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Autore: Manu75    25/03/2016    2 recensioni
"…e tu, femmina dai capelli chiari e dagli occhi freddi e algidi, nel tuo orgoglio soccomberai…prigioniera in una cella di ghiaccio, né calore, né gioia, né amore…tutti voi sarete condannati…io vi maledico! Black, da questa sera, vorrà dire disgrazia e sofferenza e prigionia…e morte! Così è stato detto, che così accada!"
Quando il dovere e l'orgoglio ti spingono contro il tuo cuore, quando una maledizione incombe con tutto il suo potere, quando i sentimenti infuriano nel petto senza poterli placare, il destino sembra solo una gelida trappola. Narcissa Black lo sa bene.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evan Rosier, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Severus Piton, Sorelle Black | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Severus/Narcissa, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Più contesti
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Grazie a tutte le persone che leggono questa storia e grazie, come sempre, a miss Gold_394 e LostHope 92 per aver recensito <3 Questo capitolo è lunghissimo...ma mi sono rifiutata di dividerlo ulteriormente, spero sia sufficientemente scorrevole. Vi auguro buona lettura e buonissima Pasqua! A presto!


“Un gelido destino”


Quarantatreesimo capitolo

 

(Regalo di compleanno - ultima parte)




 

Aveva fatto quello che le aveva detto il suo papà: era scappata.
Ma, una volta uscita dalla casa, non era riuscita ad andare oltre e si era nascosta tra i bidoni sul retro, troppo impaurita per muoversi ancora e troppo stanca per correre, essendo stata strappata bruscamente al sonno.
Le gambe non la reggevano e aveva solo voglia di piangere.
Da settimane veniva istruita su dove andare in caso di bisogno e necessità, avevano fatto prove su prove, come se fosse un gioco. I suoi genitori le avevano detto che sarebbero stati sempre con lei e di non temere ma, se proprio non avessero potuto aiutarla, doveva correre e arrivare alla rimessa ai margini del bosco.
Non era lontana, non era nemmeno una vera rimessa a dire il vero, era piccola, quasi uno sgabuzzino in miniatura e solo un bambino vi si poteva infilare del tutto.
Lo zio Al aveva fatto un incantesimo protettivo speciale in quella sorta di ripostiglio esterno: se qualcuno ci fosse entrato sarebbe scattato un allarme nel suo ufficio, o dovunque egli si trovasse, e lui sarebbe potuto intervenire per aiutarli.
Era Magia Bianca di alto livello, chiamata Bad Tarrthàla*, una magia così particolare e variegata che non poteva essere contenuta in un ambiente troppo grande ma solo in un luogo piccolo ed isolato, perché quel tipo di stregoneria cozzava con tutti gli altri incantesimi di difesa. Il Ministero della Magia non amava che venisse usata perché poteva creare una gran confusione, era davvero sensibile e rischiava di mandare in tilt gli uffici degli Auror o qualsiasi altro luogo a cui era connessa.
Il potente Alastor Moody, ridendo fragorosamente, aveva ammesso che quella Magia Bianca assomigliava di più ad una magia grigia e per questo molti la vedevano come il fumo negli occhi. Lui se n’era infischiato, come aveva puntualizzato continuando a ridere di gusto, e aveva fatto in modo che lei, solo lei, potesse chiamarlo in soccorso e, al tempo stesso, salvarsi ed essere al sicuro dai pericoli, lei, la sua “zucchetta rosa”, come amava chiamarla.
Era piccola ma coraggiosa come un Ippogrifo, lo zio Al glielo ripeteva sempre, e si fidava ciecamente di lei.
La Bad Tarrthàla di Ottery St. Catchpole era stata scelta perché era facilmente raggiungibile da casa Tonks ma sufficientemente defilata affinché l’allarme non scattasse per caso.
Una volta dentro non c’era magia nera che potesse colpire chi vi si trovava all’interno, una volta la dentro sarebbe stata al sicuro.
Ma lei era rimasta li, nascosta dietro casa e piena di paura, perdendo minuti preziosi perché, senza la mamma e il papà, non aveva il coraggio di muoversi.
All’improvviso, però, l’aveva sentita: quella donna spaventosa la stava cercando, la chiamava.
Aveva gli occhi scuri e cattivi, sembrava proprio una strega delle favole babbane, quelle storie affascinanti e spaventose che lo zio Michael le raccontava sempre facendo infuriare la zia Hellen**, quelle streghe che offrivano mele avvelenate alla principesse.
Lei sapeva che non doveva fidarsi, sapeva che le streghe cattive fanno sempre del male alle principesse, e così aveva preso coraggio e non aveva aspettato che la strega le facesse un incantesimo. Era sgattaiolata via, senza essere vista, le sue gambe sapevano dove portarla e lei aveva corso, corso a perdifiato.
Perché quella donna cattiva le aveva fatto molta più paura che correre lontano da casa.
Sapeva che la sua mamma l’avrebbe protetta, anche il suo papà ma, sopra ogni cosa, sapeva che lo zio Al era il mago più forte del Mondo e lei voleva che arrivasse e spazzasse via quei maghi cattivi e spaventosi.
E quindi era corsa verso la rimessa incantata senza più voltarsi indietro.



