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Autore: Feathers    24/03/2016    7 recensioni
/Cockles Au in Russia!/
Dopo che la sua vita cambia per sempre a causa di una matrioska, Jensen Ackles è costretto a vivere nella Russia del 1955, un'epoca difficile per un americano moderno. Per fortuna, un affascinante e misterioso scrittore di nome Misha Krushnic decide di ospitarlo nel suo appartamento al centro di Mosca. Cosa succederebbe se la loro iniziale diffidenza si trasformasse in una passione incontenibile?
Questa è la storia di un amore clandestino, di quelli tanto intensi da sembrare irreali, ma continuamente messo in grave pericolo dall'omofobia della Russia Sovietica. Riusciranno i due ad uscire dalla terribile situazione in cui si trovano ed a stare insieme senza rischiare la vita?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jensen Ackles, Misha Collins
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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14 Febbraio 1995

/Flashback/

 Jensen sgattaiolò fuori dal liceo, il suono della campanella gli assordava le orecchie, unito al fracasso dei suoi coetanei ammassati fra i portoni bianchi. Si mise una mano sui capelli dorati al sole, rassettandoli come meglio poteva, e volò verso il panificio, la borsa che gli penzolava da una spalla sola.

 Sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco. Ci aveva rimuginato su per tutto il tempo durante le lezioni, mangiandosi le pellicine delle unghie mentre Marius e Carl lo fissavano di soppiatto, scambiandosi gomitate e commenti volgari sul suo conto. Tutti in classe erano a conoscenza di ciò che era accaduto a Jensen quel Capodanno, o almeno a lui pareva così. Era fin troppo danneggiato per non accorgersi che qualcosa dentro di lui era cambiato per sempre. Era dimagrito - indebolito sia fisicamente che mentalmente - e talvolta lacrimava a scuola, avvertendo il peso della non accettazione divorargli lo stomaco.

 Buttò a terra la cartella nervosamente, abbassandosi in cerca del suo portafogli sgualcito e sotterrato fra i libri di scuola. Doveva allontanarsi più in fretta che poteva da quel marciapiede; era troppo deserto per i suoi gusti.

 Ma subito dopo, qualcuno gli afferrò con forza le braccia e lo fece alzare con uno strattone violento. "Frocio di merda!"

 Un pugno lo colpì in pieno volto e lo fece cadere a terra con un tonfo, prima che potesse vedere il viso malvagiamente divertito di Carl.

 Jensen sentì la risata di Marius che rimbombava nelle sue orecchie mentre cercava di rialzarsi e si premeva il palmo insanguinato.

 "Guardalo! Povero finocchio! Mi auguro che non abbia messo dei cioccolatini sotto il banco di uno dei nostri compagni! Sai com'è... potrebbe scombussolare loro lo stomaco... " malignò Carl, sistemandosi il cappellino da rapper in testa.

 "Finiscila," disse Jensen, sommessamente, e tossì contro il terreno, contorcendosi. Gli veniva da rimettere.

 Carl lo guardò con disprezzo negli occhi grigi, si abbassò e lo prese per il colletto, costringendolo ad alzare il capo. "Una femminuccia come te non dovrebbe nemmeno azzardarsi a dirmi quel che devo o non devo fare." disse, minacciosamente.

 Jensen si ritrasse, ed aprì pian piano gli occhi. Lo guardò con tutto l'odio possibile, come se avesse potuto fulminarlo con il solo sguardo. "Vaffanculo, bastardo." ringhiò, le braccia penzolanti.

 Il sorriso cattivo di Carl si trasformò in un ghigno orribile. "Ah, è così allora? Mi costringe a finirlo... tu che ne pensi, Marius?" disse con una risatina, guardando oltre la testa di Jensen.

 Jensen cominciò a dimenarsi disperatamente per sfuggire alla sua presa, ma Marius lo tenne fermo da dietro, stringendogli le spalle. "È un'ottima idea, tanto se ne parla potremo sempre spargere la voce che è mezzo gay. Coraggio. Finiscilo." disse ridendo, come se nulla fosse.

 L'altro sorrise malignamente. "Bene, buon San Valentino, frocio..." disse, preparandosi per dargli il pugno finale, ma una voce lo interruppe.

 "Hey, voi!" gridò qualcuno energicamente, sbucando dal vicolo. Per un momento, ci fu un silenzio totale, come se quella voce avesse fermato il tempo, congelando i tre ragazzini.

 Marius si staccò da loro; Jensen si girò appena alla sua destra, e vide un ragazzo sulla ventina alto e ben messo che stava marciando con decisione verso di loro, il bel viso corrucciato.

