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Autore: Greystar    18/03/2016    4 recensioni
Hermione chiuse gli occhi e li riaprì, scuotendo la testa e fuggendo via, lasciando dietro di sé solo il rumore dei tacchi alti che incontravano il pavimento, un profumo fin troppo noto alle narici di Draco e la consapevolezza che nessuno dei due aveva dimenticato.
Nessuno dei due poteva e voleva dimenticare.
Nonostante tutto.
Nonostante il tempo.
§
Allontanò con un gesto secco il suo braccio e tornò a sedersi, dandole le spalle e lanciando un sguardo esasperato a suoi amici, che avevano assistito rapiti alla scenetta appena conclusasi. O meglio, così pensavano, perché se c’era una cosa che Rose aveva ripreso dalla madre, era proprio la testardaggine inaudita con cui sapeva impuntarsi su quello che voleva.
“Scorpius?” lo richiamò, addolcendo la voce e posandogli una mano sulla spalla destra e avvicinandosi al suo orecchio sinistro.
Un brivido percorse la sua spina dorsale appena avvertì il respiro un poco affannato di lei sulla pelle. Rimase con la forchetta a mezz’aria, il pezzo di arrosto a pochi centimetri delle labbra dischiuse e gli occhi sgranati.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Draco Malfoy, Hermione Granger, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Astoria, Draco/Hermione, Ron/Hermione, Rose/Scorpius
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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 Capitolo I : Ritorno ad Hogwarts



 
“Harry, muoviti o mi toccherà subire il suo muso lungo per settimane!” esclamò spazientito, continuando ad arrancare sul pendio della collinetta di un verde lussureggiante, insofferente tanto quanto segretamente pensieroso per ciò che stavano per fare.
Un sonoro sbuffo, accompagnato da un’imprecazione borbottata a labbra strette per essere quasi ruzzolato a terra, non avendo notato una roccia spuntare tra l’erba, fecero intuire al rosso che l’amico gli era alle spalle, nonostante tutto.
“Non potevi farle cambiare idea, o per lo meno persuaderla a non fare questa cosa?” domandò retorico, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Ron si bloccò di scatto, voltandosi quanto bastava per guardarlo negli occhi. Gli anni erano volati come se fossero nuvole spazzate via da un forte vento, eppure nulla era cambiato poi così tanto da separarli. Lo fissò con uno sguardo tra l’interrogativo e il sarcastico, con il sopracciglio sinistro sollevato a rafforzare l’idea dell’assurdità che aveva appena detto il ragazzo. Quest’ultimo lo superò alzando gli occhi al cielo e prendendo un profondo respiro.
“La odio tanto quanto le voglio bene. Questa è l’unica cosa che l’ha salvata in tutti questi anni.” Commentò soffermandosi a osservare il panorama che potevano finalmente ammirare da quella modesta altezza.
Il campo da Quidditch si stagliava davanti ai loro occhi, occupando gloriosamente il primo piano. I ricordi si versarono nelle loro menti come fiumi in piena che straripano gli argini e portano via con sé tutto ciò che trovano sul loro cammino.
Harry poggiò la mano destra sulla spalla sinistra dell’amico, stringendola per fargli capire che provava le stesse emozioni nel ritrovarsi lì, con lui, dopo tutti quegli anni.
“Forse aveva i suoi buoni motivi per farci fare questa scarpinata. Ricordami di ringraziarla.” Affermò il rosso, spaziando con lo sguardo ogni più piccolo particolare, controllando che tutto fosse rimasto così come l’aveva lasciato diciannove anni prima.
“Hermione ha sempre ragione. Non farlo, o accrescerai ancor di più il suo ego, te ne prego.” scherzò, sorridendo e puntando il dito verso l’orizzonte.
Il sole stava calando, lasciando il posto ad un tramonto mozzafiato, incorniciando e tracciando il profilo di quella che era stata la loro casa, il loro porto sicuro e diciamo apertamente, anche la fonte di una marea di guai e pericoli: Hogwarts.
Sempre così immobile, fissa, imperturbabile ed eterna. Sembrava non avesse visto nemmeno la più pallida ombra di una guerra, tanto le mura apparivano solide e algide. Tutto nel suo aspetto rimandava a sicurezza e pace.
 
