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Autore: Amatus    22/03/2016    0 recensioni
I grandi eroi esistono per sconfiggere grandi nemici e pericoli mortali. E se il confine fra eroe e mostro non fosse così evidente? Se l'eroe non sapesse contro cosa realmente combatte? Se il nemico fosse convinto di essere un eroe?
E se il nemico più pericoloso fosse l'eroe pronto a combattere per la propria giusta causa a dispetto di tutto il resto?
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista. Questa storia ne presenta due. Due potenziali eroi. Due potenziali mostri. Distinguere l'uno dall'altro potrebbe essere più difficile di quanto si pensi.
Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative che non sapeva come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie. Non avevano più nessun significato da tempo immemorabile. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome, anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
[IN REVISIONE]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fen'Len - Figlia del Lupo'
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On the ragged edge of the world I'll roam, and the home of the wolf shall be my home.
Robert W. Service , The Nostomaniac 

 
 
III
 “Va bene, lascia però che sia io a parlarle.”
Lena si era allontanata poco prima per raccogliere un poco di legna e ritornata all’accampamento aveva sentito la discussione tra Galenon e Valais.
Il fascio di legna le era caduto dalle braccia, la rabbia era esplosa come un incendio estivo. Per così tanto tempo aveva subito senza rispondere all’ingiustizia ma ora, all’improvviso, tutto gli era apparso con chiarezza.
Qualcuno aveva deciso per lei in che modo sarebbe dovuta andare la sua vita. La sua unica colpa era stata quella di essere una bambina irrequieta e nonostante questo era rimasta la pupilla del vecchio Guardiano. Quando Istimaethoriel, aveva preso il suo posto, aveva dimostrato poca pazienza nei confronti dell’impertinenza di Lena e aveva potuto lasciare libero sfogo a tutta la sua antipatia nei suoi confronti.
La nuova Guardiana non aveva mai compreso l’attenzione e l’affetto  che Gisharel riservava a quella fastidiosa ragazzina. Istimaethoriel era stata la sua prima per anni, lo aveva servito lealmente ed era stata pronta,  ubbidiente e rispettosa, ma il Guardiano non aveva mai dimostrato per lei l’affetto paterno che sembrava riservare alla piccola irriverente Lena.
La donna aveva cercato durante i suoi lunghi anni come Seconda di accattivarsi la simpatia della bambina, ma i vezzi e i mezzucci che sembravano andare a segno con gli altri, su Lena non avevano avuto alcun effetto se non quello di rendere ancor più odiosa la presenza ipocrita di quella donna. Così, alla morte di Gisharel, Lena giovane adolescente era stata abbandonata ad un dolore che non aveva mai conosciuto e che non sapeva gestire. La sua tendenza ad isolarsi e il suo brutto carattere giocarono in favore della Guardiana, che non dovette faticare troppo per convincere tutti a consacrare quella ragazzina al dio degli inganni. Mentre i suoi coetanei ricevevano i segni di Mythal, Sylaise o Andruil lei veniva marchiata con il segno del Temibile Lupo.
Solo Tallis e Menia erano rimasti al suo fianco ma quando il clan li aveva chiamati a compiere una scelta, anche loro l’avevano tradita. Tutte le promesse erano state infrante e il loro amore così vitale fino al giorno prima era stato relegato al ruolo di sogno infantile: bello ma impossibile, adatto solo ai giovani cuori degli adolescenti. Così Menia era stata nominata prima della Guardiana, Tallis capo dei cacciatori e Lena era rimasta miseramente sola.
Ora, così lontano dal clan,  Valais aveva combattuto e vinto per togliere a Lena lo spiraglio che Galenon aveva aperto per lei.