 Marius e Carl si scambiarono un rapido sguardo preoccupato.

 "Mollatelo all'istante, razza di vigliacchi!" urlò il ragazzo, e prese Carl per la maglia, costringendolo a lasciare Jensen che cadde a terra di fianco, emettendo un lamento.

 "Hey! E tu chi cazzo ti credi di essere?" grugnì Carl, dando una spinta al ragazzo. Lui si riscosse, e gli rivolse un sorriso falso: "Sono quello che spaccherà la faccia ad entrambi se non lo lasciate in pace. Non so se mi spiego." disse.

 Marius e Carl si guardarono nuovamente, confusi. Erano più piccoli di lui, e decisamente meno forti. In fondo, non erano altro che due stupidi bulletti che se la prendevano coi coetanei più fragili.

 "Meglio andare... " suggerì Marius, le mani nelle tasche, e si allontanò, seguito da Carl che scoccò un'occhiata minacciosa a Jensen prima di voltarsi definitivamente. Imprecarono appena, uscendo da lì.

 Jensen alzò il capo, e mise lentamente a fuoco il ragazzo che l'aveva salvato. Aveva i capelli spettinati e tendenti al biondo, indossava una felpa blu e dei jeans, e lo stava fissando amichevolmente dall'alto.

 "Si vendicheranno, fai attenzione," lo avvertì, triste.

 Il ragazzo ridacchiò un po'. "No. Non potranno farlo. Sto per partire fra qualche ora; e comunque credo di aver spaventato abbastanza quelle due pecorelle." rispose allegramente, con un accento bellissimo che Jensen faticò a distinguere. "Vanno a scuola con te?"

 "Nella stessa classe,"

 "Oh, cazzo." L'altro ridusse gli occhi a due fessure. "Fossi in te... una lavagna in testa non gliela toglierebbe nessuno." ghignò, e gli tese la mano. "Sono Misha,"

 "Jensen," rispose il ragazzino, titubante.

 "Alzati, dai. Hai male da qualche parte?" chiese Misha, un po' più serio.

 "N-no, a parte... il palmo," balbettò Jensen, scuotendo la testa e mordendosi le labbra. Afferrò saldamente la sua mano, e riuscì a rimettersi in piedi a fatica.

 "Fa' vedere," disse il ragazzo, pratico, prendendo dolcemente il polso di Jensen fra le dita. "Uhm, solo un graffio superficiale. Ti darò il mio flacone di disinfettante - non credo di poterlo portare in aereo."

 "G-grazie... " balbettò Jensen, i timidi occhi color verde smeraldo che studiavano le pieghe del cemento ai loro piedi.

 "Di nulla," disse Misha con naturalezza, la mani nelle tasche. Jensen lo scrutò in quegli allegri e buffi occhi blu. In diciassette anni non ne aveva mai visti di più belli - ne era certo.

 "Perché ce l'avevano con te? Se posso immischiarmi, ovviamente... " chiese il ragazzo, sorridendo e ripiegando la testa da un lato.

 Jensen deglutì, il capo basso. "Emh... sì... sì che puoi... tanto... uno più, uno in meno... "

 "Beh, io sto per partire, come ti ho detto poco fa - a chi potrei dirlo?"

 Jensen sorrise, torcendosi le mani.

 "Ti hanno detto una parola, giusto?"

 "Sì... mi hanno... " esitò, "mi hanno chiamato... frocio," gli confidò Jensen tutto d'un fiato, e piegò appena le ginocchia, più per evitare il suo sguardo che per raccogliere la cartella da terra.

 "Uhm, ed è vero?" lo sentì chiedergli.

 Jensen alzò di scatto il viso, come se avesse preso la scossa. "Dov'è che vai di preciso?"

 Misha rise. "In Russia. Ai russi non importa se sei gay, a meno che non vivi lì. E in ogni caso, io non lo dico a nessuno. Sei gay?"

 "No! Le ragazze mi piacciono!" rispose Jensen.

 L'altro alzò le sopracciglia. "... e... anche i ragazzi?" chiese, ammiccando.

 Jensen si girò e roteò gli occhi. "Non ne sono certo." si incamminò verso l'uscita del vicolo. Si pentì immediatamente di averglielo detto. In fondo non era nulla di sicuro. Avrebbe voluto cancellare gli ultimi cinque minuti, e non pranzare - tanto non aveva fame per niente. Non sapeva nemmeno più che cazzo fosse, la fame. E poi quel ragazzo gli piaceva molto, e nessun ragazzo doveva piacergli, né poco né molto.

 "Hey, aspetta," lo sentì dire da dietro.