 

Bellatrix non riusciva a decidere se voltarsi oppure no.
Una parte di lei voleva schiantare sua sorella e andarsene, l’altra voleva guardarla negli occhi, godersi la sua espressione e farle comprendere  chi conduceva il gioco.
- Se stai macchinando un piano sappi che è fatica sprecata, so essere svelta anch’io!- le disse Andromeda, punzecchiandole ancora il collo con la punta della bacchetta - e non vedo l’ora di consegnarti agli Auror…-
Bella sentiva dei sentimenti strani agitarsi dentro di sé: ricordava l’ultimo incontro che aveva avuto con Andromeda, quando l’aveva lasciata a terra nel vicolo, insultandola e scacciandola per sempre dalla loro casa.
Ricordava anche un tempo lontanissimo in cui le braccia di sua sorella erano state l’unico conforto ai suoi dispiaceri di bambina.
La sua dolce voce le aveva cantato canzoni per farla calmare o addormentare, per consolarla.
Quelle stesse braccia avevano stretto a sé un lurido babbano e la stessa voce gli aveva sussurrato parole d’amore, quelle braccia ora cullavano una figlia mezzosangue e quella voce le cantava delle canzoni per accompagnarla nel sonno.
Fece una smorfia di disprezzo e, alla fine, decise di godersi lo spettacolo in prima fila e lentamente, ma inesorabilmente, si voltò, finché i suoi occhi scuri non si ritrovarono a fissare quelli altrettanto scuri di Andromeda.
I boati che scoppiavano senza posa rendevano l’atmosfera irreale e il riverbero delle fiamme, che si innalzavano da più punti del paese, faceva splendere le due sorelle di una luce cangiante rossa, arancione e, a tratti, gialla.
Andromeda era senza parole e fissava esterrefatta il volto di Bellatrix, scuotendo leggermente la testa man mano che prendeva coscienza di quello che le si presentava davanti.
- Bella...tu…- sussurrò incredula, incapace di aggiungere altro - fino a questo punto!- riuscì a dirle poi, troppo sconvolta per mantenere la freddezza come avrebbe voluto.
- Questo dovrei dirtelo io…- le rispose Bella, sarcastica - sei impazzita fino al punto da vivere in uno squallido paese, in una orribile casupola con un uomo debole e quella insulsa bambina…-
L’accenno a sua figlia riscosse Andromeda, che si allontanò di un passo tenendo sotto tiro sua sorella, con gli occhi pieni di doloroso sgomento.
- Quella bambina è tua nipote…- le disse, carica di sofferenza - e io non ho tempo da perdere con te ma, puoi starne certa, non ho intenzione di lasciarti andare!-
- Come sei debole!- la schernì Bella - se tu avessi fatto al mio uomo quello che ha subìto tuo marito, se quella bambina fosse figlia mia, tu saresti già morta! Ti avrei colpito alle spalle senza pensarci un attimo! Ma, invece, tu sei fragile quanto questi luridi esseri con cui ti sei accoppiata!-
Andromeda mosse la bacchetta e Bella si ritrovò imprigionata con l’Incantesimo delle Pastoie, rischiando di rovinare a terra.
