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Autore: AdeleBlochBauer    20/03/2016    1 recensioni
Se Valjean fosse stato presente quando Javert tentò il suicidio.
Un percorso morale e spirituale che, da qui, può scaturirvi.
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Una storia scritta qualche tempo fa, dedicata unicamente all'amore e alla gratitudine per Victor Hugo.
Non chiedo nulla e non ho nessuna pretesa: ma, forse, se hai amato I Miserabili quanto l'ho amato io, forse questo ti piacerà.
O, almeno, lo spero.
Grazie.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Perchè una pistola, caduta in acqua, non può più sparare

 
 
Javert si alzò e fece per andarsene, ancora debole, ma invaso da una sorta di rabbiosa risolutezza.
“Javert!” gli gridò dietro Valjean (facciamo presente al lettore che, sebbene noi abbiamo usato or ora il termine ‘gridare’, ciò che uscì dalla bocca di Valjean in quel momento fu tutt’altro che un grido: con la voce ancora stentata dall’immensa fatica appena compiuta, il richiamo di Valjean suonò pressappoco come un roco gracidio).
Javert lo sentì. Non si voltò.

Valjean si rialzò, lo rincorse e, in uno sforzo titanico, lo superò piazzandosi di fronte a lui, respirando affannosamente, con le braccia unite tese e i dorsi delle mani che formavano un angolo retto con gli avambracci, come se dicesse a Javert: ‘alt!’.

Javert, agendo meccanicamente, con uno scatto allenato della mano, prese la pistola dalla tasca della redingote e la puntò dritta contro Valjean.

L’espressione di Javert era terribile e, di certo, nella sua carriera di poliziotto mai aveva guardato nessun miserabile, ladro o assassino con la stessa ira truce con cui ora guardava l’uomo che gli aveva salvato la vita.
La mano che reggeva la pistola tremava impercettibilmente, ma la colpa non era del freddo.

“Javert,” incominciò Valjean, cercando di riprendere qualche controllo del proprio respiro, in tono calmo benché fosse mortalmente preoccupato: “quella pistola non sparerà mai. La polvere al suo interno si è bagnata.”
Javert, senza muovere lo sguardo tremendo fisso su Valjean, gettò a terra la pistola con tale violenza che la canna si conficcò nel terreno, restando quasi verticale, a pochi centimetri dalla Senna.

Jean Valjean, pallidissimo, tremava visibilmente dal freddo. Sembrava che il suo vecchio corpo –il quale tuttavia, ricordiamo, possedeva ancora straordinarie capacità fisiche-, fradicio nella notte fredda, dopo quell’enorme fatica, si reggesse in piedi unicamente per l’enorme forza di volontà del padrone il quale, preoccupatissimo, altro non percepiva che la formidabile e inquietante bizzarria della situazione presente.

“Javert, che cosa…”
“VALJEAN!” esplose Javert, perdendo improvvisamente ogni controllo: “Andatevene! Ne ho abbastanza di voi! Basta! Lasciatemi! Voi mi perseguitate! Mi distruggete! Basta! Avete vinto! Avete vinto, lo capite, Valjean? Non vi arresto! Siete libero! Insomma, lasciatemi in pace! Andatevene!”
“Così che possiate tornare sul ponte a buttarvi un’altra volta?” replicò Valjean, severamente, restando dritto sul posto, scandendo le parole in modo da poter parlare più chiaramente con il poco fiato che aveva. “Non ho la minima intenzione di lasciare che voi moriate in questo modo.”
“E perché? Perché mai? Voi siete impossibile! Mi fate impazzire!” alla sua furia si era ora unito un certo accento esasperato. “Non è affar vostro! In cosa mai ciò vi riguarda! Ecco, spiegatemi questo, Valjean! Perché continuate a salvarmi? Ero uno dei vostri carcerieri, da anni sono il funzionario  incaricato alla vostra cattura, sono il vostro persecutore, la vostra condanna, la spada di Damocle che vi pende sul capo! Diavolo!” imprecò, “ Perché mi avete salvato, alla barricata? E perché mi salvate ora? Ebbene? La mia morte sarebbe solo la vostra liberazione, come fate a non capirlo?”
“La mia liberazione non dipende da voi. Galera o no, la mia sorte non dipende da questo. E come pensate che io possa arrecarmi il diritto di lasciarvi morire? O di permettere che i ragazzi della barricata, per quanto nobili siano i loro ideali, decidano a sangue freddo sulla vita di un altro uomo? Una morte umana non vale nessun calcolo, contratto o fine sociale di ogni sorta: è una vita che si spezza. E non c’è vita, neanche la più misera, che valga la pena sacrificare. C’è una sola giustizia che ha il potere di vita e morte sugli uomini, e non è quella legislativa né tantomeno quella del popolo. Si staglia al di sopra di tutto ciò. Ho fatto ciò che ho fatto perché così è giusto.”