 Jensen si fermò suo malgrado, un piede in bilico sul cordolo del marciapiede. Si voltò pian piano. "Che c'è?"

 "Non ne sei sicuro? Vuoi dire che... non hai mai provato, dico bene?" chiese Misha, senza togliersi quel sorriso dalla faccia. Si sistemò un ciuffo ribelle sulla fronte.

 "Veramente no... " rispose Jensen, nervoso ed immobilizzato.

 "Uhm," Il ragazzo gli si avvicinò, arrivando a due passi di distanza da lui.

 Jensen si sentì la colonna vertebrale fremere. Voleva scappare, ma non lo fece.

 "Dovresti... baciare qualcuno, non credi?" disse l'altro con voce calda, magnetizzandolo con quegli occhi.

 "Uhm, già. Il problema è... chi?" chiese Jensen, quasi aspettandosi la risposta.

 L'altro si strinse nelle spalle. "Potresti baciare me, per esempio," disse ironicamente, e Jensen arrossì di colpo guardando le sue labbra increspate e rosee. Misha scoppiò a ridere. "Scherzo. Prova con qualche tuo amico gay, e poi vedi."

 "Non ho amici gay," rispose Jensen, secco.

 "Oh! Sei davvero così sfortunato? O semplicemente hai una gran voglia di provare con me?"

 Jensen sbuffò. "Divertente. Devo andare ora." disse, irritato, e fece per fuggire, ma l'altro gli sfiorò appena il braccio.

 "No, aspetta! Non prendertela, voglio solo aiutarti... " rispose, stringendosi spontaneamente nelle spalle. Jensen guardò il suo sorriso dolce e genuino. Era bello, esageratamente bello.

 "Non... non mi interessa,"

 "Scusa, a volte esagero davvero col sarcasmo. Non me lo merito un bacio? In fondo ti ho salvato," chiese Misha.

 Jensen lo squadrò - pareva in buona fede.

 "Chi mi dice che non è uno scherzo?"

 Misha ghignò, stringendosi nelle spalle e calciando un sassolino. "Sei troppo abituato alla gente cattiva per credere a quella buona, eh?"

 Jensen corrugò la fronte, e valutò le sue parole. In effetti era vero. Aveva smesso di credere alle persone - perfino alla sua stessa famiglia. Aveva perso la fiducia in sé stesso e negli altri dopo il coming out.

 Ci fu una lunga pausa di silenzio disturbato solo dalle auto fuori dal vicolo.

 "N-non posso," disse Jensen, incerto.

 "Oddio, e perché mai?" chiese l'altro.

 Jensen assunse un'espressione corrucciata. Aveva detto a suoi genitori che non avrebbe mai messo in atto quel che gli passava per la testa quando vedeva dei bei ragazzi. Eppure dovette riconoscere che la sua voglia di sperimentare era quasi più grande di quella di mantenere le sue promesse.

 "Uhm, forse non è... male come proposta... " mormorò Jensen, arrossendo e pentendosene quando vide il sorriso soddisfatto di Misha.

 "Ottimo. Su, vieni vicino. Non c'è nessuno qui."

 Jensen esitò, e poi obbedì meccanicamente, e si ritrovò a due passi da lui. Dio santo, quel tipo era maledettamente attraente. Il calore del suo corpo fuoriusciva quasi dalla felpa e si fondeva col respiro affannato di Jensen. Il ragazzo gli sorrise, e gli sfiorò sensualmente un fianco, facendolo irrigidire. "Hey, stai tranquillo," sussurrò.

 "S-sì..." disse Jensen, e avvicinò il viso a quello del ragazzo, gli occhi sulle sue labbra. Gli poggiò una mano sul petto muscoloso, impacciato.

 "Sei nervoso, eh?" mormorò il ragazzo, le labbra vicine alle sue.

 "Sono... curioso... " disse Jensen, dopo aver inspirato lungamente.

 L'altro sorrise. "Chi è curioso va all'inferno, lo sai?" scherzò.

 "Eh?"

 Il ragazzo rise un po' contro il petto di Jensen. "È solo una citazione. Non hai mai visto 'Nightmare before Christmas'? Vergognati!" disse.

 "In realtà no... " rispose Jensen, imbarazzato. Sentì il profumo di quel ragazzo stuzzicargli dolcemente le narici. Cannella.

 L'altro abbassò appena il viso. "Comunque sia devo concedermi un ultimo bacio in strada ad un ragazzo... prima di rimpatriare. E... anche io sono curioso... di sapere cosa si prova a baciare le tue labbra. Sono... così... vellutate," disse con voce roca.

