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Autore: Vitya    21/03/2016    3 recensioni
Tutti invidiavano Sasuke: era il più affascinante, il più intelligente, il più bravo in tutto. Nessuno avrebbe mai pensato che stesse attraversando un periodo tanto difficile. In tutto questo, però, c'era un ragazzo dai capelli biondi al suo fianco. E, soprattutto, c'era un posto dove si sentiva in pace con se stesso, un bar dove facevano un caffè davvero buonissimo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nagato Uzumaki, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Buongiorno a tutti :)
No, non sono morta, ho solo avuto un "periodo no" durato settimane intere. Oltre i soliti problemi con la scuola e l'influenza, che è tornata con furore, ci si sono messe tante altre cose, come il blocco dello scrittore prima, un po' di casini in famiglia poi. Il risultato è stato uno stato di semi-depressione in cui scrivere di altre tragedie era una vera sofferenza, e questo è il motivo per cui ho tardato tanto. Mi dispiace un sacco, però non ce la facevo a sbrigarmi prima. 
Il capitolo non è proprio il massimo, considerando lo stato in cui l'ho scritto. Ho cercato di rendere i personaggi e i discorsi naturali, ma non è facile quando ti si presenta davanti la famiglia Uchiha nel suo complesso e un Sasuke più depresso di me. Alla fine ho posticipato al prossimo aggiornamento alcune parti, come quella di Mikoto. 
Ho riletto tutto alcune volte, spero non mi sia sfuggito nulla. Abbiate pietà per l'ultimo pezzo, l'ho finito dieci minuti fa. Spero di risentirvi presto e di non farvi aspettare troppo. Grazie a chi ancora mi segue e a chiunque lascia una recensione o un commento. Un bacione, buona lettura :*
P.S: Non sapendo che titolo mettere, ho semplicemente espresso la più banale considerazione che mi venisse in mente.
Link della mia pagina, per chi volesse farci un salto :)   https://www.facebook.com/Konan98f-1453336431605737/
 
Cap 30: Quanto sono difficili gli Uchiha

Il giovane albino fissò sconvolto il suo migliore amico, fermo al posto di guida. Lui invece stava sul sedile del passeggiero, imbambolato come un perfetto idiota: aveva lasciato la sigaretta a mezz’aria assumendo un’espressione interrogativa, con tanto di bocca socchiusa e sopracciglia inarcate.
-Che hai detto? – chiese conferma, certo di aver sentito male.
-Mi ha sbattuto fuori casa – rispose Sasuke, accendendosi a sua volta una sigaretta.
La naturalezza con cui l’aveva detto era stata disarmante, quasi come se non si trattasse di qualcosa che lo riguardasse in prima persona. Suigetsu sbatté le palpebre per riprendersi da quella momentanea paralisi.
-Stai scherzando? –
-Ho un borsone pieno di vestiti nel cofano – ribatté il moro, scocciato davanti tanto scetticismo.
L’Hozuki lo guardò preoccupato, non riuscendo a credere a ciò che l’altro gli aveva appena raccontato. Non si stupiva molto della sfuriata padre-figlio, d’altronde le tensioni accumulate nel corso degli anni prima o poi sarebbero venute a galla. Per di più era inevitabile che Fugaku venisse a sapere dell’omosessualità del giovane. Ciò che lo lasciava sconvolto erano le conseguenze di quella Apocalisse formato famiglia: Sasuke era stato cacciato di casa. Certo, dal suo canto lui aveva sbandierato ai quattro venti di essere anche passivo, ma si sa che gli Uchiha sono vendicativi.
-Bello schifo … - riuscì solo a commentare. Incredibile come quelle due parole riassumessero perfettamente la situazione.
-Hai ragione – annuì l’altro, soffiando via un po’ di fumo.
