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Autore: Manu75    20/03/2016    2 recensioni
"…e tu, femmina dai capelli chiari e dagli occhi freddi e algidi, nel tuo orgoglio soccomberai…prigioniera in una cella di ghiaccio, né calore, né gioia, né amore…tutti voi sarete condannati…io vi maledico! Black, da questa sera, vorrà dire disgrazia e sofferenza e prigionia…e morte! Così è stato detto, che così accada!"
Quando il dovere e l'orgoglio ti spingono contro il tuo cuore, quando una maledizione incombe con tutto il suo potere, quando i sentimenti infuriano nel petto senza poterli placare, il destino sembra solo una gelida trappola. Narcissa Black lo sa bene.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evan Rosier, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Severus Piton, Sorelle Black | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Severus/Narcissa, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Più contesti
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Come sempre grazie a chi legge questa fan fiction e, in particolare, a chi ha recensito: LostHope 92 ed EcateC! Vista l'ora potrei aver revisionato male questo capitolo...non mi stupirei, già sono distratta di mio figuriamoci a notte fonda (notte fonda per me che la movida non so nemmeno più cosa sia...), nel caso provvederò a sistemare nei prossimi giorni e nel caso perdonatemi! Buona lettura!


 

“Un gelido destino”

 

Quarantaduesimo capitolo

 

Regalo di compleanno (prima parte)


