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Autore: SunShineFiruli    20/03/2016    0 recensioni
Nelle saghe che zio Rick ha gentilmente messo al mondo, soprattutto in Percy Jackson e in Eroi dell'Olimpo, ci sono stati parecchi salti temporali che ci hanno lasciati (o almeno, hanno lasciato me) con non poche domande. Ho deciso di provare a riempirli inventando ciò che a mio avviso potrebbe essere capitato, sperando di rimanere coerente al resto della trama.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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La prima cosa che il ragazzo registrò, era che la testa gli stava scoppiando.
-Ahia- si lamentò aprendo gli occhi e sedendosi per poi massaggiarsela.
Si trovava su dei freddi gradini di pietra, molto duri e scomodi. Doveva essercisi addormentato sopra, ma perchè? Avrebbe potuto andare a casa e buttarsi a letto, che sicuramente sarebbe stato più caldo e soffice dell’alternativa a cui era ricorso. Un attimo: ma dove si trovava? Dov’era casa sua? E, cosa un tantino più preoccupante: lui chi era?
Non ricordava il suo nome, o la sua età. Non ricordava la sua vita. Indossava dei jeans e una maglietta arancione, con una scritta davanti che però era troppo rovinata perchè fosse leggibile. Aveva la strana sensazione che fosse qualcosa di importante. Chiuse gli occhi e cercò in modo disperato un appiglio nella sua mente che lo ricongiungesse al suo passato. Nulla. Solo un’immagine sfocata e un nome, che lo aveva accompagnato in tutti i lunghi sogni confusi che aveva fatto di recente.
Annabeth.
Ma chi era? Doveva essere importante per lui, ma… non sapeva proprio cosa pensare. Che avesse sbattuto la testa? Che quella fosse una breve amnesia momentanea, che sarebbe passata con il tempo? Non sapeva perchè, ma ne dubitava.
Sbuffò, e decise che in quel momento la priorità fosse capire cosa stava succedendo. Si alzò dalla gradinata e diede un primo sguardo a ciò che lo circondava: una casa diroccata, abbandonata da anni e apparentemente deserta. Intorno, il niente. O almeno, niente che potesse congiungere alla civiltà. Qualche albero rinsecchito qua e là, un prato in fiore. Doveva essere primavera. Salì gli scalini e attraversò un arco di pietra. Sui muri e per terra notava degli strani segni. ‘Come se si fosse svolta una battaglia’, si disse, per poi rendersi conto di quanto fosse assurda quell’idea. Battaglia? Tra chi, per che cosa? Era un periodo pacifico in America, o almeno così credeva. Quei danni non potevano essere stati causati da una banda di vandali, ma era impossibile che fosse altrimenti.
Gli venne in mente di controllarsi le tasche, tanto per accertarsi di non avere un documento, magari, che potesse rivelargli la sua identità. Niente, solo una penna a sfera. Perchè andava in giro con una penna? Seccato dalla frustrazione, la prese e la scagliò via con tutte le sue forze. Non vide dove atterrò.
-Non una mossa molto intelligente, cucciolotto- disse una voce.
Il ragazzo si voltò, ma non vide nessuno. Tutto, dalle assi crollate ai muri mezzi distrutti e crepati, era esattamente come prima. Eppure era sicuro di non essersela immaginata.
-Chi ha parlato?- domandò, titubante.
Nessuna risposta. Ok, la botta in testa lo stava facendo andare davvero di matto. Spinto dalla curiosità, però, decise di addentrarsi sempre più in quella che una volta, capì dalle dimensioni, era stata una villa. Tese un orecchio pronto a captare ogni minimo rumore, ma tutti quelli che percepiva erano causati da lui. La polvere era smossa in alcuni punti, e molto più marcata in altri. C’era davvero stato qualcuno lì, di recente. Uno strano cigolio lo avvertì in tempo della caduta di una parete. Riuscì a levarsi dal luogo dell’impatto senza rimanerci secco. Per fortuna. Dopo aver dato un’occhiata a tutto il piano terra e non esistendone altri, si arrese. La sua mente gli aveva giocato un brutto scherzo.
Attraversò l’arco di pietra, ma non appena fu fuori dall’edificio si accorse di non essere passato dallo stesso punto dell’entrata. Non si trovava davanti all’immensa gradinata, ma a una grande piscina vuota. Enormi zolle di terra ne ingombravano l’interno, insieme a della fanghiglia. Sulla sponda, era accovacciato un grosso lupo.