L’albino riportò gli occhi viola sopra la figura al suo fianco, stanca come mai. Teneva il polso appoggiato al vetro del finestrino, mentre la mano sosteneva la fronte pallida ricoperta da alcune ciocche blu. Con la destra, libera, smicciava la sigaretta nel posacenere dell’auto, in un gesto meccanico; era palese che, in quel momento, non era lì con lui. Almeno non del tutto. Il suo sguardo vuoto fissava il nulla, il frenetico via vai di passanti nella strada al di là del vetro, senza una reale attenzione. Non lo aveva mai visto in quello stato, nonostante la sua ampia quanto scapestrata esperienza. Sapeva riconoscere Sasuke arrabbiato, Sasuke distaccato, Sasuke felice, persino un Sasuke disperato, invece ora non era nulla di simile. Era rassegnato, deluso, con un’espressione ferita che cercava ostinatamente di nascondere. Gli leggeva addosso una stanchezza e una tristezza tutte nuove, non sembrava neanche l’incredibile ragazzo che conosceva.
-Che farai ora? – gli domandò, sinceramente preoccupato – Se vuoi, puoi stare da me per stasera. –
-Anche se mamma non sarà contenta – commentò fra sé, consapevole di azzardare parecchio con quell’invito.
-No. Ti ringrazio, ma non voglio causarti casini con i tuoi genitori – lo rassicurò l’Uchiha, intuendo i suoi pensieri – Hai già i tuoi problemi, non devi farti carico anche dei miei. –
-Pensavo fosse quello che facciamo da sei anni a questa parte– ribatté l’albino, insolitamente serio – Insomma, tu vai contro tuo padre per continuare a frequentarmi, io ti ospito quando sei sotto un ponte e non sai dove dormire. –
Il moro sembrò sollevato da quella battuta incredibilmente veritiera, tanto che per un attimo incurvò gli angoli della bocca nell’accenno di un sorriso. Sarebbe stata dura affrontare tutta quel disastro senza l’Hozuki.
-Non sono sotto un ponte; Naruto mi aveva detto che potevo restare da lui quando eravamo all’Akatsuki, credo che la sua offerta sia ancora valida – spiegò, facendo spallucce – Nel peggiore dei casi dormo in macchina. –
-La tua fidanzata non lo permetterebbe mai, lo sai meglio di me – ribatté il giovane dai capelli candidi, spegnendo la propria cicca ormai consumata fino al filtro.
-Già … -
Gli occhi viola del suo amico notarono una sfumatura più cupa nella sua espressione. Perché si era intristito così di colpo? Non che non avesse motivi validi, anzi, aveva l’imbarazzo della scelta. Gli sembrava strano, però, che si ammutolisse proprio quando era stato nominato l’Uzumaki.
-Che c’è? –
-Niente, è che … non so se voglio andare a stare da lui – ammise l’Uchiha, massaggiandosi una tempia con la mano sulla fronte.
-Perché? – gli chiese l’altro, vedendolo trattenere un sospiro con un tiro particolarmente lungo.
-Perché la sua famiglia è schifosamente perfetta – sbottò d’un tratto, con la voce quasi rotta – Lui … insomma, lui non sa nemmeno che significhi avere una crisi famigliare! Ogni volta che penso a loro mi sembra di venire da un pianeta diverso, come se solo noi fossimo gli stronzi a cui sono capitati dei genitori di merda – spiegò, trattenendosi a stento dall’iniziare a gesticolare.
Era arrabbiato, aveva sputato quelle parole acide con troppa amarezza. Come biasimarlo? Anche lui si era fatto quelle stesse domande tante volte in quegli ultimi anni.
-Sei emozionalmente stabile quanto una donna in gravidanza – lo sfotté, beccandosi uno sguardo assassino in cambio.
-Guarda che non siamo i soli – riprese poi, intristendosi un po’ anche lui – Non è solo tuo padre che ti butta fuori casa, o mio fratello e i mia madre che si lanciano i soprammobili. Nemmeno Karin e Juugo se la passano bene, e ce sono migliaia di persone come noi, messe anche peggio di noi. -
-Lo so, ed è per questo che noi riusciamo a capirci. Quando parlavo dei miei genitori a Naruto, lui non credeva che mio padre fosse una tale merda; è normale, è cresciuto in un nido di amore, che ne può sapere di queste cose? – cercò di spiegare il moro, controllando sempre meno quel nodo che gli era salito in gola – Io lì non c’entro niente. In quella famiglia sono l’intruso, sono quello che porta scompiglio, quello che viene da un posto come casa mia – confessò, sospirando profondamente.  
