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Autore: Pandora_2_Vertigo    22/03/2016    2 recensioni
La storia di Kristina non è terminata. Seguito di Sangue Misto. Caldamente consigliato leggere la prima parte per poter capire Chiaro di Luna e i suoi personaggi.
Dal capitolo III
"...
Quel profumo ha risvegliato in me una catasta di emozioni.
Gioia, so a chi appartiene, lo riconosco ancora nonostante sia passato un secolo dall’ultima volta che l’ho sentito;
Rabbia, per come quella persona è svanita dalla mia vita, all’improvviso;
Preoccupazione, non so come si sia salvato, se stava bene, se era ferito…se è ancora come lo ricordo;
Curiosità, è davvero lui? O mi sto sognando tutto?
Paura, se mi sto sbagliando? Se non è lui, ma un volgare vampiro affamato? E se anche è lui, se è cambiato?
..."
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Kristina'
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5.
It's you that I adore
You'll always be my whore
You'll be the mother to my child
And a child to my heart
We must never be apart


Sorride felice. Tutta quella gioia nel suo sguardo quasi lo fa sentire in colpa.
Sa che ora dovrà parlare, rivelarle tutto.
Ma non ha voglia. Perché rovinare questo momento così perfetto?
Per odiarsi e farsi odiare c’è tutta l’eternità. Assapora il momento, si dice, perché finirà presto.

Lovely girl you're the beauty in my world
Without you there aren't reasons left to find


Presto, troppo presto, lo odierà.
Ora sono una cosa sola, una cosa perfetta.
Ma si ameranno e si odieranno. Lui le causerà dolore, lei cercherà vendetta?
Uniti anche in questo.

And I'll pull your crooked teeth
You'll be perfect just like me
You'll be a lover in my bed
And a gun to my head
We must never be apart


Guarda al suo passato, mentre delicato le accarezza i capelli e i lineamenti del volto, con la sua mano fredda.
Sa già cosa avverrà, tirerà fuori il mostro che è in se, non placherà ciò che è racchiuso nel profondo del suo essere. Porterà morte, ancora.
La rabbia lo pervade. Perché? Perché ora e perché a noi?
Un velo di tristezza gli copre gli occhi, lei se ne accorge, qualcosa non va.
Sospira, a sua volta lo accarezza e una lacrima ribelle le riga il volto.
La croce legata al suo polso, non manda i soliti riflessi azzurrognoli.
Capisce, troppo velocemente che per loro non c’è gioia. Gli sorride, mentre la vista le viene appannata dalle lacrime salate.

In you I see dirty
In you I count stars
In you I feel so pretty
In you I taste god
In you I feel so hungry
In you I crash cars
We must never be apart


Lui si alza da letto. Non si volta a guardarla. Lentamente raccoglie le sue cose.
Lei non si muove, piange silenziosa.
Pensa sia un addio.
Lui si volta e comincia a parlarle.
- Mi odierai. Quindi è meglio se me ne vado ora, dopo averti raccontato alcune cose. Il mio lavoro è uccidere persone, sono un mercenario, uno spazzino di persone inutili. In questi anni ho ucciso continuamente e mi sono macchiato di spregevoli delitti, ma ho anche eliminato persone o esseri che se lo meritavano.
Lei non si muove, non lo guarda. Continua il suo discorso.
- Non so chi comanda stavolta, ma vogliono che uccida tuo fratello.
A quelle parole la vede riprendersi. Spalanca gli occhi e si solleva di colpo a sedere sul letto. Il lenzuolo le scivola di dosso, mostra la sua pelle nuda. Non le importa. Ha il volto sconvolto e segnato dal pianto. Quanto dolore le sta provocando.
Le si avvicina, le sfiora le labbra dolcemente. La separazione ha un sapore amaro.