Ottery St. Catchpole era un ridente villaggio situato nel sud ovest dell’Inghilterra, nella contea del Devon, e si sviluppava in tre fasce distinte ma continuative: una parte magica, una parte babbana e, nel mezzo, un parte dove vivevano coloro che avevano legami con entrambi quei mondi.
La zona esclusivamente magica era situata a ridosso di un’area collinare, più lontana dal bosco e più defilata rispetto alle altre, era anche la parte a minor densità di popolazione e contava, infatti, poche abitazioni situate piuttosto distanti le une dalle altre.
La zona diaframma, quella dove vi risiedevano sia maghi che non maghi, stava in una leggera conca circondata da zone boschive, era attraversata da una lunga strada sulla quale si affacciavano molte case dall’aspetto abbastanza comune amalgamate ad altre dalle fattezze più bizzarre.
L’insieme di quella mescolanza regalava a quella parte del paese un colpo d’occhio assai pittoresco ed accogliente.
La sera del venticinque agosto millenovecentosettanta*, quando il cambio data era ormai prossimo, la maggior parte delle abitazioni avevano ancora le luci accese e le finestre erano aperte cercando di lasciar filtrare un pò d’aria fresca, le strade erano deserte ma la vita e la presenza umana erano palpabili ovunque.
Vista dai margini del bosco, nel punto esatto dove il terreno si incurvava dolcemente risalendo verso l’infittirsi della selva o si srotolava verso il villaggio senza mai tramutarsi in più che un dolce declivio, quella conca illuminata pareva quasi un piccolo pezzo di cielo stellato poggiato in terra.
“Molto poetico” pensò tra sé e sé, con una smorfia di disprezzo, Lucius Malfoy.
L’uomo se ne stava addossato ad un albero, le braccia conserte, le gambe incrociate in una posa rilassata, indossava un lungo mantello nero dotato di un cappuccio, il volto era coperto in parte da un’inquietante maschera d’argento che ne celava le fattezze, rendendolo irriconoscibile ai più.
- Stanno diventando nervosi e impazienti qui dietro- gli disse una voce maschile scuotendolo dalla sua osservazione.
- Per quanto mi riguarda, se non sanno come occupare il loro tempo, possono anche massacrarsi a vicenda. Ci muoveremo allo scattare della mezzanotte e non un minuto prima, non per ordine mio ma per ordine dell’Oscuro Signore - Lucius si voltò per guardare negli occhi Evan Rosier - ciò non toglie che se qualcuno osa muoversi anche un secondo prima se la vedrà con me -
- Andiamo Lu-Lu - gli disse l’altro ragazzo, che aveva il viso scoperto e madido di sudore - qui si crepa di caldo, c’è una dannatissima umidità, le zanzare ci stanno succhiando anche l’anima, peggio dei Dissennatori...come diamine riesci a restare impassibile e composto, razza di uomo-ghiaccio!-
- Riesco perché voglio, molto semplice Evan! - Lucius studiò con attenzione il viso del suo amico - per quanto faccia caldo mi sembri comunque troppo sudato, sei certo di star bene?...sei bianco come un cencio, sicuro che sia tutto a posto?-
Evan si asciugò la fronte con la manica della sua camicia nera, il suo mantello era posato per terra poco distante insieme ai guanti, altrettanto neri, e alla maschera argentata.
Gli occhi scuri avevano uno scintillio febbrile e i capelli gli si erano incollati al collo a causa dell’eccessiva sudorazione.
- M-ma si, certo!- rispose, cercando di parlare lentamente e non incespicare nelle parole- è solo che la presenza di quell’essere sta davvero creando una certa agitazione in tutto il gruppo…- e gettò uno sguardo alle proprie spalle dove altre persone, una ventina in tutto, stavano in attesa, tutte indossando un lungo mantello nero con il cappuccio alzato e una maschera d’argento a celarne il più possibile le fattezze senza intralciarli troppo in eventuali azioni movimentate.
Solo una figura non indossava la maschera ma solo il mantello, tra l’altro nemmeno integro ma stracciato in più punti.
L’essere non sembrava umano, ma una sorta di creatura antropomorfa generata da qualche incubo: il volto aveva tratti animaleschi ed era segnato da numerose cicatrici che potevano sembrare graffi di una qualche bestia selvaggia, il naso schiacciato gli conferiva un aspetto violento e la bocca era larga e lasciava intravedere dei denti orribilmente appuntiti e frastagliati, la folta peluria che gli copriva la mascella forte e squadrata si univa alla specie di criniera che aveva al posto dei capelli in modo continuativo.
La corporatura era massiccia, il torace era ampio e muscoloso in modo innaturale, le spalle e le braccia erano possenti, le mani tozze e pelose avevano , al posto delle unghie, dei corti e spessi artigli.
L’essere stava osservando con cupidigia l’unica donna presente nel gruppo, emettendo dei versi sinistri.
Lucius strinse gli occhi, disgustato.
- Capisco perfettamente - disse, rivolto ad Evan - Fenrir Greyback non piace nemmeno a me ma l’Oscuro Signore lo vuole con noi, ci tiene che questa notte sia davvero indimenticabile. Quindi dì agli altri di sopportare e di guardarsi le spalle…-
Evan fece un gesto rassegnato e si voltò per andarsene ma Lucius lo fermò, trattenendolo per un braccio.
- Sei certo che vada tutto bene e di essere in grado di fare il tuo dovere? Hai bevuto? -
- Oh, il mio dolce Lu-Lu è in pena per me?- gli rispose l’altro ragazzo, sorridendo - o, forse, il grande Signor Malfoy ha paura che questo fallito possa rovinargli l’esordio, la sera della prima?- il sorriso si tramutò in una smorfia sarcastica.