-Gli Uzumaki hanno ospitato Karin due mesi fa, quando sua madre è finita in ospedale – iniziò a raccontare l’albino, appoggiando il capo al sedile – Neanche lei ha una vita facile, però mi ha detto che non era così male; è rimasta per circa una settimana. Sai com’è complicata, non avrebbe resistito tanto se non si fosse trovata bene. Se hanno sostenuto lei, di certo possono sopportare te, tanto siete mestruati uguale – cercò di sdrammatizzare, con pessimi risultati – In ogni caso, anche le mia offerta è ancora valida. –
-Non preoccuparti, in qualche modo farò. Anzi, è meglio che mi faccia passare questa storia, perché mi sa che dovrò fermarmi lì per un paio di giorni. Almeno starò un po’ con Naru. –
-Ancora non lo sa cos’è successo? – domandò l’Hozuki, vedendo l’amico scuotere il capo in risposta.
-No. Ho un sacco di suoi messaggi, però ancora non gli ho risposto. –
-Come mai? –
-Non me la sentivo. Tanto ora lo devo chiamare, gli spiego tutto in una volta. –
Quella risposta lo fece riflettere, facendo sorgere in lui una domanda a cui non aveva ancora pensato.
-Allora è per questo che hai chiamato prima me? – gli chiese, fissandolo dritto in volto – Perché non sei andato subito da lui? –
-Non lo so ... Forse perché sei il mio auto-proclamato migliore amico, o cazzate del genere – sbottò l’Uchiha, con il suo solito tatto – Probabilmente per il discorso di prima: perché tu mi capisci, mi conosci, sai quello che ho passato dato che è molto simile a ciò che hai vissuto tu, oppure lo abbiamo direttamente vissuto insieme. So solo che quando ho realizzato quello che stava succedendo ho pensato che dovevo parlarne con te. –
-Questo è meglio se non lo dici a Naruto, potrebbe incazzarsi. –
-Di sicuro – commentò Sasuke, con una smorfia che ricordava vagamente un sorriso – Ma so che tu sai tenere un segreto. –
-Uno più, uno meno – ribatté l’albino, facendo spallucce.
 
***
 
La donna stava in piedi davanti al marito, con le sottili sopracciglia inarcate. Era andata a fare la spesa con Itachi, ed erano tornati da pochi minuti. Avevano intuito che durante la loro assenza era successo qualcosa quando, mentre aspettavano di entrare nel parcheggio, avevano visto Sasuke salire in macchina come una furia. Il ragazzo aveva caricato un borsone nel bagagliaio in malo modo, per poi partire con una sgommata spaventosa e molto insolita al suo stile di guida. Itachi, seduto dietro il volante, aveva commentato la scena con un azzeccatissimo “È incazzato nero”. Gli aveva subito dato ragione, chiedendosi quale potesse essere la causa di un simile comportamento in una persona tanto calma. La risposta era quanto di più impensabile potesse immaginare.
-Cosa hai fatto? – domandò sgomenta, alzando inconsapevolmente il tono di voce.
Fugaku aveva la schiena dritta appoggiata al lavello, con un sigaro fresco che doveva aver acceso da pochissimo fra le dita. Anche lui in abiti da ufficio, sembrava più serio del solito.
-Gli ho detto di andarsene – ammise, senza cercare alcuna giustificazione.
-Stai scherzando, spero – s’intromise allora il giovane, congelandolo con lo sguardo.
-Io non scherzo, specie su queste cose, lo sai bene. –
-Fugaku, spiegami per quale stramaledetto motivo hai sbattuto nostro figlio fuori di casa – ordinò Mikoto, dimentica della dolcezza quotidiana.
Sbagliavano quelli che la ritenevano un’esclusa, un’Uchiha solo per cognome, una che era entrata in famiglia solo grazie ad un matrimonio oltremodo conveniente. Sapeva bene come tener testa ai “veri” Uchiha, che avevano nel sangue una subdola quanto spaventosa cattiveria. Aveva davvero visto il meglio e il peggio di quegli individui, e si era dovuta adattare. Forse si trattava di mero spirito di sopravvivenza, d’altronde non le piaceva affatto comportarsi come loro.
