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Autore: ilcielopiangequalchevolta    18/03/2016    2 recensioni
A volte, per ricominciare da capo e ammettere i propri sbagli, è necessario scappare per poi tornare indietro.
Sabrina Vacciello è una ragazza timida, abituata a contare esclusivamente sulle proprie forze e con un grande segreto sulle spalle. Ha una sublime conoscenza delle lingue e tanta voglia di viaggiare; comunque partire e abbandonare tutto è difficile, così si ritrova bloccata in Italia fino ai vent'anni. Un giorno una domanda la sprona ad allontanarsi dal suo paese per riscoprire sé stessa.
Proprio Sabrina si scontra con James Harrison, un ricco imprenditore dall'animo saccente. Quando l'amore si interpone prepotentemente sulla sua strada, egli deve solo farsi trasportare dalla magia di questo sentimento.
James vuole avvicinarsi a Sabrina, l’unica donna che riesce a fargli battere il cuore, però lei non è ancora pronta a lasciarsi il passato alle spalle e a gettarsi in quel turbine di emozioni quale è l’amore. O forse si?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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-CAPITOLO 2                    WHO IS JAMES HARRISON?

SABRINA’S POV
La domenica trascorse molto velocemente, come tutti i periodi feriali che si rispettino.  Dormii fino a mezzogiorno e pulii un poco, giusto per ammazzare il tempo. All’ora di pranzo mangiai con Alexis i soliti surgelati, dato che eravamo delle frane in cucina e sapevamo a mala pena mettere l’acqua in una pentola e guidarla fino al punto di ebollizione. La pasta, nonostante fossi italiana, non potevo farla a causa della mia incapacità in campo culinario.

Verso le due e mezza del pomeriggio andai al “Ryan’s New York” per provare alcune canzoni per gli spettacoli serali. Presi i mezzi pubblici e arrivai a destinazione circa per le tre e un quarto. Fortunatamente trovai il locale aperto, visto che il mio capo rimaneva sempre a sorvegliare le donne delle pulizie. Lui era un tipo aperto, gentile, premuroso e cordiale, però ripeteva spesso che era meglio prevenire anziché curare.

Ero contenta della piega che aveva preso la mia vita, malgrado i numerosi sacrifici che ero stata obbligata a compiere. Proprio io che avevo sempre messo la scuola davanti al resto, avevo buttato tutto all’aria una sera di Ottobre, segnando con l’inchiostro indelebile il mio futuro.

Danzai e cantai fino alle sei, quando decisi di tornare nel mio appartamento. Misi piede dentro il salotto, convinta di venir investita da quell’uragano scatenato quale era la mia migliore amica, invece non la trovai a spalmarsi qualche strana lozione sul viso per combattere le rughe.