 
 
 
§
 
 
 
 
“Avere un padre Auror non ti salverà da tua madre!” urlò la donna, afferrando per il colletto della camicia il ragazzo che stava tentando di fuggire da lei.
“Nemmeno se è Harry Potter?” tentò di smorzare la situazione, sfoderando un sorriso falso e pieno di rancore.
“James Sirius Potter! Impara a tenere la lingua apposto o giuro che te l’annodo.” Rispose placidamente, avvicinandosi e sistemandogli il nodo della cravatta con la cura e l’attenzione che solo una madre sa utilizzare verso un figlio.
Una risatina trattenuta a stento dalle labbra strette risuonò nell’aria, gli occhi rivolti chissà dove di una Weasley che afferrava saldamente il braccio della donna.
“Che hai da ridere tu, strega?” l’ammonì il ragazzo, liberandosi infastidito dai gesti del genitore e allentando di nuovo il nodo che odiava in maniera spropositata. Se la sarebbe volentieri tolta quella cravatta, lanciandola via, dandole fuoco, regalandola ad un elfo per liberarlo, così avrebbe fatto felice anche sua zia e la sua strana associazione del CREPA.
Ginevra Weasley lo fulminò con lo sguardo e passò un braccio intorno alle spalle della nipote, stringendola e regalandole un bacio sulla tempia.
“Non trattare male tua cugina. Ti ricordo che è l’unico motivo per cui non sei stato espulso l’ultima volta.”
“Sì, certo. Come no.” Borbottò, dando le spalle ad entrambe e piegandosi sulle ginocchia per allacciarsi le scarpe. “Non sarebbe successo niente se non le piacesse tanto rispettare le regole.”
“Rose!”arrivò distinta la voce squillante di un’altra donna che si stava avvicinando.
Il giovane James alzò lo sguardo, e sbuffò sonoramente associando la figura a quella di Hermione. “Fantastico.”
“Mamma, sono qui con zia Gin a dare fastidio a James.” Rispose divertita, sistemandosi la borsa a tracolla e spostando la lunga treccia rossa dietro la schiena.
“Non dovreste essere rinchiusi in biblioteca voi due?” li ammonì il tornado di capelli indomabili che li aveva appena raggiunti, tirandosi dietro un Albus assai reticente.
“Zia! Lasciami, so camminare da solo!” protestò, riuscendo finalmente a liberarsi e massaggiandosi i polsi. Gli occhi verdi puntati sulla madre, come a rimproverarla per averle permesso di venire a prenderlo fuori dall’aula in cui aveva appena terminato lezione di Erbologia e mettendolo così in ridicolo davanti ai suoi compagni.
“Adesso andiamo mamma. Io ho praticamente già fatto tutti i compiti, ma posso sempre ripassare qualcosa. Meglio essere preparati a tutte le evenienze.” Disse con tono saccente la giovane, afferrando per un gomito ciascuno i due cugini e iniziando a trascinarli davanti a sé.
Le due donne osservarono la scena trattenendo le risate e il divertimento.
“E ancora non c’è Lily a tenergli testa. L’anno prossimo sarà un inferno per loro due. Rose avrà sicuramente un’ottima alleata.”
Hermione annuì mostrandosi d’accordo e sistemandosi il trench rosso, che nascondeva uno dei suoi tailleur migliori. Voleva essere perfetta, o almeno al meglio per quel suo grande ritorno ad Hogwarts. Non vi aveva più messo piede da diciotto anni, da quando aveva conseguito i MAGO. Sospirò a fondo, riempiendosi i polmoni di quell’aroma di libri, pietra e inchiostro che mai avrebbe dimenticato e sempre avrebbe collocato tra i suoi preferiti.
Lì era entrata in contatto con il mondo magico, lì aveva appreso quanto più possibile sulla magia, lì aveva scoperto il senso dell’amicizia, del coraggio, della lealtà, dell’amore, ma anche del dolore, del tradimento e della sofferenza.
In poche parole, lì era cresciuta, diventando una donna.
 