Lucius strinse gli occhi e le labbra e combatté con la voglia di sbattere la testa del suo amico contro un albero e tramortirlo.
Dopo qualche secondo di lotta interiore, fece scivolare la mano in tasca e ne estrasse due collane fatte con dei lacci di cuoio a cui erano appese delle pietre ambrate.
- Questa - disse porgendogliene una - farà si che Greyback non si avvicini più di tanto, la pietra è un amuleto che funge da repellente. Ovviamente, se fossimo in una notte di Luna Piena, non servirebbero a un bel niente! Fenrir ce le strapperebbe di dosso, ci farebbe a pezzi e poi ce le ficcherebbe dove sai...ma visto che la Luna piena non c’è…-
Evan fissò la collana e poi lanciò uno sguardo torvo al suo amico.
- Sei stato da Kerry?- gli chiese, con voce fredda e indifferente.
- Si- ammise Lucius, tranquillo - ti crea qualche problema?-
Evan si strinse nelle spalle e prese la collana, mettendosela al collo ,mentre Lucius faceva altrettanto, poi porse la mano verso l’altro ragazzo in attesa.
- Cosa vuoi?- gli chiese il giovane Malfoy,
- Dammi quella per Bella - gli disse, la voce era atona.
- Ne ho solo due, mi dispiace. Ho pensato solo a chi mi interessa - disse Lucius con una smorfia - e lei non mi interessa, quindi…-
Il volto di Evan si fece cupo e pericoloso.
- Stai attento Lu-Lu, perché cominci a seccarmi- gli disse con la voce vibrante di rabbia - potrei anche decidere che non ho più voglia di sentirmi fare le paternali da un moccioso più giovane di me e potrei anche valutare di farti fuori, strappare la collana dal tuo bel collo aristocratico e darla alla mia donna -
Si fissarono per qualche istante, Lucius non fece una piega ma infilò la mano in tasca ed estrasse una terza collana, facendola dondolare sotto il naso del suo amico.
- Cosa non si fa per un paio di begli occhi e per due gambe accoglienti, non è vero Evan?- gli chiese, sarcastico.
Il ragazzo prese la collana e si allontanò senza aggiungere null’altro.
Lucius fece uno smorfia “cosa diamine ci sarà di tanto bello nel mio collo, poi…” infilò nuovamente la mano in tasca, estrasse una piccola e particolare clessidra che aveva tre coni che confluivano in uno più grande, e vide che mancava un minuto alla mezzanotte.
Si avvicinò al gruppo, tutti si voltarono verso di lui, in attesa.
- Il momento è giunto!- disse Lucius, con la sua voce chiara e fredda - da questa notte ci paleseremo, porteremo il messaggio del nostro Signore in modo che nessuno possa più ignorarlo.- fece una pausa e i suoi occhi si posarono sul volto violento del Lupo Mannaro - Fenrir, strazia e uccidi…- l’essere cominciò a sbavare - ma se ti vedo alzare un artiglio su uno dei tuoi compagni ti garantisco che farò in modo che tu possa mangiare solo dei tiepidi brodini da qui all’eternità e senza avvalerti delle mani, che non avrai più...sono stato sufficientemente chiaro?-
Greyback gli lanciò uno sguardo carico d’odio - Malfoy…- ringhiò tra le zanne putride, sfoderando una voce bassa e terrificante - arriverà il giorno in cui aprirò quella tua testa aristocratica come se fosse un uovo di quaglia e ci sputerò dentro, dopo averti mangiato quegli occhi e quella lingua…ma stasera io avrò il mio banchetto e di voi non so che farmene!-
Lucius fece una smorfia disgustata e poi si rivolse nuovamente a tutto il gruppo.
- Indossate le maschere, alzate i cappucci e sfoderate le bacchette, perché la devastazione ha inizio...ora!- e, puntata la bacchetta verso il villaggio, causò un’esplosione proprio al centro della via principale con un rumore assordante.
I Mangiamorte si smaterializzarono per poi materializzarsi in mezzo alle case degli ignari abitanti del paese, alcuni dei quali si erano affacciati alle finestre o erano scesi in strada per capire cosa fosse accaduto e avesse causato quel fragore.
Un secondo dopo le esplosioni si susseguirono con una rapidità spaventosa e la confusione si fece indescrivibile, decine di persone si riversarono in mezzo alle strade, finendo dritte tra le braccia dei Mangiamorte o tra le fauci di Fenrir Greyback.
Incendi spiccarono un pò ovunque, specialmente nelle case più a ridosso della strada centrale ma il fragore delle esplosioni andava spostandosi anche verso le zone più decentrate, con un effetto domino di urla, fiamme, vetri infranti.
- Colpite rapidi!- urlò Lucius ai Mangiamorte più vicini - tutto deve finire nei tempi stabiliti! Avanti!-
Mezz’ora, al massimo quaranta minuti, quello era il tempo calcolato contando l’effetto sorpresa, il riorganizzarsi della gente del villaggio, i tempi di comunicazione con le zone magiche isolate del paese e, soprattutto, l’arrivo degli Auror e dei rinforzi.
In giro per le strade del paese si sentivano urla e richiami, persone cercavano i loro cari e correvano, spesso incontro alla morte.
Dolohov e Mc Nair, due dei seguaci del Signore Oscuro che lo accompagnavano da più tempo, agivano senza esitazione alcuna e, muovendosi in sincrono ai lati della stessa strada, colpivano chiunque si parasse loro davanti e, contemporaneamente, incendiavano qualunque cosa vedessero, come una perfetta mitragliatrice della morte, mietendo vittime.
Ad un certo punto la gente del villaggio sembrò capire e, mentre i non maghi cercavano riparo o tentavano di prestare i primi soccorsi ai feriti, coloro che possedevano una bacchetta l’impugnarono e si mossero per rispondere a quell’attacco devastante.