Drinking mercury
To the mystery of all that you should ever seek to find
Lovely girl you're the murder in my world
Dressing coffins for the souls I've left behind
In time
We must never be apart


- Mi dispiace, ma devo farlo.
- No!
- Addio Kris.
Si volta per l’ultima volta. Lentamente si avvicina alla porta.
La rabbia lo pervade. L’amore lo strazia. I ricordi di ogni istante con lei gli martellano il cervello.
Rabbia, Amore, rabbia.
Sente la forza crescergli dentro.
È all’aperto, è fuori, è ancora buio.
Si volta a guardare la vetrata.
Se fosse umano potrebbe piangere per quello che ha visto nei suoi occhi. Troppo dolore.
Si allontana, consapevole, che la sua anima, se esiste, l’ha lasciata con lei.
Ora è pronto per la sua dannazione.

And you'll always be my whore
Cause you're the one that i adore
And I'll pull your crooked teeth
You'll be perfect just like me
In you I feel so dirty in you I crash cars
In you I feel so pretty in you I taste god
We must never be apart

 

È di nuovo notte. Aspetto sul tetto del palazzo il suo arrivo.
La luna illumina ogni cosa, con la sua luce candida, anche la mia croce che porto legata al collo.
Fred e Erika dormono tranquilli nel loro letto, qualche stanza sotto di me. Sono all’oscuro di tutto, lei sarebbe morta di crepacuore, lui non sarebbe riuscito a star fermo, non mi sembra il caso di fargli rischiare di più la vita lottando.
Attendo decisa il momento in cui si farà vivo. Combatterò per la mia famiglia. Questa è la mia decisione. Farò tutto quel che posso per proteggerli.
Mi sistemo il coltello appeso alla cintura e la pistola, l’arma di Fred, infilata nel retro dei jeans.
Cammino avanti e indietro sono nervosa.
Poi lo vedo. Sul terrazzo del palazzo di fronte.
Porta un lungo cappotto nero, vestiti dello stesso colore. Non riesco a vedere la sua espressione, ma da lontano incute timore.
Mi irrigidisco un po’ per la tensione, quindi faccio ruotare la testa per scrocchiare il collo. In un secondo me lo ritrovo a pochi metri da me.
È di schiena alla luce, che lo colpisce coi suoi raggi, ma non riesce ad illuminare il suo volto, rabbuiato. Gli occhi più neri che mai.
- Non intrometterti. – mi dice serio.
Ora vedo la sua espressione, è dura, cattiva. Sembra un'altra persona.
- Mi spiace Julian, ma non posso lasciarti fare. – nel pronunciare queste parole tiro fuori il coltello e mi metto in posizione pronta a lottare.
- Come vuoi.
Rapido, fulmineo mi è addosso. Mi tira un pugno allo stomaco. Non del tutto sorpresa, ma sofferente, indietreggio di un passo e stringo i denti per il dolore.
Lo guardo e sorride malevolo. Avanzo e provo a colpirlo con la lama argentea. Schiva l’affondo, si sposta alle mie spalle. Mi prende le braccia e me le blocca dietro la schiena. Mi toglie il coltello di mano e lo scaraventa lontano. Immobilizzata.
- Ora hai finito di giocare? – mi chiede avvicinando la sua testa alla mia.
- No, non ancora.
Carico una testata e lo colpisco in mezzo alla fronte. Indebolisce la presa e riesco a liberarmi.
Mi volto, più rapida che posso, sfilo la pistola dalla stretta dei jeans, tolgo la sicura e lo punto.
È dritto davanti a me, con un ghigno sul volto.
Lentamente alza le braccia, e con fare beffardo apre la bocca.
- Fallo.
- Vattene Julian.
Per rendere maggiore l’intimidazione carico un proiettile nella canna della pistola.
Avanzo, lui non si muove, continua a sogghignare.
Gli punto la pistola alla tempia.

You'll be a lover in my bed
And a gun to my head
We must never be apart


Gli angoli della sua dolce bocca si abbassano, le labbra rosse si appiattiscono.
Sorride di nuovo e sparisce, mi volto, lo vedo spostarsi rapido tra i palazzi e sparire.
Ma non è l’unica cosa che noto, un’ombra sparisce affianco a me.
Mi guardo attorno, nulla.


