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Autore: Tinucha    21/03/2016    2 recensioni
Sono una di quelle persone dannatamente gelose e possessive. E ho bisogno di una persona che mi faccia incazzare senza smettere però di farmi avere la certezza che è e sarà solo mia. E ho bisogno di te.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jorge Blanco, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Osservai le sue labbra rosee baciare in modo avido ed innocente il mio addome risalendo su per scontrarsi con le mie in un bacio quasi famelico. Nessuno dei due aveva la forza di parlare, la stringevo forte per sentirla. Avevo bisogno di sapere che fosse mia, che appartenesse a me e a nessun altro. Sentii il mio corpo fremere a contatto con il suo ma non mi scostai. Non c'era sensazione più bella al mondo, per la prima volta stavo bene così. Potevo aggredire le sue labbra senza pensare finalmente solo a fare sesso.  Non osavo fiatare. "Ti amo" sentii il mio cuore cominciare a battere forte come quello di una ragazzina che ha appena visto il suo idolo. Non pensavo che anche un uomo potesse sentirsi così, sentirla stringersi a me in cerca di aiuto, conforto, mi scaldava il cuore. Era come se lei riempisse il vuoto lasciato da Francisco. Alzai lo sguardo per incrociare i suoi occhi, tremendamente uguali a quelli del mio migliore amico. Così innocenti e pieni di vita. Quando non le risposi, lei si allontanò stizzita e senza che io me ne rendessi conto svanì nel vuoto.


Riaprii gli occhi sentendo il mio corpo scosso fremere. Tremavo tutto. "Era questo quello che intendeva Ruggero? Avevo davvero paura di perdere qualcuno che dicevo di non volere?" Scossi il capo ridestandomi dai miei pensieri fuori dal normale. Martina era troppo piccola, pura ed innocente per uno come me. Non poteva nemmeno lontanamente immaginare cosa volesse dire immischiarsi con il mio mondo. Non potevo darle nulla. Posai la testa sul cuscino sapendo che non avrei chiuso occhio per il resto della notte. Guardai il soffitto della mia camera bianco e spoglio, pronto ad un'altra notte insonne, con la sola differenza però, che quella notte sarei stato da solo e nel mio letto, con la differenza che quella notte i miei pensieri sarebbero stati occupati da un paio di occhi da cerbiatta ed un viso da bambola di porcellana.






POV MARTINA
Premetti il viso contro il cuscino, reprimendo le lacrime ed attutendo le grida. Scalciai via le coperte, tirando piccoli ma forti pugni contro il materasso. Volevo soltanto vivere in santa pace, non alzarmi con il sorriso e fare finta che nulla fosse successo perché ero più che fermamente convinta che in quel momento sarei esplosa. Volevo guardare il mondo con i miei occhi, sperando di essere invisibile agli occhi degli altri. E ci stavo riuscendo. Ma i ricordi non mi permettevano di respirare, di vivere a modo mio. Mi alzai di fretta e furia indossando una tuta nera e legandomi i capelli in una coda. Avevo bisogno di uscire da quella casa. Avevo bisogno di trovare un posto che non mi ricordasse nulla. I miei genitori dormivano ed io ne approfittai sgattaiolando fuori, all'aperto. Stava per sorgere l'alba. Adocchiai il dondolo posto sotto la piccola e graziosa veranda e mi ci accucciai sopra a piedi scalzi stringendomi forte nel giubbotto. L'aria era fresca e anche un po' fredda ma a me non importava. In un attimo rividi tutti i momenti passati con Francisco, persino i nostri litigi. Era tutto così intenso in quel lampo che mi attraversò gli occhi che per un attimo mi sembrò di ritornare al passato.



