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Autore: Writer_son of Hades    23/03/2016    0 recensioni
La gente è il più grande spettacolo del mondo. E non si paga il biglietto.
[Charles Bukowski, Storie di ordinaria follia, 1972]
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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1.




Tutto ciò che la gente chiama comunemente destino, è costituito per lo più soltanto dalle sue stupide sciocchezze.

Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851
 

 
 

 
Aprii la porta della classe con il fiatone.
La De Rienzi mi fissò da sopra gli occhiali con il suo sguardo gelido. Il viso incorniciato da rughe si sforzò di non sorridere per la soddisfazione di potermi mettere una nota per il ritardo.
                << Sit down, Laura. >> mi ordinò mentre prese in mano l’ipad con il registro e con pochi tocchi inserì la nota.
Io mi limitai a sedermi al mio banco in modo scomposto. Buttai la cartella vicino alla sedia e mi tolsi il giubbetto completamente inzuppato d’acqua mollandolo sullo schienale della sedia.
                << Sembri un cucciolo bagnato. >> mi salutò la mia vicina di banco.
                << Giada, lasciamo perdere. >> mormorai io mentre cercavo di reprimere i brividi di freddo.
Quella mattina i miei genitori avevano deciso di uscire prima di casa e di lasciarmi senza ombrelli. Ora, la strada fino alla scuola non è così lunga, ma se piove a dirotto, ti ritrovi più o meno nelle stesse condizioni in cui ero io.
                Mi spostai i capelli lunghi bagnati dietro alle orecchie, per cercare di darmi un aspetto più decente. Passai due dita sotto gli occhi per sistemare il mascara colato fino alle guancie e mi tirai le maniche della felpa fino a coprire le mani.
                << Mi piaci un sacco così, Laura. >> scherzò Davide dal banco vicino al mio.
Io gli tirai un pugno sbuffando.
La giornata migliorò quando la De Rienzi decise di interrogarmi. Più o meno me la sono cavata con un sei e mezzo. Dopo altre due ore, finalmente la campanella della ricreazione suona e mi fiondai verso l’unico termosifone che funzionava in corridoio. Attorno a me Davide, Giada, Maria e Tommaso mi prendevano in giro.
                << La smetterete ad un certo punto? >> chiesi alzando gli occhi al cielo.
Davide mi mise un braccio attorno alle spalle: << Va bene, va bene la smettiamo. >> disse ridacchiando. << È solo che sei troppo carina. >>
                << Ah ah ah. >> lo canzonai io.
                << Ehi ho sentito che c’è stata una rapina nel tuo condominio questa notte.>> cambiò argomento Maria.
Io annuii: << Nell’appartamento sotto il mio. Hanno praticamente assalito la signora che ci abitava. >>
                << Non hai paura adesso? >> mi chiese Giada.
                << Bé insomma, spero che non mi ricapiti. >> risposi semplicemente.
Dopo altre due ore di scuola tra commenti sulla mia situazione da parte dei miei compagni e pure dai professori, l’ultima ora finì e io potei tornare a casa e cambiarmi.
Uscii dalla scuola e il tempo era abbastanza migliorato. Il cielo era di un grigio scuro, ma per fortuna aveva smesso di piovere. Salutai i miei amici e tirai fuori il telefono mentre mi incamminavo verso casa per controllare i messaggi. Trovai foto mie nel gruppo di classe e un messaggio da mia mamma che mi diceva che, per colpa del temporale, c’era stato un blackout nell’intero condominio e che la luce non sarebbe tornata per almeno un paio di giorni.
Sbuffai per l’ennesima volta in quella giornata e dopo essermi tirata il cappuccio sulla testa, infilai le mani nel giubbotto jeans.
                Camminai in silenzio e tenendo la testa bassa fino alla corte del mio condominio. Aprii il cancelletto del giardino e passai il vialetto di pietra. Comminavo lentamente, ma oltre al mio passo, sentivo anche un altro dietro di me. Cercai di controllare il battito e il respiro e di non fari prendere dal panico. Forse il ladro della notte precedente era tornato.
Arrivai alla porta di metallo e, mentre tiravo fuori le chiavi di casa dalla tasca, mi voltai di scatto tirando un pugno in pieno viso alla persona dietro di me. Mentre questo si teneva il naso, aggiunsi un calcio in mezzo alle gambe che lo fece gemere e cadere in ginocchio. Con una spinta lo buttai a terra e mi ci fiondai sopra pronta a prenderlo di nuovo a pugni quando…
                << Basta ti prego! Basta! >> mormorò quella che riconobbi come la voce di un ragazzo. Non riuscivo a vedere ancora la sua faccia, quando si tolse le mani dal viso e le alzò in segno di resa. Dal naso usciva sangue a fiotti.
                << Chi cazzo sei tu?! >> ringhiai, tenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi così scuri.
                << Mi chiamo Stefano! Sono il nuovo vicino! Volevo solo presentarmi! >> esclamò tremante.