Bellatrix si sentiva viva.
Le urla, il terrore, le lingue di fuoco sempre più alte, tutto ciò le causava brividi di piacere lungo la schiena, sentiva il cuore pulsare veloce e violento nel suo petto e ondate di calore sommergerla facendola ardere e bramare che non finisse mai.
Finalmente poteva sfogare tutto ciò che aveva dentro, poteva servire il suo Signore, compiacerlo davvero e fino in fondo, essergli vicina come lui desiderava e lei solo quello voleva: essere sua in tutto e per tutto.
Aveva schiantato almeno cinque persone, aveva distrutto qualsiasi cosa le fosse capitata sotto tiro, aveva scagliato la maledizione Cruciatus su un uomo che le aveva chiesto pietà per sé e per suo figlio, troppo tardi,  il ragazzo era finito nelle grinfie di Fenrir e per lui c’era stato poco da fare.
Quando l’essere aveva finito con la sua vittima si era voltato verso di lei e l’aveva annusata a distanza ma si era limitato ad emettere una sorta di basso ringhio ed era sparito in cerca di altre prede.
“Dopotutto questo coso funziona!” aveva pensato Bella, sfiorando la collana che Evan le aveva dato, e poi si era spostata verso le case più defilate del paese, non c’era più molto tempo per divertirsi e lei sentiva che le mancava ancora la cosa più piacevole da fare: togliere la vita a qualcuno in nome della grandezza dell’Oscuro Signore.
Euforica puntò la bacchetta verso la porta di una casa leggermente decentrata, facendola letteralmente saltar via dai cardini e poi entrò, avanzando rapidamente alla ricerca di qualcuno su cui infierire.
Anelava terrore, desiderava poter riversare tutto l’odio che sentiva pulsare nelle sue vene, tutto ciò che sentiva di aver subìto negli ultimi anni e tutto quello che l’aspettava per gli anni avvenire, su un essere vivo ed inerme. Voleva qualcuno alla propria mercé e il cui destino fosse nelle sue mani, la cui sorte fosse decisa dal suo umore.
La casa sembrava disabitata.
La donna si fece più guardinga e rallentò il passo, muovendosi silenziosa come un gatto, ad un certo punto si affacciò su quella che doveva essere la cucina e vide che l’acqua del lavello era aperta e scorreva, il pavimento era bagnato e un piatto giaceva infranto ai piedi del tavolo, una sedia era rovesciata, come se qualcuno si fosse alzato di scatto, e la finestra era aperta.
“Che squallida e lurida casa babbana!” pensò disgustata, osservando però, con profondo interesse, ogni particolare di quella stanza.
Gli occhi le caddero sul frigorifero dove erano attaccati dei disegni  chiaramente tratteggiati da una mano infantile.
In un angolo della stanza c’erano dei giocattoli posati per terra: una carrozzina in miniatura, delle costruzioni di legno, fogli e matite.
Ad un certo punto sentì uno scricchiolio poco lontano e Bella strinse gli occhi e, impugnando meglio la bacchetta, si mosse fuori dalla stanza e lungo il corridoio.
Con un movimento fluido si smaterializzò e poi si materializzò nella stanza più lontana, il lieve ‘crack!’ della sua comparsa fece sussultare la persona che vi si trovava dentro.
Bellatrix rimase un attimo spiazzata vedendo che si trattava di una bambina di circa quattro anni che la guardava con gli occhi chiari spalancati e pieni di terrore.
La bimba indossava una camicina da notte rosa con le maniche a sbuffo e tanti fiocchetti applicati qua e la senza una logica precisa ma che davano un’aria allegra all’indumento, i capelli erano stretti in due corti codini boccolosi.
Sembrava uscita da una di quelle favole che piacevano tanto a Narcissa quando era bambina e che lei aveva dovuto leggerle e rileggerle infinite volte.
- Sei tutta sola, tesoro?- le chiese la donna, avvicinandosi lentamente a lei, che andò a rintanarsi in un angolo più lontano.
Le codine della bimba sembravano aver cambiato colore, non erano più castane ma parevano quasi azzurre con la luce della Luna che filtrava dalla finestra, la donna si chiese se fosse solo un’illusione - Lo sai che è buona educazione rispondere quando qualcuno ti fa una domanda?- le sibilò Bella, lisciando la sua bacchetta.
All’improvviso qualcosa la colpì alle spalle, facendola vacillare in avanti e perdere l’equilibrio, costringendola a chinarsi e posare la mano che impugnava la bacchetta per terra.
- E a te non hanno insegnato che non si entra nelle case altrui senza permesso?- le disse una voce maschile, e l’uomo si allungò per cercare di strapparle la bacchetta e, contemporaneamente, urlò alla bambina - Scappa, scappa dove sai! Ti raggiungo, scappa ho detto!-
La bimba ebbe un singulto disperato e poi si precipitò fuori dalla stanza, sparendo dalla loro vista e scontrandosi con qualcuno che stava arrivando in quel momento, ma riuscendo comunque a scappare.
-Ehi!- esclamò il nuovo arrivato, facendo un movimento poco convinto per cercare di fermare la bambina e facendo voltare di scatto l’uomo che aveva colpito Bellatrix e ingaggiato una lotta con lei, distraendolo.
Evan dalla soglia realizzò ciò che stava accadendo e, con un unico movimento della bacchetta, fece volare l’uomo che aveva aggredito Bella contro il muro, stordendolo per il gran colpo.
Poi si avvicinò alla donna e l’aiutò a rialzarsi.
- Tutto ok?- le chiese con sollecitudine.
- S-si...grazie…- sibilò lei, furiosa di essersi fatta giocare da un babbano.