Alexis rincasò solo verso le otto con due cartoni di pizza in mano e, non appena mi vide fissarla confusa, i suoi occhi si illuminarono e iniziò a parlare come una macchinetta impazzita e fuori controllo:                    
 -Oh mio Dio, tesoro! Non sai cosa mi è successo! Io non ci credo, ma ti rendi conto?- urlò trasognante chiudendosi, con un tonfo violento, la porta alle spalle. Gettò le chiavi nel vaso vicino l’ingresso, correndo a poggiare la nostra cena sul tavolo e catapultandosi di nuovo nell’atrio per togliere il giubbotto.
-Lexy…- provai a fermarla, frugando  negli scaffali delle credenze per trovare una tovaglia, tuttavia non mi diede ascolto e mi sovrastò con la sua voce squillante.
- No! C’è un spiegazione. Certo, è impossibile...- continuò imperterrita, appendendo la sua pelliccia all’attacca-panni e sgattaiolando da me ad una velocità impressionante. Mi racchiuse le mani nelle sue, proprio mentre stendevo il telo.
- Lexy…- ritentai una seconda volta, invano. Mi fermò, ponendo un suo indice sulle mie labbra e scuotendo la nuca a destra e sinistra in segno di diniego. La trafissi con uno sguardo truce e lei, forse intimidita, mi lasciò andare le dita, senza smettere di sparare parole a vanvera.
- Ma, si…ovvio! C’è una Candid Camera...certo, certo ...- tartagliò, annuendo da sola alle sue stesse affermazioni e saltellando nella cucina come un grilletto impazzito.
-ALEXISSSSSSS…- gridai quando, nel suo balletto improvvisato, pestò un paio delle mie scarpe preferite. -Zitta e spiegami cosa ti è successo, con calma.- conclusi, abbassando il tono e cercando di apparecchiare la tavola. Mi regalò un sorriso dispiaciuto e si accomodò di fronte a me.
- Ok, scusa. Allora: sono andata in pizzeria, perché non ce la facevo più a mangiare surgelati su surgelati.- gesticolò e si mosse irrequieta, facendo scricchiolare in protesta la sedia sulla quale era spaparanzata. -Andando verso la pizzeria, dietro l’angolo, un cretino mi è venuto addosso e mi ha fatto cadere il cellulare. Pensa che non si è neanche scusato! Comunque stavo per raccogliere il telefono, ma sono stata preceduta da un ragazzo alto, moro, con gli occhi celesti…Insomma la reincarnazione di un Dio! – proseguì, balzando di nuovo in piedi e piroettando mentre batteva i palmi, incapace di stare ferma per la troppa euforia che provava. Risi a quella vista, rimproverandomi di non avere un telefono a portata di mano con cui riprenderla. -L’ho ringraziato e mi ha chiesto: “Cosa ci fa una bella ragazza come te tutta sola in giro per New York a quest’ ora?”. Mi ha invitata a fare una passeggiata, poi ci siamo salutati e scambiati i numeri di telefono…- finì la sua brillante spiegazione con un gridolino isterico e la sua bocca si incurvò in una tenue linea allegra.
- Tesoro, scusami... almeno sai come si chiama?- domandai piano, pentendomene subito dopo. Non avrei mai voluto smorzare il suo entusiasmo, però non volevo neanche che manipolasse la realtà e si illudesse.
-Certo, che sbadata! Non te l’ho detto...Si chiama Kevin, Kevin Harrison! –

Chiacchierammo tutta la notte nel mio letto tra risate e vaneggiamenti di Lexy sul suo latin lover. Ci ritrovammo, quindi, quel lunedì mattina alle nove in punto, dinanzi ad altro fatidico giorno di lavoro.

 Nel primo pomeriggio stavo pulendo il bancone con una pezza bianca, quando la mia migliore amica mi affiancò con passo felpato, tanto che non la sentii e sobbalzai colta alla sprovvista.
-Brina, a ore dodici!- mi sussurrò all’orecchio, fingendo di sistemare alcuni bicchieri già perfettamente in ordine.
-Eh?- chiesi, credendo di aver capito male. Aggrottai  le sopracciglia, mi girai verso di lei e smisi per un secondo di strofinare il panno sul legno.
-Ho detto: a ore dodici.- ripeté, guardandomi e distraendosi. Fece cadere nel lavello due bicchieri e si scansò per riflesso, schiacciandomi un piede. Trattenni un grido di frustrazione e la scansai in malo modo.  
-Alexis, la smetti di parlare come in “Mission Impossible” e mi spieghi cosa vuoi dire, per favore?!- affermai nervosa, dandole una spallata ed assicurandomi che i vetri non si fossero né rotti né scheggiati. Dopo un giorno faticoso non avevo voglia di mettermi a risolvere gli indovinelli privi di senso nati dalla sua mente bacata e seguirla passo, passo per evitare che combinasse disastri!
-Uffa, quanto sei noiosa…comunque guarda il tipo seduto a quel tavolo.- mi spronò, indicando con un indice un punto preciso. Sbuffai innervosita e arpionai la sua mano, invitandola ad abbassarla. Alexis non era di certo nota per la sua discrezione. -Tesoro, tu sei una bellissima ragazza che lavora in questo locale, single. Lui è un bellissimo ragazzo nostro cliente e magari ,se Dio ci assiste, è anche single…- spiegò lapidaria, poggiando i palmi sulle mie guance e costringendomi a puntare le mie pupille nelle sue. –Quindi, perché adesso non vai a prendere la sua ordinazione e ci scambi due chiacchere?- concluse con un sorrisetto irritante stampato in faccia.
Avvampai immediatamente, boccheggiando in cerca d’aria. Per me non era facile interagire con individui maschili a causa delle mie insicurezze, se poi Lexy mi opprimeva in tal modo diventava impossibile. Mi voltai di scatto per scrutare l’uomo e notai che era un pezzo di manzo niente male. Avvertii il battito del mio cuore rimbombarmi nel cervello ed una sensazione assai familiare, simile ad un fuoco che nasceva dalle mie membra, alimentarsi per arrivare pian piano fino in gola. Mi stavo agitando per nulla, tuttavia non riuscivo a fermarmi.
Alexis mi osservava tranquilla, come se non si fosse minimamente accorta del rossore che mi aveva inondato le gote e del tremolio che mi faceva vibrare le dita.
-Cosa? No, no, no…Alexis zitta e tu…- mi indicò Ryan, comparso magicamente alle nostre spalle. Ci fece sussultare come due molle ed emettere degli starnazzi poco femminili. - …sta ferma qui… quello seduto a quel tavolo è James Harrison!- bisbigliò e faticai a comprendere ciò che disse.
-Chi è James Harrison?- chiese lei, non preoccupandosi di non attirare l’attenzione del diretto interessato. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, quello di Ryan avrebbe disintegrato Lexy.
-James Harrison è uno dei più potenti imprenditori di New York, direttore del azienda “Harrison’s industriers”, ergo vedete di non farlo scappare.- ordinò candidamente il nostro capo, spostando tutto il peso del suo corpo su di una gamba sola e poggiando le mani sui fianchi.
-Oh, Ryan, è un piacere sapere che tu confidi in me…- risposi sarcastica, alzando gli occhi al cielo e dandogli un pugno lieve sulla clavicola.
-Dai…troviamo un fidanzato a Sabrina!- piagnucolò Alexis peggio di una bambina invadente, sporgendo il labbro inferiore per impietosirci.
-Io sto bene anche da sola!- strepitai, cercando un poco di sostegno nel volto del mio amico. Lui non riuscì neanche a trattenersi dalle risate e si scambiò uno sguardo eloquente con la ragazza affianco a lui.  
-Certo, certo…dicono tutti così.- affermò stizzita, tartagliando parole sconnesse che mi rifiutai di ascoltare.
-L’ordinazione del signor Harrison la prenderò io personalmente.- concluse Ryan, sollecitandoci a riprendere le nostre normali attività quotidiane.
Scrutai ancora un po’ quel tizio, stando bene attenta a non farmi beccare con le dita nella marmellata. Era davvero molto bello, dovevo ammettere che Alexis non aveva tutti i torti.