 
 
 
 
§
 
 
 
 
“Dammele.” Ingiunse l’uomo tendendo la mano in avanti in attesa di qualcosa.
Lo sguardo non ammetteva possibilità di repliche, tanto era perentorio e impassibile, che costrinse il giovane ad afferrare una scatolina dalla tasca interna della giacca, proprio dietro lo stemma della sua casata e consegnargliela.
“Spero tu sappia che non passerò sopra ad una cosa del genere.” commentò, scegliendo accuratamente una sigaretta tra quelle del pacchetto appena sequestrato al ragazzo. “Queste sono illegali qui. Vuoi rischiare di farti espellere per uno stupido vizio?” lo ammonì, per poi puntare lo sguardo in lontananza, richiamato dal suono di una voce a lui nota. “Sei fortunato che tua madre non sia qui in questo momento, o ti saresti beccato molto più di una bella sgridata.” Continuò quasi distrattamente.
“Mi avrebbe tolto la scopa fino ai trent’anni, lo so. Grazie papà. Cioè, scusa papà, non succederà più.” promise con faccia colpevole, che si tramutò presto in sorpresa e leggermente da ebete alla vista di una treccia rossa svolazzante che gli sfrecciò davanti a gran velocità, senza degnarlo di uno sguardo, troppo impegnata a spingere due riluttanti e quasi del tutto rassegnati ragazzi chissà dove.
“Davvero?” mormorò stupito l’uomo, passandosi una mano tra i capelli per ravvivarli e posando le iridi ghiacciate in quelle identiche del figlio.
“Una Weasley? Quella Weasley?” cercò di attirare l’attenzione labile del giovane, invano.
“Hyperon!” esclamò, facendolo sussultare.
“Che c’è? Chi? Io? Ma che vai a pensare? Mai e poi mai nella vita.” lo rassicurò con un’espressione seria e convinta. Forse per un estraneo, non per il padre che l’aveva cresciuto.
“Certo. E io sono una farfallina che svolazza su un fiore.” Liquidò la faccenda, ritenendo che fosse il modo migliore per non dar peso al tutto e peggiorare così una situazione che poteva divenire tragicomica se avesse davvero avuto un futuro un giorno.
“Come va a Pozioni? Hai recuperato quell’Accettabile del mese scorso?” domandò interessato, facendosi di lato per far passare degli studenti, ed poggiando la schiena ad una colonna del porticato interno della scuola.
“Sì, sì. Il professor Lumacorno era più felice di me quando mi ha consegnato il compito stamattina. Oltre Ogni Previsione.” Spiegò fiero ed orgoglioso, passandosi i libri da un braccio all’altro, per non stancarsi troppo. “Ora però, devo andare. Ho gli allenamenti con la squadra.”
“Vai, vai. Ci vediamo a cena.” Lo salutò con una pacca sulla spalla, aspettando poi di vederlo sparire dalla sua visuale.
Portò la sigaretta che rigirava tra le dita alla bocca e l’accese con l’accendino che trovò all’interno della scatolina, assaporando l’acredine del fumo che gli scendeva in gola, scaldandolo e rilassandolo quasi all’istante. Aveva smesso da quando Astoria era rimasta incinta, per non nuocere al bambino, ma ormai Scorpius era grande e ogni tanto si concedeva qualche piccola eccezione alla sua astinenza completa.
“Vergognati! Le sequestri a tuo figlio e poi le fumi tu? Pessimo esempio Draco. Pessimo esempio.” Commentò una voce maschile alle sue spalle, cogliendolo alla sprovvista.
“Blaise, sei tu! Mi hai fatto prendere un colpo.” Lo riproverò, allungando il pacchetto nella sua direzione. “Vuoi favorire?”
“In perfetto stile Serpeverde.” Sorrise, imitandolo nei gesti e ritrovandosi così a perdersi tra le nuvolette di fumo bianco che uscivano dalle labbra del biondo. “Non verrà?” gli rivolse la domanda che più gli premeva fare, forse spinto anche dalla curiosità nonché preoccupazione di sua moglie Daphne.
“Non credo ce la faccia. Forse è meglio così.” Ammise, gettando il mozzicone ancora da terminare a terra e pestandolo con un la punta della scarpa. “Forse non sarei dovuto venire neanche io. Cosa devo dimostrare?”
“Agli altri niente, a tuo figlio invece una cosa fondamentale: che ci si può redimere dai propri errori, esattamente come hai fatto tu, e in piccola parte anche io.”
 