“Giusto, Valjean? Giusto? Voi credete sia giusto? Questo non è possibile, questo… no! Così non è giusto, Valjean, voi non riuscite a capirlo! E mi fate impazzire!” riprese, esasperato, Javert, il quale si faceva sempre più sconnesso e confuso ad ogni parola che diceva. Quell’uomo semplice e onesto, quella ghigliottina ferma e implacabile, non abituato ai terremoti dell’animo in quanto mai nella vita ne aveva subito l’effetto, era ancora sotto il profondo sconvolgimento della crisi che l’aveva spinto a buttarsi dal Pont de Notre-Dame. Valjean era ben riuscito a salvare Javert dal fiume, ma la mente e l’animo di quel pover’uomo erano ancora sul fondo della Senna. Il suo scardinamento interiore era vivo e lacerante. A ciò, nell’animo naufragato di Javert si era ora aggiunto lo sconcerto di essere stato ostacolato ancora una volta, e proprio in quell’estremo atto, da colui che di quella crisi ne era stata la causa. Lo salvava dal precipizio lo stesso che l’avevo spinto sull’orlo del baratro.
Gli sembrava, ma solo ora se ne rendeva conto (per quanto lucido poteva essere il suo pensiero), che durante la sua vita quel Valjean fosse sempre stato come appostato ad ogni angolo, per disorientarlo, impensierirlo, frastornarlo ogni volta di più. Gli sembrava che Valjean fosse il granello di sabbia lanciato sul motore della perfetta macchina che lui era, e che fosse appositamente formato per penetrare e incrinare uno ad uno i suoi ingranaggi, partendo da quelli in superficie fino ad arrivare, attraverso gli anni, a quelli centrali e portanti, e in questo modo distruggere quella macchina dall’inesorabile potenza. Ogni qualvolta che la strada di Javert si era incrociata con quella di Valjean, aveva sempre comportato per Javert uno sconvolgimento interiore di varia potenza: l’aveva incontrato per la prima volta a Montreuil-sur-Mer quando Valjean era ancora “il signor Madeleine” e non “il signor sindaco” (ricordiamo come Javert avesse fin da subito dubitato dell’identità di quello schivo imprenditore), e l’aveva stupito la pacifica serenità con cui quel borghese rispondeva ai suoi sguardi ostili e sospettosi. Avevano cinto Madeleine della fascia di sindaco, e Javert aveva tremato nel vedere quello che poteva essere un ex galeotto, un miserabile, un furfante, venire insignito degli onori della magistrature. Aveva arrestato la prostituta Fantine, ed era rimasto paralizzato dall’incredulità nell’udire la richiesta del sindaco di rimettere in libertà quella disgraziata, dopo che questa gli aveva sputato in faccia. Aveva denunciato Madeleine alla prefettura e, dopo essersi scontrato con l’apparente insensatezza del suo giudizio, era crollato in un tale senso di vergogna e prostrazione da portarlo a chiedere al sindaco le proprie dimissioni dall’ordine di Polizia. Aveva poi ricevuto la conferma che i suoi sospetti erano fondati, ed era rimasto profondamente scosso nello scoprire che il sindaco Madeleine, identità del quale, certo, non dubitava più, nascondeva le deprecabili fattezze dell’ex galeotto Jean Valjean. L’aveva creduto morto, come annunciava il giornale, annegato in mare dopo aver portato soccorso ad un marinaio del vascello Orion, ed era rimasto sconvolto nel riconoscerlo nelle vesti del bizzarro e riservato abitante della stamberga Gorbeau. Ancora, non aveva potuto credere ai suoi occhi quando Jean Valjean gli era sfuggito in rue du Chemin-Vert-Saint-Antoine, proprio quando la sua cattura sembrava ormai inesorabile. Appena poche ore fa, salvato da Valjean dalla condanna a morte degli studenti della barricata, aveva subìto una tale lacerazione interiore da spingerlo al suicidio. E, per ultimo, aveva perso la testa quando lo stesso Valjean gli aveva impedito di portare a compimento le sue intenzioni. Se la sua mente fosse stata in quel momento più lucida Javert si sarebbe chiesto se, in tutti quegli anni, era stato lui a perseguitare Jean Valjean o il contrario. Dopo la riflessione sul Pont du Notre-Dame gli era sembrato che il suicidio fosse l’unica scelta logica, la sola via che gli rimaneva che fosse priva di dubbi, incertezze o impedimenti. E ora, dopo che tutto il suo universo era stato squarciato da parte a parte, Jean Valjean gli aveva tolto anche quell’ultima certezza che gli rimaneva.

