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Autore: cartacciabianca    29/03/2009    2 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Un Falco negli occhi








La seduta terminò a notte fonda.
Lentamente, i saggi si alzarono da attorno al tavolo e si scambiarono le ultime strette di mano tra fratelli; il giuramento si era appena concluso, e Altair aveva ancora la bocca impastata di quelle parole tanto cariche di responsabilità.
Il Frutto dell’Eden, sigillato nel cofanetto di legno affianco al vecchio Gran Maestro, sarebbe partito per l’Egitto quella sera stessa.
Tharidl si sollevò dal suo posto e passò una mano sul legno intarsiato del baule. –È fatta- mormorarono le sue labbra fine, poi i suoi occhi incontrarono quelli dell’assassino, e Altair sollevò il mento dal petto.
Quando la sala si svuotò del tutto, lasciandovi al suo interno solo le guardie, il ragazzo sospirò e scansò la sedia. Raggiunse Tharidl che stava parlottando con l’ultimo saggio restante e attese che la loro conversazione finisse.
-Due giorni per varcare il confine. E quattro per raggiungere il centro abitato- proferì Tharidl assorto.
L’altro vecchio annuì. –Siamo convinti che un maggior supporto armato possa giovare- suggerì questo.
-Fino ad un certo punto. Vorrei che piuttosto che combattere, i Falchi traversassero nell’anonimato. Qualche uomo di più sarebbe sufficiente ad allertare ad una distanza di un chilometro. Le lande desertiche e le tempeste di sabbia saranno loro di aiuto- dichiarò in fine.
Il saggio proferì un inchino contenuto, si voltò e scomparve nel buio del corridoio.
Tharidl fece un segno si assenso ad una guardia dal cappuccio grigio, e questa si apprestò a venirgli incontro. Strinse le mani attorno al cofanetto e lo sollevò dal tavolo.
-Va’, e portalo ai Falchi nelle scuderie. Ma di’ loro di attendere la mia venuta prima di partire. Ci sono alcuni punti che tengo chiarire sul viaggio- disse Tharidl porgendo ad una seconda guardia una mappa arrotolata, nella quale il Gran Maestro stesso aveva tracciato la strada da percorrere per giungere a Faiyum in sei giorni massimo di cavallo.
Altair chinò il capo attendendo che tutte le sentinelle avessero lasciato la sala.
-L’Egitto?- domandò ad un tratto l’assassino, quando Tharidl sollevò lo sguardo su di lui.
-C’è qualcosa che ti turba? Avresti dovuto parlare prima, ragazzo- commentò l’uomo.
-No, nulla m’inquieta se non il fatto che tutta questa gente sa dove e come il Frutto raggiungerò la città- sbottò.
Tharidl allungò le labbra in un sorriso. –Non devi preoccuparti di questo, Altair. I saggi che hai veduto oggi sono i miei più cari discepoli, gli unici che mi sostenerono nella scelta di far tornare le Dee nella confraternita e gli stessi che presero con me la decisione di affidare a te la giovane Elena- disse tranquillo.
-Be’, ora le vostre scelte sono infondate. Ho perduto Adha per sempre ed Elena è colei cui sono più legato. Se permettete, potrei non risultare l’uomo tanto affidabile che credete- ridacchiò.
Tharidl lo prese sottobraccio. –Non ne dubito, ma vederti in vena di scherzi mi rallegra, sai- dichiarò.
-Altrettanto, Maestro-.
-Dimmi, Altair, cosa è cambiato in te in questi ultimi giorni. Se non la partenza di Adha, già da prima che ella ti rinfacciasse la verità notai in te insoliti atteggiamenti. C’è qualcosa di cui vorresti parlarmi?- domandò armonioso.
Altair si scostò piano da lui. –Veramente, non c’è una ragione precisa per la quale mi sento così. Anche se… era come se l’avessi sempre saputo, Tharidl. Di Adha, intendo. Come se l’avessi sempre sospettato ma che in tutti questi mesi l’avessi negato a me stesso-.
-Hmm- Tharidl si adombrò. –Sei sicuro si tratti di questo? E in che modo avresti voluto celarti la verità, scusa?-.
Altair scosse la testa. –Non lo so. Sono ancora confuso, e da oggi avrò ulteriore tempo per pensare e dissociarmi oltremodo-.
-Ed è un male?- si stupì Tharidl fissandolo.
-Ovviamente- brontolò l’assassino.
