42. L’inizio della fine (Parte 1°)
-Torna indietro tutta intera, novellina!-
Sollevo gli occhi,
non che abbia tutta questa voglia di conversare, ma ricambio lo sguardo di
Robert. Le sue braccia sono stese verso di me e le sue
mani pesanti si posano sulle mie spalle.
Un sorriso
perfettamente rilassato gli tende le labbra, ed io proprio non comprendo cosa
ci trovi di tanto divertente in tutto questo.
Stiamo per compiere
una follia.
Ogni cosa è
sbagliata, la nostra città non dovrebbe essersi ridotta in questo modo, come un
verme strisciante nella polvere più nera.
Ho soltanto
diciassette anni, appena compiuti, non dovrei aver visto tanta gente morire e
non dovrei avere paura di perdere la mia stessa vita.
E, cosa più
importante, non dovrei avere una tale responsabilità
fra le mani.
È l’alba, il sole
dietro di me sta per sorgere, ma la sua luce non riesce a scaldarmi. Come
potrebbe? Mi sembra di essere sul punto di morire, ogni mio muscolo è teso e
dentro fremo di terrore.
Finn e Jason hanno
organizzato il piano nei minimi dettagli e, a quanto dicono, hanno pensato a
tutto per essere pronti a ogni evenienza. Sappiamo dove
sono posizionate le telecamere che sorvegliano le vie cittadine, ognuno avrà il
suo ruolo e tutto dovrebbe filare lisci.
Eppure a me sembra
tutto così assurdo, che mi chiedo quanto ci metterà la
nostra bolla di sapone a scoppiare. O peggio, quali danni dovremmo subire
quando perderemo.
-Fai vedere chi
comanda a quegli idioti dei Candidi, okay?-
Alle parole di
Robert, avverto un sussulto al cuore.
-Come puoi essere tanto
spavaldo?- Soffio, scrollandomi le sue mani di dosso.
Robert assottiglia
lo sguardo, ma prova a sorridere.
-Sono un Intrepido,
novellina. Non ho mai paura.-
-Non parlo di paura,
parlo di buon senso!- Esclamo. -Rimarrete qui, dove ci
sono Max e Jeanine che potrebbero farvi ammazzare, se scoprissero che ci avete aiutati a fuggire!-
Robert si concede
una risatina. -Max avrà anche i suoi uomini, ma noi abbiamo i nostri!-
-E se non ci fosse
tempo di chiedere aiuto?-
Alza gli occhi al
cielo. -Non diventare paranoica, non è il momento.-
-Robert…- Sospiro.
Non voglio che
muoia. Non voglio nemmeno che a morire sia suo padre Finn. Non voglio dover dire addio a nessun altro.
-Andrà tutto bene,
tranquilla!- Mi incoraggia, con una pacca sulla
spalla.
Ma, prima che sottragga del tutto il braccio, lo afferro
per un gomito e lo guardo dritto negli occhi.
-Promettimi che
penserai ad Amber!-
Il labbro superiore
di Robert ha un piccolo fremito quando i suoi occhi si assottigliano, ma poi fa
un cenno.
-Ti ho già detto che
la proteggerò.-
-So di voi due!-
Chiarisco, seria. -Giurami che non le accadrà niente!-
Dopo averci
riflettuto un attimo, Robert si concede un sorrisino accattivante e fa più
cenni con la testa.
Prendo fiato e,
decidendo di allontanarmi prima che altri pensieri disastrosi mi assalgano, mi
sposto e lascio Robert.
Per questa nostra
insolita a pericolosa riunione, abbiamo scelto il retro della casa che
condividevo con Eric, visto che è la più periferica
del quartiere. Non ci sono case vicine, da cui qualcuno potrebbe spiare i
nostri movimenti dalle finestre e, inoltre, Finn ha scoperto che non ci sono
telecamere che sorvegliano la via secondaria che da qui ci condurrà fuori zona.
Raggiungo mia
sorella Amber che mi aspettava in disparte e apro anche la bocca per parlare,
ma non esce alcun suono.
-Papà e mamma sono
dovuti andare a lavoro per non destare sospetti, ma nello zainetto ti ho messo
tutte le medicine che ti servono. Ricordati di prenderle, devi ancora
riprenderti!- Mi spiega.