 
 
 
 
§
 
 
 
 
 
“Sei qui.” Sussurrò, prendendo un respiro profondo e allungando una mano verso il suo viso.
L’accarezzo come se fosse la cosa più delicata e fragile del mondo, godendo del calore della sua pelle.
“Vieni immediatamente dentro e siediti. Sarai stanca.” La invitò premuroso, passandole un braccio intorno alla vita e togliendole subito di mano la pesante valigia.
“Non più del solito.” Ammise regalandogli un sorriso sincero. “Però accetto volentieri la tua offerta.” Scherzò, lasciandosi condurre vicino al letto matrimoniale e sedendosi con calma, dopo aver tolto il mantello e averlo adagiato di fianco a sé. Con lo sguardo vagò attraverso lo spazio circostante, studiandone i particolari con curiosità e lasciando le mani sulle cosce, strofinandole un po’.
Lui tradusse i gesti come un chiaro segno di freddo, così puntò la bacchetta verso il camino, aizzando le fiamme.
“Come al solito, vedo che non hai sistemato le tue cose. Perché?” gli domando con aria di rimprovero, dando un colpetto con la punta del piede destro al baule che sostava lì, come in attesa di essere richiuso da un momento all’altro.
“Perché sai benissimo che sono un tipo previdente. Preferisco usare ciò che è indispensabile per non dover correre se ce ne fosse il bisogno.” Le spiegò, avvicinandosi e inginocchiandosi davanti a lei.
Si fissarono negli occhi per tutto il tempo che fu loro necessario per riconoscersi in ogni singolo dettaglio e lineamento, per far calmare il cuore impazzito di due coniugi che ancora si amavano come il primo giorno di matrimonio, poi Draco chinò la testa, adagiandola sul grembo di Astoria, alla ricerca di un rifugio, del suo rifugio. La strinse con le braccia intorno ai fianchi e inspirò il suo profumo, che altro non era diventato che il suo calmante naturale.
“Non sei felice di vedermi?” gli chiese, carezzandogli amorevole il viso e i capelli.
Lui alzò di colpo la testa, fissandola negli occhi con un’espressione seria.
“Stai scherzando? Non ho aspettato altro da quando sono qui e ho dovuto lasciarti a casa dei tuoi.”
“Shh. Sì, scherzavo stupido. Lo vedo che sei felice di vedermi, anche se non lo sarai mai quanto lo sono io di vedere te. Sono stati giorni difficili.” Commentò rassicurandolo e invitandolo a tornare a poggiare la testa sulle sue gambe.
Gli tirò con delicatezza indietro i capelli, scoprendo il suo profilo e chinandosi per regalargli un bacio sulla guancia.
Sapeva che suo marito era sempre preoccupato per lei, che non faceva più nulla se non in conseguenza delle sue condizioni di salute. Le era sempre stato vicino, fin dalla prima visita in cui le avevano comunicato di essere affetta da quella assurda malattia.
Sentiva le forze venirle meno ogni giorno che passava, e piangeva di nascosto da lui perché piano piano stava rinunciando a gesti quotidiani che le richiedevano un impegno che la sfiancava.
Non si sentiva più donna, non più da quando aveva dovuto rinunciare a fare l’amore con lui, a sentirsi sua moglie a tutti gli effetti.
Era un dolore troppo grande da affrontare per una sola persona, e anche se Draco appariva forte davanti a lei e Scorpius, inneggiando a visite dai migliori medici, che stavano dissanguando il loro conto alla Gringott, sapeva che non si sarebbe mai rassegnato. Non avrebbe mai accettato la sua malattia come invece stava iniziando a fare lei stessa. Non che fosse una cosa facile, ma non poteva fare altrimenti. Aveva un figlio a cui donare tutto l’amore che poteva, almeno finché avrebbe potuto farlo.
Lui prese a carezzarle la gamba, partendo dalla caviglia velata dalla leggerissima calza nera, salendo fino al ginocchio dove incontro l’orlo della sua gonna e poi più su, insinuandosi sotto il tessuto. Strinse appena sospirando forte, e questo gettò nella tristezza più totale Astoria, che non riuscì a trattenere una lacrima, che solitaria decise di affrontare il vuoto e cadere proprio sulla guancia di Draco.
“No, amore mio, no.” Le disse subito, sollevando la testa e poggiando la fronte contro la sua.
Le passò la mano destra dietro la nuca spingendola contro di sé, per farle capire che gli dispiaceva.