 
Corre e si allontana.
Deve sfogare la sua rabbia, ha sete. Deve tornare a ragionare.
Si guarda intorno. Un ragazzo che ascolta l’i-pod passeggia per strada.
Perfetto.
Gli si avventa, lo porta in una zona d’ombra e lo svuota della vita.
Una volta morto, lo lascia cadere a terra.
Sente qualcosa sulla spalla, si volta, non se l’aspetta.
- Vedo che hai fallito.
- Cosa ci fai tu qui? – dice rabbioso, mentre si pulisce le labbra con la mano.
- Sono venuto a controllarti. Perché non hai ucciso quella ragazza prima? Perché non hai assolto al tuo compito?
Lo guarda fisso. Gli occhi smeraldo brillano nella notte, anche nel buio in cui si trovano ora.
- Non era lei che dovevo uccidere.
- Allora cosa stavi facendo? – urla.
Gli si avventa contro e lo solleva per il collo della giacca.
- Calmati amico, mettimi giù.
Lo lascia e si mette a camminare avanti e indietro, nervoso.
- Tu non capisci – urla di nuovo, passandosi una mano tra i capelli – Questi sono pezzi grossi! È un affare grandioso!
- Rinuncio Lucio.
- Cosa?!
- Rinuncio alla ricompensa, al lavoro. Mollo tutto.
- Tu non molli un accidenti hai capito? Siamo una squadra.
- No Lucio. Siamo due soci in affari sporchi. E io mi sono stufato.
- Ehi! Non mi puoi mollare così! Io ti ho trovato, io ti ho scoperto. Prima eri una nullità, ora sei potente!
- Tu non mi hai scoperto.
Si allontana, lasciando il suo collega. Questo veloce gli si para davanti.
- Tu mi stai nascondendo qualcosa. E va bene, farò da solo. Non ho bisogno di te.
Sparisce nella notte. Sa che agirà domani, ormai per oggi il tempo è scaduto.
Giusto il tempo per organizzarsi.
 

Dopo aver fatto la ronda per il resto della notte alzarsi alle 8 è massacrante.
Con poca decisione scosto le coperte e mi alzo.
- Miaoooo!
Mya ha fame, la riempio di cibo e coccole. Mi fa sempre sorridere la mia miciona.
Mi guardo allo specchio. Gli occhi sono contornati da borse, testimoni di una notte d’insonnia.
Sollevo la maglia, il livido allo stomaco è già in via di guarigione, per sera sarà scomparso. Giro la testa, i segni sul collo, ricordino dell’ultimo morso subito, sono andati via.
L’ultimo morso, è stato il suo.
Mi sfioro la pelle rigenerata, è liscia.
Mi imbambolo davanti allo secchio, persa nei ricordi. Quasi posso immaginarmi il suo odore, il colore dei suoi occhi. Sto sprofondando nella malinconia.
Sospiro.
Un corpo caldo e peloso mi accarezza le gambe. Mi riporta alla realtà, mi inginocchio e coccolo ancora la gatta.
Mi faccio una doccia veloce e mi vesto pronta per andare a lavorare.