Tharidl sospirò. –Altair, non ti costringo certo a restartene con le mani in mano. Chiedimi pure un drappello di assassini e ti lascio libero accesso alle Dimore! Ho creduto che il riposo ti avrebbe fatto bene, che Leila avrebbe potuto occuparsi della tua allieva nel frattempo cui avresti necessitato di riflettere. Ma se è l’azione che cerchi, se è una mente assorta che vai chiedendomi, ti basta esporre, caro figlio- assentì.
-Leila- ripeté quel nome, disprezzandolo come il gusto penetrante di una caramella amara.
Il Gran Maestro congiunse le mani dietro la schiena. –Leila saprà preparare a dovere Elena per ciò che l’attende-.
-Perché lei sì ed io no?- domandò scocciato il ragazzo. –Non capisco quale differenza tendete a sottolineare tra una Dea e un Angelo ora che ad esse certe mansioni sono state revocate!-.
-Non hai tutti i torti, Altair- parlò composto il vecchio. –Ora che le differenze si assottigliano, non ho motivo di prediligere una certa qualità di addestramento per Elena, che già com’è andrebbe benissimo per ciò che l’attende. Ma per lei ho riservato un genere di responsabilità ben maggiore di quanto tu possa immaginare- lo guardò nel profondo delle pupille.
Altair sgranò gli occhi. –Non avrete intenzione di…-.
-Mio carissimo, la rabbia può scaturire malanni, lo ammetto, ma imparando ad essere gestita, essa può rivelarsi l’arma più potente. In Elena bolle quella rabbia, la vendetta che la porterà al compimento della sua missione-.
-È troppo inesperta: nell’evenienza di un frangente non calcolabile, non saprebbe cavarsela!- digrignò. –Vorreste mandare al patibolo una povera ragazzina?-.
-No, e questo è certo- Tharidl si sedette sul bordo tavolo, le mani poggiate in grembo. –Per allora Elena sarà sufficientemente pronta perché tu le insegnerai ciò che le rimane da apprendere. Leila terminerà presto le sue nozioni, lo sento. Elena apprenderà in fretta da lei, ne sono più che sicuro, e prima del nuovo anno potrete recarvi…-.
-Se si scontrassero di nuovo, Corrado non avrebbe pietà!- lo interruppe Altair. –Rammentate che solo per mea fortuna la salvai dalla prigionia. Se Corrado fosse stato meno egoista e più contenuto, a questo punto Elena sarebbe ancora rinchiusa nelle celle del suo forte ad Acri. Se egli non avesse usurpato il potere del Frutto senza prima essere capace ad usarlo, ora lei non sarebbe qui!-.
-Non lo nego! E devo dire che la scelta di Corrado di non toglierle la vita mi ha lasciato alquanto perplesso, ma chi può dire cosa si annida nella mente di un pazzo?- alzò gli occhi al cielo.
-Ebbene? Vorreste che una volta terminati gli insegnamenti di Leila, fossi io ad occuparmi di Elena? Di nuovo?- domandò stupito.
Tharidl annuì. –Posso star tranquillo, vero?- rise.
Altair mostrò la sua gioia in un improvviso sorriso. –Ve l’ho già detto. Non sono più l’uomo affidabile che credete io sia-.
-Mi domanda che cosa ti stia passando per la testa ora- mormorò il vecchio.
-Perché vorreste saperlo? E comunque, con l’uso del Frutto ne sareste in grado- sibilò scherzoso.
Tharidl scosse la testa. –Sarà meglio che tu vada; si sta facendo tardi- brontolò avviandosi.
-Veramente- fece Altair seguendolo. –Avrei voluto accompagnarvi fin nelle stalle, se posso. Non mi sento ancora dovuto a prender sonno- confessò.
-Bene, nessuno ti vieta di giunger nelle scuderie con le tue gambe, ragazzo- proferì armonioso.
Tharidl e Altair s’incamminarono verso le scuderie ai piedi della città.
Sopra Masyaf si stagliava un meraviglioso cielo stellato irto delle costellazioni dell’inverno.
Alzando il mento per osservare quella meraviglia, Altair chiese: -Maestro, perché l’inverno tarda ad arrivare?-.
Proseguivano a passo lento e tranquillo, attraversando la quiete di Masyaf e le sue strade inumidite dalla pioggia.
Tharidl raccolse le mani dietro la schiena seguendo lo sguardo dell’assassino.
-Tante cose sono state posticipate in questi mesi, e Madre Natura si è semplicemente adattata ai nostri ritardi- sospirò il vecchio.
-Non ne dubito, ma cosa abbiamo sbagliato?- chiese ancora il ragazzo.
-Ah!- rise Tharidl. –Il primo anello della catena non si trova in questa parte della storia, che deve ancora essere scritta- proferì compiaciuto.