Lena aveva riflettuto per tutto il giorno sulla proposta dell’anziano, l’idea di poter rimanere nei boschi e poter cominciare una nuova vita tra la sua gente era allettante. Aveva deciso di provare a parlare con qualcuno, cercare di capire se ciò che Galenon le aveva prospettato potesse in qualche modo essere realizzabile. Le parole che l’avevano raggiunta l’avevano invece fatta scontrare nuovamente con la realtà. Non c’era possibilità di salvezza per lei se non quella che si sarebbe potuta costruire con le sue stesse mani.
Lena vide Galenon uscire dalla tenda. Per un istante si guardarono negli occhi, poi Lena si voltò e iniziò a correre.
Il bosco era buio  e lei non conosceva i suoi sentieri, ma non importava, sapeva che il tempio era in alto, lo aveva visto arrivando dominare la valle, quindi prese a salire. Davanti a sé intravide una figura, lasciò il sentiero per non doversi imbattere in nessuno e iniziò ad inerpicarsi lungo il fianco della montagna. La salita era difficoltosa, il terreno reso morbido dall’umidità franava sotto i suoi piedi, iniziò quindi ad arrampicarsi aiutandosi con le mani.
Raggiunto il crinale vide pararsi davanti a sé un enorme portone di legno. Il sentiero che lo raggiungeva era ben illuminato da fiaccole che sembravano ardere per magia. Nonostante fosse notte vi era un gran trambusto, diversi gruppi di persone sostavano nei pressi del cancello, forse in attesa di entrare o forse solo per scambiarsi saluti e convenevoli. Rimase ad osservare. C’erano due guardie su un lato del cancello che chiacchieravano tranquillamente e giocavano a scacchi, non sembravano far caso a chi entrava o usciva, dovevano essersi abituati all’andirivieni ed evidentemente il loro compito non era quello di interdire l’accesso. Sarebbe probabilmente risultato difficile capire chi dovesse entrare e chi no, ormai tutti i maghi erano apostati e si parlava da tempo di templari corrotti, dover decidere chi poteva entrare e chi doveva rimanere fuori avrebbe senza dubbio scatenato delle sommosse.
Lena fu grata per quel lassismo e si avvicinò al cancello cercando di farsi notare il meno possibile.
Una volta dentro ebbe appena il tempo di stupirsi della grandezza della sala in cui era entrata.
La sala infatti era ricolma di persone, sentiva parlare con accenti che non riconosceva, vedeva vestiti e maschere che sembravano ridicole nella loro magnificenza. Cercò rapidamente di individuare una via di fuga da quella sala, c’era troppa gente e sembrava mancare l’aria.
Doveva assolutamente trovare un posto in cui nascondersi per riordinare le idee, non voleva essere scoperta e catturata proprio ora che era così vicina al suo obiettivo.
Si rese conto ben presto che la sua presenza risultava invisibile. Si ricordò quanto il vecchio Guardiano le aveva raccontato degli elfi di città. Si guardò attorno e vide effettivamente diversi elfi aggirarsi per la stanza con dei vassoi pieni di bevande e cibo e con lo sguardo rivolto fisso verso il pavimento. Gli umani sembravano vedere solo i vassoi e non coloro che li portavano.
Una giovane elfa però incrociò il suo sguardo e le si avvicinò appena le fu possibile liberarsi di quegli umani affamati che circondavano ciascun vassoio come un branco di lupi.
 “Come sei conciata! Se Tissa dovesse vederti finiresti nei guai. Torna verso le nostre stanze e datti una sistemata.”
Lena rimase a fissarla con gli occhi spalancati e senza sapere cosa dire, poi si guardò le mani graffiate e sporche di terra e di erba, e i vestiti strappati, il viso e i capelli non dovevano essere da meno.
“Che succede ti sei persa? Da questa parte, muoviti!” Con impeto la giovane elfa la trascinò verso una porticina sul lato del salone e quasi ve la lanciò all’interno.
Finalmente era lontana dalla folla, quei corridoi erano stretti e bui ma servivano allo scopo di trovare un poco di tranquillità. Ringraziò mentalmente quell’elfa brusca e premurosa e iniziò a muoversi. Non sapeva dove andare. Iniziò a girovagare tra i cunicoli sperando di riuscire a trovare le stanze dei Custodi, o il cortile in cui erano accampati.