-È frocio – esordì suo marito, colorando quella parola con un profondo disprezzo.
L’espressione sbigottita della donna bastò a porgli un’implicita domanda. Era comunque evidente che lei non possedeva dei reali geni Uchiha; non si sarebbe spiegata altrimenti una così ampia espressività. Suo figlio, infatti, aveva solo sgranato gli occhi per un istante, riconquistando con forza poi la compostezza di sempre.
-Che stai dicendo? –
-Sas’ke è frocio. Me l’ha detto lui, anzi me l’ha gridato contro aggiungendo dettagli davvero poco meritevoli. –
-E l’hai sbattuto fuori casa per questo? – chiese Itachi, con forte disappunto.
Questi teneva le braccia incrociate al busto e, nonostante cercasse di controllarsi, non riusciva a non stringere spasmodicamente la presa sull’avambraccio destro. Dettaglio di cui suo padre si accorse, ma che decise di ignorare. Aveva ben altro a cui pensare al momento.
-Che avrei dovuto fare? – ribatté poi di rimando – Io non ho cresciuto una checca isterica e passiva, che si lascia sfondare da un moccioso nei peggio modi. –
-Fugaku! Stai parlando di nostro figlio! – lo rimproverò Mikoto, iniziando a gridare. Pessimo segno; se avessero continuato a lungo, di lì a poco si sarebbe scatenata una furia.
-È la verità! –
-Lui dov’è adesso? – li interruppe bruscamente il figlio, per niente interessato alle loro chiacchiere.
-Non lo so, non m’interessa – sbottò l’uomo, per poi tornare a concentrarsi sulla sua iraconda mogliettina – E non prendertela con me, ho solo fatto la cosa giusta. –
-“La cosa giusta” un cazzo. –
-Adesso è colpa mia? –
-Non riesco a vedere come non possa essere colpa tua! – ribatté lei, corrosiva quanto la soda caustica.
-Vuoi tenertelo in casa? Per fare cosa? Sentiamo! Che farai quando ci porterà ragazzi spacciandoli per “suoi amici”? O dovremmo vivere col timore di entrare in camera sua e trovarci chissà che cosa? – inveì lui, gesticolando come faceva da sempre a lavoro – Io non voglio un malato che ci porti l’Aids in casa. –
-PAPÀ! – lo fermò Itachi, congelando i due adulti – NON È UN MOSTRO! -
Non gli aveva mai urlato contro in quel modo in ventitré anni. Eppure adesso non sembrava neanche il genio perfetto che aveva visto fino a quel momento. Era, forse la prima volta in vita sua, veramente arrabbiato. Aveva aggrottato la fronte creandovi un solco nel mezzo, aggrottando le sopracciglia scure per dare forza allo sguardo acceso. I suoi lineamenti, da sempre un po’ troppo marcati, sembravano più forti del solito, più carichi. Persino le narici erano più larghe e la bocca, per metà socchiusa, mostrava come si stesse torturando le gengive serrando i denti per sfogare la rabbia. Lo stesso Fugaku si bloccò davanti a quell’insolita visione, ma di che si stupiva? D’altronde, chi meglio di lui sapeva di cosa fossero capaci gli Uchiha se provocati?
-È Sasuke! – puntualizzò ostinatamente –È sempre Sasuke! -
-Ti sembra che io sia felice? – gli domandò l’altro, stranamente calmo – Ti sembro contento di come siano andate le cose? Di averlo cacciato via? Non credi che sia difficile anche per me? È stato un fallimento per me, come padre e come uomo. –
-Fugaku – lo chiamò la moglie, come se si stesse rivolgendo ad un servitore.
-Tu sei pazzo – sputò invece il giovane, scuotendo il capo in disappunto.
Allungò la mano sul tavolo della cucina, dove aveva abbandonato le buste della spesa. Raccolse in fretta le chiavi della macchina, deciso ad allontanarsi da lì il prima possibile.
-Lo vado a cercare – aggiunse poi, dirigendosi verso l’ingresso.