- E' pronto il cappuccino per il tavolo 4.
- …
- Kris mi senti? Pronto? Terra chiama Kris!
Mi sento qualcosa colpire in testa.
- Ahi! Fred ma che ti è preso? – gli urlo.
- Io? Sei tu che stai nel tuo mondo. Hai una faccia!
- È che ho sonno – sbadiglio. – Tavolo 4 hai detto, vero?
- Sì. Non dovresti stancarti così tanto.
Già non lo sto più ascoltando. Mi avvio al tavolo e consegno l’ordinazione con un sorriso. È il ragazzo dell’altra volta. Come al solito nemmeno mi vede, concentrato nella lettura del giornale.
Sbuffo silenziosamente, mi volto verso il balcone.
Vedo Erika tramare qualcosa con mio fratello, indicandomi. Stano parlando di me. Copro la distanza che ci separa in un batter d’occhio.
- Visto che sono la diretta interessata, potrei sapere pure io di cosa stare parlando?
- Tesoro, siamo preoccupati, sembri uno straccio. Non c’è nulla che vuoi raccontarmi? – mi dice dolce la mia amica.
Mi guarda con occhi languidi, come fare a mentirle? Sto già per cedere.
Poi mi volto, Fred ha la fronte corrucciata. Immagino che già è in fibrillazione, agitato.
No, mi dico, sta per diventare padre, non è il caso di dirgli la verità; conoscendolo vorrebbe agire lui stesso, si immischierebbe in un mare di guai.
No. Lo proteggerò io.
- No tutto bene, ma grazie Erika, sei un tesoro. – le sorrido dolce.
Ruffiana che non sono altro.
- Perché hai preso la mia pistola ieri?
Accidenti, se n’è accorto. Mi scruta pensieroso, non rilassa la fronte.
- Così per cambiare un po’ – dico senza dar troppo peso alle mie parole.
Non mi risponde, ma continua a guardarmi storto.
Sento il campanello della porta. Mi volto, il ragazzo se n’è uscito, anche oggi senza degnarmi di uno sguardo.
Mi dirigo verso il suo tavolo, intanto osservo la strada.
Decido di non dar importanza alle occhiatacce di mio fratello che mi bucano la schiena.
Osservo le macchine che passano, in fila, una dietro l’altra.
Un suv, una utilitaria, una berlina nera brillante, sportiva, coi vetri oscurati. La guardo passare, rimango a bocca aperta. Macchina inconfondibile. È il pirata della strada!
Corro fuori, spero, questa volta, di essere in tempo. Un dejà-vù. Svolta. Mi è sfuggito ancora.
 
 
Girovaga in macchina per le vie della città senza uno scopo, deve pensare, ragionare, riflettere, trovare un modo.
Lucio agirà quella notte, deve trovare un modo per fermarlo.
Potrebbe affrontarlo, ma per pigrizia non ne ha voglia.
Finalmente è in vacanza, basta lavoro chi glielo fa fare di impegnarsi?
Grugnisce a se stesso. Si vergogna di se.
Ma che uomo sei, pensa.
È suo fratello. L’avrebbe ammazzato lui, ma non se l’è sentita di passare oltre lei. Non si è impegnato al massimo nella loro breve lotta. L’avrebbe stesa, lo sa. Ora è molto più potente. Ma non le andava di farle male, di rovinarle il bel faccino. Dentro di lui qualcosa lo bloccava.
Sentimenti.
Pensava di esserne immune. Aveva ragione lei a non credergli molto tempo fa, prova delle sensazioni. Non sa definirle bene, ma sente.
Nella sua vita ha provato sofferenze, dolori. Raramente gioie, poche, ma esplosive. Come la recente notte. Al solo pensiero si sente infiammare di nuovo tutto dentro, preso dalla passione.
Debole. Femminuccia.
Sgasa e accelera per sfogare la rabbia.
Ma è mattina, la città è popolata da migliaia di macchine in fila. È costretto ad inchiodare e a seguire il pedante flusso di automobili.
Le vie che percorre sono le solite. Soliti posti, soliti bar. Moon Bean.
Di nuovo, ricorda di esserci già passato.
Sta per svoltare, guarda nello specchietto retrovisore. Una figura esce dal bar. Inconfondibile.
Finisce la curva, ripercorre il quadrilatero di strade il più velocemente possibile, ma il traffico lo rallenta notevolmente.
Rivede spuntare l’insegna del bar, in lontananza. Picchietta nervoso le dita sul volante. L’utilitaria davanti a lui va lentissima e non riesce a superarla. È agitato, ha fretta ora, come non mai.
Finalmente si leva di torno, sgasa e veloce arriva alla sua meta. Accosta poco dopo l’ingresso del bar, facendo stridere le gomme e lasciando un segno nero sull’asfalto.
Poi si ferma. Rimane immobile in macchina. Vuole scendere, ma per fare cosa?
Per dirle che ora il suo nemico non è più lui?
Si, per metterla in guardia. Annuisce a se stesso.
Apre la portiera, scende, e la richiude sbattendola.
Stringe un paio di volte il pugno. Sente i muscoli di tutto il corpo tesi.
Dannazione, rilassati, si dice.
Fa un respiro profondo, si infila i grossi occhiali da sole, apre la porta del locale.
Un campanello suona, non ci sono clienti, ma tre persone al bancone.
Uno lo riconosce, in piedi vicino alla macchina del caffè che asciuga una tazza. Lo vede bloccarsi e corrugare la fronte. Affianco a lui una donna, giovane e piena di vita, in attesa di un figlio, gli sorride e lo accoglie.
- Buongiorno, si accomodi. La cameriera arriva subito.
Poi si volta verso l’uomo e rimane a bocca aperta ad osservare la sua espressione contrita.
Si sente sbuffare. Voltata di schiena una ragazza appoggiata con le braccia al bancone e la testa su di queste, seduta su un alto sgabello.
La vede sollevarsi drizzando la schiena, chiedendo.
- Fred che succede? È entrato un fantasma?
Si volta e rimane a bocca aperta per qualche secondo. Poi si riprende.
- Tu cosa diavolo ci fai qui?!?!?
Lui rimane in silenzio, in piedi, con le mani nelle tasche del giubbotto, e un ghigno storto sul volto. Studia rapido la situazione, muovendo svelto gli occhi in ogni direzione, coperto dagli occhiali.
La sua attenzione è però attratta da lei, che si alza veloce ma un po’ goffa dallo sgabello, che cade a terra, mentre gli si dirige addosso.
- Vattene- gli urla – non sei il benvenuto qui.
Mentre gli grida addosso carica un pugno e cerca di sferrarglielo sul bel viso.
Lui para il colpo, bloccandogli la mano all’altezza del viso, mentre sposta la testa leggermente di lato per non essere toccato.
- Calmati. Ti devo parlare. – le dice piano.
- Mollala hai capito? – una voce maschile da dietro di lei.
- Fred non ti intromettere!- dice lei, rilassando il braccio teso verso il volto di lui.
La libera dalla sua presa e annuisce.
- Kris! Parla avanti cosa nascondi.
- Niente Fred- disse voltandosi verso suo fratello – non lo vedi? Julian è tornato. Vuoi abbracciarlo?