Continuò a girare per quelle che le sembrarono delle ore, evitò diverse volte dei servitori indaffarati, finché anche sulle sale più affollate iniziò a calare una calma rassicurante.
Svoltando nell'ennesimo corridoio, l’attenzione di Lena fu attirata dalla voce di una donna.
Si mise in ascolto e sentì di nuovo la voce, sembrava stesse chiedendo aiuto. Cercò di avvicinarsi, ma si trovò persa in un vero labirinto, poteva solo affidarsi al proprio udito. Aprì una serie di porte e attraverso due sale grandi e spoglie, da sotto una porta vide infine provenire una luce fioca, sentì delle voci basse e risolute e poi di nuovo una voce disperata di donna. Aprì la porta: “Che cosa succede qui?!”
Venne travolta da una luce intensa. Poi più niente.
 
 
 
 
 

 
 IV
L’esplosione era stata terribile e aveva travolto gran parte della vallata. Solas non si sarebbe stupito scoprendo che il piccolo accampamento alle pendici del monte era stato spazzato via.
Non aveva alcun dubbio che la colpa fosse del ladro. Si era allontanato troppo presto, anche se la sua fuga si era dimostrata provvidenziale non poteva perdonarsi di non essere stato lì. Forse lui avrebbe potuto fermarlo ma ormai era tardi e doveva trovare un altro modo per rendersi utile.
La notte stessa si era recato sul luogo dell’esplosione, aveva aiutato medicando i feriti e rimuovendo qualche frana che impediva il progredire dei soccorsi. A nessuno sembrava importare che lui fosse un apostata.
Quando la situazione sembrò essersi regolarizzata, tutti rivolsero gli occhi al cielo e vi trovarono la disperazione. Un enorme squarcio dilaniava il cielo e sputava sulla terra ogni genere di orrore.
Una volta raggiunta Haven si cercò di fare ordine nel caos e a Solas giunse la notizia che il varco aveva rispedito indietro qualcuno e che forse era ancora vivo.
Seppur cercando di rendersi utile aveva fatto attenzione a rimanere in disparte, invisibile per quanto possibile, ma a quella notizia non avrebbe potuto rimanere indifferente.
Sarebbe potuto essere il ladro ad essere stato mandato indietro, avrebbe potuto avere la sua sfera con sé.
Si presentò all’ingresso della chiesa e per la prima volta da quando era arrivato venne travolto da una serie infinita di domande. Infine lo condussero quasi come un prigioniero davanti ad una donna con i capelli rossi dalla voce gentile e lo sguardo tagliente.
Cercò di spiegare quali fossero le proprie conoscenze, cercò di far capire che poteva rendersi utile. Quella donna, sebbene non desse segno di avere fiducia in lui, sembrava nella posizione di chi non può lasciarsi sfuggire nessuna occasione.
Scrisse un rapido appunto che consegnò alla guardia che lo accompagnava e lo spedì dalla “cercatrice”. La cercatrice in questione si rivelò ancor più diffidente della rossa, ma sembrava più preoccupata dell’altra per lo svolgersi di quei terribili eventi.
“So che non ho nessun diritto di chiedervi di fidarvi di me. Io non sono altri che un apostata e per di più un elfo, ma se avessi avuto cattive intenzioni non mi sarei lasciato condurre qui come un prigioniero. C’è un buco nel cielo io posso studiarlo e mettere a vostra disposizione le mie conoscenze. Qui non è rimasto nulla da distruggere, se fossi un ribelle dirigerei la mia magia verso bersagli più significativi.”
La cercatrice lo studiò per un po’ e poi prese una decisione che sembrò costargli parecchia fatica.
“Vieni, devo mostrarti qualcosa.” Poi fermandosi all’improvviso aggiunse: “Basta che io abbia il sospetto che stai per fare un passo falso e ti ritroverai la mia spada alla gola.”