Premetti i piedi sul terreno cominciando a dondolarmi. Dalla porticina intravidi una figura irata avanzare verso di me. Come una furia Fran mi si piazzò davanti, quando scorse una lacrima attraversarmi la guancia assunse un'espressione dolce ammorbidendosi ed asciugandomela. "Chi è?" "Chi?" "Colui che ti spegne i sorrisi. Sei troppo triste, sorellina. Voglio vederti vivere e sorridere, sempre." Serrai le labbra "Allora? Sto aspettando" "Non vorresti saperlo" sorrisi amareggiata scuotendo il capo e rivolgendogli un'occhiata fugace "Tu dimmelo" "Non importa chi sia il colpevole, Fran. È solo qualcuno capace di spegnere i miei sorrisi con la stessa velocità con cui me li accende" "Parlamene. Insegnami l'amore" scoppiai in una risata sotto il suo sguardo serio e per niente divertito. "Stai scherzando? Ed io che ne so dell'amore?" Sorrise. Uno di quei sorrisi teneri, da fratello maggiore super protettivo. "Beh, sono un ragazzo piuttosto.. Libertino. Non ne so molto in materia, ma hai gli occhi iniettati di felicità e dolore al tempo stesso, credo che questo voglia dire amare, no?" Sobbalzai sul posto. In quel momento mi resi conto di amare Jorge. In quel momento Francisco mi insegnò l'amore. "Non serve che lo faccia" "Mh?" Chiese confuso aggrottando la fronte. "Non serve, insomma, che ti insegni l'amore. Me lo hai appena insegnato tu" avvampò di colpo "Ma che dici?!" "Chi è lei, Francisco?" Abbassò il capo sulle sue mani troppo grandi e questo lo rese così bambino da farmi intenerire. Deglutì prima di pronunciare l'impossibile. "Mercedes" con uno slancio lo abbracciai. "L'ho sempre saputo, cavolo. Il modo in cui vi guardavate era troppo per non essere nulla" "Tini, lui.. Lui ti fa soffrire?" Questa volta fui io a deglutire. Lanciai uno sguardo ai fiori che coloravano il nostro giardino. "Non volontariamente" "Sarebbe?" "Non lo fa di proposito, Fran. Non si accorge nemmeno di me. Se mi urta per i corridoi mi chiede scusa senza rendersi conto che a me il cuore batte a mille" scrollai le spalle "È tutto nuovo e strano. Sono così piccola e lui sembra così.. Uomo, grande, cresciuto, vissuto. Mi fa male vederlo con le altre Fran, ma se non lo vedo affatto è molto, ma molto peggio" portò una mano alla fronte per poi scostarmi una ciocca di capelli dal viso. "Ho un migliore amico fortunato, allora." e detto questo sparì dietro la porta che portava in cucina lasciandomi sgomentata. Avevo smesso di dondolare.



<< Tini, come mai sveglia a quest'ora? >> avvertii al mio fianco una presenza. Mio padre. Era così 'informale' in quel momento, non il solito uomo rigido in giacca e cravatta, privo di sentimenti pronto a distruggere una persona senza scrupoli. << Che ci fai qui? >> domandò quando non gli risposi provando a carezzarmi i capelli. Mi scostai all'istante. Sospirò. << Perché non vuoi che nessuno ti tocchi? >> << Perché l'ultimo a toccarmi è stato Francisco e non voglio che le viscide e luride manacce di qualcun altro ricoprano il suo odore ed il suo tocco >> ansimai aprendomi per la prima volta con qualcun altro. << Voglio rimanere con addosso le sue mani. Perché in questa casa è stato l'unico a volermi bene, vi siete resi conto di me troppo tardi, papà >> << Pensi che a me non faccia male? >> scossi il capo << No, penso che a te faccia male tanto quanto ne fa a me e alla mamma, ma quando avevo bisogno di voi non ci siete stati. Vi volevo vicini quando lui se n'è andato ma eravate troppo presi da voi e dai vostri litigi. Volevo qualcuno, ma non i miei amici. Avevo si, bisogno di loro. Ma loro papà, loro c'erano sempre. Io volevo voi. Voi che non c'eravate mai. Era lui ad esserci. Era lui a preoccuparsi se prendevo una nota per un litigio, era lui a conoscermi, lui controllava se nella mia Fottuta vita di merda andava tutto bene. Lui mi capiva. Ha capito che mi ero innamorata ancora prima che io me ne rendessi conto. Lui era tutto. Tutto. Ma ora non c'è più. Ora è 'niente', ma è capace di stare al mio fianco anche senza esserci davvero. Siete stati troppo impegnati a litigare e a soffrire, ma non eravate gli unici perché fosse stato per me avrei rotto tutto quello che passava sotto le mie mani e davanti agli occhi. Avrei volentieri fatto a pugni col cuscino, e mi dispiace dirlo ma mi sono dimostrata più adulta di voi due messi assieme. Non eravate solo voi a portare il peso sulle spalle, c'ero io e c'erano tutte le persone che lo amavano. Anche io non riesco ancora a rendermi conto che se n'è andato, ok? Anche io per sbaglio apparecchio la tavola per quattro ogni tanto, sai? Anche io di notte mi intrufolo nella sua camera per dormire nel suo letto, sotto le sue coperte, tra il suo profumo. Anche io chiudo gli occhi la notte consapevole che anche domani non lo rivedrò. Tutti. Ci siamo tutti nella merda. E ci siamo arrivati insieme. >>