Ok, lo ammetto, fare del sarcasmo in questo momento forse non era la cosa più azzeccata.
Ma sono agitata e si vede. Mio fratello mi conosce troppo bene e sa meglio di me che questa situazione è abbastanza strana. Un vampiro di giorno in un bar? Roba da matti.
Mi volto verso julian.
- Sputa l’osso e sparisci, non dovresti nemmeno essere qui. È per caso una tregua?
- Sono venuto a dirti di stare attenta.
- A chi? A te? Lo so già, grazie. Se non sbaglio non ho di che preoccuparmi.
- Sciocca. Aspetta a parlare.
- Non sono io che mi sono data alla ritirata.
- L’incarico è passato a qualcun altro, io non ti darò più fastidio.
- A chi?
- Il mio collega.
- Perché hai rinunciato?
- Tzè – ghigna – avevo voglia di una vacanza, di godermi un pò i miei guadagni. Parto tra poco.
- Vai al mare ad abbronzarti?
Sento Erika alle mie spalle che si tappa la bocca per non ridere, ma io nemmeno sorrido. Faccio sarcasmo. Si è tolto quel sorriso beffardo dal volto. Ancora un po’ e gli tiravo uno schiaffo per il nervoso.
Silenzio imbarazzante, nessuno parla. Che odio queste situazioni.
Eddai, penso, vattene. Che ci stai a fare ancora qua?
Rimane fermo, non sorride. Il volto è rivolto verso di me, ma gli occhiali mi impediscono di capire cosa stia guardando. Non smetto di fissarlo, voglio farlo sentire in colpa, per come si è comportato con me, con Fred.
Dal nulla sorride, lo sguardo strano, non capisco.
Mi prende di nuovo il braccio, ma ora dolcemente.
- Vieni – mi dice.
Mi trascina fuori, ma senza troppa forza. Non oppongo resistenza.
Sento mio fratello chiamarmi. Mi volto sorridente per tranquillizzarlo.
Mi apre la portiera della macchina e mi lascia spazio per salirci.
- Che significa?
- Andiamo a farci un giro, ti va?
Lo guardo storta, non capisco. Un attimo prima era serissimo, ora sembra un ragazzino. Mi spinge dentro e chiude la portiera. Provo ad aprire per scendere, ma ha fatto scattare la sicura con il telecomando. Lo vedo ridere fuori dal finestrino.
In pochissimo me lo ritrovo seduto affianco, accende il motore rombante e parte.
Solo in quel momento collego che è lui il proprietario della berlina nera, il mio pirata della strada.