 Jensen arrossì violentemente. "Emh... grazie ma io... "

 "Sshh," disse il ragazzo, e schiuse le labbra, avvicinandole sempre di più a quelle di Jensen. Jensen chiuse gli occhi, e sentì la bella bocca dell'altro sfiorargli piacevolmente il punto fra la mascella e le labbra, per poi salire su. Si sentì strano, male e bene allo stesso tempo, eccitato. E gli bastò.

 "Misha! Dove sei finito?!" strillò una voce, facendoli sobbalzare prima che potessero baciarsi davvero. Il ragazzo mollò di scatto il fianco di Jensen, guardandosi attorno. "Oh, merda... "

 Una signora elegante sbucò dal vicolo, agitando il foulard. "Misha, andiamo! Sbrigati, o perderemo l'aer-" esclamò, poi mise a fuoco i due ragazzi, e si portò una mano fra i capelli. "Oh, Signore aiutami tu... " disse, gli occhi teatralmente rivolti al cielo.

 Jensen guardò il ragazzo. "Che succede?"

 L'altro gli toccò la spalla. "Che devo andare... mi dispiace. Da svidanya." rispose, agitato, con un sorrisetto. Si separò da Jensen e corse nella direzione della madre, che già si stava allontanando facendo ticchettare gli stivaletti.

 "Ti rivedrò mai?" urlò Jensen.

 "Perché no? Il mondo è piccolo!" esclamò Misha, correndo fuori dal vicolo. Si voltò per un secondo a fargli l'occhiolino.

 Jensen lo fissò da dietro, mordendosi le labbra, finché non lo vide sparire dietro l'angolo.

 Gli batteva ancora forte il cuore. Quasi immediatamente, ripercorrendo tutto l'accaduto, avvertì un senso di colpa divorargli lo stomaco. E da lì in poi, pian piano precipitò.

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 Giugno 1955


 Un urlo acuto mi svegliò all'improvviso nel cuore della notte, accompagnato da un movimento brusco del materasso.

 "Aiuto! Jensen, ti prego aiutami, per favore... non riesco a... " biascicò la versione strozzata della voce di Misha. Lo sentii tossire, come se non potesse più respirare.

 Dio, no. Sapevo che sarebbe successo prima o poi. Nel giro di due secondi, fui assolutamente certo di ciò che lo avrebbe ucciso per dieci indescrivibili minuti. E dovevo aiutarlo subito.

 Scattai a sedere, gli occhi sbarrati. Misha era piegato in avanti, raggomitolato, e si stava coprendo il viso con le mani. Gemeva e singhiozzava, respirando irregolarmente - era terrorizzato.

 "Oddio! Misha, amore mio... che ti succede?! Mish... " mormorai, la voce tesa e ansimante, mettendogli una mano sulla spalla sudata. La maglia del pigiama era del tutto appiccicata alla sua pelle, e Misha tremava in modo spaventoso.

 Mi tornarono in mente come uno tsunami i ricordi del mio primo attacco di panico. Non dovevo sprofondare. Non potevo.

 "No... no... no... " disse Misha, disperato, la voce rotta. "L'ho rivisto d-di nuovo... non mi lascerà mai in pace... lo so... " balbettò a fatica.

 Sentirlo parlare in quel modo mi strinse il cuore. Avevo paura che ogni mia parola aumentasse la sua paura. Gli sfiorai la coscia in modo rassicurante.

 "Amore mio, calmati, per favore... ci sono io qui con te e... sei a casa, al sicuro. Qualunque cosa tu veda ora... non esiste, okay? N-non c'è più... vuoi che accenda la luce?"

 "No! Non lo fare, ti prego... lascia stare... mi passerà fra qualche minuto... come ogni volta... " gli si ruppe del tutto la voce e scoppiò in singhiozzi convulsi, senza riuscire a trattenersi. Percepii il dolore nella sua voce, la disperazione, le urla strazianti, gli spari continui della guerra, le trincee insanguinate, il fumo. Pregai inconsciamente che gli passasse tutto, il battito che mi cresceva a dismisura nel petto.

 "Non lascio stare un bel niente... " dissi. Strisciai accanto a Misha, e provai a stringerlo appena, e a togliergli delicatamente le mani dal viso, ma lui si irrigidì, e continuò a tremare e piangere come non si era mai azzardato a fare di fronte al sottoscritto. Vederlo in quelle condizioni mi uccideva. Aveva il fiato mozzo e il battito cardiaco accelerato - nulla a che vedere con la calma della sera prima.

 Restai immobile a guardarlo per qualche secondo, indeciso, e poi lo baciai appena sulla tempia, tremando a mia volta.

