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Autore: Kazaha87    20/03/2016    1 recensioni
[Arthur/Merlin] - Lieto fine.
Dopo 1700 anni di attesa Arthur fa ritorno nel mondo e il tempo per Merlin torna a scorrere.
Questa è la storia di come i due si reincontrano a scuola, di come si perdono e di come i loro destini infine tornano a confluire in uno solo quando, in concomitanza con la successione al trono di Arthur all'età di 39 anni, una terza guerra mondiale già scongiurata una volta in passato e che ora sembra inevitabile si affaccia alle porte e mette in pericolo la pace nel mondo.
Sarà in quel momento che Arthur prenderà la sua decisione e convincerà infine Merlin a tornare al suo fianco definitivamente e a prendere il posto che gli spetta.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Come volevasi dimostrare, chiudere le Camere era stata lungi dall’essere una scelta saggia, e tuttavia aveva lasciato un segno. Un segno importante.

Le masse erano con Arthur laddove lo scontento ai piani alti diventava sempre meno silenzioso e sempre più pericoloso.

In meno di due settimane dall’annuncio erano stati scongiurati ben cinque attentati al re, e non solo in pubblico ma uno – l’ultimo – addirittura all’interno di Buckingham Palace, e Merlin trovò incredibile come, in un’epoca come questa, il tentativo di avvelenare il cibo e il bere fosse ancora una delle migliori opzioni per tentare di uccidere qualcuno!

“A quanto pare il veleno è un evergreen… e tu sei un idiota! Non puoi essere tu ad assaggiare il mio cibo!”, gli aveva praticamente urlato Arthur una volta che Merlin si era finalmente ripreso, quasi dieci ore dopo aver rischiato la vita a cena al suo posto.

“Negli ultimi secoli ho sviluppato tolleranza a molti veleni: è ovvio che sia io ad assaggiare il tuo cibo e le tue bevande. Vuoi forse che qualcuno muoia?”

“Non mi sembra che tu ci sia andato così lontano! Hai perso i sensi per dieci ore, cazzo! Merlin!! Sei un imbecille!!”

“Posso provarci, ma non lo sarò mai quanto te”, commentò sarcastico e ridacchiando lo stregone e si ritrovò a tossire per diversi minuti solo per averci provato; il tutto tra un insulto e l’altro da parte di Arthur che, come sempre, esternava con lui in questo modo il suo sollievo nel vedere che stava bene.

“…a parte gli scherzi”, riprese Merlin grave quando fu di nuovo in grado di parlare, “quel che è successo stavolta è molto, molto grave. Spero che tu te ne renda conto.”, disse, e Arthur, che non era più un ragazzino, sospirò scoraggiato.

“…mi domando se non sia il mio destino quello di venir pugnalato alle spalle da coloro in cui ripongo la mia fiducia… hai qualche sospetto?”, chiese, e Merlin si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo.

“No…”, ammise, ma poi gli venne in mente una cosa e, come sempre, glielo si lesse in faccia…

“A chi stai pensando?”, il re interruppe il fiume dei suoi pensieri e Merlin alzò gli occhi al cielo e, scuotendo il capo, sospirò afflitto e gli fece cenno di avvicinarsi in modo tale che nessuno, fuori dalla porta o per qualunque motivo – cimici di cui non si erano accorti comprese – , sentisse.

Merlin gli sussurrò qualcosa all’orecchio ma improvvisamente si interruppe, come incerto, e Arthur lo fissò con impazienza e rabbia repressa a stento.

“Però?”, ripeté l’ultima parola dell’amico, e il mago fece spallucce e sospirò, grave.

“…stavolta è solo una sensazione. Non sono sicuro che sia abbastanza per condannare qualcuno…”

“Mi fido delle tue sensazioni, Merlin. Non farò più l’errore di non darti ascolto!”, tagliò corto Arthur e fece per alzarsi che l’amico gli afferrò il polso con decisione e lo costrinse a rimanere dov’era.

“No.”, disse solo con voce ferma e, prima di continuare, si schiarì la gola, riarsa dai postumi del veleno. “Non gestirai la questione di petto, anche perché dobbiamo prima scoprire se è la verità. In un momento come questo, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è uno scandalo. Arthur, ti proibisco di prendere decisioni o di agire in modo avventato. Sono stato abbastanza chiaro?”

“Chi è il re fra i due, Merlin?”, protestò il sovrano, impettito, ma Merlin si limitò ad alzare un sopracciglio.