Evan allora rivolse di nuovo la sua attenzione all’uomo, che in realtà non era molto più vecchio di lui e non poteva avere ancora trent’anni, che giaceva a terra incapace di rialzarsi dopo la gran botta subita.
- Bene - gli disse, la voce solitamente ridente era gelida, gli occhi nocciola non avevano alcuna traccia di calore, la bocca era storta in una smorfia crudele - direi che tu debba chiedere scusa alla signora qui presente…- e, così dicendo, fece un fluido movimento con il polso, muovendo la bacchetta, e inchiodò al muro l’altro uomo, sollevandolo da terra come se delle mani invisibili gli stessero stringendo il collo.
L’uomo scalciò, spalancando gli occhi chiari e cercando di liberarsi da quella presa d’acciaio - N-non vedo n-nessuna s-signora…- ebbe il fiato di dire, prima di emettere dei rantoli disperati per risucchiare un pò dell’aria che cominciava a mancargli.
Evan non mollò, anzi sorrise con una sorta di sadico piacere - Ma guarda, un giovanotto coraggioso e audace! Vediamo quanto riesco a divertirmi con te!-  la sua bocca sorrideva ma la sua voce era fredda e crudele, poi si rivolse a Bella - Tu va, cerca la mocciosa...io ti raggiungo, abbiamo ancora poco tempo…-
La donna annuì e, dopo aver sputato in faccia all’uomo che, sentendo quelle parole, aveva preso ad agitarsi maggiormente, lasciò la stanza.
- Allora, come preferisci crepare?- gli chiese Evan - soffocare è brutto ma forse non è brutto abbastanza…- e mosse lievemente la bacchetta così che il babbano fu catapultato contro l’altro muro con una forza inaudita. Evan mosse ancora la mano e la sua vittima fu sbalzata un’altra volta contro la parete davanti a lui che ruotò la bacchetta e lo fece mettere a testa in giù continuando, contemporaneamente, a stringergli la gola.
L’uomo divenne paonazzo e gli occhi chiari sembrarono schizzargli fuori dalle orbite.
- Potrei lasciarti a testa in giù e osservarti mentre tutto il sangue di defluisce nel cervello…- considerò Evan con aria interessata ma poi ruotò nuovamente la mano e rimise il babbano a testa in su, seguitando a manovrarlo come se fosse una grande marionetta.
- Buon per te che ho poco tempo, quindi non posso giocare quanto vorrei...non soffrirai quanto meriteresti…- nonostante il tono fosse freddo e controllato, il volto di Evan diventò improvvisamente madido di sudore.
“Maledizione, maledizione!” pensò, con la mente che andava annebbiandosi gradatamente, così come una palude all’insorgere del crepuscolo.
Non c’era modo di fermare quella cosa e lui lo sapeva...la presa sulla bacchetta andava affievolendosi mentre, con suo sommo sgomento, capiva che le sue mani stavano tremando sempre di più.
Il sudore scendeva copioso tra le scapole e lungo tutto il corpo e sentiva un ronzio alle orecchie, le gambe avevano degli spasmi incontrollati.
“Oh, no!” pensò  Evan, pieno di una rabbia quasi folle, sentendo che la bacchetta minacciava di cadergli.
Di contro, l’altro uomo sentì di poter respirare di nuovo e che la presa invisibile sul suo collo si stava allentando, facendolo scivolare giù verso il pavimento, cercò allora di posare i piedi per terra e di scuotersi da quella morsa.
- Non ci pensare!- sibilò Evan, con una voce rabbiosa e irriconoscibile e una profonda ferita si aprì sul torace del babbano, strappandogli un lungo gemito di dolore.
-Aahhhh!- l’urlo del Mangiamorte risuonò nella stanza, mentre si prendeva la testa tra le mani in  preda a chissà quali tormenti, iniziò ad agitare la bacchetta con rabbia e una ferita poco profonda si aprì sulla fronte e poi sulla guancia del malcapitato che cercava di schivare quei tagli non sapendo nemmeno lui come.
Un ultimo colpo gli stacco di netto una ciocca di capelli castani e un pezzo d’orecchio e, subito dopo, l’uomo  atterrò sul pavimento senza forze, risucchiando aria a pieni polmoni, anche se sentiva un dolore lancinante alla gola ad ogni respiro. Il sangue che gli colava dalla fronte lo rendeva quasi cieco, bruciandogli gli occhi e scorrendo a terra, la ferita sul petto sembrava in fiamme.
Evan, intanto, non si rendeva quasi più conto di dove fosse, il volto era madido di sudore e la maschera rischiava di cadergli mentre lui cercava di combattere contro il desiderio di strapparsela di dosso. I tremori alla mano erano ormai fuori controllo, le gambe minacciavano di non reggerlo e i capelli e gli abiti erano fradici.
Come una bestia impazzita rinchiusa in una gabbia, prese  a muoversi senza controllo, girando intorno e cercando l’uscita, verso la quale si precipitò anelando di essere all’aria aperta.
L’altro uomo tossì violentemente, incredulo di essere ancora vivo, con un’urgenza terribile di alzarsi e correre in cerca di sua figlia, la sua bambina, e l’impossibilità di farlo perché le gambe non rispondevano e quasi non riusciva a tenere gli occhi aperti per il dolore e il sangue che si stava rapprendendo sul volto.
All’improvviso si sentì cingere da due braccia amorevoli e venne sollevato con sollecitudine, una voce femminile lo stava chiamando con urgenza.
- V-va…- riuscì a gracchiare con una voce che non era la sua - l-la seguono...è scappata dove sa…- tossì gemendo.
La donna emise un singulto di terrore ma non se lo fece ripetere due volte e scappò di corsa, lasciando l’uomo senza voltarsi, così come avevano concordato infinite volte se mai ce ne fosse stato bisogno: prima veniva la loro bambina.