“Non posso. Non posso fare più nulla. E tu vorresti fare l’amore con me, e anche io…ma non posso…non so se ci riuscirei…” pronunciò le parole con la voce incrinata da un pianto che a stento riusciva a trattenere. “Non sarei dovuta venire.”
“Non dirlo neanche per scherzo. Il tuo posto è qui, accanto a me. Non importa dove, l’importante è che tu sappia che sono al tuo fianco, sempre. Sei tutta la mia vita, te ne rendi conto vero? E non m’importa se non puoi fare l’amore con me, non mi serve di certo per amarti di più o per sentirmi più amato da te. Chiaro? Te lo ripeterò all’infinito se ce ne sarà il bisogno.”
Ed era vero che la considerava tutta la sua vita. Li ricordava bene quegli occhi innocenti e carichi di determinazione che lo avevo rimproverato più volte, quando lo trovava sul letto a compiangersi dopo la fine della guerra. Lo spettro di una persona che si stava lasciando andare non era bastato a fermare l’innocenza di Astoria. Aveva accettato rifiuti, non sempre delicati, lo aveva scosso dal suo stato di torpore autoimposto, con metodi sempre più aggressivi, fino a quel giorno in cui si era alzato dal letto, con l’istinto di prenderla a schiaffi dopo che gli aveva lanciato un secchio di acqua gelata addosso, senza curarsi minimamente delle conseguenze. Le si era avvicinato infuriato e lei aveva sorriso soddisfatta e dolce, incrociando le braccia dietro la schiena e facendosi avanti con coraggio, aspettando che lui facesse davvero qualcosa. Sapeva nel suo cuore che non avrebbe mai toccato una donna, e infatti si era bloccato, con il petto che faceva su e giù per lo sforzo di trattenersi e la bocca dischiusa pronta a lanciare le peggiori offese.
Contrariamente a quello che Draco si sarebbe aspettato, lei si era avvicinata incurante del pericolo e gli aveva poggiato una mano sul petto, all’altezza del cuore. Non avrebbe più dimenticato le sue parole.
“Draco, io accetto tutto di te, anche le ombre della tua anima e del tuo passato, perché ho visto la luce brillare nei tuoi occhi.
Io non permetterò che tu la perda per errori che non sono stati i tuoi.
Solo se tu lo vuoi, io sono qui.
Ci sarò sempre, nel bene e nel male, nel buio e nella luce.”
La sua piccola Astoria.
La sua ancora di salvezza in una vita nuova e piena d’incognite e ostacoli da superare. L’amava più di se stesso.
E in quel momento, mentre la prendeva tra le braccia e l’aiutava ad alzarsi, si sentiva morire dentro perché sapeva che non avrebbe potuto farlo per sempre, che l’avrebbe vista spegnersi lentamente e questo sarebbe stato ancora più logorante se il fato avesse deciso di portarsela via senza preavviso.
L’aiutò a spogliarsi e a infilare la camicia da notte. Aspettò che avesse finito di usare il bagno e poi si premurò di rimboccarle le coperte, stendendosi poi accanto a lei, ancora vestito.
“Non ho ancora visto Scorpius. Come sta? Ha recuperato il voto in Pozioni?” chiese, scostandosi i lunghi capelli castani dal viso.
“Sta bene, tranquilla. Sono sicuro che più tardi verrà a trovarti. Ora si starà facendo la doccia dopo gli allenamenti.” Le rispose, intrecciando le dita con le sue. “Però sai già che se ti troverà addormentata non ti sveglierà. Lo vedrai comunque domani mattina.”
“Povero figlio mio. Non merita di avere una madre che non può stargli dietro.” Mormorò sbadigliando, e socchiudendo gli occhi per la stanchezza.
Se lo avessero pugnalato al cuore sapeva che il dolore non sarebbe mai stato pari a quello che le sue parole gli avevano procurato. Portò delicatamente il dorso della sua mano che ancora stringeva tra le dita e lo baciò.
“Sei la miglior madre che si possa avere, Astoria. Non dimenticarlo mai. Scorpius ti ama più di quanto immagini. Adesso riposa. Il viaggio sarà stato stancante.”
“Dagli un bacio da parte mia a cena.”
“Sai che non lo bacerò mai davanti ai suoi compagni di scuola.”
“Sei il solito idiota.”
“Grazie amore. Riposa, io vado a mangiare qualcosa. Vuoi che ti faccia portare del cibo in camera?”
“No. Ho sgranocchiato qualcosa durante il viaggio. Sono solo molto stanca.”
“Va bene.”
 