“Hai detto che ti fidi di me: puoi cominciare da questo!”, lo rimbeccò serio come non mai, e Arthur fu costretto a cedere.

-&-

Tre giorni dopo l’accaduto, passato apparentemente in sordina rispetto agli altri attentati al re delle settimane precedenti, a colazione giunse una lettera ufficiale a palazzo che fece passare l’appetito ad Arthur.

“Perché mi guardi così, Arthur?”, gli chiese Catherine, sua moglie, dopo un po’ che il re la fissava pensieroso. “Qualcosa non va?”

“…nulla… pensavo a George.”, mentì lui e la donna gli sorrise.

“Più cresce e più ti somiglia. Ha i tuoi occhi.”, gli rispose lei e lui le rispose con un distratto “Lo penso anch’io”, e così il loro dialogo mattutino iniziò e si esaurì in un rapido scambio di battute mentre Merlin, al tavolo con loro, li guardava pensieroso a sua volta.

E non si stupì quando, meno di un paio di minuti dopo, Arthur prese la posta alzandosi da tavola e gli fece cenno di seguirlo.

Quando infine giunsero nell’ufficio del re, Arthur gli porse una delle sei buste che teneva in mano e, solo dopo, girò intorno alla scrivania e si andò a sedere al suo posto, lo sguardo fisso sul suo fedele servitore e amico mentre questi si sedette a sua volta sulla sedia di fronte a lui e lesse dapprima il mittente sulla missiva e poi il suo contenuto.

“Dopo il tuo annuncio che avresti accettato il sostegno di coloro che si fossero professati fedeli a te e al tuo fine ultimo – la pace – non puoi negare loro udienza.”, gli fece notare Merlin.

“Non ‘professati’, ma ‘rivelati’, Merlin.”, lo corresse acido il re, ma lo stregone sbuffò.

“E come pretendi di distinguere le due cose?”, replicò e scosse violentemente il capo. “Quale sarà il tuo metro di misura? Come deciderai chi è degno da chi non lo è? Questo è esattamente il problema di cui cercavo di parlarti quando sono stato costretto a venire da te dopo che hai fatto la cazzata – se mi passi il termine – di chiudere le Camere e di proclamare lo Stato di Guerra e autoproclamarti dittatore.”

“Sappiamo che è un complotto!”

“No, Arthur. Purtroppo non lo sappiamo. Possiamo solo supporlo.”

“Ma hai detto tu che…”

“Ho detto che era una sensazione.”, lo interruppe serio lo stregone. “E ho detto anche che non puoi condannare qualcuno per una sensazione. Non sei Uther: tu sei un re giusto, e non punirai chi non sei sicuro lo meriti. E, oggi come oggi, ti servono prove schiaccianti per mantenere anche solo il consenso della gente e non passare per un tiranno.”, concluse senza abbassare gli occhi da quelli di Arthur, e fu quest’ultimo che, infine, cedette e distolse lo sguardo.

“MALEDIZIONE!!”, imprecò il re sbattendo un pugno sul tavolo e Merlin sbuffò.

“Non ti smentisci mai. Sei un catalizzatore di guai, testa di fagiolo!”, sbuffò una mezza risata amara lo stregone e scosse il capo. “Manda loro una mail ufficiale e invitali a cena domani sera. Per allora mi accerterò che lo stato di allerta sia sufficiente a debellare qualsiasi problema possa sorgere.”, gli disse e si alzò. Quando raggiunse la porta, però, Merlin si voltò nuovamente e, con la mano già sulla maniglia, aggiunse: “Fossi in te mi mostrerei entusiasta del loro desiderio di sposare la tua causa: devono sentirsi in una botte di ferro. Solo così avremo qualche possibilità che compiano un errore che smascheri le loro vere intenzioni.”, suggerì al suo re prima di uscire per preparare tutto il necessario per il giorno dopo.

-&-

“Vostra Maestà, è un onore e un piacere essere qui. Penso di parlare per me e per Berkeley”, e il conte al suo fianco fece un cenno di assenso al sovrano, “e vi ringrazio per il tempo che avete deciso di concederci.”, esclamò l’imponente uomo di fronte a loro con un profondo inchino. “Lady Catherine”, aggiunse poi inchinandosi di nuovo e sorridendo alla principessa consorte e infine si voltò verso l’uomo alla destra del re. “Mr. Emrys, l’eroe dell’Eton! Sono passati davvero molti anni dall’ultima volta che vi si è visto in circolazione in Inghilterra…”, ricordò e sia Merlin che Arthur rimasero interdetti: non si aspettavano un’entrata del genere, ed era passato talmente tanto tempo ed erano successe talmente tante cose che avevano addirittura dimenticato quell’episodio a scuola.