-State facendo riferimento alla Guerra, Maestro?- si stupì lui.
-Sì e no- fu la sua risposta pacata, e Tharidl gli volse un’occhiata sorridente. –Siamo stati coinvolti, risucchiati in questo circolo vizioso il giorno in cui Adamo non trattenne la mano di Eva-.
-L’avidità di quella donna non aveva pari- ridacchiò Altair, e con lui anche il Gran Maestro.
-Sì, è possibile che l’uomo a quei tempi dovesse ancora sperimentare molte delle sensazione umane. Eva fu la prima, ma dopo di lei… altri, tanti altri- fece grave, afflitto.
-Siamo macchiati dei peggiori peccati di questo mondo. Perché Dio non ci fulmina tutti e ricomincia da capo?- rise.
-Altair, il mondo non è un puzzle. Se mancano alcuni pezzi, non si butta via e se ne compra uno nuovo- lo riprese il vecchio.
-Non dico questo- mormorò lui.
-Dimmi, Altair- lo chiamò Tharidl, e l’assassino sollevò il capo. –Perché rinunciasti all’incarico di Maestro? Quando fu la tua mano a strappare il Frutto alle dita di Al Mualim e a togliergli la vita, perché ti facesti da parte?- domandò assorto, pensoso come se stesse cercando già una risposta.
Il ragazzo si prese tempo prima di parlare. –All’epoca non mi sentivo neppur sicuro di voler continuare a servire questa setta- proferì grave.
-Come mai?-.
-Non c’era valore in quello che avevo fatto, e credevo mi sarebbe stato impossibile trovarlo in futuro- ammise. –E chissà dove trovai la forza- sospirò.
-In Adha, forse?- suggerì Tharidl commosso.
-Forse- ribadì Altair. –Ma in che modo avrebbe cambiato la mia prospettiva? Alla morte di Al Mualim, non sapevo cosa mi sarebbe capitato se avessi accettato il mio destino, ovvero la carica di Maestro. Ma solo ora mi rendo conto che è stata una scelta più che saggia-.
-Mi lusinghi, dicendomi questo- disse il vecchio.
-Ma è la pura verità. Anche se spesso siamo in disaccordo, anche se delle volte può capitare che voi abbiate torto ed io ragione, anche se delle volte i vostri gesti mi paiono infondati e assurdi, anche in quelle volte non mi pento della mia decisione. Ed ogni giorno che passo ad insegnare a quella ragazza che sta diventando donna, mi sento sollevato da ogni mio peccato. Nel trasmettere ad Elena ciò che mi ha reso quello che sono oggi, mi sento sollevato, consapevole che su di me pesa la responsabilità di una vita innocente… ora capisco come vi sentite, voi che trasmettete il sapere ad altri e me compreso. Voi che gravate su di me lo stesso tenore, la stessa gioia nell’insegnare ad altri ciò che è più prezioso di una vita passata ad ammazzare la gente. A riguardo…- abbassò lo sguardo. –Mi domando in che modo saprò istruire Elena fino a quel punto da non temere il vuoto negli occhi altrui, il bianco della pelle e il respiro assente…-.
Tharidl tacque, e Altair proseguì indisturbato.
-Questo è il dubbio che mi assilla. Potrei fallire, potrei non riuscire come credete, ed Elena verrebbe solo aggravata da un una forza maggiore chiamata coscienza! Non voglio che quella ragazza soffra per mano mia. Non l’ho mai voluto, e sto cercando di evitarle tutti i dispiaceri possibili. Eppure… non riesco, sbaglio sempre qualcosa! Ditemi che cosa ne pensate, Maestro. Mi serve sapere cosa credete che sia, se un pazzo o un folle- mormorò affranto.
Il vecchio si passò una mano sulla barba. –Non credo ci sia molta differenza tra l’uno e l’altro, ma analizzando il contesto che mi ha posto, credo di poter delimitare un netto confine tra i due tenori-.
Altair lo guardò sbigottito, e Tharidl allungò le labbra in un sorriso lodevole. -Il pazzo è colui che nella mente vede ciò che vorrebbe fosse la sua vita, colui che perseguita il suo mondo e, in maniera totalmente passiva, lo trasmette a parole; ciarlatano per le strade e mordendosi le carni non riesce a sopportare la realtà nettamente in contrasto con ciò che costui s’immagina. Il folle, al contrario, è colui che fugge alla realtà e spera in una dimensione differente delle cose. Egli immagina la perfezione e vuole perseguirla in un modo violento o meno. Fatica, dolore, sacrificio animano lo spirito del folle, e Altair, in te vaga tutto ciò- dichiarò austero. –Devo solo trovare rimedio alla confusione che non deve lasciar a piede libero nessuno di questi tre sensi. Non ti sto imponendo le fatiche dell’altro mondo, non voglio ce tu soffra il dolore delle mille vite che hai stroncato, e non chiedo a te alcun tipo di sacrificio-.