-Non ti scomodare – ribadì l’avvocato – perché non lo farò rientrare. –
Itachi era sul punto di ribattere con argomentazioni ben poco appropriate; per fortuna, sua madre lo precedette.
-Se entro stasera Sasuke non è sotto questo tetto, sappi che non sarà l’unico a dormire fuori oggi – intervenne la donna, fulminandolo con lo sguardo.
-Vorresti cacciarmi fuori casa? –
-Bene – commentò il giovane, spalancando la porta.
Uscì senza salutarli, lasciandoli continuare a litigare.
 
***
 
Il cellulare squillò, vibrando sulla scrivania disordinata. Naruto, che aveva inutilmente provato a studiare per ingannare quell’attesa snervante, saltò in aria dalla sedia girevole. Si precipitò a rispondere abbandonando il libro aperto sul pavimento, senza nemmeno controllare chi lo stesse chiamando. Più di un’ora e mezza; ecco quanto quel rifiuto del suo fidanzato lo aveva fatto aspettare prima di degnarsi di dargli notizie. Eppure lo sapeva che lui stava in ansia, eccome se lo sapeva, lo aveva praticamente supplicato di andare con lui. Invece no: aveva voluto “affrontare la faccenda da solo”, per poi sparire nel nulla e ignorare tutte le sue chiamate e i messaggi. Onestamente non sapeva nemmeno perché gli stesse rispondendo subito, ma era certo che se avesse iniziato a fare il prezioso non avrebbero mai parlato.
-Maledetto stronzo – l’insultò fra sé.
-Pronto? – esordì con il cuore a mille.
-Naruto? Ciao, sono io. Ti volevo chiedere, domani pomeriggio hai da fare per la partit-
-Shikamaru scusami ma ora non posso parlare. Ti mando un messaggio più tardi, promesso – ribatté sbrigativo, salutandolo appena prima di riattaccare.
L’”eh?” che il suo amico aveva sbottato esprimeva bene l’assurdità di quella situazione, oltre alla sua crescente insanità mentale.
-Sasuke, se non ti uccide tuo padre lo faccio io. –
Passò un’altra mezz’ora prima che quell’aggeggio infernale squillasse un’altra volta. Questa volta il biondo si curò di controllare il numero che lo stava contattando, fremendo quando lesse il nome del suo ragazzo.
-Pronto? –
-Ciao Naru … - mormorò una voce piatta.
Quel tono fu come una cannonata che abbatté ogni barlume di speranza che gli restava in corpo. Di certo qualcosa era andato storto, non gli aveva mai sentito quella voce mogia e grigia.
-Sas’ke – lo chiamò, incerto su cosa dire.
Forse chiedergli cosa fosse successo non era la scelta migliore, però non sapeva proprio cosa fare. D’altronde, non poteva nemmeno restare in dubbio ancora per molto, altrimenti sarebbe impazzito.
-Com’è andata? –
L’altro sospirò, lasciandogli già intuire la risposta.
-Non proprio bene … Senti, posso stare da te stasera? –
-Cazzo – commentò fra sé il biondo, immaginando mille scenari uno più catastrofico dell’altro – Che diavolo è successo?! – continuò, passandosi una mano fra le ciocche scompigliate.
-Sì, certo, non è un problema – s’affrettò a rassicurarlo.
-Grazie, a casa da me c’è un po’ di casino e …. E poi, mio padre ha detto che non devo più tornare – confessò infine, con appena un filo di voce.
-Porca troia – non riuscì a trattenersi – Ti ha cacciato? – ribatté con uno sguardo pieno di sconcerto.
-Che pezzo di merda! -
-In altri termini, sì. Posso già venire o ... –
-No, no, vieni pure, non ti preoccupare – ribatté subito, ancora sconvolto.
-Va bene, allora dammi il tempo della strada – rispose l’Uchiha – A dopo. –
Il biondo lo salutò appena prima che l’altro riattaccasse. Non doveva essere di buon umore, di certo si sentiva uno schifo. Se considerava poi i motivi per cui era stato rifiutato … doveva essere a pezzi.
-Sasuke … - mormorò, esasperato.
Era di nuovo in ansia e, se possibile, persino peggio di prima.