“Duca di Wellington, è un piacere rincontrarvi. Purtroppo la vita mi ha portato altrove per molto tempo, ma il re ha richiesto la mia presenza qui e non ho potuto rifiutare. Non in un momento tanto critico.”, replicò neutrale Merlin.

“Non sapevo che voi e il nostro sovrano foste rimasti in contatto in tutti questi anni.”, insinuò, e se Merlin riuscì a far buon viso a cattivo gioco, Arthur si irrigidì impercettibilmente.

“Infatti non è stata notizia di dominio pubblico. Ma non voglio essere io al centro dell’attenzione, stasera. Siete venuti entrambi per questioni molto più importanti che non i dettagli della mia vita privata in questi anni, suppongo…”, suggerì lo stregone e, con un sorriso di circostanza rivolto ai due ospiti, fece un cenno col capo ad Arthur perché facesse strada in sala da pranzo e riprendesse lui le redini della discussione.

Durante la cena Lady Catherine venne resa partecipe dei brevi ricordi di scuola che i due ospiti, il re e Merlin avevano condiviso anni addietro, compreso il loro primo incontro alla cerimonia di apertura dell’anno scolastico, quando Arthur, Charles – allora Marchese di Wellington – e Robert – l’attuale conte di Berkeley – insieme al conte di Pembroke – ora marchese – che non era presente, avevano arrogantemente cercato di far spostare di posto uno studente con borsa di studio privo di titolo nobiliare.

“…tuttavia la sfida venne tristemente interrotta sul più bello”, concluse il suo racconto Berkeley, “perché l’allora principe parve ricordare di conoscere l’arrogante sconosciuto che gli stava dinanzi e che l’aveva sfidato. Dico bene, Maestà?”, chiese, e Arthur parve, per un attimo, incerto su come rispondere.

“Strano! Avrei giurato che, in quell’occasione, gli arroganti foste voi quattro…”, insinuò Merlin e tutti risero.

“E tuttavia, nonostante le nostre insistenze, nessuno dei due ha mai voluto raccontarci l’occasione del vostro primo incontro…”, insistette Wellington, stavolta.

“Diciamo che era stato molti anni prima, e che le circostanze erano state molto simili. Ma la prima volta non sapevo che fosse un principe, e ho dovuto pagare le conseguenze della mia ignoranza…”, decise di rimanere sul vago lo stregone e Arthur non riuscì a sopprimere del tutto una risata.

“Che è successo?”, chiese la moglie del re, ma Arthur si limitò a sorridere al ricordo e poi commentò: “Diciamo che mi piace ricordare quel momento come fosse stato in un’epoca differente, perché l’avrei visto sbattere in prigione per una notte e poi alla gogna per una giornata intera per essere punito per la sua impudenza.”

“Divertente…”, commentò asciutto Merlin e l’espressione sul volto dello stregone generò una sonora risata negli altri commensali.

La cena proseguì senza intoppi e infine, quando Lady Catherine si ritirò nei suoi appartamenti, i quattro uomini passarono nell’ufficio del re per parlare di ciò per cui erano venuti: politica.

Merlin servì da bere del Brandy dalla riserva personale del re a tutti, e sia lui che Arthur attesero per bere che i due ospiti si servissero: solo quando videro che non succedeva nulla fecero altrettanto.

“È stata una mossa molto avventata quella di inimicarvi l’intero organo di governo, sire. Noi due, come molti altri, sosteniamo e abbiamo sempre sostenuto la vostra politica, e certo il vostro fine è nobile, ma avete indebolito il Regno Unito col vostro gesto, e ora, oltre che dall’esterno, rischiate che qualche nobile scontento si allei contro di voi e attenti alla vostra vita… Entrambi vogliamo sostenervi nella vostra decisione, e vorremmo che ci consideraste fedeli a voi e allo Stato. Come avete detto anche voi, abbiamo bisogno di restare uniti in un momento tanto critico, e spero che accetterete il nostro più totale sostegno.”, parlò il duca di Wellington sorseggiando il suo drink e fissando il re dritto negli occhi, serio.

