Questa
è la mia prima fanfiction su Osomatsu-san.
Mi sono
innamorata di questa serie dal primo episodio e dal primo episodio
avrei voluto scrivere qualcosa, precisamente avrei voluto scrivere
qualcosa di nonsense, trash e incestuoso ed invece ecco questa storia
malinconica partorita dopo l'episodio 24, che raccomando di vedere
per non aver spoiler.
Non mi piace spiegare i miei lavori, nella
lettura è bello che ci sia interpretazione, ma mi rendo conto che in
questo lavoro – nonostante sia stato scritto con poche pretese –
ci sono parti che potrebbero risultare davvero prive di senso.
A
voi il giudizio finale, vi auguro una piacevole lettura.
Sono
passati ventotto giorni da quando Choromatsu se n'è andato e la
zuppa di miso della mamma è diventata insipida.
Quando i
lividi della rissa con Todomatsu erano ancora visibili, venticinque
giorni fa, se n'è andato anche lui; non c'è più quel sottofondo di
tasti virtuali dell'i-phone digitati con estrema velocità.
Karamatsu
se n'è andato il giorno successivo e ha lasciato i suoi penosi
occhiali da sole sul tavolino da té, Ichimatsu ci ha giocato un po'
con il suo gatto, poi sono spariti, ma la mamma può giurare
che non li ha visti nel cesto della spazzatura.
Jyuushimatsu
ha lasciato la loro casa una settimana esatta dopo Karamatsu, così è
calato il silenzio nei loro spazi e si è stabilizzata una noiosa
normalità.
Ichimatsu è rimasto per giorni nell'angolo della
loro stanza a giocare con il gatto, poi ha ridotto le distanze,
giorno dopo giorno era più vicino, tentava di essere socievole per
la prima volta in vita sua, ma qualsiasi parola sia uscita dalla sua
bocca non era importante quanto guardare fuori dalla finestra. Quando
Ichimatsu se n'è andato Osomatsu neanche lo ricorda, ci ha fatto
caso coricandosi a letto, notando il futon così grande e inadatto
che non ha chiuso occhio per tutta la notte.
Lui, Osomatsu, ha
passato le mattine sul tetto cercando l'azzurro nel cielo – perché
qualcosa non quadra –, sa che il cielo è azzurro, ma vede bianco e
nero. Totoko-chan è passata da lui in uno di quei giorni, è stata
gentile con lui, gentile come ha sempre desiderato fosse, ma le è sembrata così
piccina… anche lei in bianco e nero. Non è solo il cielo che è
diventato diverso.
Ha passato molti pomeriggi seduto, composto,
guardando la foto di Akatsuka-sensei; gli piace quella foto, è una
delle cose che più gli piace al mondo, anche in bianco e nero è
bellissima perché lui sorride. Non c'è più nel mondo, ma rimane
vivo il sensei nel sorridere ed è proprio quello che Osomatsu crede
sia il senso di tutto, lì davanti a quel volto sorridente è ferma
la sua ostinazione, anche se solo.
E poi i ventotto giorni sono
diventati ventinove, poi trenta, poi trentuno.
Forse i ciliegi
sono anche fioriti, forse per qualcuno bere il saké con qualche
petalo di ciliegio è stato bello, ma cos'è davvero bello? Osomatsu
crede di non aver mai dato un peso alla parola bellezza all'infuori
del sorriso di Akatsuka-sensei, così il dubbio gli viene: è davvero
bello?
Qualche volta ha pensato: “sarebbe bello se fossi
stato figlio unico”, un pensiero forte e sostenuto da tanti
ragionamenti e tanta logica, i campi in cui è debole.
Poi sono caduti i fiori di ciliegio e il clima
è diventato più caldo, ma Osomatsu ha continuato a indossare il suo
maglione rosso e puzzolente, con le maniche quasi nere; sua madre non
ha insistito nel fare il bucato, aspetta ancora, con pazienza, perché
passerà.
Il suo maglione è davvero rosso?