 

Lucius si muoveva rapido tra le fila di case, il mantello che sventolava sulle sue spalle, al suo passaggio le finestre esplodevano e le porte saltavano in aria, molti cespugli prendevano fuoco e le aiuole ben curate venivano ingoiate dalle fiamme.
Evidentemente quella zona si era già svuotata, stavano facendo un buon lavoro e sentiva urla, pianti, declamare incantesimi e schiocchi di smaterializzazioni.
Sentiva anche i versi di Fenrir Greyback ma preferiva non pensarci, camminando svelto con la collana d’ambra che ciondolava sul suo petto ad ogni passo.
Le indicazioni che aveva ricevuto erano chiare e sapeva dove andare, doveva essere svelto e agire rapido, perché non voleva perdere tempo e il segnale per la fine di tutto doveva partire da lui, inoltre, presto sarebbero arrivati i soccorsi per il villaggio e gli Auror e, quindi, sarebbe scattato il gran finale. Il finale di quella prima battaglia.
All’improvviso la vide, la casa che cercava, più defilata rispetto alle altre e ormai, probabilmente, vuota ma doveva tentare: una promessa era una promessa.
Inoltre, ammise a sé stesso, lo faceva anche per un suo ritorno personale.
Stava avvicinandosi quando vide qualcosa che lo bloccò sul posto, vide Evan uscire come una furia proprio da quella casa, e scappare verso il centro del paese e, in un attimo, capì che il suo amico stava male e non sembrava in grado di badare a sé stesso.
“Maledetto idiota! Lo sapevo!” inveì dentro di sé, perché sapeva anche che, se non ci avessero pensato gli Auror o magari Fenrir, sarebbe stato lo stesso Signore Oscuro a porre fine alla vita di Evan se si fosse comportato come uno sconsiderato e avesse compromesso anche un solo particolare di quella notte.
Lucius si mosse dietro al suo amico per inseguirlo e raggiungerlo, imprecando senza fine, ma poi udì la voce di Bellatrix, provenire dal vicolo sul retro della casa, e ciò che la sentì dire lo immobilizzò facendolo imprecare in modo ancora  più sentito e volgare e montare una rabbia incandescente in corpo.
Lasciò perdere Evan e, furioso, si mosse nella direzione opposta maledicendo una volta di più il momento in cui aveva fatto quella dannata promessa.