Stranamente, il ragazzo non sentì l’impulso di indietreggiare. Non avvertiva neanche una sensazione di pericolo. Non se ne spiegava il motivo, considerando che la bestia avrebbe potuto saltargli addosso da un momento all’altro e scuoiarlo vivo.
-Ci hai messo un po’ a trovarmi- la voce echeggiò di nuovo. Ma da dove proveniva?
Si voltò, si guardò attorno. Ancora nulla.
-Non ci credo che non hai ancora capito- sbuffò. -Mi sono capitati bambini di 8 anni più intelligenti di te.
-Adesso non esageriamo. Ehm, mi dai un aiutino? Fuoco o acqua?
-E che sarebbe?- la voce sembrava leggermente seccata.
-Io mi avvicino a qualcosa. Se non sei lì, devi dire ‘acqua’. Se invece ci sei, o ti trovi lì vicino, devi dire ‘fuoco’. Se sono a metà, quindi nè troppo vicino nè troppo lontano, ‘fuochino’. Ma andiamo, chi non conosce questo gioco?
-Io, cucciolo. Ma ho paura che se si tratta di avvicinarsi, non finiremo più.
-Allora potresti, non lo so, dirmi chi accidenti sei- disse il ragazzo, alzando la voce alla fine della frase.
-Sono dietro di te.
Quando si girò, non era cambiato niente. La piscina, la terra, il grande lupo che lo guardava in modo strano.
-Dove?- domandò, abbassando il tono per paura di disturbare troppo l’animale.
Quello alzò gli occhi al cielo, gesto troppo simile a quello di un essere umano per passare inosservato. -Qui.
-Aspetta- le rotelle nella testolina del ragazzo iniziarono a girare. -Sei un lupo?
-No- lo corresse la voce. -Sono Lupa. La madre di Roma. Colei che trovò e allattò Romolo e Remo. Sono una divinità. E sono a capo del più grande e forte branco che esista sulla terra.
Divinità. In qualche modo, il tipo sapeva di non essere pazzo, che il lupo diceva la verità. Ma come? Non capiva. Insomma, se avesse già incontrato divinità nel passato, o se fossero anche solo esistite, se lo sarebbe ricordato. Sicuro.
Roma. Quella invece non gli diceva granché. Fu sicuro di non avere voti alti in storia, perchè non si ricordò niente della sua fondazione, o del remo di cui parlava la ‘dea’.
Un’altra parola, però, gli sembrò degna di attenzione.
-Branco?- balbettò.
Notò solo allora tutti gli altri lupi, intorno al perimetro della casa. Era nuvoloso, e la mancanza di luce diretta del sole aveva contribuito a nasconderli, un po’.
-Non preoccuparti- gli disse Lupa. -Ho ordinato loro di stare a distanza. Tendono a spaventare le mie nuove reclute.
-Nuove che..?- quasi si strozzò dalla sorpresa.
-Non fare il finto tonto, lupacchiotto- la dea lo squadrò da capo a piedi. -Sei diverso dalle altre persone. Non sei un mortale. è per questo che sei venuto qui.
-Se stai cercando di dirmi che non sono normale, cercherò di non offendermi. Ho solo una piccolissima domanda. Dove siamo?
-Questa è la casa del Lupo. è qui che vengono quelli come te, quando sono pronti a iniziare l’addestramento.
-Sai chi sono? Da dove vengo?- il ragazzo si sentiva fuori luogo, lì, come se quello non fosse il suo posto. Tuttavia, voleva scoprire qualcosa su di sè.
-So che sei un semidio. Un mezzosangue. Figlio di un mortale e di una divinità Romana. Non so dirti di chi. So che il tuo nome è Percy Jackson. Ma questo dovresti già saperlo.
-é questo il punto- sbottò il ragazzo, che aveva appena scoperto di chiamarsi Percy. -Non ricordo nulla. Cosa sta succedendo? Chi è Annabeth?
Non sapeva perchè aveva rivolto l’ultima domanda proprio a lei. Forse, se era a conoscenza suo nome, sapeva anche qualcosa di più su di lui.
-Non preoccuparti- lo rassicurò Lupa. -Riacquisterai la memoria. Incontrerai di nuovo questa Annabeth, se arrivi vivo alla fine del tuo viaggio. Ma non sarà facile.