 JAMES’POV
Il lunedì era un giorno veramente stressante. Riprendersi dal clamore, dalla vivacità, dalle cretinate del fine settimana risultava dura per chiunque, figuriamoci per me! Essere alla ditta ad un orario decente, quando la sera prima avevo scherzato e fatto mattina, mi prosciugava di tutte le mie energie. Il suono della sveglia era snervante, rimpiangevo quasi le urla di mia madre.

Molte persone pensavano che fossi un riccone spocchioso, figlio di papà, che non sapeva cosa volesse dire spaccarsi la schiena dopo ore ed ore di fatica. Forse non ero un operaio e non svolgevo lavori manuali, però io avrei sfidato quella gente a farsi carico di un impegno del genere a soli ventidue anni e dividersi in quattro per evitare imprevisti, come avevo fatto io.

La Harrison’s Industries era stata dal mio bis nonno molto tempo addietro. Non era nei piani della nostra famiglia mettermi a capo di tale impero a questa tenera età, ciò nonostante il fato decise per noi. Un’orribile malattia colpì mio padre che ci lasciò ed io preferii mettere da parte per un secondo i miei voleri per renderlo orgoglioso di me.

Dopo aver trascorso un po’ di tempo in un bar ed essermi risalassato, tornai nella mia villa. Il caffè mi era piaciuto e il personale del “Ryan’s New York” era cortese e simpatico, così decisi di tornarci nell’indomani. 
NOTE DELL'AUTRICE

Eccomi qui! Ammetto che questa volta ci ho impiegato veramente tanto per aggiornare, ma tra lo studio ed il resto non ho avuto un attimo di tempo. Comunque spero di non metterci mai più così tanto e di regalarvi il prossimo capitolo a breve. Spero che la storia vi piaccia, anche se  deve ancora entrare nella vera vita dei due protagonisti. In questo capitolo conosciamo per la prima volta il protagonista maschile, James. Mi auguro che vi piaccia con l'avanzare della storia. Piuttosto, il suo attore è Ian Somerhalder. Che ne pensate? E' davvero un gran pezzo di manzo e mi sembrava appropriato per il ruolo. Ammetto di aver impiegato tantissimo tempo per sceglierlo, ma alla fine ha vinto lui! Fatemi sapere cosa ne pensate.

Alla prossima spero!

Ciao SS.
   
 
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