Bellatrix aveva seguito le tracce della mocciosa fin troppo facilmente e ora cercava semplicemente di stanarla, mancava poco al rendez-vous ma lei voleva togliersi la soddisfazione di restare per sempre l’incubo peggiore di quella marmocchia, di stampare a fuoco la sua faccia nella mente di quella bimba innocente.
- Su- esclamò, con voce sollecita e resa più acuta dall’eccitazione per quel gioco perverso - vieni fuori, tesoro! Non voglio farti del male...voglio solo portarti in un luogo sicuro. Coraggio bambina - proseguì, seguitando a cercarla con lo sguardo - non penserai che io voglia farti del male? E’ questa maschera che ti fa tanta paura?- chiese alla bimba che di certo era nascosta li vicino, tra quei mucchi di bidoni dietro la sua casa, e l’ascoltava - ecco, me la tolgo! Vedi? Mi sono tolta questa brutta maschera e ora puoi vedere che sono solo una donna che vuole aiutarti…e riportarti dal tuo papà!-
Improvvisamente si sentì un fruscìo e Bella fu certa della vittoria ma, invece di veder comparire al suo cospetto una bambina impaurita, sentì la lieve pressione di una bacchetta puntata contro il suo collo.
- Non uscirà mai, mia figlia non è una stupida! Adesso voltati e fa vedere a me la tua faccia, se ne hai il coraggio…-
Quella voce fece sussultare Bellatrix e provare un senso di irrealtà misto ad un caleidoscopio di emozioni senza nome, come se qualcuno le avesse dato una spinta e l’avesse fatta precipitare nell’abisso di un lontano passato.
Un nome emerse lieve come un palloncino e poi esplose nella sua testa: “Andromeda!”