 "Mish... dimmi se vuoi... cosa ti fa stare così male? Ti ho sentito piangere un altro paio di volte. Dovresti parlarne... " mormorai dolcemente.

 Misha in un primo momento non rispose. Gemette, e si asciugò una lacrima, la testa abbastanza abbassata da non farmi vedere il suo viso appiccicoso.

 "N-non ci riesco, Jens... è... è... tutto confuso... e rivivo un migliaio di cose assieme... non so mai gestirle... " disse, il viso basso e trasfigurato dal pianto. Due lacrime enormi mi caddero sul braccio. Era orribile vedere la persona più divertente e buffa che avessi mai conosciuto disperarsi in quel modo irreparabile. Misha pareva distrutto, annientato da ricordi dilaniatori, come se avesse passato un periodo della sua vita all'inferno. Ed io soffrivo con lui, perché lo amavo come non avevo mai amato nessuno, ma, come d'abitudine, ricacciai indietro le lacrime per dargli forza.

 "Amore... accendiamo la luce... così ti accorgerai che siamo qua... nella tua stanza, e non vedrai più quel che vedi. Era solo un incubo, credimi... "

 "Non trattarmi come se avessi cinque anni!" sbottò Misha con voce isterica, prendendomi alla sprovvista. Sapevo quanto si sentisse umiliato in quel momento. Ero probabilmente l'unica persona davanti alla quale voleva comportarsi in quel modo. "Lo so perfettamente che quella sparatoria era solo un incubo... sono impazzito e basta... mi succede sempre... stavolta sto per morire Jensen... " aggiunse, faticando a respirare.

 Mi si seccò la bocca per un momento, ma poi capii cosa intendesse. "M-misha... no... tu non stai per... è solo l'attacco di panico che te lo fa credere... nulla di più. Li ho avuti anche io da piccolo... so cosa si prova... " sussurrai.

 "No! Non sai un cavolo, Jensen! Non sei stato in guerra... " mormorò Misha.

 Lo guardai, mortificato, tacendo momentaneamente. "Oh, tesoro, lo so... volevo solo... che ti sentissi capito,"

 Misha si girò, fissandomi tristemente, ma con un velo di affetto misto a pentimento negli occhi.

 Chiusi i miei, rassicurato, e lo strinsi, cullandolo fra gemiti e sospiri finché non svanirono i terrificanti effetti del suo disturbo, le mie labbra sui suoi capelli scuri e arruffati.

 Calò il silenzio per un minuto, prima che Misha mormorasse: "Okay. Accendi la luce, Jens... "

 "Sì," gli diedi un bacetto sul collo.

 Riaprii gli occhi, sospirando, e poi mi separai da Misha per allungare il braccio verso la sua abat-jour ed accenderla.

 Scivolai di nuovo accanto a Misha, le lenzuola aggrovigliate attorno alle nostre gambe, e lo presi per mano, accarezzandogli il palmo col pollice. Notai una ferita da arma da fuoco in prossimità del braccio.

 Lui si girò verso di me, ed io gli scostai i capelli dalla fronte. Rabbrividii nel vedere quel bel viso trasfigurato dalla disperazione e rigato di lacrime, e quegli occhi arrossati. Misha deglutì, e si passò le mani sugli occhi, come a voler cancellare il dolore che sgorgava da essi.

 "Scusami... " sussurrò con un fil di voce spezzata.

 "Per cosa?" chiesi.

 Misha non rispose. Si limitò a lanciarmi un'occhiata con quello sguardo da cucciolo bastonato, e a togliersi la maglietta sudata, rimanendo a torso nudo. Scosse il capo. "Mi dispiace tanto Jensen... non volevo comportarmi in quel modo... non con te specialmente... è solo che-"

 "No no no." lo interruppi, "Va bene così... va tutto bene." gli circondai le spalle col braccio, i miei occhi nei suoi, blu come un mare in tempesta. "Tranquillo... " lo rassicurai, baciandolo teneramente sulle labbra bagnate. Misha rispose al mio bacio con dolcezza, come non aveva mai fatto fino a quel momento. Mi catturò un labbro fra i suoi, stuzzicandolo coi denti, mentre le lacrime sgorgavano ancora copiose. Amavo quando lo faceva. Poi si staccò, ed appoggiò la fronte alla mia, i nostri respiri si mischiarono.

 "Amore... ho... così tanta paura... " ammise.

 "Della guerra?"

 "Non solamente." fece una pausa, come per riprendere fiato. "Non ho solo visto un migliaio di proiettili attraversarmi il corpo, dallo stomaco in su," spiegò.

 "Allora cosa... cosa hai visto?" sussurrai, incerto, gli occhi socchiusi. Gli accarezzai l'addome, come per guarire ferite immaginarie.