Solas la guardò dritta negli occhi. Non mentiva. Fece un cenno di assenso con il capo e si preparò a seguirla. Scesero nei sotterranei della chiesa ed entrarono in una piccola cella.
Una giovane elfa era sdraiata su un giaciglio di paglia e incatenata al muro. Non era certo il suo ladro. Aveva sprecato tempo prezioso, doveva rimettersi subito in viaggio.
Una luce verde ed accecante improvvisamente lampeggiò attorno alla figura svenuta e la cercatrice lesse lo stupore nell’espressione dell’elfo.
“Alcuni soldati l’hanno vista uscire dallo squarcio, alcuni giurano di averla vista accompagnata dalla figura di una donna. E’ tutto ciò che rimane dell’esplosione, dobbiamo farle riprendere conoscenza, dobbiamo sapere se è stata una vittima fortunata o la mente dietro tutta questa tragedia.”
Solas si avvicinò al corpo svenuto. La luce sembrava provenire dalla mano, non appena la sfiorò la luce si fece più intensa e l’elfa gemette per il dolore.
Riconosceva quella luce ma non poteva credere ai suoi occhi. Aveva bisogno di studiare a fondo quella mano, quel segno. La prigioniera invece aveva bisogno di coperte, si gelava lì dentro.
La cercatrice, che come seppe in seguito si chiamava Cassandra, andò a cercare delle coperte e lasciò la guardia con lui.
Lui si sedette al fianco della prigioniera. Come poteva la magia della sua sfera essere lì sulla mano di quell’elfa e soprattutto come poteva lei essere ancora viva? La guardò attentamente, il viso contratto mostrava chiaramente il suo dolore ma anche la lotta che stava conducendo contro quel male che era così vicino a spezzarla.
Solas doveva trovare il modo di arginare la magia, doveva poter parlare con lei e capire cosa era successo, dov’era la sua sfera, dove il ladro e perché parte della sua magia era ora letteralmente nelle sue mani?
Cercò di contenere l’impeto del male con un incantesimo, ma non sapeva se sarebbe bastato, era ancora troppo debole, combattere contro la sua stessa magia sembrava improbabile.
Recitò anche qualche incantesimo di guarigione, avrebbero dato alla sventurata un po’ di tempo in più. Poi si mise a pensare continuando ad osservare il marchio che bruciava e consumava quella mano. Si rese conto con stupore che la mano e la sua proprietaria, risultavano ai suoi occhi perfettamente definite, non c’era traccia del tremolio che circondava qualunque altra cosa. Anche il mal di testa era praticamente svanito, poteva finalmente pensare lucidamente, era una sensazione meravigliosa.
“Hai un’aria così sollevata perché finalmente la Cercatrice ti ha lasciato solo? Succede anche a me. Tutte le volte. Ma non abituarti, è più doloroso ogni volta che torna.”
Solas si voltò e dietro di lui vide un nano dalla faccia gioviale.
“Varric Tethras al vostro servizio.” Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative da non sapere come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome, quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie, non avevano avuto alcun significato per così lungo tempo. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
“Come sta?” Chiese il nano avvicinandosi al giaciglio dell’elfa, il suo sguardo sembrava sinceramente preoccupato. Solas si voltò di nuovo a guardare la sua paziente.
“Non lo so. Credo sia stabile, ma non ho modo di verificarlo e soprattutto non so se e come riprenderà conoscenza”
“Amico, non farti sentire dalla Cercatrice, ho il sospetto che tu sia qui solo perché spera di poter usare ciò che sai.”
“E tu perché sei qui?” Chiese Solas quasi senza rendersene conto.
“Beh per lo stesso motivo. Se posso fare qualcosa per te o per lei, fammi sapere. Questo posto è una vera noia, avere un compito qualsiasi allieterebbe la mia giornata.”
“Potrebbero essere utili degli impiastri curativi.”