 
 
 
§
 
 
 
 
Camminava in religioso silenzio, tra quelle mura, facendo ben attenzione a sfiorare con la punta delle dita la dura pietra, provando a vedere se ricordava ogni più piccola scanalatura o nicchia. Toccare, imprimere e riportare alla memoria ogni emozione provata in quegli anni che le sembravano così lontani eppure in quegli istanti così recenti e freschi.
Una gonna della divisa fin troppo lunga, un paio di calze che prudevano tanto da far desiderare di strapparle appena se ne aveva l’occasione, una camicia candida che non aspettava altro che venisse tolto il maglioncino per macchiarsi di qualsiasi cosa fosse reperibile in quel momento, nonostante gli sforzi per tenerla intatta. Tutto riaffiorava alla mente dolcemente, rendendola consapevole che ora tutto questo era la vita quotidiana della sua bambina, Rose. Che di bambina, oramai, aveva davvero poco.
Una cascata di capelli rossi, due occhi marroni, tanta intelligenza e altrettanta poca grazia la contraddistinguevano dalla maggior parte dei suoi coetanei e non. Come avrebbe potuto essere diversamente? Era la figlia di Hermione Granger e Ronald Weasley.
Senza rendersene conto, svoltò a destra bloccandosi di fronte ad una porta all’apparenza come tutte le altre, forse ancor più insignificante, date le condizioni in cui versava. Avrebbe potuto nascondere un vano per le scope del vecchio Gaza o un magazzino per chissà quale scopo. Nessuno avrebbe associato ad esso qualcosa di importante. Nessuno tranne lei.
Allungò timidamente la mano a sfiorare il legno corroso dal tempo e dai tarli, seguendone le fattezze e arrivando al chiavistello, che strinse tra le dita e tirò verso di sé tentando di aprire la porta.
Una folata di polvere la colse in pieno costringendola a tossire, chiudere gli occhi e agitare la mano davanti al viso per allontanare la nuvola che si era propagata dal movimento dell’apertura dell’uscio.
La gola secca la costrinse a mandar giù la saliva più volte e attese qualche secondo per rialzare le palpebre, incontrando l’immagine che aveva esattamente nella sua testa.
Nulla era cambiato.
Nulla era mutato in quello stanzino, in quelle panche ammassate le une sulle altre, in quegli scaffali di legno ormai consunto, in quelle boccette in disuso e qualche calderone andato oramai in pensione.
Si accorse che le faceva male il petto, più precisamente la parte sinistra, come se qualcuno le stesse stringendo un poco alla volta, sempre più forte, il muscolo cardiaco. Portò la mano come a carezzarlo dal di fuori, imponendogli di calmarsi e cercando di tranquillizzarlo. Non sarebbe stato un semplice ricordo di sedici anni prima a farle provare quelle sensazioni. Eppure sapeva di mentire a se stessa affermando di aver dimenticato e di non aver attribuito a quell’avvenimento un importanza rilevante.
A qualche metro di distanza, il giusto perché Hermione non se ne accorgesse, Draco Malfoy rimase ad osservarla in ogni suo minimo gesto.
La mano sinistra fu chiusa a pugno nella tasca dei pantaloni, tanto stretta quasi fino a negare l’afflusso di sangue alla punta delle dita, ma soprattutto facendo sentire prepotentemente la presenza di un legame. La fede all’anulare stava lentamente lasciando il segno sulla pelle morbida e candida ricordandogli che non avrebbe dovuto pensare a lei in quei termini, che non era giusto e mai lo sarebbe stato. Nemmeno avendolo fatto diciotto anni prima.
Espirò con foga, alzando il volto verso l’alto e cercando di non dar peso al fastidio che sentiva alla bocca dello stomaco e che si stava velocemente propagando a tutto il corpo.
La cravatta si fece improvvisamente troppo stretta intorno al collo, come se riuscisse a bloccare il passaggio dell’aria verso i polmoni, negandogli di respirare in modo efficace. Infilò l’indice e il medio tra il colletto della camicia e la pregiata striscia di seta nera, dapprima con l’intenzione di allentare il nodo, poi sciogliendolo del tutto e optando infine per tenerla nella mano.
Un bacio.
Il ricordo di un dannato bacio poteva davvero avere il potere di rendergli la mente annebbiata e il cuore palpitante? Questa era la domanda che lo assillava, mentre la osservava scostare la pesante e logora porta di legno di quella stanza.
Possibile che anche lei ricordasse tutto come se fosse successo il giorno precedente?
Avanzò di qualche passo deciso ad andarle vicino ma si fermò quasi subito, cercando d’imporsi che sarebbe stato molto meglio lasciarla stare e tornare sui propri passi.
Aveva una moglie che amava più della sua vita.
Aveva un figlio a cui badare. Un figlio che amava con tutto se stesso.
Un figlio evidentemente innamorato della figlia di Hermione.
Scosse la testa e si appiattì contro il muro, celando la proprio figura dietro ad una colonna e ringraziando il gelo del marmo su cui poggiò la fronte che lo riportò alla realtà, rendendogli un po’ di quell’autocontrollo che aveva sentito scivolargli via.
Lei si voltò nella sua direzione, come se l’avesse sentito arrivare e rivolse all’aria un sorriso timido e appena accennato, come se stesse pensando di essere matta e di avere le allucinazioni.
Hermione avrebbe voluto avere ragione, avrebbe voluto saperlo lì nelle sue vicinanze a condividere una memoria, più di un battito perso, qualche respiro mozzato e tanta, ma tanta malinconia per qualcosa che poteva essere ma che non era mai stato.
Un bacio.
Il ricordo di un bacio poetava farla tornare ragazza e farle immaginare cosa sarebbe potuto succedere se…? Questo il quesito che le rimbalzava da un neurone all’altro, senza lasciarle sosta, almeno finché non sentì delle voci in lontananza.
Si guardò attorno, avvertendo quasi la sua mano sfiorarle una spalla e le sue labbra poggiarsi sulle proprie.
Hermione chiuse gli occhi e li riaprì, scuotendo la testa e fuggendo via, lasciando dietro di sé solo il rumore dei tacchi alti che incontravano il pavimento, un profumo fin troppo noto alle narici di Draco e la consapevolezza che nessuno dei due aveva dimenticato.
Nessuno dei due poteva e voleva dimenticare.
Nonostante tutto.
Nonostante il tempo.
 