La
notte si sussegue al giorno e il giorno segue alla notte negli stessi
colori del bianco e del nero, come si susseguono le pagine dei manga
preferiti di Osomatsu, manga esilaranti, ma che non gli rubano più
neanche mezzo sorriso; così si stanca per spingersi a dormire in quel
futon troppo grande e che ancora la mamma non ha lavato. Si mette il
centro, guarda il soffitto e dopo un respiro profondo chiude gli
occhi e inizia a rotolarsi: verso destra, verso sinistra, finché la
coperta non lo avvolge totalmente come un baco da seta, non sente il
tepore, ma solo gli odori impregnati, tutt'altro che identici. In un
mondo incolore quegli odori fanno la differenza, sei differenze.
Sa
che c'è qualcosa di sbagliato nel desiderare di essere un NEET per
la vita, non è neanche quello ad interessargli in verità, ma tutti e sei
avevano quell'attitudine prima che tutto cambiasse e immaginando sei
strade diverse si addormenta, mentre nel silenzio la nostalgia prende
forma e scende sulla guancia.
“Osomatsu
nii-san?”.
Apre gli occhi e nonostante il
buio della notte una figura illuminata è al suo fianco, in una
improbabile veste bianca e… c'è del verde. Ha un corona di alloro
verde e lo stesso assurdo colore è riflesso nei capelli scuri e
nella vitalità del suo sguardo, però…
“Choromatsu?”
l'occhio non può ingannarlo, ma quello davanti a se può essere
davvero suo fratello?
Nel dubbio gli volta le spalle.
“So
che cosa pensi”.
“Anch'io so cosa pensi”.
“Allora
Osomatsu è arrivato il momento che te ne renda conto: il mondo non
ruota intorno a noi” e lo sa, ma quelle parole sono come spilli, di
una banalità assurda ma sempre fastidiose.
“E allora? Che
senso ha se noi ruotiamo con lui e ci disperdiamo nel farlo?” ed
alza ancora più la voce: “qui c'è tutto quello di cui abbiamo
bisogno, perché andare a cercare qualcos'altro che non sai neanche
se ti renderà felice, quando possiamo tutti stare qui ed essere
felici insieme?”.
C'è una lucidità diversa negli occhi di
Osomatsu, qualcosa di infantile, ma genuino e l'altro lo guarda con
un misto di compassione e tenerezza, allungando una mano per
accarezzargli i capelli, unti e ricchi di forfora.
“Non è
una cosa stupida quella che dici, ma forse è perché il viaggio è
più importante della meta stessa”.
La mano è ancora tra i
suoi capelli e Osomatsu – confuso – spera sia tutto vero, anche
se ancora è arrabbiato. Triste ed arrabbiato.
“Che cavolo
vuol dire? Io non voglio andare da nessuna parte!” sputacchia
nell'alzare la voce, sentendosi ancora più stupido di quello che è
consapevole essere, ma quella figura benevola è lì, senza rabbia,
senza odio, senza timori e – forse proprio per questo – gli occhi
di Osomatsu diventano liquidi: quello non è Choromatsu, come non è
nessun altro dei suoi fratelli. La corona di alloro improvvisamente
non è più verde, ma ci prova a trattenerlo nei suoi colori, nei
suoi dettagli, in quello che lo rende Choromatsu; apre le braccia e
si spinge verso di lui, per tenerlo stretto, vicino.
Quando
riapre gli occhi è solo il cuscino al suo fianco stretto tra le sue
braccia, il cuscino di Choromatsu.
“Se proprio dobbiamo
fare un viaggio, solo se siamo insieme ha senso” è un suo
pensiero, ma non è lui a dargli voce, lo imbarazza sentirlo
echeggiare nella stanza e solo girandosi – lì dove dormiva
Ichimatsu – nota il gattino esp che lo osserva distante.
“Stupido
gatto” mormora, ma quelle stesse parole si plasmano in una forma
più vera: “manca anche a me”.
Sono entrambi delle
macchiette senza dimensione e questa è la parte rassicurante.
“Non
ho mai voluto essere figlio unico”.
“Non
ho mai voluto essere figlio unico”.