Impossibile, ora, analizzare con chiarezza ciò che accadeva nelle mente di quel granito spezzato, di quel soldato disarmato: era la violenza delle più grandi onde contro i più impervi scogli, onde molto più temibili di quelle della Senna che stavano per inghiottirlo, ecco cos’era la portata della tempesta che tuonava nel cranio di Javert, un cranio che fino ad allora non aveva conosciuto altro che l’assoluta, ordinata e metodica certezza di una strada sempre dritta.
Gli impeti furiosi che ora Javert sfogava contro Valjean erano le reazioni infuocate di questa mente stanca, una dolorosa rivolta verso un mondo di cui aveva ormai perso il controllo, quando il controllo era stato tutto ciò che aveva. L’ira di Javert era una sorta di scudo, una maschera rovente costruita per  evitare di affrontare Valjean e, soprattutto, per evitare se stesso.

Una cascata di rabbia per tentare di ignorare ciò che davvero lo tormentava, per sopprimere quel raggio che lo trafiggeva da parte a parte, per non essere costretto a fronteggiare di nuovo le riflessioni che lo avevano spinto al suicidio. E queste riflessioni, questo calmo, inesorabile sottile rivolo di pensieri nella mente in fiamme di Javert era costituito da una serie di domande di cui non sopportava le risposte: “Perché…? E se davvero fosse che…? Dovrei quindi…?”

Dopo questa parentesi torniamo ora a ciò che, di quel groviglio disperato che era l’animo di Javert, uno spettatore esterno, ovvero Valjean, poteva afferrare: un’esplosione che si faceva a tratti sempre più annebbiata e talvolta delirante. Le condizioni di Jean Valjean peggioravano in modo allarmante: il freddo gli penetrava le ossa, la sua vista cominciava lievemente ad offuscarsi, le gambe si facevano sempre più deboli. Ma continuava ad ascoltare Javert con la massima attenzione, incurante e quasi inconsapevole di qualsiasi proprio sintomo di malessere, cercando come poteva di seguire e di riflettere.

Javert continuava: “Voi credete che sia giusto? Un funzionario della legge che sfugge al proprio dovere di applicare giustizia, e per colpa di cosa? Di… che io sia dannato!... di nulla! Di nulla, perdio, di nulla! Nulla glielo impedisce, assolutamente niente! Eppure non lo fa!” Javert, completamente preso dal suo delirio, aveva preso a passare da una parte all’altra del viale mentre parlava, senza posa, avanti e indietro, a casaccio, rivolto a nessuno in particolare, con lo sguardo di Valjean, immobile, sempre fisso su di lui. “Non lo fa! Ha l’occasione, mille occasioni, ma non agisce! Perché? Ah, diamine! Vede il crimine che avanza e si sposta per lasciarlo passare, come con il Re! La legge che si piega al galeotto, è questo giusto, credete? Ma è inaudito! Ma sarebbe da parassiti! Sì, è un parassita chi è al servizio della società per poi applicare la legge secondo i propri comodi! Che canaglia! Tradire tanto clamorosamente e inutilmente un dovere sacro! Anteporre giudizi e motivi personali alla rettitudine della giustizia! La legge è uguale per tutti, un carcerato è un carcerato e un poliziotto è un poliziotto, niente altro deve contare! E’ così, perdio, è così! Nient’altro! Nient’altro! Nient’altro…”  
La sua voce, così come il suo movimento febbrile,  si affievolì nelle ultime parole: infine si fermò, e Javert rimase muto, di schiena rispetto a Valjean, le mani chiuse a pugno che ancora tremavano leggermente, lo sguardo nel vuoto, una furiosa, gelida disperazione incisa nel volto e le onde che ancora sbattevano dentro il suo cranio.

“D’accordo” fece Valjean, in tono basso. Era profondamente scosso. Comprese, in parte se non del tutto, la sublimità dell’episodio a cui stava assistendo. Abbassò le braccia, le quali erano ancora ferme nella loro posizione, distese ad angolo retto davanti a sé, poi continuò, calmo, faticando a restare grave: “E tuttavia… voi avete preferito tentare il suicidio piuttosto che arrestarmi, dopo avermi dato la caccia per anni. Se nulla ve lo impediva, come voi dite, e se anzi il dovere vi ci obbligava, cosa è successo perché abbiate cambiato idea?
Perché non mi avete arrestato, Javert?”.

Passò qualche istante di silenzio.
Infine, Javert lo guardò.
   
 
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