-Grazie, Maestro. In futuro, da oggi in avanti, comprenderò meglio quali sono i miei dubbi e saprò affrontarli-.
Tharidl guardò dritto davanti a sé. –Sono contento che delle volte tu non ti ponga sul mio stesso piano, Altair- pronunciò.
L’assassino chinò il capo. –Fin ora ho compreso male, ma vi prometto che sosterò al meglio nelle mie vesti. Sono un assassino come un altro, dopotutto-.
-Lieto di sentirtelo dire-.
-Vi chiedo perdono se delle volte…-.
-Ti ho già perdonato-.
-Quando?-.
-Molto prima che ti ponessi questa domanda-.
Raggiunsero le scuderie in breve.
I Falchi, coi loro mantelli bianchi e il cappuccio a celargli il volto, li attendevano all’interno dei box per i cavalli.
Altair e Tharidl li raggiunsero che stavano controllando le ultime cinghie delle selle, ed uno di loro si voltò, mentre l’altro stringeva i lacci che tenevano il cofanetto di legno nascosto sotto le bisacce.
-Maestri- s’inchinò questo ad entrambi. –Siamo pronti a partire- disse serio.
I Falchi erano due precedenti assassini che avevano scelto di perseguire quella causa alla morte di Al Mualim. Erano un quarantenne vissuto che quando ancora praticava nella setta, un tempo Altair aveva anche conosciuto, e un ragazzo dall’aspetto giovane che negli occhi aveva qualcosa di familiare, si disse, ma che durante i mesi non aveva mai guardato sotto il cappuccio. L’identità dei Falchi era tenuta nascosta ai membri della Confraternita per il solo fatto che molti assassini soffrivano di spudorata gelosia cronica. Un tempo, persino Altair aveva desiderato di indossare quella mantella bianca e viaggiare da parte a parte del Regno consegnando di giorno in giorno il Frutto nelle mani dei Rafik del posto. Un’onorevole uomo per un’onorevole causa, si diceva.
-Non ne dubito, ma vi ho fatto trattenere per esporvi alcune tematiche di cui avrei voluto discutere in privata sede- proferì Tharidl, e l’altro Falco si girò a partecipare.
-Illuminateci- disse il più giovane, e improvvisamente, dopo il suono di quella voce, gli fu tutto chiaro.
Altair fece per avanzare, ma Tharidl gli scoccò un’occhiataccia che lo inchiodò alle sue spalle, così l’assassino indietreggiò.
-Sulle coste orientali del fiume Nilo si sono accampati da poco alcuni nostri fratelli. Molti di loro sono feriti dopo il loro ultimo incarico e vorrei che vi occupaste di costoro, se vi sarà possibile trovarli- annunciò Tharidl.
-“Se”?- domandò il Falco giovane.
Altair cercò di scrutare oltre l’ombra del suo cappuccio, ma la notturna della notte non era d’aiuto.
-Vi prego di non considerare questa mia richiesta come un ordine. Essi si trovano in balia di alcuni soldati, e non vi impongo certo di andare in contro a morte certa dato l’oggetto che vi è stato affidato. Rammentate che il Frutto deve raggiungere Faiyum qualsiasi cosa succedeva, chiaro?-.
I due annuirono, si voltarono e montarono in sella accorciando le redini.
Il primo lasciò al trotto composto le stalle e Tharidl uscì con lui.
Altair si parò di fronte al cavallo del più giovane e ne afferrò le briglie. –Fermatevi, voi- sbottò.
Il Falco osservò mutamente sbigottito l’espressione seria dell’assassino, poi balbettò. –Cosa vuoi?-.
-Scopritevi il volto, solo un istante- disse.
-Cosa?!-.
Altair si cacciò una mano nella sacca attaccata alla cintura e trasse da essa la collana della sua allieva. Strinse un attimo la catenella tra le dita, poi la sollevò davanti al naso del ragazzo.
-Questa- proferì grave. –Questa è vostra, o mi sbaglio?- digrignò.
Il Falco si abbassò il cappuccio liberando la chioma mielata, e i suoi occhi grigi balenarono riflettendo nelle pupille la sagoma perfetta del ciondolo. –Dove… chi…- mormorò confusamente, e la sua presa dalle redini si allentò.