<< Stoessel si sente bene? >> un senso di nausea mi colpì dritto allo stomaco. Tutto in quel momento mi ricordò Francisco, i maschi che parlavano di calcio, e persino la professoressa che ci spiegava il corpo umano. Tutto. Anche quello che non c'entrava nulla. Il mio cuore si bloccò statuario per non so quanto tempo. Deglutii scuotendo vigorosamente il capo. << Ho bisogno d'aria >> e senza aspettare risposta mi alzai procurando un rumore assordante con la sedia e correndo fuori. Chiusi gli occhi serrando le palpebre e posando il capo contro la parete portai una mano al cuore. Il battito cardiaco era accelerato e le lacrime pronte ad esplodere per quanto erano state represse. No. Non avrei pianto, io ero forte. Avvertii una presenza e quando aprii gli occhi mi scontrai con due smeraldi preoccupati. << Adesso basta, ok? Ti ho detto che va tutto bene >> scossi il capo << Non va tutto bene. Va tutto di merda. Qui è tutto una merda. Tutto troppo stretto ed io mi sento soffocare >> confessai troppo sincera sentendo gli occhi pizzicare ed un formicolio allo stomaco. Non ci feci poi così caso, gli occhi pizzicavano di lacrime mancate e trattenute e lo stomaco tremava perché l'uomo che amavo era a due passi da me. << Mi permetti di farti soffocare, ulteriormente, totalmente, allora? >> non feci neanche in tempo ad aggrottare le sopracciglia confusa che sentii la sua presa salda sui miei fianchi. Mi strinse in un abbraccio spacca costole. Così caldo. Così dolce. Così non so cosa. Solo pochi secondi e tornai alla realtà e realizzai che lui mi stava abbracciando. << Il suo profumo, l'odore del suo tocco me lo hai tolto >> trattenni il respiro mentre lui aggrottò la fronte. << Di che parli? >> << Adesso non so più di lui >> avvertii una fitta allo stomaco quando sentii di nuovo la sua presa. Eravamo troppo vicini. Quasi non respiravo, per davvero. << Nessuno ti toglierà mai il suo odore, il suo profumo, il suo tocco o quel che sia Martina. Nessuno, nemmeno toccandoti. Nessuno dei nostri profumi potrà coprire il suo. >> sussurrò tra i miei capelli mentre io posai la testa contro il suo petto, avvertii le sue labbra baciarmi dolcemente tra i capelli. << Me lo prometti, Jorge? >> << Si, te lo prometto >> ci allontanammo all'istante imbarazzati e quasi irritati per quello che stava succedendo tra di noi. << Era questa la tattica, eh? Prendermi da debole. Farmi confessare quando avevo le barriere abbattute >> mi guardò deglutendo. << Smettila di essere così fredda, cazzo. Stai facendo soffrire tutte le persone che ti amano, Candelaria è distrutta >> sentii l'ennesima fitta al petto colpirmi. << Non posso tornare quella che ero è meglio che le stia lontana. Io porto casini. Solo ed esclusivamente casini. Casini. >> scoppiò in una risata. Fredda, distaccata, amareggiata. << Tu Martina porti i casini? Tu non hai idea di cosa sia il casino. Il casino è alzarsi la mattina senza sapere come andrà la propria giornata. Il casino è non sapere dov'è tuo padre e cosa sta facendo. Il casino è non poter più parlare con l'unica persona disposta ad ascoltarti, alla quale avresti raccontato le tue cazzate e figure di merda peggiori. È questo il casino >> << Il casino Jorge, il casino è perdere la persona che si ama. Il casino è non essere amati dalle persone che ti hanno messo al mondo. Quello è il casino >> non aggiunsi altro. Con una brusca spinta lo feci indietreggiare, (dal momento che lui preso alla sprovvista dalla mia affermazione era rimasto basito) e corsi in bagno. Pronta a vomitare la nausea, l'amore, il dolore, le lacrime, il casino, la vita.
   
 
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