Sulla schiena ho lo
zaino che mi ero portata dietro quando siamo fuggiti dagli Intrepidi. Adesso ho
molto meno con me, ma non potevo non prenderlo e a quanto pare è già stato
rifornito di antidolorifici e altro.
Se ripenso a mia
madre, che avrà sicuramente dato le medicine ad Amber,
penso che lei è l’unica della mia famiglia con cui non mi sono ancora
riconciliata del tutto. Se penso a mio padre, invece, sento quasi bruciare la
chiavetta di memoria che nascondo nella tasca interna della giacca.
Mi
irrigidisco e provo a svuotare la
mente, ma non posso fare a meno di ammettere che sto rischiando tutto per
salvare Eric, quando le possibilità di riuscita sono pari a zero.
Come potrò mai
convincere un gruppo di folli Intrepidi, feriti e terrorizzati dagli Eruditi, a
fidarsi di noi e a collaborare? Eric, poi, è un loro prigioniero e non
rinunceranno mai a lui, e vorranno punirlo per le sue gravissime colpe.
E non
è che io non sia disposta a perdere ogni cosa e a sacrificarmi per
riaverlo al mio fianco, ma se a perdere la vita fosse qualcun altro ne morire. Preferire
cento volte perire, piuttosto che accettare l’idea che qualcuno venga ucciso per avermi aiutato.
Amber è mia sorella,
l’ho appena ritrovata dopo anni di stupide liti che ci hanno divise,
non posso sopportare che qualcuno le faccia del male.
E la colpa sarebbe
solo mia.
-Amber…- Alito,
addolorata.
-Stammi a sentire!- Taglia corto. -Sono un’Erudita e non sono
stupida! Abbiamo davvero pianificato tutto e niente andrà storto.-
-Come puoi esserne
certa?-
-Non ti fidi del mio
infallibile giudizio?- Ironizza, ma poi mi guarda seriamente. -Abbiamo
impiantato un virus nel sistema di sorveglianza. Quando sarete dai Candidi,
all’orario giusto, l’intero impianto elettrico avrà un blackout e nessuno
riuscirà a vedere che siete arrivati allo Spietato Generale. Per di più, anche
il sistema di memoria verrà danneggiato, in modo che
non rimanga nulla sui nastri.-
Sento il peso sulle
mie spalle schiacciarmi sempre di più.
-Sarete invisibili.-
-E tu?-
-Cosa?-
Prendo fiato.
-Riuscirai a non far capire a Jeanine che aiuti Robert a preparare una
rivolta?-
Lei sorride, furba. -Il mio compito sarà proprio quello di ingannarla! Lei mi
adora, non sospetterebbe mai che ti ho aiutata a
scappare, anche se sei mia sorella!-
Qualcosa dentro di
me scatta e perdo la calma. -Stiamo parlando della donna più intelligente della
città e tu pensi di imbrogliarla?-
Lei non risponde.
-Un Blackout, poi? Non capirà che è stato architettato e
non accidentale?-
-Ed è qui il bello!-
Afferma. -Jeanine sa benissimo che in tanti sono contro di lei e che vogliono
nasconderle quello che accade dai Candidi, perciò sa che “incidenti” di ogni
tipo possono verificarsi, solo che non saprà chi è stato a causare il guasto!
Magari andrà su tutte le furie, pensando che i nostri sistemi siano stati hackerati da altre fazioni!-
Sto per impazzire,
me lo sento.
-E poi, hai presente
il carico di corrente che consuma ogni giorni in nostro quartier generale?
Macchinari sempre in funzione e luci sempre accese! Direi che è più che normale
che salti la corrente elettrica, una volta ogni tanto, no?-
E magari sarà anche
normale per Jeanine decidere di uccidere tutti coloro di cui sospetta.
Mi passo le mani sul
viso e respiro profondamente, ma non serve.
So che andrà tutto
storto.
-Ascoltami bene!- Mi
richiama Amber. -Tu devi andare!-
La osservo in
silenzio.
-Devi riunire gli
Intrepidi e convincerli a venire qui e a combattere
contro Jeanine! Non importa cosa rischiamo, è la nostra sola possibilità per
fermare quella criminale per sempre! Se non uniamo le forze, finirà tutto in un
bagno di sangue!-
Non so più cosa dire.