Gabriel rivolse il palmo verso l’alto e Altair lasciò scivolare la catenella nella sua mano.
Il ragazzo fissò il ciondolo commosso, ma quando il suo sguardo tornò dove un tempo c’era stato l’assassino, si stupì di non trovarvi nessuno.
Altair si era dileguato nel buio della notte, abbandonando la scuderia e fuggendo tra le ombre.

La luce affiorò ai suoi occhi lentamente, mentre prendeva coscienza di un freddo intollerabile sul suo corpo. Le venne improvvisamente la pelle d’oca, e le sue iridi azzurre si spalancarono di colpo, mentre le coperte scivolavano via dalle sue gambe.
Elena si girò di fianco, accarezzò il materasso vuoto alle sue spalle, si sollevò sulle braccia e si guardò attorno.
La sua stanza era attraversata dalla corrente gelida che entrava dalla finestra semi-aperta. Le tende ancora abbassate, ed una di esse che svolazzava sbattendo sul vetro.
La ragazza, sola nella camera, scattò in piedi e si apprestò a chiudere per bene le ante.
Marhim se n’era andato, e probabilmente dalla finestra, pensò Elena andando verso la porta.
Quando l’aprì, si stupì di trovare Leila seduta ad uno dei tavoli del salotto.
La donna si voltò a fulminarla con i suoi occhi verdi; vestita a puntino della veste da Dea, Leila sorseggiava il suo the stretto tra le dita affusolate. –Alla buon ora- ridacchiò con la sua voce acuta e melodiosa.
-Perché, che ore sono?- domandò assonnata e trattenendo uno sbadiglio. Probabile che i suoi capelli avessero un aspetto inguardabile, perché Leila la squadrò dalla testa ai piedi con un sorriso divertito sulle labbra carnose.
-Tardi, troppo tardi. Mi domando cosa ti abbia stancata tanto- sogghignò, ed Elena s’irrigidì.
-Dove sono Elika e Kamila?- domandò scrutando ogni angolo della sala.
-Sono partite poche ore fa- mormorò afflitta la donna. -Avanti- divenne improvvisamente severa. –Lavati e vestiti; oggi abbiamo molto da fare-.
-Ma non faccio… colazione?- chiese insicura.
Leila balenò di collera. –Non è certo colpa mia se ti sei svegliata adesso!- sbottò dura.
La ragazza sobbalzò. –Ma!- provò a replicare.
-Niente ma- la interruppe Leila bevendo un nuovo sorso. –Fa’ quello che ti ho detto, e guai a te se ti sento lamentarti nel corso della giornata prima che sia ora di pranzo o cena, sono stata chiara?-.
Era un incubo.
Elena annuì poco convinta, terrorizzata, più che altro.
-Avanti- ripeté la donna.
La giovane Dea girò i tacchi e tornò nella sua stanza. Senza pensarci troppo, afferrò i suoi vestiti e lanciò una svista dove la sera prima Marhim aveva lasciato i propri.
Una gioia malinconica le comparve in volto, si girò verso lo specchio e ammirò l’arruffata sua massa di capelli castano chiaro. Quello stesso color caramello tanto simile alla tinta miele di Gabriel, pensò. Sarebbe stato bene, però, non indugiare ancora o Leila gliele avrebbe fatte sentire di tutti i colori.
Si recò in bagno e fece tutto di gran fretta.
Se c’era una cosa che aveva appreso, era sostare agli ordini dei superiori, e i racconti di Kamila confermavano il suo nuovo ideale. Leila le avrebbe insegnato a combattere, Leila le avrebbe reso la vita un Inferno, Leila l’avrebbe tenuta a stecchetto, e Leila lì per rovinarle l’esistenza come si erano già impegnati di fare Marhim e lo stesso Corrado, assieme a tutta la sua famiglia! Gabriel compreso!
Quand’ebbe finito, tornò nel salotto comune e la Dea più anziana le venne di fronte, stringendo le cinghie di cuoio che reggevano la lama corta sulle sue spalle.
-Sarebbe bene che tu imparassi- le disse -a tener a stretto contatto le armi con il tuo corpo-.
-Come mai?- domandò Elena inarcando un sopracciglio.
-Si tratta del semplice fatto che il tuo nemico ha più facilità nelle sfilartele via. Tu e Gabriel avete lo stesso vizio. Tornando a noi: al più presto ti verrà concessa un’arma alla quale dovrai gran parte della tua dedizione; se non apprenderai nel migliore dei modi il genere di combattimento che voglio insegnarti, ti sarà difficile sopportare i tuoi futuri addestramenti- proferì seria mentre scendevano le scale.