Il paesaggio cittadino sta abbandonando la nostra visuale, per lasciar sempre più spazio ai boschi e appaiono già in lontananza le cime delle Montagne Rocciose.
La curiosità mi divora, mentre lo osservo guidare tranquillo il suo gioiellino sportivo. La musica allieta l’atmosfera nell’abitacolo della macchina. Rock.
E’ travolgente, non riesco a stare ferma e buona sul sedile, canticchio ogni brano e tengo il tempo con piedi e mani, battendoli i primi sul tappetino, le seconde sulla stoffa dei miei jeans.
La melodia spazza via ogni pensiero e preoccupazione, mi concedo di non pensare a niente, nemmeno a me stessa, distratta dalla natura che mi circonda, illuminata dai raggi del sole, che però non riescono a infastidire la vista grazie ai vetri oscurati della berlina.
È trascorsa già un ora da quando siamo partiti, e non ci siamo più detti una parola. Non mi fido completamente, e nonostante l’allegria che mi pervade grazie alla musica, non mi perdo un solo movimento delle dita sul volante o della mano sul cambio. Porta sempre gli occhiali da sole, il giubbotto slacciato da cui si intravede una maglia blu.
Mi accorgo di non averlo mai visto se non di notte. Mi volto a studiarlo con più attenzione, seguendo i contorni di ogni ciocca sistemata col gel in modo perfettamente disordinato, gli osservo poi le orecchie, chiare e delineate. Abbasso lo sguardo lungo il collo dritto e liscio, quasi appetitoso, da mordere. Alzo gli occhi al cielo come a cercare di controllare i miei pensieri, quando lo vedo voltarsi verso di me, probabilmente infastidito dal mio studio approfondito della sua persona.
Rivolgo nuovamente lo sguardo alla strada, lui rimane fisso su di me.
Guardo veloce, prima lui, poi la strada, un paio di volte almeno, preoccupata, finiremo fuori carreggiata! Invece la macchina continua dritta senza sbavature nella guida.
Rimango a bocca aperta. Lui sorride soddisfatto e riporta il volto dritto davanti a se. Sbruffone.
Mi irrita a morte, non riesco più a stare zitta.
- Si può sapere dove mi stai portando?
- Pazienza.
Sbuffo.
- Siamo quasi arrivati – continua.
Incrocio le braccia al petto e stendo le gambe, macchina davvero comoda. Appoggio la testa al sedile e mi lascio coccolare dal calore dell’abitacolo, chiudendo gli occhi.
Non mi addormento del tutto, riesco a percepire quando la macchina accosta e si ferma. Ma Morfeo mi trattiene a se, riattivo i sensi ma fatico ad aprire gli occhi, si sta così bene.
Sento aprire la mia portiera, attorniarmi di aria fredda ed essere sollevata.
Dalla sorpresa sollevo rapida le palpebre. Mi ritrovo fuori dall’abitacolo e rimango estasiata ad osservare il paesaggio primaverile, con le cime non troppo lontane coperte dalla neve residua dell’inverno, gli scarsi alberi che danno qua e là un tocco di verde ai pendii, la distesa di erba davanti ai miei occhi che appare infinita. Il vento soffia forte e freddo da nord. Tremo. Mi sento abbassare, allora mi volto e mi rendo conto di essere aggrappata al suo collo, di nuovo mi viene voglia di morderlo. Ci guardiamo, o meglio lui mi guarda negli occhi, io fisso le lenti dei suoi occhiali. Sposto una mano e glieli sollevo sulla testa.
Mi sorride e gli rispondo in egual modo.
Mi posa a terra, mi libera dalla stretta e si riabbassa le lenti scure.
- Qui non saremo disturbati – esordisce.
Si stiracchia allungando le braccia sopra la testa e piegando la schiena all’indietro. Lo guardo stranita. Ma che intenzioni ha?
- Fammi vedere di cosa sei capace. Non risparmiarti, mi raccomando.
Così dicendo si allontana di qualche passo. Si fruga tra le tasche, tira fuori un pacchetto di sigarette, ne estrae una e l’accende.
- Avanti che aspetti, puniscimi per il male che ho commesso cacciatrice!
- Mi stai provocando?
Sorride sarcastico, da un ultimo tiro alla sigaretta, poi la butta a terra. Solleva un braccio e con l’indice mi fa segno di avvicinarmi. Sono disarmata, ma non disdegno mai un po’ di allenamento.
- Non ti è bastata la lezione di ieri sera?
- Mmm direi di no, diciamo che non mi sono espresso al meglio.
Ghigna. Sbruffone. Odioso. Prepotente. Ora ti …
Gli sono addosso, ma la rabbia non mi permette di essere efficace, schiva il pugno facilmente.