-No, no, devo smetterla! – si rimproverò, imponendosi di restare calmo, per quanto possibile – Sasu ha bisogno del mio aiuto, non devo dargli altre cose di cui preoccuparsi! –
Annuì con convinzione, fiero del suo nuovo obbiettivo. Il suo fidanzato stava passando un momento difficile, lui doveva farlo sentire a suo agio a casa propria, non opprimerlo con le sue paranoie.
-Mamma!! – gridò dalla sua camera, in modo che la destinataria lo sentisse anche dall’altra parte della casa.
-Che c’è, Naru?! – rispose lei, adoperando lo stesso sistema.
Il ragazzo uscì dalla camera, dirigendosi in cucina. Kushina, armata di grembiule e cucchiaio di legno, controllava attentamente la cottura delle pentole, da cui proveniva un profumo invitante. Trovò anche Minato, con il capo affondato nel frigorifero, alla ricerca di chissà cosa.
-Sta arrivando Sasuke – esordì, per poi fissare perplesso il padre, quasi assorbito dall’elettrodomestico.
-Oh, va bene. Perché non gli chiedi di fermarsi a cena? – rispose la donna, col suo solito entusiasmo.
-Ecco, veramente gli ho detto che poteva dormire qui – ribatté il giovane, grattandosi il capo.
I due adulti si voltarono verso di lui in perfetta sincronia, in gesto a dir poco agghiacciante.
-Naruto, devi chiederci il permesso prima di invitare le persone a restare da noi – lo rimproverò Minato, chiudendo lo sportello del frigo – Lo sai che non ci sono problemi, però non è giusto che-
-Sì, lo so, però suo padre l’ha cacciato di casa e non ci ho pensato! – si difese il ragazzo, alzando le mani in segno d’innocenza.
-Cosa?? – esordì la donna, facendo quasi precipitare il tegame che teneva fra le mani, salvandolo per miracolo.
-Perché l’ha cacciato da casa? – domandò suo marito, altrettanto sorpreso ma comunque più controllato.
-Questo pomeriggio eravamo all’Akatsuki, e suo padre ci ha visto mentre ci baciavamo e … - il ragazzo si bloccò, arrossendo violentemente – stava per fare una scenata assurda. Lui non vuole che io Sasu ci frequentiamo; anzi, non vuole che suo figlio sia gay – spiegò, lasciandoli in un attonito silenzio che durò qualche secondo.
-Porca troia – commentò poi Minato, passandosi una mano sopra il collo irrigidito.
-Per questo gli ho detto che poteva stare qui per un po’, non può tornare a casa finché-
-Va bene – lo zittì Kushina, portando una mano avanti. Successivamente posò i pugni chiusi sui fianchi, osservando il giovane dritto in viso – Hai fatto la cosa giusta, non ti preoccupare. Andate a preparare la camera degli ospiti, io aggiungo un posto a tavola per quel povero ragazzo. –
 
***
 
Le scale di quella maledetta palazzina sembravano non finire mai. O forse era lui ad essere in fibrillazione, perché quelle tre rampe le aveva già fatte altre volte e non gli erano mai sembrate tanto lunghe. Eppure era di corsa, stava salendo i gradini a due a due per sbrigarsi.
-Sono un’idiota – si rimproverò, per la millesima volta nel giro di un quarto d’ora – Che imbecille sono stato! –
Aveva passato il tragitto in macchina ad insultarsi, imprecando contro ogni automobilista lento, troppo prudente o chiunque avesse parcheggiato appena fuori dal proprio posto, ingombrando la strada. Aveva alternato questi scatti di misantropia e masochismo a momenti “yoga”, in cui cercava di autoconvincersi ripetendo frasi del tipo “stai calmo” oppure “respira, non ti arrabbiare” o ancora “si troverà una soluzione”. Purtroppo subito dopo si schiacciava contro la lampante verità, ossia che una soluzione non c’era per niente e che lui era stato un emerito coglione, e riprendeva a maledirsi. Stupido bipolarismo Uchiha.
-Fa che sia qui, ti prego, fa che sia qui – implorò intensamente, suonando il campanello accanto alla porta.