 
 
 
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Il motivo per cui il pesante volume di Storia della magia fosse finito con tanta forza sul capo di Scorpius Malfoy, fu ben presto molto chiaro all’intero corpo studentesco, intento a consumare la cena.
“Cosa diavolo ti è saltato in testa, razza di idiota?” urlò infuriata Rose, preparandosi a colpirlo di nuovo, se in risposta avesse ottenuto esattamente ciò che credeva.
Il giovane ragazzo riaprì gli occhi dopo aver accusato l’improvviso colpo e scattò in piedi lasciando cadere sul tavolo il calice, versando così l’intero contenuto del suo succo d’arancia. Si ritrovò a sovrastare di parecchi centimetri l’indomabile chioma rossa dell’unica ragazza in grado di fargli perdere il controllo. In tutti i sensi.
Portò la mano destra a massaggiarsi il punto dolente appena colpito e assottigliando gli occhi grigi li puntò in quelli di lei.
“Ti ha per caso dato di volta il cervello, Weasley?” domandò sorpreso e anche abbastanza infuriato.
“No, credo fermamente che tu sia un vero e completo idiota! Ne ho avuto le prove due secondi fa!” affermò, sollevando ancor di più il volume e cercando invano di portarlo sopra la testa del suo interlocutore.
Lui glielo sfilò facilmente dalle mani, prendendola alla sprovvista, e lo lanciò sul tavolo, incurante che atterrasse sui resti del suo pranzo.
Lo sguardo inorridito e indignato della ragazza fu immediatamente sostituito dalla maschera di orgoglio che aveva sempre indossato.
“Tu!” lo indicò, puntandogli l’indice destro al centro del petto. “Come ti sei permesso di votare contro alla mia ammissione al Club dei Duellanti?”
“Non fa per te, Rose. Fattene una ragione. Sei brava con gli incantesimi, ma l’ultima volta che hai provato a duellare con qualcuno sei finita a terra dopo neanche un minuto. Prepara pozioni e studia Storia della magia, non andare a puntare la tua bacchetta contro qualcuno che potrebbe farsi molto male. L’ho fatto per il tuo bene. Mi ringrazierai un giorno, fidati.”
Allontanò con un gesto secco il suo braccio e tornò a sedersi, dandole le spalle e lanciando un sguardo esasperato a suoi amici, che avevano assistito rapiti alla scenetta appena conclusasi. O meglio, così pensavano, perché se c’era una cosa che Rose aveva ripreso dalla madre, era proprio la testardaggine inaudita con cui sapeva impuntarsi su quello che voleva.
“Scorpius?” lo richiamò, addolcendo la voce e posandogli una mano sulla spalla destra e avvicinandosi al suo orecchio sinistro.
Un brivido percorse la sua spina dorsale appena avvertì il respiro un poco affannato di lei sulla pelle. Rimase con la forchetta a mezz’aria, il pezzo di arrosto a pochi centimetri delle labbra dischiuse e gli occhi sgranati.
“Non dimenticare che sono io a decidere le coppie per il ballo di Primavera. Ti ci vedo bene a scendere le scale con Elisabeth avvinghiata al tuo braccio.” soffiò perfida, stringendo la presa della sua mano che increspò la sottile stoffa della camicia bianca del biondo.
“Non oserai?” mormorò cercando di non strozzarsi e provando a darsi un contegno.