So che Eric, in
sostanza, è il problema secondario. Io lo rivoglio con me, sono pronta a tutto
per salvarlo, ma il mio dovere è anche quello di fare qualsiasi cosa in mio
potere per fermare questa folle guerra.
Se riesco a
convincere i rivoluzionari che rappresentano la metà della mia fazione, non
solo posso salvare la vita dell’uomo che amo, ma posso fermare tutte queste
morti inutili e spodestare Jeanine.
Gli unici che devono
morire sono lei e Max.
Ed io posso fare
qualcosa, o almeno provarci, per raggiungere il nostro scopo.
E poi riavrò Eric.
Costi quel che costi.
-Ma cambiamo
argomento!- Esclama. -So che penserai che sia un comportamento da pacifica, ma
ci tenevo molto.-
Quando poso gli
occhi su di lei, mi accorgo che sui palmi delle sue mani ci sono due
braccialetti. Hanno entrambi uno spesso cordoncino intrecciato, soltanto che
uno è nero e l’altro blu. Ad entrambi è attaccato un
ciondolino luccicante e, quando capisco cosa rappresenta, il mio cuore accelera
i suoi battiti e tutto mi sembra improvvisamente troppo difficile da
sopportare.
-So che è stupido, e
se non lo vuoi….-
-Mettimelo!- Le
ordino, stendendo il polso destro verso di lei.
Lei nasconde un
sorriso e mi allaccia il braccialetto nero e, quando termina
la sua opera, il ciondolo luccica al sole e posso ammirarlo meglio. È un
ciondolo d’argento a forma di lettera a.
-Ho pensato che non
avevamo nulla di nostro e, visto che i nostri genitori
ci hanno dato due nomi con la stessa iniziale, ho pensato che potesse
significare qualcosa.-
In silenzio, le
tendo la mano e aspetto che mi dia il suo braccialetto con lo stesso ciondolo,
per poi allacciarlo al suo polso.
Improvvisamente
ripenso al profumo della colazione quando ero ancora a casa con la mia
famiglia, e un senso di vuoto mi assale.
Non dovremo essere
in guerra, non dovremo rischiare la vita. È tutto
sbagliato.
Eppure, in questo
mare di disperazione, c’è una cosa che so.
Non voglio più
perdere nessuno e, considerando che ho appena riallacciato il rapporto con mia
sorella, non ci vedo nulla di male a condividere un piccolo cimelio.
Potrei tornare e
trovarla morta, oppure non tornare mai più perché verrò
uccisa non appena arriverò dai Candidi.
Voglio avere con me
quanti più portafortuna possibile, come se non ne indossassi già abbastanza.
Sono conciata in
modo abbastanza bizzarro, visto come mi sono vestita. Ho addosso la felpa di
Eric, che è di diverse taglie più grande e sporge dal mio adorato giacchino di
pelle, quello con la cerniera che sale in diagonale che mi è stato donato
proprio da Eric. Ho i capelli racconti in una treccia scomposta e un paio di
vecchi jeans con le toppe.
Non sembra che io
stia andando ad affrontare una battaglia: sembro di ritorno. Non è solo il mio
abbigliamento trasandato e i miei capelli scompigliati a farmi sembrare appena
uscita da un uragano, ma anche i miei lividi.
Ho una guancia
ancora tumefatta, di un bel viola sfumato di verde, un vero capolavoro. Ho
potuto togliere il cerotto che copriva i punti che mi sono stati dati sulla
fronte, ma una sottile linea rossa mi fa da cicatrice.
Eppure la ferita che
mi da più fastidio di tutte è quella che si vede meno.
Dovrei odiare i segni che mi deturpano il viso, ma niente mi fa più male della
fasciatura attorno al mio polso sinistro.
Ogni volta che Amber
mi medicava, mi rifiutavo di guardare il segno dei punti che mi hanno ricucito
carne e vene, dopo che una simulazione mi ha spinto a farmi del male da sola.
Quando mi riscuoto,
vedo Amber che si stringe nelle spalle, senza più
guardarmi.
È assurdo, ma
capisco che mia sorella vorrebbe di più, ma si limita a un distaccato saluto
per non forzarmi. Sa che non sono molto avversa ai contatti fisici.
Ma non sa che sono cambiata e che, in questo momento in
cui tremo di paura e non ho più alcuna certezza, non ho bisogno di barriere. La
guardo, e penso che se mai sopravvivrò senza di Eric, lei sarà tutto ciò che mi
rimarrà.
