Il
sole scendeva placidamente
verso l’orizzonte, mentre in cielo le nuvole rade si
coloravano di un arancione
rossiccio. La Royal Serpent navigava verso sud, ad una
velocità di circa 45
nodi, con una dolce brezza a favore che sembrava volerli accompagnare
lungo
tutta la durata del viaggio. Ormai erano passati dieci giorni
dall’attacco al
mercantile inglese, e ne avrebbero impiegati altrettanti per
raggiungere
l’India. Una volta lì, avrebbero affidato la gemma
ad un vecchio amico di
Ismael che si sarebbe occupato del resto.
Il
Capitano aveva deciso di
stare un po’ al timone, quella sera; non che ci fosse davvero
bisogno di
qualcuno che governasse la nave in quel momento, ma a lui piaceva
quella
sensazione: le caviglie tra le sue dita, l’oceano sotto i
suoi piedi e
l’infinito cielo davanti a sé. Quando Ismael era
al comando della sua nave,
quello era uno dei pochi momenti in cui si sentiva felice, libero, con
qualsiasi tempo ed in ogni situazione. Eppure, in quel momento, il
Capitano
avvertiva che qualcosa non andava, il suo istinto gli disse di virare a
babordo
e far salire ogni uomo sul ponte, sguainare la sciabola e tenersi
pronto. Poi scosse
la testa e scacciò questi pensieri dalla mente, non
c’era nulla che potesse
attaccarli, nient’altro che acqua e cielo dovunque si
guardasse.
D’un
tratto, però, sentì uno
scossone. La nave traballò un poco prima di stabilizzarsi,
ed il Capitano quasi
perse l’equilibrio. Subito dopo, un’altra scossa,
più violenta, che lo
costrinse a reggersi sul timone. Le scosse continuarono, come se
qualcosa
stesse speronando la nave, ma tutt’attorno alla Royal Serpent
non c’era nulla.
La
creatura era sotto il pelo
dell’acqua.
Ismael
vide un’enorme tentacolo
sbucare da tribordo, largo almeno quattro metri ed alto più
di dodici, che
subito colpì violentemente l’albero maestro,
spezzandolo come un fuscello. Dopo
il primo, rapidamente, ne spuntarono ancora, uno dopo
l’altro, facendo
schizzare in aria acqua salata e schegge di legno. Il Capitano rimase
pietrificato, trattenne il respiro e quasi non svenne per
l’orrore. Un mostro
marino li stava attaccando, ed i pochi uomini che si trovavano sul
ponte
sembravano così sbigottiti da poter a malapena muoversi.
Doveva fare qualcosa,
non aveva intenzione di perdere la sua nave in quel modo. Strinse i
denti,
afferrò l’elsa della sciabola e la
sguainò con un movimento rapido del braccio,
portandola poi in aria per farla vedere a quei pochi che lo stavano
guardando.
«Che
diavolo state facendo,
branco di farabutti!? Combattete! »
Urlò a squarciagola. Gli
uomini sul ponte scossero appena il capo, come se si fossero appena
svegliati,
ed impugnarono le armi per preparare
il
contrattacco. Intanto, Ismael era già corso sotto coperta
per chiamare il resto
della ciurma. «Uomini, siamo stati attaccati! Voi, ai
cannoni! Il resto prenda
una sciabola e salga sul ponte! » Sbraitò agitando
la lama ricurva in aria,
mentre i suoi uomini scattavano ad ogni sua parola: chi correva
all’artiglieria, chi correva sul ponte, chi cercava la sua
sciabola, o la sua
pistola, o la sacca con la polvere da sparo. Il Capitano
tornò sul ponte dopo
un momento, per scoprire che i tentacoli avevano già
iniziato a fracassare lo
scafo e schiacciare i suoi uomini. Con una sola spazzata, un tentacolo
scagliò
cinque uomini fuori bordo, e ne scaraventò altri due contro
quel che rimaneva
dell’albero maestro. Era una battaglia disperata, ma il
Capitano Ismael non se
ne sarebbe andato senza lottare. Sfilò la pistola dalla
profonda tasca dei
pantaloni e tirò indietro il cane con il pollice, correndo
verso un tentacolo.
Provò ad infilare la spada nella carne putrida del mostro,
ma questa d’indurì
di colpo come se fosse diventata pietra. Sparò qualche colpo
di pistola, ma non
riuscì a scalfire quella rigida scorza. Continuò
a menar fendenti ed esplodere
colpi per diversi minuti, strillando contro i suoi uomini. I tentacoli,
però, continuavano
ad ucciderli uno ad uno, schiacciandoli, stritolandoli, sbattendoli
fuori bordo
così che la creatura che li stava attaccando potesse
banchettare con la loro
carne. Ismael strinse i denti e colpì ancora una volta
quella pelle dura come
l’acciaio, finché la sua lama non finì
per frantumarsi come fosse vetro. Buttò
via l’elsa e lasciò cadere la pistola, per poi
ricordarsi della pietra. Si
diceva che il cuore di Davey Jones avesse
il potere di controllare i mostri marini: non aveva altra speranza se
non
quella. Iniziò a correre verso la sua cabina, schivando
abilmente i tentacoli
che continuavano a massacrare i suoi uomini. Si fece strada tra le assi
spezzate, i corpi esanimi ed il legno impregnato di sangue,
attraversando il
ponte fino a raggiungere la propria cabina. Tutte le carte nautiche ed
i suoi
libri erano sparpagliati a terra, insieme ai suoi vestiti, i suoi
appunti e
qualche gioiello. In mezzo a quel disastro doveva esserci anche lo
scrigno
contenente la pietra. Si chinò e buttò gli
appunti da una parte, i suoi abiti
dall’altra, poi spinse violentemente il tavolo e
cercò sotto di esso. Controllò
nell’armadio, sotto il letto, addossò le carte
nautiche attorno alla parete,
per poi avvertire un violento contraccolpo e vedere la nave inclinarsi
rapidamente.
Una
falla.
Continuò
a cercare, e quando finalmente
trovò lo scrigno la nave era quasi coricata sul fianco
destro. L’armadio iniziò
a scivolare e per poco non lo schiacciò, la porta si
spalancò di colpo
permettendogli di guardare il ponte ormai distrutto ed imbrattato del
sangue
dei suoi uomini. Nessuno in vita. Aprì lo scrigno e
tirò fuori la gemma,
tenendola contro il petto per non perderla mentre correva fuori dalla
cabina.
La nave iniziò a colare a picco, ed I tentacoli la avvolsero
come in un mortale
abbraccio, per aiutarla nella sua discesa negli abissi.
«Fermo,
mostro! »
Cercò
di gridare, ma la nave s’inclinò ancora.
Scivolò e cadde sul ponte a faccia in
giù, per poi avvertire una dolorosa fitta al petto, come se
qualcuno gli stesse
strappando via il cuore. La Silver Serpent era ormai quasi
completamente
sommersa, ed Ismael cercò di strisciare verso
l’alto per guadagnare una
manciata di secondi, quando una delle assi di legno si
spezzò sotto la
pressione della morsa dei tentacoli, e lo colpì con violenza
sul volto.
Il
buio fu l’ultima cosa che
vide il Capitano, prima di discendere negli inferi insieme con la sua
nave.