“Oh sì che oserei. Ma non succederà perché tu rivedrai la tua votazione stasera, alla riunione del comitato, giusto? Era un’ipotesi, così, giusto per parlare.”
“Si chiama ricatto, Weasley. Non è da te.” Le fece notare, girandosi di lato e mettendosi a cavalcioni sulla panca.
Il suo movimento la costrinse a rialzare il busto e tirarsi indietro per non scontrarsi con il suo viso.
“Si chiama ottenere quello che si desidera, Malfoy, e non sarai tu a impedirmelo. Né ora né mai.”
“Ad una condizione.”
“Come? Non sei nella posizione per dettare condizioni.” Gli ricordò, iniziando a temere ciò che le avrebbe proposto di lì a pochi istanti.
Si guardò attorno, notando che lo sguardo di molti studenti era puntato su di loro, anche se alcuni facevano finta di essere interessati ai loro piatti, sapeva benissimo che avevano le orecchie tese per captare qualsiasi cambiamento interessante avrebbe potuto prendere la loro discussione.
“Io potrei dover sopportare Elisabeth per una serata, tu dovresti rinunciare a far parte del Club dei duellanti per tutto il tempo in cui io farò parte del consiglio direttivo. Chi ci rimette di più, io o te?” le fece notare, con un sorriso soddisfatto stampato in volto.
“Sentiamo.” Lo incitò, stringendosi al petto il libro che lui le stava restituendo, incurante delle briciole che vi erano rimaste attaccate.
“Lascerai che sia io ad allenarti una volta a settimana. Ti insegnerò a duellare e a non farti del male da sola. Sei particolarmente dotata d’intelligenza e furbizia, ma sei maldestra quanto un gatto obeso che prova a fare le scale di corsa. In salita. Con un topo in bocca.”
Una risata generale si levò dalla tavolata serpeverde per contagiare poi anche tutte le altre.
“Come osi…?” iniziò la rossa, aprendo la bocca pronta ad esplodere.
“Rose? Che succede?” chiese una voce femminile alle sue spalle.
“Signora Weasley.” La salutò Scorpius, alzandosi e rimanendo di fronte alla ragazza, attendendo una risposta.
“Mamma, niente. Va tutto bene. Io e Scorpius prendevamo accordi su una questione.” Si giustificò, pulendo la copertina del suo libro.
“Quale questione?” domandò un’altra voce, stavolta maschile.
Ora sì che qualsiasi risata si era spenta. Come anche ogni tipo di rumore, forse anche i respiri erano trattenuti più del dovuto.
“Rose mi ha chiesto di aiutarla ad entrare nel Club dei Duellanti. Così le ho offerto di allenarsi con me.” Spiegò, allentando il nodo della cravatta.
“Mi sembra un’ottima idea.” Confermò Hermione, lanciando uno sguardo indecifrabile all’uomo sopraggiunto appena dopo di lei. “Mi sono arrivate voci sulla tua bravura. Sei contenta, tesoro?” le chiese, osservandola.
“Come una Pasqua. Grazie, mamma.” Rispose a denti stretti, arrossendo fino alla punta delle orecchie, e stringendo spasmodicamente le dita attorno al libro. “Signor Malfoy. Scorpius. Se volete scusarmi andrei a mangiare.” Concluse, fulminando il compagno, e facendogli capire che la questione non era affatto chiusa.
Anzi.
Era appena iniziata la guerra.
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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