-Ehm… che viaggio?- il semidio si innervosì. -E perchè potrei non uscirne vivo?
-é per questo motivo che i mezzosangue vengono qui- spiegò la dea. -Io li alleno perchè possano sopravvivere. Ma sono loro a dover trovare la strada, fidandosi del loro istinto. Lavorerò anche con te, cucciolotto. I miei addestramenti sono piuttosto complicati, ma ho visto ragazzini più giovani di te cavarsela, in un modo o nell’altro.
-Ah. E se non dovessi essere in grado di superarlo?
La lupa scoprì i denti. -Ti conviene farcela. Non accetto falliti, nel mio branco.
Percy ebbe le idee spiacevolmente chiare su ciò che stava cercando di dirgli. Ma non sul viaggio. Decise di tenersi per sè le domande, e di aspettare un momento più propizio per tirarle fuori.
-Ok…- mormorò. Non sapeva se avrebbe potuto tornare sui propri passi e andarsene, ma capiva che doveva andare avanti. -Quindi, per curiosità, questo addestramento durissimo quando dovrebbe cominciare?
-Ti sei appena svegliato- gli fece notare Lupa. -Anche subito.
Il semidio non afferrò il ragionamento. La dea si alzò e si allontanò. Probabilmente si aspettava che la seguisse. Quindi, aveva un’ultima opportunità per darsela a gambe, in fondo. Ma non lo fece. ‘Cosa ho scoperto oggi’ si disse. ‘Sono un idiota, un grande idiota attratto particolarmente dalle situazioni suicide. Sono sempre così?’
Deglutì e si decise ad andare dietro a Lupa, affrettando il passo per riguadagnare il terreno perduto. Si fermarono in mezzo al prato, lontano dalla piscina vuota e dalla casa diroccata. La dea fece cenno ad alcuni suoi compagni che erano lì di allontanarsi, e quelli obbedirono senza fiatare. A Percy sarebbe piaciuto avere quel tipo di potere, sulle altre persone. Ma anche solo l’idea di poter diventare a sua volta un dio non lo allettava. Ok, forse non era normale sul serio.
-In cosa consisterebbe questo allenamento?- domandò.
-Devo accertarmi che tu sia abbastanza forte per sopravvivere nel mondo esterno, lupachiotto. Che tu sappia combattere i tuoi nemici, orientarti nell’ambiente, avvertire il pericolo o la salvezza. Certo, cose che in gruppo si fanno meglio, ma un lupo deve anche saper cavarsela da solo, per entrare a far parte di un vero branco. Deve dimostrare il suo valore.
-Io non sono un lupo- commentò Percy.
-No, ma con voi umani il concetto non è troppo diverso. Hai già un’arma. Sai combattere?
-Ehm…- Il semidio iniziava ad avere seri dubbi sulla salute mentale della dea. -Ma io non ho armi. Non ho niente con me.
-Davvero?- Lupa sorrise, per quanto potesse fare. -E quella che hai in tasca cos’è?
Percy non capì. In tasca non aveva niente di niente. Aveva già controllato. Se le tastò nuovamente, tanto per dimostrare alla dea che si sbagliava, ma quando passò su quella destra, sentì sotto le dita uno strano rigonfiamento. Confuso, ci infilò la mano, e afferrò qualcosa. Quando la tirò fuori, la penna a sfera brillò sotto la debole luce che traspariva dalle nuvole.
-Come?- il semidio la lasciò cadere dalla sorpresa. -Ma l’avevo gettata via! Me lo ricordo!
-Non puoi gettare via un’arma incantata-sospirò Lupa. -é fatta apposta per tornarti in tasca, se la perdi.
-Prima cosa: come fai a sapere tutte queste cose? E seconda: cosa dovrei farci con una penna?
La dea doveva essere piena di pazienza. Chissà quante altre volte le erano capitati discorsi simili. -Primo: riesco ad avvertire la magia. Secondo: un’arma di bronzo celeste come quella è molto rara, cucciolo. Dovresti averne più cura.