 "Qualcuno che... ti picchiava... ma non come immagini tu... in un modo violento da far paura. Ti stava uccidendo, Jens... ed ho paura che sia... un avvertimento." disse.

 "Come fai a sapere che lo è?" chiesi, baciandogli delicatamente il collo candido.

 "Alla fine dell'incubo... c'era l'occhio rosso che appare nel muro... e sanguinava a fiotti... lacrimava sangue... non smetteva... una cosa orrenda,"

 Mi sentii rabbrividire al solo pensiero, e smisi di baciarlo per un secondo, guardandolo negli occhi blu.

 "Jens... hai mai avuto... il terrore di perdere qualcuno che ami?" mi chiese lui, quasi in modo impacciato. Sembrava che si vergognasse di parlare dei suoi sentimenti, e mi faceva tenerezza.

 Rimasi interdetto. "Prima di te, raramente."

 "Ho avuto tanti attacchi di panico nei mesi prima che venissi tu qui, e non sono più in guerra da anni. Credevo di averli sconfitti stando in tua compagnia... credevo mi avessi guarito... non so come." mi sorrise appena, come un barlume di speranza fra i pianti, "Ma ora ne ho avuto uno... un altro mostro che mi ha stretto la gola. E credo di sapere il perché... " disse, ingoiando a vuoto.

 "Perché?" chiesi, come se fosse stato necessario, le mie dita gli accarezzavano il volto.

 "Ho paura... di commettere lo stesso errore che ho commesso tanto tempo fa... e a causa del quale ora porto tutti i segni addosso... " mormorò, le dita sulle ferite profonde sul petto e sulle costole.

 Mi pietrificai. Non capivo assolutamente cosa intendesse. Aveva forse fatto una cazzata in passato per la quale era finito in guerra?

 "Misha... spiegati meglio... " dissi, una mano sul suo avambraccio rigido e umido.

 "Ci sono migliaia di cose che devi sapere, Jens... " rispose lui lentamente.

 Serrai le labbra, serio. "Dimmi, Mish... "

 Lui sospirò. "Bene... la Matrioska... era un regalo, sì... ma in realtà... era solo un modo per farmi finire qui, e basta. Una vendetta."

 "Oddio, ma cosa hai fatto per meritarlo?" dissi, sgranando gli occhi.

 Misha aprì i suoi, e mi tolse le mani dal viso, incrociando le dita con le mie. "Ho amato... "

 Rimasi impassibile.

 "Ho amato qualcuno... tanto intensamente da farlo uccidere, quando vivevo in Russia nell'anno 2002. Lui mi aveva regalato una piccola Matrioska rossa, sapendo che io ne facevo collezione. Io e lui stavamo insieme, quando io ero solo un ragazzo. Lui non voleva che si sapesse in giro, e presto ho capito il perché. Appena suo padre lo ha scoperto... " la voce gli si ruppe appena, ma fece uno sforzo immane per continuare. "Mi era sempre sembrato un brav'uomo, onesto e laborioso. Eppure lo ha distrutto, quel ragazzo. L'ha ucciso di botte proprio di fronte ai miei occhi - ed io non ci ho potuto far nulla. L'ha pestato a sangue come si fa con gli animali da macello - suo figlio! - e lui è finito in terapia intensiva... e tutto questo per cosa?!" concluse rabbiosamente, serrando i pugni.

 Non mi accorsi di essermi commosso finché non sentii il calore delle mie stesse lacrime sul mento.

 "Oh, buon Dio... " mormorai, la voce tesa. Non credevo alle mie orecchie.

 "Poi mi ha guardato... voleva picchiare anche me perché secondo lui avevo rovinato suo figlio... ma poi non mi ha fatto nulla quel giorno... mi ha solo sbattuto fuori di casa urlandomi che non sarebbe finita lì. Io tenni d'occhio Ivan per giorni all'ospedale, quando mi lasciavano entrare... gli leggevo le storie che scrivevo e che lui adorava, nonostante non fossi sicuro che le sentisse... gli tenevo la mano, e gli dicevo che non importava se i suoi non accettavano che fosse omosessuale, che avrebbe sempre avuto me, che avrei trovato un modo per farlo sorridere di nuovo... per farlo vivere di nuovo... " disse Misha, gli occhi bassi e vergognosi, come se stesse raccontando di un omicidio fatto con le sue stesse mani, "E poi... poi è morto... "

 Mi si rimescolò il sangue e sgranai gli occhi. Dio santo. Non avevo idea di come reagire a quell'orribile racconto. Respirai pesantemente, e Misha taceva.