Sento il vuoto
crescere e mi manca l’aria. Barcollo.
L’afferro da una mano e la spingo verso di me,
stringendole le braccia attorno al collo e nascondendomi sulla sua spalla.
Provo a controllarmi, ma il respiro è affannato.
-Stai attenta, ti
prego!- La imploro. -E, se pensi che Jeanine sospetti qualcosa, prendi Robert e
scappate dai Pacifici!-
Ricambia il mio
abbraccio e si stringe a me. -Staremo bene! Vai a prendere Eric!-
Respiro
profondamente, riconoscendo nei suoi vestiti l’odore di casa mia, e su di me ha
subito effetto. Mi calma come una cura. Ma non del
tutto.
La stringo ancora e
poi la guardo negli occhi un’ultima volta e lei mi sorride, mente il sole fa
luccicare le lacrime nascoste tra le sue ciglia. Faccio appello a tutta la mia
forza e la lascio andare, ma mi accorgo che si passa
una mano sulla guancia.
Sospiro e mi impongo di concentrami e di pensare ad altro, avanzando.
Raggiungo Jason, non
troppo lontano, e porto la mano alla fontina legata alla mia coscia. Tocco il
metallo freddo della pistola e cerco forza. Ho con me l’arma che mi è stata data il giorno della simulazione, quella che ho tenuto
nascosta nel fondo del mio zaino per giorni. C’è anche un coltello nascosto nel
mio stivale, ed un altro coltellino infilato nelle
tasche sul davanti della felpa di Eric, protetto dalla giacca.
Il piano originario
prevedeva che ci presentassimo al resto della nostra fazione
disarmati, ma Jason ha pensato che potremmo incontrare dei pericoli
lungo il percorso. Ci saranno squadre di ronda degli uomini di
Max e gruppi di Esclusi, per cui dobbiamo essere pronti a tutto.
Arrivati dai Candidi potremmo sempre deporre le armi, ma mi piace pensare
che mi lasceranno il mio coltellino segreto, visto che il giubbotto lo nasconde.
Mi fermo davanti a
Jason, con lui ci sono Camille e Nick, e stanno discutendo sul percorso da
seguire per arrivare sani e salvi a destinazione.
Nick si accorge di
me e mi riserva uno sguardo freddo. -Stai attenta ragazzina, e non fare
stronzate!-
Non so se sia un
saluto, un incoraggiamento o un rimprovero, ma so che da quando ho accusato
Jason di tradimento, lui e Camille non mi guardano più allo stesso modo.
Nascondo le mani
nelle tasche dei pantaloni, mi mordo il labro e abbasso la testa.
-Siamo pronti!-
Annuncia Jason, inflessibile. -Hai tutto?-
Capisco che si
riferisce a me e penso al mio zaino sulla schiena e alle mie armi nascoste,
così faccio un cenno.
-Dovrei essere con
voi!- Esclama Nick, con profondo rammarico.
Jason gli mette una
mano sulla spalla. -Ci sarai di grande aiuto anche da qui, non temere!-
I due si danno un
frettoloso abbraccio, corredato di pacche sulle spalle e Nick fa un passo
indietro.
Camille si affianca
a Jason e iniziano a camminare, ed io li seguo ad un passo di distanza.
Senza poterne fare a
meno mi volto, e vedo Robert e Finn che mi osservano allontanarmi e il
capofazione solleva il mento verso di me, come in un saluto.
Poco distante c’è
Amber che li sta raggiungendo, lei non si accorge che la sto guardando, ma io
continuo a fissarla anche mentre cammino, torcendo il collo.
Ultimamente sono
pessimista e in preda a crisi emotive, e so che non devo più fidarmi di quello
che provo, eppure quello che sento è un profondo malessere. Mi sembra di avere
un terribile presentimento e, mentre guardo mia sorella, la vocina nella mia
testa mi sussurra che questo è un addio.
Probabilmente non la
rivedrò mai più, e temo che sia perché il mio corpo sa che sto andando incontro
alla mia fine. I ribelli mi faranno a pezzi quando sapranno che sono la ragazza
di Eric e che, di fatto, sto andando lì per chiedere che gli risparmino la
vita.