Percy non comprese cosa fosse il bronzo celeste, ma si affrettò a raccattare la penna, per osservarla meglio. Sembrava un normalissimo strumento di scrittura: piccola, leggera, con un lungo tappo. Ma Lupa aveva nominato la magia. Il semidio stava ancora cercando di abituarsi all’idea degli dei Romani e tutto il resto, quindi non aveva idea di come potesse funzionare. Doveva dire qualcosa in particolare? Stappò la penna, tanto per vedere se sapeva davvero scrivere, e quella gli si allungò tra le mani fino a diventare una spada. Dopo un primo verso di sorpresa, Percy si fermò a darle un’occhiata. Era perfetta. Non sapeva da cosa lo capisse, ma notò che era ben bilanciata, non gli limitava nessun movimento, era leggera e non ingombrante. Era semplicemente perfetta.
-Sai già combattere?- domandò di nuovo la dea. -Difenderti?
-Sai- rispose lui. -Come ho già detto, non mi ricordo un cavolo.
-Lo scopriremo, allora.
Il ragazzo fece per chiederle cosa volesse dire, quando Lupa sfoderò gli artigli e gli saltò addosso. Percy sollevò istintivamente la spada, bloccando l’attacco a mezz’aria, poi impiegò più forza e riuscì senza particolari problemi a spingerla indietro. Non aveva idea di come avesse fatto, ma sentiva che non era la prima volta che combatteva. Che aveva affrontato di peggio. E anche che in quel momento aveva ricevuto una specie di aiutino, da qualche parte. Non era mica normale respingere una dea così facilmente, o almeno, lo supponeva.
-Ti ho sottovalutato- disse la lupa. Gli girò intorno, osservandolo, persa nei suoi pensieri. Che aveva tanto da guardare? Alla fine si fermò e scosse la testa. -Se non sapessi che è impossibile che un novellino come te ci riuscisse… no, niente.
Evviva. Percy scoprì di non andare particolarmente matto per i misteri.
-Quindi- tagliò corto il semidio. -Posso andare?
-Oh, non stavo facendo sul serio. Mica mi metto ad attaccare i miei nuovi allievi da subito con tutte le mie forze. Di solito non riescono a ribattere come hai fatto tu. Sarebbe interessante una lotta vera.
Il semidio sbuffò. Non aveva voglia di iniziare una ‘lotta vera’. -è necessario?
-Sì- rispose Lupa. -Questo potrebbe diventare l’addestramento più corto della storia. Dimostrami che sei degno di unirti al branco. Non pensare. Segui il tuo istinto. Devi ascoltarlo sempre. Fidati anche dei tuoi sensi: ogni minimo rumore che ignori potrebbe significare morte certa, un attimo dopo. Sopravvivi a questo scontro e sarai pronto ad andare nel mondo esterno, partire per il tuo viaggio.
-E se mi rifiutassi? Cioè, di solito i mezzosangue che ti arrivano quanto ci mettono a superare l’allenamento?
-Alcuni anche mesi.
Percy non aveva intenzione di rimanere bloccato lì per così tanto tempo. La dea gli aveva detto che avrebbe trovato delle risposte lungo il viaggio, che avrebbe recuperato la memoria e incontrato Annabeth, di nuovo. Non voleva aspettare.
-Vada per la ‘lotta vera’- sbuffò. Non era sicuro di poterla affrontare senza rimanerci secco, ma gli sembrava l’alternativa più fattibile. -Posso avere un paio di minuti di preparazione mentale, almeno?
Lupa gli saltò addosso a una velocità impressionante, inchiodandolo a terra.
-Regola numero 1- disse. -Il nemico non ti da mai il tempo di prepararti. Attaccherà quando meno te lo aspetti. Non abbassare mai la guardia, cucciolo, o sei un lupo morto.
Percy stava iniziando ad odiare quelle stupide metafore. La spada gli era caduta di mano. La dea era sopra di lui, ringhiando, e con molta probabilità non avrebbe avuto pietà se il ragazzo non fosse riuscito a fare qualcosa per respingerla. Solo che non sapeva bene cosa. ‘Prova a fidarti di questa pazza’ si disse. Non pensare. Segui il tuo istinto. Beh, sul fatto di non pensare non aveva problemi. Sospirò, cercando di liberare la mente da qualsiasi cosa potesse essergli d’intralcio. Non ci mise molto, considerando che non ricordava niente. Portò alla svelta la mano alla tasca. Quanto passava di solito prima che la penna riapparisse, non avrebbe saputo dirlo, ma sentiva che era lì. E così fu. Lupa non si accorse del suo movimento, era impegnata a sfoderare gli artigli, che avrebbero dovuto lacerargli la carne, nei punti in cui lo toccavano. Ma Percy non sentì nessun dolore. Stappò la sua arma, che si allungò alla svelta, ferendo la dea che fece un balzo all’indietro. Da petto le colava del sangue dorato.