 "M-mi dispiace, davvero. Non è stata affatto colpa tua... non devi pensarlo neanche lontanamente... " mormorai, la voce spezzata.

 "Sì invece... è stata una mia idea andare a casa sua... lì suo padre è arrivato in anticipo... e ci ha visto baciarci... e l'ha ucciso. Capisci, adesso, perché ho paura? Sono terrorizzato dall'omofobia di questo posto... non voglio che ti accada nulla di simile perché... perché mi sono innamorato di nuovo, ancora più intensamente di prima... "

 Cadde il silenzio. Mi sentii il cuore battere all'impazzata, in un misto fra euforia, rabbia e tensione.

 "Mi ami... ?" domandai, gli occhi lucidi nel buio.

 Misha annuì. "Sì, ti amo."

 "Ti amo anche io... Mish... non sai quanto... " sussurrai, tremando un po', "E ti assicuro che andrà tutto bene... s-so che ieri ero io quello ad avere paura - temo che sia colpa mia se ti è venuto l'attacco di panico - ma insieme... possiamo sconfiggere tutto questo. Dobbiamo solo fare attenzione, come abbiamo sempre fatto... " dissi, e posai le labbra sulle sue per un momento, il pollice che gli sfiorava il collo.

 "Non è colpa tua se ho avuto l'attacco di panico. Non dire stronzate," disse lui, secco, ma la voce gli divenne appena più dolce alla fine della frase. "Comunque non è finita. Un mese dopo la sua morte, il padre di Ivan era impazzito. Si ubriacava, picchiava la moglie e l'altro figlio... e faceva cose orribili per sfogo. Io intanto aspettavo la sua vendetta. Avevo paura, ma non troppa. Un giorno, notai che la Matrioska di Ivan aveva qualcosa di diverso dall'originale. Decisi di aprirla per controllare l'interno... poi l'ho vista illuminarsi... " non terminò - non ce n'era bisogno.

 "E... credi sia stato lui?" domandai.

 Misha annuì.

 Inspirai. Finalmente sapevo tutto. E mi aveva sconvolto nel profondo.

 "Se lo meritava lui di finire in guerra... lo sai,"

 "Lo so. Ma tanto non ho nemmeno avuto il tempo di pensarci che già ero immerso negli orrori dell'operazione Barbarossa, a Giugno. Quando mi hanno arruolato, ed ho iniziato a combattere a Leningrado non ho pensato più. Sentivo solo le fucilate, il fuoco, l'odore del fumo che mi bruciava le narici, i carrarmati... sono diventato un apatico impazzito in mezzo ad un inferno grigiastro."

 Chiusi gli occhi, cercando faticosamente di immaginarlo.

 "Devo mostrarti una cosa che avresti dovuto vedere prima... " disse Misha, e scese dal letto con un piccolo balzo. Atterrò sul tappeto. "Cioè... in teoria l'hai vista... ma non ti ho permesso di leggerla tutta," specificò alzando le sopracciglia, con un sorriso contenuto.

 Io lo osservai dal letto, pensando alla famosa lettera. "Okay. Fa vedere," dissi sommessamente.

 Lui annuì di nuovo, e si piegò a sedere sul pavimento; aprì un cassetto di legno facendolo cigolare, la luce giallastra della lampada gli illuminava il volto ed i capelli a metà. Guardò il contenuto con un dito sulle labbra, sospirando ansiosamente, e tirò fuori un pezzo di carta che mi porse subito.

 "Tieni, e leggi fino in fondo. E perdonami se non te ne ho parlato prima. È talmente folle che temevo te ne fossi andato reputandomi un malato mentale. E... io non volevo che te ne andassi," disse, la fronte corrugata, sorridendo.

 Io lo guardai, il foglio tra le mani, e poi abbassai lo sguardo, esponendo la lettera alla luce soffusa dell'abat-jour e sedendomi ad indiano sul ciglio del letto.

 "Carissimo Misha,
 so bene in che situazione ti trovi adesso e spero che non mi prenderai per matto appena leggerai quel che ho da dirti - in fondo, ne hai viste molte tu, di cose assurde." lanciai un'occhiata a Misha; era impassibile. "Devi sapere che ieri ho fatto un sogno molto particolare nel quale tu incontravi un uomo nel bel mezzo della Piazza Rossa, il primo di Marzo. Hai presente quei sogni in cui sei inspiegabilmente consapevole di certe cose? Bene. Io nel sogno avevo l'assoluta certezza che quell'uomo ti avrebbe salvato. Lui, Jensen Ross Ackles... " strabuzzai gli occhi, " ...ti avrebbe riportato avanti nel tempo." strinsi la carta scricchiolante fra le dita. "Qui c'è... veramente il mio nome... come cazz-"

 "Tu leggi, e basta," rispose Misha, fermo.