“La situazione è critica, e andava fatto un gesto rappresentativo che palesasse al mondo le intenzioni del Regno Unito che, per quanto rappresentato in parte dal Parlamento, è il Popolo, e non i suoi regnanti. E il popolo non vuole una guerra, mentre molti politici influenti sì. E io, il re, rappresento il popolo prima di tutto. Senza il popolo non sono nulla, ma senza politici corrotti sì. So bene che non tutti i rami sono marci, ma per prima cosa ho reputato opportuno salvaguardarci: nel frattempo ho intenzione di creare una rete più salda e che operi nella giusta direzione.”, argomentò.

“E noi siamo qui per offrirvi il nostro supporto che spero accetterete. Sappiamo che in molti vi hanno chiesto udienza dopo l’annuncio che avete fatto, ma che per questioni di sicurezza non avevate ancora convocato nessuno per un dialogo… pare che noi siamo i primi. È in memoria dei vecchi tempi?”, suggerì Berkeley, curioso, e Arthur si accigliò.

“Come sapete degli altri?”, indagò evitando la domanda e vide il conte sorridere nervosamente.

“…giornali, televisioni, chiacchiere al Circolo fra Pari…”, cercò di suonare il più noncurante possibile. “Le voci girano. Sapete come vanno queste cose, no? E voi, dovete ammetterlo, avete creato un bello scalpore…”

“Era quello il mio scopo.”, replicò pronto Arthur e si sforzò di sorridere in modo confortante così da alleggerire l’atmosfera e rimettere i suoi ospiti a loro agio.

Parve riuscire nell’intento, perché sia il duca che il conte sorrisero di rimando.

“Dovevo pur cominciare da qualcuno, e voi due siete fra coloro che conosco meglio.”, riprese il sovrano e vide i due scambiarsi un’occhiata prima di fare un lieve cenno di assenso col capo al re.

“Appurata la faccenda e chiarite le nostre posizioni, dunque, direi che questa serata può volgere al termine. Che ne dite?”, propose Arthur a quel punto, ma vide gli altri due esitare.

“Non c’è nulla che possiamo fare per aiutarvi o sostenervi? Non volete conferirci nessun incarico? Potremmo rivelarci di una qualche utilità qui a palazzo, se voleste fare uso dei nostri servigi, Vostra Maestà…”, offrì Charles, improvvisamente più mellifluo di quel che era stato durante tutta la serata.

“Potremmo iniziare da domani, se voleste!”, insistette volenteroso l’altro e Arthur si voltò infine verso Merlin, che aveva volutamente ignorato per tutto il tempo della loro discussione in studio.

“Non temete: vi manderò a chiamare non appena avrò deciso le vostre mansioni, e con tutto il daffare che c’è, dubito passerà molto tempo. Ora, signori miei, buonanotte.”, li congedò sbrigativamente il re e, alzandosi lui stesso per aprire la porta e fare strada ai suoi ospiti fuori dal suo ufficio, chiese a una delle due guardie all’esterno di scortarli all’uscita.

“…pensi anche tu quello che penso io?”, chiese Arthur, una volta soli, sprofondando nella poltrona nell’angolo più distante dalla porta, pensieroso.

“Troppo volenterosi?”, suggerì Merlin e il re, guardandolo negli occhi, sospirò e annuì, grave.

“E troppo desiderosi di acquisire la possibilità di passare più tempo qui a palazzo… pensi davvero che le voci di corridoio siano vere?”, gli domandò poi di punto in bianco e Merlin distolse lo sguardo.

“Hai visto anche tu, a tavola…”, sospirò, sentendosi in parte in colpa e in parte rassegnato.

“Non dovevi lasciarmi.”, lo rimproverò Arthur di punto in bianco mentre lo fissava dritto negli occhi. “Avrei difeso il tuo giusto posto al mio fianco con tutte le mie forze, Merlin”, fece una breve pausa. “…e ora sarebbe tutto diverso.”, concluse, e c’era più tristezza e rassegnazione che rabbia e risentimento nelle sue parole in quel momento, e a Merlin si strinse il cuore.

“E tu avresti potuto non essere al tuo giusto posto se fossi rimasto, e non potevamo permetterlo.”, sospirò l’uomo di fronte a lui con un sospiro.

“Non potevamo o non potevi, Merlin?!”, ribatté il re, e cominciò a perdere la pazienza.

Lo stregone scosse il capo.

“È la stessa cosa e lo sai. Non ricominciare.”, tagliò corto lievemente esasperato, ma Arthur, a quelle parole, scattò in piedi, irato, e sbatté il pugno contro il muro nella più totale frustrazione.