Con un cenno di assenso il nano dal sorriso sornione se ne andò, improvviso e inatteso come era arrivato, come un attore compare sul palco ed esaurita la sua parte torna dietro le quinte.
Lasciato di nuovo solo, fatta eccezione per la guardia, si rimise a studiare il marchio. Aveva notato che le pulsazioni erano regolari e che dopo il suo ultimo incantesimo sembravano essere meno dolorose. Decise che avrebbe dovuto studiare lo squarcio nel cielo per capire di più su quella mano. Le due cose dovevano essere strettamente collegate.
 
*
Erano giorni che la sua attenzione si divideva tra la prigioniera e il buco nel cielo, le sue giornate trascorrevano tutte uguali, impiastri curativi e tentativi vani di stabilizzare gli squarci che continuavano ad aprirsi attorno ad Haven.
Ogni giorno che passava gli portava via un po’ di speranza. Solas iniziava a credere che la sua presenza lì fosse completamente inutile e le silenziose recriminazioni che la cercatrice gli lanciava con ogni sguardo non rendevano più piacevole la sua permanenza. Proprio quella mattina però aveva ricevuto la notizia che la prigioniera si era risvegliata e che sembrava aver recuperato le forze, se non la memoria. In quel momento Cassandra e Leliana la stavano interrogando, Solas provava quasi pietà per lei. Non era riuscito a convincere le due donne a liberare il suo corpo inerte dalle catene, di sicuro non avrebbero dimostrato maggior buon cuore nei suoi confronti ora che poteva muoversi.
 Solas tornò a pensare al suo piano. Se le sue teorie riguardo il marchio sulla mano della prigioniera fossero risultate sbagliate, sarebbe fuggito quella stessa notte e avrebbe ripreso la caccia per proprio conto. In un modo o nell’altro tutto quell’orrore doveva finire.
I pensieri continuavano a fluire mentre una nuova ondata di demoni fuoriusciva dal piccolo squarcio. Quelle ondate potevano andare avanti per ore e poi placarsi per giorni ma la minaccia era sempre presente. Varric era al suo fianco con quella sua strana balestra che lui trattava come fosse una figlia, o forse un’amante. Negli ultimi giorni Varric era stato un compagno costante e piacevole, era tranquillo e accogliente, come se il suo cuore battesse più lento del normale e per questo tutto attorno a lui dovesse adeguarsi al suo ritmo. Era piacevole averlo attorno nei momenti di tranquillità ma in battaglia diventata insostituibile, la sua balestra non sbagliava mai un colpo e più di una volta Solas si era trovato a dovergli la vita.
D’un tratto sentì alle sue spalle il verso stridulo di un’ombra, ormai le battaglie erano divenute routine ed era facile distrarsi. Chiuse d’istinto gli occhi come per prepararsi al colpo e iniziando a recitare un incantesimo per il contrattacco. Invece del colpo sentì il demone gridare di nuovo, e girandosi lo vide dissolversi nell’aria.
La prigioniera era lì in piedi accanto a lui, due pugnali sguainati e pronta alla battaglia.
Solas senza pensarci due volte le afferrò un polso e lei con lo sguardo e la ferocia di una belva chiusa in un angolo si preparò a liberarsi da quell’aggressione, usando il pugnale se necessario.
“Presto prima che ne arrivino altri! Dobbiamo almeno provare”. Ripensando all'accaduto a mente fredda Solas si rese conto della propria avventatezza, l'elfa avrebbe potuto facilmente staccargli una mano di netto o piantargli un pugnale in gola. Invece evidentemente quelle parole bastarono a convincerla o forse in battaglia il semplice parlare anziché colpire risulta un atteggiamento degno di fiducia. In ogni caso lei abbassò il pugnale e si lasciò trascinare verso lo squarcio.
Solas afferrò più saldamente il polso della prigioniera e alzò il palmo della mano di lei verso lo squarcio.
Funzionava. Lo squarcio si stava chiudendo. Sarebbe potuto restare.
   
 
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