 Riabbassai gli occhi e seguitai a leggere meccanicamente, nonostante il groppo alla gola. " ...ora, non ti chiedo di recarti obbligatoriamente in Piazza quel giorno, né di fidarti ciecamente delle mie capacità di veggente, ma non credi di poter considerare questo come un segno divino? Saluti cordiali. Dal tuo affezionato amico... Robert Benedict." terminai, con un lungo sospiro sconvolto e tremolante.

 Mi tornò in mente quel sogno che avevo fatto il primo giorno a Mosca: le stelle, Misha che mi chiedeva di aiutarlo a tornare, e l'emozione forte che avevo provato nei suoi confronti pur conoscendolo da sole ventiquattro ore. Mi portai le mani alla testa, confuso come non mai.

 "Jensen... amore... " mormorò Misha, le ginocchia a terra, sfiorandomi le gambe con le dita. "Mi dispiace di non avertene parlato... sai che-"

Io scossi la testa. "No. Non c'è bisogno che ti scusi... non volevi sconvolgermi. Ti amo, e... non so ancora come, ma ti aiuterò a tornare... se questo è ciò che sono chiamato a fare." dissi, dolcemente, ma deciso, guardandolo negli occhi celesti.

 Misha sorrise, e si protese verso di me. Mi baciò, accarezzando le mie labbra con le sue, schiudendole e poi spostandosi per un'angolazione migliore. Introdusse la lingua nella mia bocca, giocando in un modo meraviglioso e toccandomi il viso con le mani. Io gli strinsi i fianchi, e gemetti, indietreggiando e facendogli spazio affinché potesse arrampicarsi sul materasso.

 Misha mi scompigliò giocosamente i capelli, e mi salì addosso, baciandomi ancora pian piano, come se fosse stato stanco per continuare, ma avesse avuto lo stesso voglia di coccolarmi. Mi fece stendere sotto di lui, mi sfilò lentamente la maglietta e mi passò le labbra sul collo, ancora lacrimando silenziosamente. Io gli sfiorai le spalle ed ansimai. Il mio collo non era mai stato così sensibile prima che le sue labbra lo baciassero.

 Dopo qualche minuto, Misha si sistemò accanto a me, i nostri corpi intrecciati. Prese il lenzuolo ed il piumone, e coprì entrambi, lasciando che solo le teste facessero capolino. Mi appoggiò la guancia al petto, ed io gli circondai la schiena con un braccio e lo baciai sui capelli, restando immobile. Mi sentivo così al sicuro in quella posizione, come se nulla e nessuno avrebbe mai potuto dividerci. Misha aveva ancora il viso bagnato - lo sentivo inumidirmi proprio sul cuore palpitante.

 "Non ti lascerò mai, lo prometto su... tutto quello che vuoi." sussurrai, la voce non proprio ferma; una paura insopportabile di perderlo mi opprimeva l'anima.

 "Nemmeno io... resterò per sempre," disse Misha.

 Mi lasciai scappare una risatina. "Promesso?"

 "Cielo, sembriamo quasi due sedicenni. Promesso, Jens... " rispose, e rilassò i muscoli contro i miei.

 "È tutto chiuso qui a casa, vero?" bisbigliai.

 "Certamente,"

 Sospirai di sollievo a quella risposta, anche se ogni sera controllavamo se ci fosse anche uno spiraglio di finestra aperto, prima di andare a letto. Io e Misha dormimmo così, avvinghiati, riscaldandoci l'uno col corpo dell'altro, e amandoci più di quanto ci credessimo capaci di fare. Lo stringevo forte al petto, e sentivo le sue cicatrici ruvide graffiarmi appena lo stomaco, ma non mi importava.

 Io lo amavo così, con le sue ferite, interne ed esterne, con ogni suo piccolo o grande difetto, con ogni suo male che tentava di distruggerlo.

 Rimasi lì, accarezzandolo come non avevo mai fatto con nessuno, piangendo lacrime amare e dolci allo stesso tempo e proteggendo il mio angelo dalle ali spezzate, finché non si addormentò serenamente fra le mie braccia.

 

~You deserve to be saved

 

 Note dell'autrice: ... Si, lo so che i flashback rallentano un po' la narrazione, ma servono a capire tante belle cose su questi due cuccioli innamorati <3 e vi assicuro che ce ne sarà solo uno ogni sette capitoli (amo il sette ed i suoi multipli, non so proprio perché u.u ).
 

 

   
 
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