Dovrebbe essere un nuovo inizio, è magari lo sarà.
Ma, al momento, mentre mi sembra di star lasciando per
sempre mia sorella, mi sembra che sarà solo l’inizio della fine.
La mia fine.
-Ormai è quasi mezzo
giorno, tra poco andranno via!- Afferma Jason, tornando ad accucciarsi per
terra.
Io sono seduta
contro il muro di fronte e lui e Camille, e cerco di fingere di non esserci. Ho
le mani appoggiate sulle ginocchia e conto mentalmente fino sessanta e, ogni
volta che ci arrivo, ricomincio da capo.
Sapevamo che lungo
il nostro percorso avremmo incontrato delle difficoltà, tra cui i gruppi di
soldati in perlustrazione per le vie della città. Stanno cercando gli Abneganti
scomparsi e possibili Divergenti che si stanno ancora nascondendo.
Fortunatamente Jason
è riuscito ad avere lo schema dei turni delle ronde e sapeva con precisione dove nasconderci per evitarle.
Superata
definitivamente la zona degli Eruditi, abbiamo dovuto aggirare tutto quello che
rimane del quartiere degli Abneganti e, prima di gettarci di corsa lungo
l’ultimo tratto di strada, ci siamo dovuti riparare in un vecchio edificio
abbandonato per evitare di essere avvistati dai soldati in marcia.
Siamo ormai fermi
qui da ben ventiquattro minuti, li ho contati tutti, ed
ogni altro istante che passa è insopportabile. Ma
Jason aveva ragione, il gruppo di ricognizione sarebbe passato all’ora
prestabilita e noi dovevamo occultarci. Non potevamo certo gironzolare in bella
vista.
-Cosa succede se ci
vedono?- Domanda Camille, in un sussurro.
Jason sporge la
testa oltre la finestra scardinata sopra la sua testa e conta con lo sguardo
gli Intrepidi che riesce a vedere, muovendo le labbra
ad ogni numero.
Cinque. Ci sono
cinque soldati che eseguono fedelmente gli ordini di Max.
E non sono nostri
amici.
Jason torna giù e
colpisce con un pugno la parete dietro di lui. -Non potremmo permettere che
ritornino alla base ad informare Max!-
Camille devia lo
sguardo, stringendo le palpebre quando prende un profondo respiro.
Rimango in silenzio
e seguo anch’io le figure nemiche, interamente vestite di nero e blu, che si
aggirano poco distante da noi. Avrebbero dovuto essere i miei compagni di
fazione, sarebbero dovuti essere i miei colleghi, avrei dovuto
condividere con qualcuno di loro lo stesso tavolo a mensa.
E invece sono pedine
che si muovono sotto di Max che tira i fili, ma non ci è
dato sapere se anche loro vorrebbero ribellarsi alla sua folle tirannia.
Potrebbero essere
Intrepidi assetati di sangue e guerra, che non desiderano altro che mettersi in
mostra consegnando Divergenti e trasgressori a Jeanine. Oppure potrebbero
essere al suo servizio solo per paura, e perché magari non hanno avuto contatti
con Finn e non sanno che non sono gli unici a pensarla diversamente.
Questo dubbio e
l’unica cosa che mi tormenta perché, per quanto l’idea
di uccidere qualcuno mi faccia contorcere lo stomaco, sono stanca di starmene
buona e zitta. Voglio correre da Eric, sta passando troppo tempo, e sono stanca
di sopportare tutti gli assassini che incontro nascondendo la testa sotto la
sabbia.
-Stanno andando
via!- Dichiara Jason, dopo un’ultima occhiata alla strada principale.
Tiro un sospiro di sollievo e striscio sulle ginocchia per
sollevarmi cautamente senza rischiare di farmi vedere da oltre la finestra.
Camille mi supera e
la seguo fuori, con Jason che ci fa strada e ci indica
di correre sul retro del vecchio edificio in cui ci siamo nascosti. Fuggiamo
rapidi e silenziosi, aggirando i resti delle strutture per evitare di esporci
troppo e saltiamo oltre la linea dei binati che attraversa la zona.
Stiamo per superare
un cancello grande tanto quando è arrugginito, sistemato fra due colonne di
solito cemento, ma Jason ci ferma. Ci indica una
telecamera nascosta e ci fa aggirare il muro per poi intrufolarci da un buco
che funge da passaggio secondario.