Lo sento ridere. Questo non aiuta la mia calma e concentrazione.
Chiudo gli occhi e respiro a fondo. Stringo la croce che mi pende dal polso. Rilasso i nervi e i muscoli. Pace interna.
Lo sento che mi gira attorno, crede che siccome non lo vedo non posso percepirlo, beh si sbaglia. Lui sarà super veloce, ma io ho i sensi più affinati di un normale umano.
Mi do lo slancio, salto e sferro un calcio, ruotando di un quarto il busto. Colpisco qualcosa. Apro gli occhi, ma è già lontano. Sorrido, godendomi il momento. Lo vedo serio, non se l’aspettava.
- Ok, basta scherzare. Facciamo sul serio ti va? – mi dice.
Annuisco. Il furore di poco prima sparito, l’attenzione rivolta a percepire il più piccolo movimento.
Ancor prima che si muova percepisco un soffio di vento freddo. Il mio corpo reagisce e si prepara a parare un colpo. Julian sferra un pugno allo stomaco, ma riesco a schivarlo ritraendomi, gli scanso il braccio e gli restituisco il colpo al mento. Arretra di mezzo passo per lo sbilanciamento, appoggia il piede e riprende l’equilibrio. Arretro anche io. A due passi di distanza ci sorridiamo, coinvolti nella nostra lotta privata. Lo vedo scattare, così riesco di nuovo a parare un suo colpo, ma questa volta schiva la mia risposta, si abbassa rapido e ruotando con la gamba tesa mi colpisce il ginocchio facendomi perdere l’equilibrio. Poggio una mano a terra per non cadere del tutto, mi do una spinta all’indietro e mi rimetto in piedi.
Subito mi è addosso, un pugno allo stomaco, non riesco a evitarlo, ma il successivo si.
Senza armi lui è notevolmente superiore . Più rapido e forte.
Arretro. Il petto si muove su e giù, il respiro affannato. Lui è fresco come una rosa.
- E’ un lotta impari, lo sai meglio di me – gli urlo.
- Hai delle potenzialità, bisogna solo svilupparle.
- Guarda che sono già sviluppate. Credi che qualche anno fa sarei riuscita anche solo a sfiorarti?
- In effetti non sei male, non sei più imbranata come ricordavo.
- Imbranata? – ripeto arrabbiata.
- E sei anche più svelta, hai dei buoni riflessi, anzi quelli sono ottimi.
- Già, beh quelli sono un dono.
- In che senso?
- Riesco in parte a prevedere le mosse del mio avversario. Non del tutto, ma riesco a percepire un attacco un secondo prima che accada. È come se ne sentissi la tensione nei muscoli.
- Interessante, dovuto alla tua doppia natura, immagino. Ma forse non dovresti dirlo ad un vampiro.
- Non cambia nulla. Saperlo o no intendo.
- Forse hai ragione.
Sorrido, mi sdraio nell’erba alta quasi a esserne coperta. Chiudo gli occhi e mi godo il sole, ma per poco, mi ritrovo presto all’ombra. Socchiudo un occhio.
- Mi stai coprendo il sole.
- Tanto più scura di così non diventerai.
- Guarda che mi abbronzo. Forse non come tutti, ma assumo un certo colorito vivo – gli rispondo sarcastica. – di sicuro più colorata di te divento.
Mi tende la mano, la afferro e mi solleva.
Ci stacchiamo subito.
- L’allenamento è già concluso? – chiedo.
- Si devi essere fresca per stasera.
- Già…stasera. Che palle! – sbuffo. – mai una serata tranquilla. Un appuntamento, anche solo una serata al cinema con un amica…già ma quale amica – sbuffo ancora.
- La ragazza al bar…
- Si…ma non è il caso di portarla per locali ti pare?
- Da quel che ho visto, anche da sola nei locali ti sai divertire…
Arrossisco. Colpevole. Colpita e affondata.
- Quindi sei in partenza? – chiedo per cambiare discorso.
- …ah già… beh teoricamente, posso trattenermi ancora un po’…
- Ma non ce n’è bisogno – lo interrompo – non hai nessun motivo per rattenerti….
- ….già….
- Allora buon viaggio – gli dico sorridendo falsa. – prima però riportami a casa ok?
- Certo. – ritorna impassibile dietro gli occhiali scuri.
Mi rattristo un po’.
- Facciamo che la prossima volta che ci vediamo – comincia a dire – se ti va ancora di andare al cinema, ti ci porto io?
- …
- È un si?
Rimango ancora a bocca aperta, poi lentamente annuisco.
Ho un appuntamento.
Con un vampiro.
- Ora sali in macchina, ti riporto indietro.
Lo seguo, mi apre la portiera e mi accomodo.
Guardo l’orizzonte, nuvole nere in lontananza. Il sole sarebbe durato ancora per poco.
 