“Casa Hozuki” era stato il primo luogo a cui aveva pensato. Nonostante sapesse che pure Suigetsu avesse qualche screzio in famiglia, o forse anche qualcosa in più, era certo che l’albino avesse offerto ospitalità a suo fratello. Aveva poi messo in conto di passare anche da Karin e Juugo, ma fra i tre il maggiormente quotato era il ragazzo dai denti appuntiti.
Venne ad aprire proprio lui, con addosso una smanicata maglietta viola e un’espressione stupita in volto.
-Itachi? – domandò perplesso, appoggiandosi allo stipite.
-Ciao – rispose l’altro, passando subito a ciò che gli interessava – Sasuke è qui? –
Vide l’altro spalancare gli occhi a palla per un istante, per poi scuotere il capo agitando le ciocche chiare.
-No, non è qu. –
Non sapeva se credergli o meno. D’altronde, essendo un amico del suo fratellino, non lo stupiva che fosse a sua volta un po’ bugiardo. Nonostante questo, non avrebbe mai raggiunto i livelli dei suoi familiari. Decise quindi di essere sincero, data la gravità della situazione.
-Voglio solo parlargli, non lo costringerò a tornare a casa. –
-Lui non è qui – ribatté il ragazzo, incrociando le braccia – Gli avevo detto di restare, ma non voleva crearmi altri casini. –
-Sono così simili – commentò fra sé l’Uchiha, studiandolo con le sue iridi scure.
Gli amici di Sas’ke non erano numerosi, però gli somigliavano tutti, in un modo o in un altro. A prima vista era strano che il suo migliore amico fosse qualcuno tanto vispo e chiacchierone, però portavano all’incirca le stesse ferite. Nella sua ironia intravedeva il cinismo acido del moro, così come nel caratteraccio un po’ isterico di Karin c’era la sua rabbia repressa, e nel solitario Juugo il suo essere silenzioso e riflessivo. Era come suoi riflessi, per certi aspetti.
-Dov’è? – gli chiese, notando nel suo viso un barlume d’insicurezza. Era palese che non voleva confessarglielo, ma doveva farlo parlare. – Ascolta Suigetsu; ti sto pregando. Non voglio che torni a casa, voglio solo vederlo, voglio sapere come sta e voglio dirgli che ci sono. Io sto dalla sua parte, e lo sarò sempre, lo sai meglio di chiunque altro – spiegò, cercando di esprimere al meglio quei sentimenti complicati.
L’altro l’osservò sorpreso, riflettendo in silenzio. Era davvero strano che un Uchiha pregasse per qualcosa. Tuttavia era certo di potersi fidare di Itachi; probabilmente non c’era nessuno che volesse il meglio per Sasuke quanto lui. Aveva bisogno di lui, il suo amico aveva già troppi nemici a casa.
-È da Naruto, il suo fidanzato – confessò infine, convintosi.
Il maggiore annuì, ringraziandolo.
-Dove abita? –
 
***
 
Sasuke dovette raccogliere ogni briciolo di coraggio che gli restava in corpo per suonare al campanello. Non voleva essere lì, non voleva essere in nessuna parte in quella città. Era stanco, tutto quello che voleva era andare a riposare, ma sapeva che era impossibile. Naruto gli avrebbe fatto mille domande, come al solito, e comunque doveva anche parlare con i suoi genitori. Avrebbe dovuto raccontargli di quel pomeriggio infinito, invece adesso sentiva il bisogno di stare solo e non pensare a nulla.
-È così umiliante – commentò amaramente, mentre la porta si apriva.
Dietro di essa comparve una lucente chioma bionda, spettinata, e due grandi occhi azzurri che lo aspettavano ansiosi.
-Ehi – lo salutò Naruto, sforzandosi di sorridere.
-Ciao – ricambiò appena, tirando la tracolla del borsone che aveva in spalla.
Pesava abbastanza da fargli male al collo, ed era anche piuttosto ingombrante. Non vedeva l’ora di posarla via.
-Entra, i miei genitori sono di là – ricominciò l’Uzumaki, cercando di metterlo a suo agio.