-Allora illuminatemi- ribadì Elena seguendola attraverso il corridoio, il quale era popolato dalla solita massa di assassini.
-Non devi preoccuparti di cosa ti riserva il futuro- si beffò la donna. –Sappi piuttosto che per assicurartelo, dovrai saper combattere al meglio il tuo presente- strizzò un occhio, ed Elena rallentò il passo rimanendole dietro.
Leila la condusse fino alla rampa delle gradinate della torre e oltre, a raggiungere finalmente il pian terreno.
C’era un fare odioso che non sopportava il lei, si disse. Quel suo ancheggiare per la fortezza in un modo tanto superiore, e le sue battutine, e i suoi sguardi maliziosi a chiunque le passasse accanto. Tutto in quella donna le dava sui nervi, fin dal loro primo incontro nella mensa, Elena non l’aveva mai vista di buon occhio. Sapeva che le cose non sarebbero cambiate, che Leila sarebbe stata la sua insegnante per molto tempo, e che le sue si sarebbero sostituite alle nozioni di Altair nell’arco di quei mesi. Si arrese al concetto di schiavitù eterna, dolore immenso e tutta quella fatica che non aveva mai provato nei suoi primi giorni a Masyaf. Si era trovata agevolata a farsi strada nella setta grazie agli addestramenti di suo padre, ma ora che Elena doveva cominciare da zero, apprendendo una nuova arte, una nuova tecnica da una donna che già le stava sui… insomma, quanto avrebbe resistito?
Giunte nel cortile interno, Elena si guardò attorno.
La quiete del buon giorno sorrideva alla fortezza e ai suoi abitanti. Doveva essere il cielo sereno, oppure il fresco venticello di quella mattina ad irradiare la roccaforte di una luce accecante. Altrimenti tutta quella luminosità era dovuta dal fatto che fosse mezzogiorno passato.
Il lamento del suo stomaco non si fece attendere, e Leila sbuffò scocciata.
Elena si strinse nelle spalle. –Non posso mica ordinargli di tacere!- sbottò.
La Dea anziana le fece strada fino all’arena degli allenamenti, la quale era stata lasciata libera per l’evenienza.
La donna entrò nella recinzione con un balzo e si portò le mani ai fianchi. –Bene, bene- sussurrò. –Tornano i bei vecchi tempi- fece assorta guardandosi in giro.
I ragazzi della setta non erano certo stupiti di vederle entrambe lì. Anzi, parlottavano armoniosamente e il clima era quello solito delle normali giornate nullafacenti.
Leila si voltò a guardarla, mentre Elena portava una mano all’elsa della spada.
-No, no- intervenne la donna, e la giovane sgranò gli occhi.
-Che ho fatto, ora?- sbottò.
-Ti ho detto mica di armarti di spada, ragazza?! No, quindi aspetta i miei ordini anche solo per respirare!-.
Elena indietreggiò intimorita. –Va bene- balbettò.
Leila fece crocchiare le nocche dei pugni chiusi. –Alta la guardia, Elena, forza- sussurrò maliziosa.
-Cosa?- ma Elena sapeva bene si stesse riferendo a quel genere di combattimento a mani nude, lo stesso con il quale Minha l’aveva stesa a terra in poche mosse.
Così la giovane Dea alzò le braccia a pararsi il viso.
Leila avanzò verso di lei con un saltello, penetrò tra i suoi polsi e allontanò le braccia colpendole entrambe con forza. In fine, quando la difesa di Elena fu sparita del tutto, Leila le avvolse il collo e la scagliò in avanti facendola rovesciare a terra in una frazione di secondo e senza il minimo sforzo.
Elena riprese fiato, le pupille dilatate e il cuore che pompava spaventato.
-Dio!- gemé, e Leila irrobustì la presa sulla sua gola. Con la mano libera la Dea anziana aveva libero accesso al suo petto e le sarebbe bastato un colpo ben assestato al costato per metterla fuori combattimento. Erano tecniche di una terra lontana, si disse Elena, ad osservazione dei più grandi artefici del combattimento corpo a corpo.
Quando la donna le lasciò il collo, ad Elena cedettero le gambe e si accasciò al suolo in ginocchio. Le mancava il fiato, la gola le bruciava, il sangue pulsava tutt’altra parte che alla testa e si sentiva a tal punto spossata che sarebbe potuta crollare morte da un momento all’altro. Fortunatamente fu una sensazione momentanea, che si ristabilì col passare dei secondi.