Lei dorme, si è appisolata sul sedile, cullata dalle fusa del motore.
Tiene sotto controllo facilmente la strada. Con un mano sfila il cellulare dalla tasca del giubbotto e compone un numero in memoria.
Un paio di squilli poi qualcuno all’altro capo risponde.
- Ho bisogno di te, ti devo parlare, dove ti trovo.
Ascolta con attenzione la risposta, la memorizza.
- Bene a dopo.
Attacca e ritira il telefono.

Un paio d’ore più tardi, dopo averla lasciata al bar, sfila veloce tra le strade della città. Il tempo scarseggia, è già pomeriggio quasi.
Entra nella hall dell’albergo di cui ha memorizzato il nome poco prima, chiama l’ascensore, preme il tasto per il sesto piano. Le porte si aprono scorrendo lateralmente, lui esce calmo, con le mani infilate nelle tasche del giubbotto. Cammina lento sul tappeto rosso, che attutisce il suono dei suoi passi, leggendo su ogni porta il numero della stanza. 666.
Ironia della sorte. I numeri dorati sembrano bruciare sul legno della porta color panna.
Di nuovo solleva il lato della bocca in un ghigno.
Sente dei passi da dentro la stanza, si avvicinano svelti. Il suono di una serratura. La porta si apre, lui solleva lo sguardo e sorride.
Una bellezza eterea ha gli appena aperto la porta, lunghi capelli neri e lisci, occhi blu, profondi. Linee dolci e sinuose del corpo fasciato un semplice tubino nero.
Le labbra incurvate in un dolce sorriso.
- Entra, ti aspettavo – dice con voce sensuale.
Lui non parla, semplicemente la segue all’interno della stanza, richiudendo la porta bianca dietro di se.
  
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