Il moro non rispose, seguendolo per quel corridoio che ormai conosceva bene. In cucina lo accolse un dolce profumo, insieme ad una tavola già apparecchiata per quattro. Kushina e Minato erano dietro i fornelli, a chiacchierare mentre aspettavano che il cibo cuocesse. Una scena di quotidianità che mancava da tanto a casa Uchiha.
-Buonasera – esordì cordiale, cercando di non essere troppo freddo.
Anche se si sentiva uno straccio, doveva almeno mostrarsi riconoscente. Non poteva essere scontroso o arrabbiato con loro, non era giusto. Lo stavano ospitando senza preavviso, e con due facce comprensive che, per qualche oscuro motivo, lo rassicurarono un po’.
-Ciao Sasuke – mormorò la donna, sorridendogli con la solita gentilezza – Ti abbiamo preparato la camera degli ospiti. –
-Naruto ci ha raccontato quello che è successo – spiegò il marito, posando per un attimo lo sguardo sul figlio – Puoi restare quanto vuoi, per noi non è un problema. –
Il giovane portò gli occhi scuri sul ragazzo al suo fianco, mandando giù quel boccone amaro che gli era salito in bocca.
-Vi ringrazio molto, siete davvero gentili – rispose, imponendosi di tenere la testa alta – Starò solo un paio di giorni, cercherò di non disturbare – concluse, ignorando il nervosismo.
Non provava un simile imbarazzo da anni, era persino difficile parlare senza darlo a vedere. Di sicuro loro se n’erano accorti, con quella disumana empatia che avevano in famiglia. Infatti, la rossa colse subito l’occasione per toglierlo da quell’impiccio.
-Figurati, non sei di alcun disturbo – ribatté, rivolgendosi poi al biondo – Naru, fa vedere a Sasuke la sua stanza, noi vi chiamiamo quando è pronto. –
Questi annuì, tirandolo per un braccio e trascinandolo in una stanzetta adiacente alla sua camera da letto. Non era molto grande, ma in compenso era luminosa, grazie ad una porta-finestra che dava su un minuscolo balconcino. Buona parte dello spazio era occupato da un divano-letto blu scuro, aperto e già sistemato con lenzuola e cuscini, di fronte al quale vi era un piccolo tavolino in legno con sopra un televisore. A questo erano collegate alcune console, quindi doveva essere la stanza dove Naruto passava buona parte delle sue giornate quando non giocava al computer. A completare l’arredamento c’era un piccolo armadio bianco con due cassetti, una poltrona a fianco al suo nuovo giaciglio e alcuni quadri appesi alle pareti. Quasi tutti avevano dei soggetti floreali o dei paesaggi e riuscivano a dare un tocco di allegria a quella camera dalle pareti chiare.
-Vuoi una mano a sistemare le tue cose? – gli domandò l’Uzumaki.
-No, faccio da solo – lo fermò, posando a terra il borsone grigio – Non c’è molto da sistemare- continuò, sedendosi sul materasso.
Lo sentì abbastanza morbido e le lenzuola erano fresche. Sperava di riuscire a dormire almeno un po’, aveva sempre problemi quando doveva usare un letto che non fosse il suo. Ben presto le molle del mobile si piegarono sotto il peso del suo fidanzato, sistematosi al suo fianco. Il biondo gli prese una mano fra le sue, calde come al solito. L’Uchiha, in risposta, attorcigliò le dita con le sue beandosi di quel contatto delicato.
-Sas’ke – lo chiamò piano, facendogli sollevare il capo – Non ti preoccupare, in qualche modo faremo. –
L’altro annuì in silenzio, non sapendo con che forza riuscisse ancora a dire frasi del genere. Appoggiò la fronte alla sua spalla, venendo subito circondato dalle sue braccia forti. Sentì subito un piacevole tepore avvolgerlo; gli abbracci di Naruto avevano un calore tutto particolare, un po’ come il sorriso di quella testa vuota.
-Grazie – sussurrò contro il suo petto, sfinito.
Ad interromperli fu lo spiacevolissimo suono del suo cellulare che squillava. Il moro lo ignorò, restando in quella posizione a godersi quel momento tutto loro.
  
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