Leila scoppiò in una fragorosa risata. –La tua difesa nuda fa schifo!- le rinfacciò schietta, ed Elena rabbrividì.
Possibile che fosse tanto stronza la sua nuova maestra? Forse era uno stile di apprendimento che Elena sopportava meno dei sorrisi compiaciuti di Altair, ma avrebbe dovuto arrendersi a ciò che ancora l’attendeva e che sarebbe stato cento volte peggio della parola “schifo” gettata in faccia senza pietà.
La ragazza si sollevò traballante, reggendosi alla staccionata. –Che cosa mi hai fatto?-.
Leila incrociò le braccia. –Ci sono alcuni punti nel nostro corpo che ospitano le principali vene del sangue e arterie. Le mosse che andrò ad insegnarti colpiranno in primis quei punti, e come seconda lezione acquisirai l’auto difesa che ti manca. Terza ed ultima, mi fronteggerai con quello che ha appreso. Eccoti illustrato il programma scolastico, ora tirati su e sprizza di energia! Niente musi flaccidi finché respiro, chiaro?- sbottò crudele.
Elena era la sua vendetta personale, si disse.
La giovane Dea si raddrizzò e fece scricchiolare la schiena sonoramente. Le mancavano le forze dato l’assenza di cibo nello stomaco, e chissà: per quanto avrebbe retto prima di adagiarsi priva di sensi al suolo?
Nonostante lo stressante atteggiamento di Leila nei suoi confronti, Elena ricevette da quella donna quanto di più prezioso. In quelle prime ore della mattina le insegnò quali erano le principali fondamenta per un attacco ben piazzato. Le mostrò il palmo sempre rigido e teso della mano, assieme ai muscoli delle gambe pronti a scattare e le ginocchia.
Il corpo diventava una macchina da guerra, un’arma dai mille manici, ed Elena rimase completamente assorta da quel modo di vedere le proprie capacità.
Anche la caviglia poteva diventare un buon appiglio, la lama tagliente di una spada, con la stessa potenza nel colpo che aveva un martello scagliato da un braccio adulto.
Poche parole per definire quella giornata?

-Una tortura!!!- Elena batté la testa sul tavolo, e le posate sobbalzarono. –Tortura, tortura, tortura!- ripeté più volte battendo e ribattendo la fronte sul legno.
Halef si ritrasse e guardò spaventato il fratello. -Secondo te è matta?- gli domandò.
Marhim la osservò in silenzio; in una mano stringeva la tazza di the e l’altra era poggiata sulle pagine aperte di un libro. –No, è solo stanca- parlò lui tornando a leggere.
Elena sollevò lo sguardo impietosito sui due. –Stanca? Io… stanca?- si puntò un dito al petto. –No, no- brontolò. –Sono… distrutta! Quella donna mi porterà all’esaurimento nervoso e fisico! Non riesco a tenere gli occhi aperti- mormorò abbassando le palpebre. Barcollava sulla sedia, le tremavano le mani.
Halef si grattò dietro la nuca. –Forse qualcuno di noi dovrebbe portarla in braccio fino di sopra!- sorrise come un deficiente mostrando i denti verso di Marhim.
L’altro ragazzo si voltò e lo fissò con rabbia. –Taci- digrignò composto, poi bevve un nuovo sorso dalla tazza fumante.
Elena allungò le labbra in un sorriso, e con gli occhi ancora chiusi disse: -Non sarebbe una cattiva idea-.
Halef scoppiò in una fragorosa risata che si diffuse per tutta la biblioteca. –Ho occhio per certe cose!- aggiunse allegro.
Marhim sospirò pesantemente. –Allora portacela tu di sopra- sbottò. –Ho da fare- fece altrettanto scontroso, chino sul suo libro.
Elena curvò le spalle e il suo sguardo si posò stanco su di lui. –Cosa ti è successo questa mattina? Perché sei sparito così?- domandò, e chissene di Halef.
L’assassino più giovane guardò da una parte all’altra, prima lei e di seguito suo fratello. –Che cosa state confabulando?- alzò le sopracciglia divertito.
Marhim gli mollò una gomitata. –Nulla, e fatti i fatti tuoi!-.
Elena si strinse nelle spalle ridendo.
-Eh, no!- sibilò Halef dolorante. –Quando fate così sono ancora più sospettoso!- ridacchiò.
-Halef, vattene!- proruppe ad un tratto Marhim.
Il più piccolo tra i tre si alzò dal tavolo con il muso lungo. –Te la faccio pagare, questa!- brontolò avviandosi e scomparendo nel buio tra uno scaffale e l’altro.