“Sai che non è così, ma non puoi ammettere di aver sbagliato, non è forse vero?!”, lo accusò. “Solo perché hai vissuto più di me pensi di sapere quel che è giusto per entrambi!! Eppure il ragazzo diciassettenne di allora era nel giusto mentre tu eri nel torto, e lo hai dimostrato con le tue raccomandazioni ipocrite nella tua dannata lettera di addio!”, gridò e batté il pugno contro la parete una seconda, e poi una terza e una quarta volta. E questo parve, infine, calmarlo leggermente.

“Ti ho cercato, Merlin.”, riprese in un fil di voce, affranto, e le labbra gli tremarono appena quando continuò. “Ti ho cercato per quasi dieci anni, ma tu eri come sparito nel nulla…”

Merlin provò a guardarlo negli occhi, ma non riuscì a sostenere il suo sguardo per più di una frazione di secondo e fissò un punto dalla parte opposta della stanza.

“…mi dispiace…”, ammise infine dopo un lungo e pesante silenzio, e non erano parole che aveva detto spesso. Non era mai stato orgoglioso quanto il suo re, ma anche lui non scherzava quanto a orgoglio…

E Arthur lo sapeva, perché a quelle due semplici parole rimase interdetto per una manciata di istanti, in silenzio, a fissare l’uomo che gli stava dinanzi e che, per una volta, era lui ad evitare il suo sguardo e non viceversa.

“Dimostramelo.”, ordinò Arthur e, a quella provocazione, Merlin, senza fiato, alzò infine gli occhi e li fissò in quelli del suo re come a cercare di capire se stesse davvero dicendo sul serio.

E ciò che vide lo terrorizzò, perché aveva visto tanta decisione in quel volto poche volte in vita sua.

“Arthur…”, fece in un roco sussurro che gli morì in gola mentre le mani gli tremarono visibilmente. “Ti prego… no.”, scosse il capo sempre più convulsamente. “Non chiedermi una cosa del genere.”, lo supplicò e distolse lo sguardo quando sentì le lacrime rigargli il volto sotto lo sguardo severo e in attesa del suo re che lo fissava senza la minima incertezza.

“Arthur, ti prego… non guardarmi così… mi stai chiedendo troppo. Tu non hai idea… non immagini…”, tentennò lo stregone deglutendo sonoramente e a fatica, senza riuscire a sopprimere tutti i singhiozzi che lo colsero.

COSA?!”, gridò l’uomo di fronte a lui, esasperato, furioso.

Merlin deglutì a vuoto diverse volte e Arthur, che lo raggiunse in poche falcate e, minaccioso, lo afferrò per il bavero costringendolo ad alzarsi in piedi, i loro volti talmente vicini che i loro nasi quasi si sfioravano, urlò ancora più forte quell’ultima domanda, e al mago quasi cedettero le ginocchia.

“…il mio tempo ha smesso di scorrere quando sei morto…”, bisbigliò a fatica dopo un tempo che parve infinito ma che non fu che qualche secondo sotto lo sguardo accusatore dell’uomo del suo destino, le lacrime che scendevano copiose lungo le guance. “…è stato come se metà della mia anima fosse scomparsa con te, e quando, dopo tutti questi secoli di attesa in un limbo, sei finalmente tornato, il mio tempo è tornato a scorrere. Allora ero solo il tuo servitore… una persona insignificante ai tuoi occhi di principe e poi di re. Non ero nessuno.”

“Non sei mai stato ‘nessuno’, Merlin! Sai che eri mio amico oltre che il mio servo! Lo sai!!”, lo interruppe Arthur offeso dalle sue parole e Merlin sbuffò in una sardonica risata e scosse il capo.

“Sai che ho ragione, testa di fagiolo…”

“Non puoi rifilare questo discorso a qualcuno che ha sposato una serva! Tu eri mio amico! Mi sono sempre fidato di te! Ti ho sempre stimato! E quando poi è venuto fuori chi eri veramente…”

“Stavate per voltarmi le spalle se non fosse stato per Gaius!”, lo interruppe Merlin gridando e tornando inconsciamente al voi. “Avevate così fiducia in me e mi stimavate così tanto che dopo la prima volta non mi avete mai più fatto sedere alla tavola rotonda come un vostro pari!”, lo accusò e Arthur, come tutte le volte che sentiva di essere nel torto, passò alle mani e, senza quasi rendersene conto, alzò un braccio e abbassò violentemente la mano aperta sulla guancia dell’uomo di fronte a lui facendogli girare la faccia.