Il cielo sopra Ottery St. Catchpole aveva ormai toni arancioni e le stelle erano coperte dal fumo, i numerosi incendi stavano lambendo i margini del bosco e presto un turbine di fiamme si sarebbe letteralmente mangiato gli alberi.
Brigid stava ad osservare, giocherellando con un cristallo dal colore verde e stringendo gli occhi per osservare ciò che accadeva giù al villaggio.
Ad un certo punto si sentì il rumore di un motore e una macchina fuoristrada la sorpassò a velocità sostenuta, con i lampeggianti accesi.
Brigid estrasse rapida la propria bacchetta e la rigirò tra le dita come una majorette per poi puntarla contro la vettura che, colpita, si rovesciò sul fianco, continuando a mandare lampi ma senza più ferire l’aria con il suono della sua sirena.
La ragazza si avvicinò rapida, la sua veste bianca brillava nell’oscurità, un uomo cercava di uscire dal finestrino della vettura e, quando la vide, le chiese aiuto con voce strozzata.
Lei arrivò a pochi passi da lui e poi, estratto qualcosa da un sacchetto, glielo mise di malagrazia nella bocca.
Il poveretto rimase stupito e fece per dire qualcosa ma, dalle sue narici prese ad uscire un fiotto di sangue e, nel giro di pochi istanti, l’uomo perse i sensi e inondò l’abitacolo della macchina con il suo sangue denso, morendo dissanguato.
- Scusa!- gli disse la ragazza - eri nel posto sbagliato al momento sbagliato, capita a tutti!- e fece una smorfia per poi voltarsi e sparire nuovamente nella radura.
Una volta lontana alla strada principale gettò uno sguardo al cielo e poi si inchinò profondamente.
- Sei stata svelta…- le mormorò la voce di Lord Voldemort, apparso improvvisamente accanto a lei - sei una continua sorpresa per me, Brigid! Ora va, tieniti nascosta, le tue arti e i tuoi cristalli potrebbero servirci tra poco...ormai siamo alla fine-
- Mio Signore, Voi ordinate e io eseguo, come sempre!- mormorò lei e si ritrasse.
L’Oscuro Signore sorrise e poi lanciò uno sguardo freddo verso il paese ormai nel pieno della guerriglia.
“Tutta questa fatica solo per te, la faccio esclusivamente per te...un dono degno del più fervente degli innamorati! Un regalo meritevole del più devoto degli ammiratori! Lo apprezzerai, mio caro amico?…” sorrise gelido ed estrasse lentamente la sua bacchetta, la puntò contro un elicottero, che stava provando ad avvicinasi al paese e cercava di volare tra la cortina di fumo che ormai oscurava il cielo, e l’elica smise di girare facendo si che precipitasse verso il basso ma, prima di toccare terra, il velivolo esplose, disintegrandosi appena sopra le punte degli alberi e sparando i suoi resti, come proiettili, a centinaia di metri di distanza.
Nel bosco il silenzio era irreale e ogni forma di vita sembrava scomparsa o, semplicemente, se ne stava nascosta, in attesa che quella tragedia avesse fine.

 

Fine quarantaduesimo capitolo


* che io ricordi la prima guerra magica inizia, in verità, nel 1971.

  
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