Elena lo seguì fin quando non udì le porte della biblioteca chiudersi, poi si girò verso il ragazzo che aveva di fronte.
Marhim si passò le mani sul viso. –Ma che palle…- alzò gli occhi al cielo.
Elena si appoggiò allo schienale. –Chi dei due, lui o io?- domandò afflitta.
Marhim le volse un’occhiata smarrita. –Di cosa stai parlando?- mormorò.
La ragazza posò le mani in grembo. –Perché questa mattina sei sparito così?… E se mi avessi svegliata forse ora non sarei così sfinita. Leila mi ha fatto saltare la colazione solo perché mi sono svegliata tardi!- confessò rimuginando i crampi allo stomaco di prima che si riempisse la pancia a cena, dato che ormai era calata la notte sulla fortezza. –E non so perché, ma mi ha messo anche a dieta oggi a pranzo…- fece affranta.
Marhim tacque alcuni istanti. –Mi dispiace, non pensavo…-.
-Ah!- rise lei. –Credevo che uno come te invece pensasse troppo!- ironizzò.
Il ragazzo richiuse lentamente il libro. –Questa mattina sono uscito dalla finestra quando ho sentito le tre Dee che parlavano nel salotto. In progetto avevo già l’idea di andarmene… prima che ti svegliassi, ma uscire dal balcone è stata una necessita. Mi sono reso conto troppo tardi di aver lasciato la finestra aperta, mi spiace-.
-Ah, va bene… se la metti in questo modo- sussurrò stendendo un braccio sul tavolo. Con le dita sfiorò quelle di lui poggiate sulla copertina del tomo, ma Marhim si ritrasse a quel tocco.
Rifiutata, messa da parte ancora una volta. Si sentiva uno schifo mentre le sue guance si sbiancavano dalla tristezza e i suoi occhi perdevano il solito vigore azzurro tramutandolo in un ombreggiatura di grigio celeste orribile, davvero triste.
-Perché- tirò su col naso. –Perché mi allontani con tanto ripugno, come se ti facessi schifo! Perché? Credi che quello che provo per te sia falso? Credi che mi stia approfittando di te allo stesso modo di come fece Rhami con me?- gemé.
Marhim distolse lo sguardo altrove. –Te l’ho già detto-.
-No! Non ci credo! Quello che mi hai detto è infondato! Vivi in questa fortezza solo per difendere le posizioni di tuo fratello, per prenderti cura di lui! Sei sempre stato distaccato dal credo, non hai mai creduto nella setta e mi vieni a dire solo ora che “non puoi” perché “non puoi” infrangere le regole?- scoppiò a piangere.
-Anche se fosse, non me la sento. Il rischio è troppo alto- parlò contenuto.
-Non è vero, mi stai mentendo. Ti ho visto come mi guardavi, ti ho visto come mi sorridevi, e in che modo eri geloso di Rhami! La tua gelosia è debita al fatto che ti piaccio, ma non vuoi ammetterlo! Perché? Che cosa ti ferma in questo momento… non credo fortemente che sia la setta… ma ho le mie ipotesi- parlottò.
Marhim soffocò una risata, e onestamente, Elena non ci trovava nulla da ridere nelle sue lacrime. –Quali sarebbero le tue ipotesi, sentiamo!-.
Elena si guardò attorno, poi puntò le sue iride azzurre in quelle cioccolato di lui. –Sei gay- sussurrò schiva.
La reazione di Marhim a quelle parole fu incerta, ma in entrambi i casi la sua ipotesi potesse essere vera o no, il ragazzo si manifestò su tutte le furie.
-Ma come ti salta in mente?!- ruggì scattando in piedi. –Sei pazza?!-.
Elena quella volta non seppe trattenere le risate, mentre Marhim rimaneva a bocca aperta.
-Scusa, scusa… lo so, ho esagerato- si riprese improvvisamente. –Ma davvero, mi hai fatto venire questo dubbio, sai?- ridacchiò.
Marhim tornò a sedersi serrando la mascella. –Non azzardarti, che certi peccati nella setta sono meglio punibili di altri- bofonchiò.
Elena trasalì sulla sedia. –Intendi dire che l’omosessualità è più vietata che mai?-.
-Se ti ammazzano perché hai un rapporto con una Dea, prova ad immaginare cosa sarebbe capace di farmi Tharidl se fossi gay!- incrociò le braccia al petto.
Elena aggrottò la fronte.
-No, non lo sono!- si apprestò a ribattere lui.
-A me puoi dirlo, così ti lascio in pace- fece spallucce.
-Piantala- sorrise.
   
 
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