Quando capisco dove
ci troviamo, il mio cuore ha un forte sussulto, l’adrenalina mi sale in gola e
i brividi che provo lungo le braccia mi scuotono, tanto che tossicchio in cerca
di ossigeno.
Siamo finalmente
arrivati nella zona delimitata dei Candidi, se sollevo gli occhi
posso scorgere lo Spietato Generale, ovvero la loro sede operativa principale,
e attorno a noi ci sono già le prime abitazioni ordinate. Per arrivare fino a
qui abbiamo strisciato come ombre, evitato treni e telecamere e ci siamo
nascosti a ogni passaggio delle guardie, ma alla fine ci siamo.
Non ci troviamo più
tra i cunicoli abbandonati della città, ma siamo chiaramente giunti in uno dei
settori dedicato a una delle cinque fazioni. I Candidi hanno case comode e
tutte rivolte ad est, con finestre da cui si
intravedono le bianche tende interne.
Sto per fare un
passo avanti, quando una mano di Jason mi afferra per un braccio e mi
trattiene.
-Aspetta, dobbiamo
chiarire alcune cose.-
Osservo Jason,
infastidita, e tolgo il braccio dalla sua presa.
-Di cosa?-
Jason si scambia uno
sguardo con Camille e lei gli fa un cenno d’incoraggiamento.
Non ho parlato con
loro per tutto il tragitto, ma li ho visti scambiarsi informazioni mentre
organizzavano gli ultimi dettagli.
-So che sei
sconvolta e che vuoi subito salvare Eric,- Inizia. -Ma
devi mantenere i nervi saldi e promettermi che non fari niente di avventato.-
Osservo lui e la sua
ragazza e, in questo momento, non riesco più a provare affetto per loro.
-Non
farò assolutamente niente e lascerò parlare te, ovviamente. Non sono una stupida!- Scandisco.
Jason apre e
richiude la bocca, come se stesse per dire qualcosa prima di cambiare idea.
Vedo Camille che lo
osserva, ma non guarda mai me, neppure per sbaglio.
So di aver praticamente, e senza neanche troppi giri, accusato Jason di
essere un doppiogiochista, e so anche che non gli è ancora passata. In un colpo
solo ha scoperto il tradimento del fratello ed è stato accusato di essere in
combutta con lui, anche se era allo scuro dei suoi piani.
Jason è il migliore
amico di Eric, magari voleva che mi fidassi di lui cecamente, ma non è forse
quello che ho fatto?
Sarò anche partita
all’attacco, ma gli ho soltanto chiesto del suo tatuaggio, per poi schierarmi
subito dalla sua parte e dargli fiducia anche se Finn era contrario.
Mi dispiace che si
sia creata questa situazione e, a mente fredda, capisco anche che ho
ingigantito la faccenda solo per paura. Avrei dovuto escludere a priori l’idea
di un suo possibile coinvolgimento nella mia aggressione.
Eppure, mentre
guardo gli occhi di Camille posarsi con accondiscendenza su di me, come se il
mio gesto fosse stato troppo stupido e per questo da compatire, non posso fare
a meno di pensare che rifarei esattamente quello che ho fatto.
Ero sola, e dovevo
riportare a casa Eric tutto intero. Nemmeno adesso mi fido veramente di
qualcuno. Ho solo me stessa.
-Quello che voglio
dire,- riprende Jason. -È che ho bisogno che ti fidi
di me.-
Le sue parole mi
lasciano senza fiato.
-Mi fido di te!- Gli
rispondo. -E te l’ho anche dimostrato!-
Se non avessi
creduto alla sua spiegazione, non sarei certo venuta fin qui con lui!
-Perché le cose
potrebbero non andare come vogliamo, ma devi sapere che farò di tutto per Eric.-
Ascolto la sua
spiegazione e devio lo sguardo, anche se non capisco esattamente per cosa io mi senta in colpa.
-Non essere
pessimista!- Lo riprende Camille, accarezzandogli una guancia. -Siamo arrivati
fino a qui e sappiamo che Eric è ancora vivo.-
Mi giro di spalle e
riprendo a camminare prima che qualcosa mi faccia soffocare, anche se forse è troppo tardi perché sento già una morsa spiacevole allo
stomaco. Non è il momento di calcolare le possibilità di riuscita, non voglio neanche
credere di aver fatto tutta questa strada per niente.