Io mi bloccai. Trattenni il respiro. Sgranai gli occhi.
Avevo appena aggredito il mio nuovo vicino. Ringraziai il cielo che nessuno mi avesse vista mentre gli tiravo un calcio nei coglioni.
Mi tolsi da lui e mi strinsi tra le braccia mentre anche lui si rialzava. Tenni la testa bassa, completamente rossa in viso.
                << Scusa. >> mormorai. << Ieri notte c’è stata una rapina e credevo che tu fossi un ladro. >>
                << Peccato che non fossi il ladro. >> ridacchiò lui. << Sennò avresti potuto conciarlo per le feste. >>
Ridemmo leggermente entrambi.
Lo vidi che si teneva la manica della felpa nera sotto al naso che perdeva ancora sangue.
                << Vieni con me. >> gli dissi prendendolo per la mano con non usava. << Ti sistemo il casino che ho fatto. >>
Lui mi seguì per le scale senza dire niente. Al terzo piano, aprii la porta del mio appartamento immerso nel buio. Il tempo fuori non aiutava. Lo feci accomodare nella piccola cucina mentre andavo a prendere qualche benda e delle candele.
Tornai e mi sedetti davanti a lui nel tavolino che tenevano attaccato alla finestra. Accesi due candele che gli illuminarono il volto e quegli occhi così profondi e così scuri che mi scrutavano.
Lo pulii dal sangue con uno straccio e dell’acqua, lo disinfettai e gli diedi del ghiaccio per il calcio che gli avevo dato in mezzo alle gambe.
                Nel mentre, sorseggiando del tè caldo, mi chiese di me e io di lui. Si chiamava Stefano, 17 anni, come me, e si era trasferito quella mattina al 2B con sua mamma. I suoi erano separati e aveva un gatto di nome Plutone. Io dissi che preferivo la mitologia greca rispetto a quella romana e a lui gli si illuminarono gli occhi esclamando che era completamente d’accordo con me, ma che a sua madre piaceva tanto quel nome per un gatto nero.
Mi disse che i Coldplay e gli Imagine Dragons sono i migliori, insieme ai Sum e ai Blink. Io acconsentii mentre sorridevo come una scema, perdendomi a fissare le sue labbra così rosee e carnose.
Mi raccontò della sua infanzia a Venezia e della sua passione per il pianoforte. Io gli parlai dei miei libri e dei cartoni animati.
Decidemmo che il gelato alla stracciatella era in assoluto il più buono e che la birra fosse troppo amara per lui e fantastica per me.
Mi mostrò la foto della sua ultima vacanza al mare e io gli feci vedere le foto di Parigi di due anni fa’.
Constatammo che un giorno avremmo dovuto assolutamente visitare il palazzo di Diocleziano a Spalato e che Ritorno al Futuro era un capolavoro.
In meno di un’ora ci ritrovammo a cantare Farò di te un uomo di Mulan.
                << Non ci posso credere! Ma dove sei stata per tutto questo tempo? >> esclamò infine lui con quei meravigliosi occhi marroni che brillavano.
                << Aspettavo il momento giusto per tirarti un calcio nelle palle. >> risposi. Scoppiammo a ridere.
Una cosa era certa: era davvero un bel ragazzo. Certo, il naso gonfio e nero non aiutava, ma in effetti senza quello non era per niente male. Per non parlare della sua risata. Così cristallina e sincera.
Calò un silenzio improvviso, fatto di scambio di sguardi. Le candele erano quasi consumate e il pomeriggio era passato velocemente.
In qualche modo avrei dovuto recuperare i compiti di fisica.
                << Come te la cavi in fisica? >> gli chiesi.
                << Bene direi. >> rispose alzando le spalle. << Perché? >>
                << Ho dei compiti per domani e mi servirebbe una mano. >> buttai lì l’idea sperando che non rifiutasse. << Non è che mi aiuteresti?>>
Lui sembrò pensarci su: << E tu cosa mi daresti in cambio? >>
                << Come? >>
                << Mi hai aggredito… >>
                << Sì, ma poi ti ho anche curato. >> gli ricordai.
                << Okay, è vero. Quel debito è stato saldato. 1 -1 >> acconsentì lui. << Ma per un aiuto in fisica, voglio qualcosa di più. >>
Io alzai gli occhi al cielo: << Sarebbe? >>
                << Mi aiuti con il trasloco. >> rispose lui senza pensarci.
Stavo per ribattere quando aggiunse: << Così dopo ti offro pure una cena. >>
Serrai la bocca e lo fissai assottigliando gli occhi.
                << Mi stai chiedendo di uscire con te? >> chiesi sospettosa.
                << Perché no? >> rispose Stefano con un sorrisetto.
                << Ti ho menato a sangue e tu vuoi uscire con me? >> domandai puntandogli un dito contro. << Sei serio? >>
                << Dopo quello che mi hai fatto, posso stare sicuro che se un ladro dovesse provare ad aggredirmi ci saresti tu a difendermi. >> continuò.
Risi: << E va bene. >> accettai infine. << Spera di essere abbastanza bravo in fisica. >>
               
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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