“Ti ho chiesto scusa e ti ho ringraziato!”, protestò mentre i sensi di colpa per il passato e per quell’ultimo gesto impulsivo lo attanagliavano. “E ora dimmi, Merlin: perché hai rifiutato quando infine ti ho chiesto di prendere il tuo giusto posto al mio fianco se questa faccenda ti ha portato a provare un tale risentimento nei miei confronti?! Un risentimento che è vissuto attraverso questi secoli! Dimmi: sbaglio, forse, a desiderare che almeno ora la tua posizione, che il tuo valore ti venga riconosciuto come si conviene alla tua persona?!”, replicò adirato.

“Il mio valore è una cosa.”, rispose lo stregone improvvisamente gelido. “Ciò che mi stavi chiedendo ne è un’altra.”

“SCIOCCHEZZE!!”, gli gridò in faccia il re, ma questo non fece che esasperare Merlin oltre il punto di non ritorno.

“NON VENIRE A DIRE A ME COSA È UNA SCIOCCHEZZA E COSA NON LO È, ARTHUR!!”, gli tenne testa l’antico, ma subito dopo inspirò ed espirò a fondo una manciata di volte per riacquisire sufficiente contegno da essere in grado di parlare senza gridare. “Arthur”, riprese infine più calmo e, occhi negli occhi, Merlin decise di parlare chiaro una volta per tutte. “Io sono immortale.”, cominciò. “Ho camminato su questa Terra per più di millesettecento anni, e in questo lungo lasso di tempo ho visto il mondo cambiare una miriade di volte mentre l’unica cosa che rimaneva immutata ero io, e la sensazione di vuoto che provavo mentre attendevo il tuo ritorno per anni, poi decenni, poi secoli, e sono trascorsi quasi due millenni nel frattempo. Tu hai provato il distacco per ventitre anni: hai assaggiato in pillole ciò che è stata gran parte della mia vita. Sono attimi quelli che abbiamo trascorso insieme in rapporto alla durata della mia esistenza, un’esistenza che non si esaurirà con la tua prossima dipartita, e per me tutto ricomincerà da capo, anno dopo anno, decennio dopo decennio, millennio dopo millennio.”, fece grave e poi scosse il capo rassegnato e sospirò. “Non capisci che più mi darai in questa tua vita, più grave sarà la mia perdita quando mi ritroverò nuovamente solo a vagare per il mondo in attesa del tuo prossimo ritorno?”, chiese lo stregone insolitamente sconsolato, e solo in quel momento Arthur comprese davvero.

Non si era mai davvero spiegato il motivo del suo rifiuto anni prima: era stato Merlin il primo a dire che i loro destini erano intrecciati, che erano una cosa sola… eppure aveva rifiutato la sua proposta di restare al suo fianco come qualcosa di più di un servitore o anche di un amico.

Ora era tutto molto più chiaro.

Ora tutto aveva un senso, eppure…

Arthur scosse il capo e le sue braccia, inermi lungo i fianchi fino a quel momento, si rianimarono solo per afferrargli il volto tra le mani.

Lo fissò negli occhi per un istante lungo un’eternità e solo dopo lo baciò.

Fu un bacio a stampo, ma intenso, determinato. Un bacio che non trasmetteva passione, ma affetto incondizionato, comprensione. Amore.

“Merlin: ti faccio una promessa.”, proclamò infine Arthur. “Questa tua vita finirà con la mia, e se un giorno è scritto che tornerò, dato che dici che i nostri destini sono legati, tu tornerai con me.”

“La mia magia è troppo forte… non posso morire così facilmente, Arthur. Te l’ho detto: sono immortale.”

“Excalibur ha ucciso Morgana.”, replicò il re, ma non completò la frase, perché sapeva che Merlin aveva ben chiaro dove voleva andare a parare con quell’affermazione.

“Lo faresti davvero?”, gli domandò lo stregone, incerto, ma ciò che vide negli occhi dell’altra metà della sua anima gli cancellò ogni dubbio.

“Te lo giuro sul destino che ci lega: Merlin. Hai la mia parola. Tu portami Excalibur e insieme porteremo di nuovo la pace sul mondo, e, quando sarà il momento, io porterò la pace a te finché non ci incontreremo di nuovo.”, proclamò e suggellò quella promessa con un altro bacio, che stavolta, però, divenne mano a mano più intenso e passionale, e terminò coi loro corpi nudi e avvinghiati sul tappeto dell’ufficio del re mentre una sorta di sfera magica attutì ulteriormente i suoni che riempirono la stanza già insonorizzata, in modo tale che le guardie fuori dalla porta o chiunque altro potesse sospettare nulla.

   
 
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