Ho anche messo in
pericolo Robert, Amber, Finn e Nick, che sono rimasti dagli Eruditi e
copriranno le nostre tracce. So che potremmo venire
uccisi e sono consapevole del fatto che per Eric potrebbe essere semplicemente
troppo tardi.
Ma, vivo o morto che sia, sono arrivata fino a qui per
lui e non mi tirerò indietro.
Ricaccio indietro le
lacrime e sopprimo i brividi che mi scuotono, metto le mani nelle tasche della
giacca e scelgo un sentiero secondario, piuttosto che la strada principale.
Sento Jason e
Camille dietro di me e capisco che stiamo andando dalla parte giusta. Per le
viuzze non ci sono Intrepidi, e i pochi Candidi che scorgiamo o non si
accorgono di noi, o fingono di non vederci. Forse si sono abituati alla
presenza di Intrepidi nel loro quartiere.
Sento i battiti del
mio cuore accelerare e inizialmente non ne capisco la ragione, poi alzo lo
sguardo e mi accorgo di essere esattamente davanti allo Spietato Generale.
Solo un sentiero di
mattoni di marmo ci divide dalla scalinata e dall’imponente porta e vetri.
-Cosa facciamo?-
La voce di Camille
alle mie spalle non basta a distrarmi, il cuore pulsa contro il mio petto e le
mani mi tremano dentro le tasche. Ho gli occhi incollati sulla vetrata, ma i
vetri sono oscurati e non vedo l’interno.
Fuori, un ragazzino
vestito di nero esattamente come noi, ci guarda strabuzzando gli occhi e corre
dentro urlando qualcosa che non capisco.
Jason cerca di
controllare il proprio nervosismo con un sospiro ma, quando mi affianca e mi
volto per osservarlo, vedo come freme.
-Niente! Non
facciamo niente, entriamo e basta!-
Camille fa un cenno.
-Collaboriamo se ci chiedono di consegnare le armi?-
Jason solleva il
mento e si risistema la giacca sul petto, allungando poi la mano verso la sua
gamba come a volersi accertare di aver ancora la sua pistola. -Non abbiamo atra
scelta.-
E, quando penso che
il mio corpo si sia paralizzato, le mie gambe si muovono da sole e avanzo senza
indugio verso le scale. Sento che mi seguono come un’ombra, saliamo le scale e,
a ogni singolo scalino, il mio cuore salta un battito ma non ho più paura.
Non sento più
niente.
Sono io stessa a
spingere e ad aprire la porta dello Spietato Generale, e Jason e Camille entrano
prontamente con me. Il profumo di pulito e disinfettante mi invade
le narici, siamo arrivati in una sala d’attesa ambia e ordinata.
Ho giusto il tempo
di accorgermi del mosaico sul pavimento che raffigura la bilancia dei Candidi
quando, improvvisamente, l’ordine e il bianco della sala lasciano il posto a una
massa scura che si avventa su di noi.
Sento Camille urlare
e Jason invitare qualcuno alla calma, spiegando che vogliamo solo parlare, ma
credo che sia inutile.
Due forti mani mi
afferrano i polsi e mi spingono a terra, urto violentemente con le ginocchia
sulle piastrelle e vedo Camille finire giù al mio fianco.
Un gruppo di
Intrepidi si piazza danti a noi, due uomini tengono ferme me
e Camille, e Jason continua a inveire contro qualcuno, sperando di farsi
ascoltare.
Ma un brivido mi gela la schiena e mi chiedo perché si
stia agitando tanto, quando è chiaro come il sole che siamo arrivati alla fine
senza passare da un inizio. Non abbiamo più speranza, sollevo lo sguardo e mi
accorgo della luccicante canna del fucile puntata esattamente contro la mia
testa. Sento solo il battito frenetico del mio cuore e il vociare confuso
attorno a me, così lascio che le mie palpebre si chiudano e chino la testa in
avanti.
Perché deve essere
questa la fine?
Continua…
Scusatemi per il
ritardo e, se volete farmi sapere le vostre impressioni su questo capitolo,
lasciatemi pure un commento.
Per il resto non
voglio aggiungere altro, ci vediamo alla seconda parte di questo
aggiornamento.
Baci!