-Non male- commentò la lupa. -Ma questo era solo l’inizio.
Si muoveva a una velocità impressionante. Un nanosecondo dopo, non era più lì, sull’erba. Ma il semidio non vedeva dove si era cacciata. Fidati dei tuoi sensi: ogni minimo rumore che ignori potrebbe significare morte certa. Se la vista non gli era più sufficiente a individuare il nemico, aveva pur sempre altri quattro sensi a cui fare ricorso. No, ok. Il gusto era piuttosto inutile. E di trovare la dea con il tatto ne avrebbe volentieri fatto a meno, prima di ritrovarsi senza una mano. Quindi ne restavano due. Chiuse gli occhi, cercando di fare nella sua mente un quadro della zona circostante. La puzza di sudore doveva venire da lui. I lupi sudano? Da qualche parte alla sua destra, l’erba scricchiolò lievemente. Poteva benissimo essere un uccellino, o un effetto dovuto al vento, che non c’era, ma Percy dubitò fosse così. Riaprì alla svelta gli occhi e tirò un fendente verso la zona da cui era provenuto il rumore. La dea lo schivò aglimente, ma dalla sua espressione il semidio intuì che si aspettava qualcosa di diverso.
-Qualcosa non va?- chiese.
Lupa ringhiò. Lo attaccò alla velocità della luce, una raffica di artigli e denti. Percy si scoprì in grado di mantenere la stessa incredibile velocità e di parare quasi tutti i colpi, mentre quelli che andavano a segno non gli procuravano danni. Che la dea ci stesse andando piano di nuovo? Com’era possibile che riuscisse a starle dietro così facilmente? Un lupo sa avvertire il pericolo o la salvezza. Solo una volta il ragazzo ebbe la sensazione di essere in pericolo. Riuscì a bloccare l’attacco della lupa un attimo prima che lo colpisse sulla schiena, in un minuscolo punto in fondo alla spina dorsale. Non si spiegò perchè si fosse sentito in pericolo. Ma si era fidato.
Alla fine, Lupa si allontanò da lui.
-Non me lo spiego- mugugnò. -Nessuno era mai riuscito a starmi dietro in questo modo, senza riportare un graffio, come hai fatto tu. E il tuo modo di combattere non è normale. Non è Romano. Ma hai seguito i miei insegnamenti, cucciolo. Molto bene. Anche se c’è qualcosa di strano in te.
-Beh, di nuovo, cercherò di non offendermi.
-Ho incontrato tanti mezzosangue nel corso dei secoli- continuò la dea. -Ma tu sei diverso.
-Spererei diverso in meglio- Percy alzò gli occhi al cielo. -Comunque, sono vivo. Addestramento finito, no? Posso andarmene? Partire per questo viaggio? Cioè, tra l’altro non ho neanche idea di dove devo andare. Tu lo sai?
-Sì, abbiamo finito. Non so come, ma sei sopravvissuto sul serio- Lupa sembrava parecchio sorpresa rispetto a quell’ultima parte. -Ma la strada la devi trovare tu, da solo.
Il semidio la maledisse in silenzio. Voleva i suoi ricordi, e li voleva subito. Era tanto difficile dirgli almeno in che direzione andare?
-E come dovrei fare?- chiese, spazientito.
-Segui il tuo istinto, lupacchiotto. In questa lotta l’hai fatto bene. Continua così, e troverai il posto.
-Ma che posto starei cercando, di preciso?
-Lo capirai. Buona fortuna, Percy- la dea iniziò a ritirarsi. -Vedi di riuscire ad arrivare in fondo, tutto intero. Mi spiacerebbe perdere subito il miglior allievo che mi sia mai capitato.
Lupa scomparve, in una nuvola nera. Tutti gli dei potevano teletrasportarsi così? Al semidio sarebbe stato comodo. Tornò verso la casa diroccata. Non c’era più traccia neanche del branco della lupa, come se si fosse portata via tutti i suoi compagni, con la sparizione di poco prima. Era solo. Non sapeva bene dove si trovava. Non ricordava niente di sè. Aveva anche un po’ fame. Ma la domanda più grande era: da che parte andare?
 
   
 
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