.
Ed
ecco che viene il momento di rispondere alle recensioni per il primo
capitolo
della storia:
Bankotsu:
Ciao
e Grazie tantissime per i complimenti! Lo so che la storia inizialmente
è un
po’… scioccante, ma questo capitolo rientra
più nei canoni tradizionali
(infatti è per questo che non mi piace)! Beh, aspetto con
ansia di sapere che
cosa ne pensi di questo capitolo, e spero di non averti deluso, dato
che lo
aspetti da tanto tempo!
Valeriana:
Come
vedi, anche se Zack è morto, tramite la narrazione-flashback
potremo scoprire
il perché sia morto, in quali circostanze, e cosa nascondono
di preciso Cloud
ed Aerith! E poi, davvero la bambina ti ha ricordato la povera Samara?
Caspita,
letta dall’esterno la scena deve risultare parecchio
inquietante O_O Grazie
inoltre per aver messo la storia nei preferiti!
Roy4ever:
Ciao
e ancora scusa per aver mancato
all’aggiornamento della raccolta (mi sento davvero in colpa
T_T)! In quanto
alla morte di Cloud e Zack, grazie al flashback è come se
fossero presenti
nella fan fic, quindi non preoccuparti per la loro morte! Il motivo per
cui non
parlo quasi mai di Tifa è perché la odio (xD), ma
come vedi le ho trovato una
piccola particina u.u In quanto alla bambina-Aerith, ho semplicemente
pensato
all’incarnazione del subconscio di Aerith, quindi la mia
mente, per quanto
malata, non ha mica avuto un gran ruolo nella realizzazione! (ma
comunque
qualche tiro me l’ero fatto lo stesso, ma non dirlo a nessuno
xD)
Ikumi91:
Grazie
per i complimenti,
vedo che adori Cloud e Aerith *-* bene, questa è
senz’altro una cosa positiva!
E ti dirò di più: Zack non è mica
l’unico agnello sacrificale nella storia! xD
Se continuerai a seguire, a tempo debito saprai tutto!
Ancora
una volta mi scuso per il ritardo e
per gli eventuali errori presenti nella fic… Spero di poter
aggiornare in tempi
decisamente più brevi rispetto a quelli che ho impiegato
questa volta!
Dopo
un ulteriore grazie a coloro che hanno
inserito la storia tra i preferiti (Shiva Fuyu e Valeriana),
vi lascio, alla prossima!