- E’ vero, sono debole!- ammise Andromeda, con la bocca contratta dalla sofferenza e gli occhi pieni di lacrime - riesco ad odiarti in questo momento, ma non riesco ad ucciderti...tuttavia, credimi, ti aspetta una sorte infinitamente peggiore della morte ad Azkaban!-
- Non lo farai, non mi consegnerai nella mani dei Dissennatori!- la derise l’altra.
- Forse non mi conosci abbastanza…- le disse Andromeda - ho perso anche troppo tempo con te, adesso basta!- e fece per afferrare Bellatrix ma non ci riuscì perché, all’improvviso, i suoi occhi si girarono e lei svenne, evitando di rovinare a terra solo perché due braccia la sostennero da dietro.
Bellatrix si ritrovò improvvisamente libera e riuscì a rimettersi diritta.
- Voi sorelle Black siete una reale scocciatura…mi date un sacco da fare- mormorò Lucius, sollevando Andromeda tra le braccia e osservando l’altra donna con sguardo freddo.
- Nessuno ti ha chiesto nulla e tu non dovresti metterti sempre in mezzo, Malfoy!- gli ringhiò contro Bella.
- Lo prenderò come un grazie - le disse l’uomo, sorridendo caustico- non siete brave nemmeno a ringraziare, è assodato!-
- Cosa pensi di fare con lei?- gli chiese la donna, stringendo gli occhi.
- Ti preoccupi?- le domandò, per tutta risposta, Lucius - o vuoi essere tu a darle il colpo di grazia?-
Un lampo passò negli occhi della donna che sollevò il mento con aria combattiva.
- Prima o poi, a ficcare il naso negli affari che non ti riguardano, ci lascerai la pelle…- gli sibilò lei, storcendo la bocca con odio.
Sapere che la firma sul contratto prematrimoniale che la legava ai Lestrange era sua la rendeva folle di rabbia, avrebbe voluto affondare le unghie nel suo petto e ridurre in poltiglia il suo cuore.
Lo aveva sempre detestato e disprezzato: troppo damerino, troppo biondo, troppo profumato e bardato in sete e tessuti preziosi e tuttavia, negli ultimi tempi, si era scoperta a desiderarlo. Lo aveva paragonato a Evan e l’aveva trovato più virile, più maschio nella sua padronanza di sé e, persino, nei suoi sentimenti verso Narcissa: così caldi eppure così controllati.
Aveva invidiato sua sorella e aveva desiderato possedere quell’uomo ma lui l’aveva respinta con disprezzo e quindi il suo odio si era moltiplicato, per poi esplodere del tutto quando era venuta a conoscenza della suo sigillo applicato sul quel maledetto accordo che la legava a Rodolphus o la condannava alla prigionia.
- Prima o poi la pelle ce la lasceremo tutti, tanto vale divertirsi nel frattempo…- le rispose lui, scuotendola dalle sue elucubrazioni, con il suo tono più strafottente - ora va!- la liquidò con alterigia - ho visto Evan in preda a qualche malessere, non ho idea di dove si sia ficcato e tra poco scatterà il rendez- vous-
- Non pensare di darmi degli ordini!- si inalberò lei - e di Rosier me ne frego!-
Gli occhi di Lucius si fecero pericolosi e la fissò con enorme disprezzo, soffermandosi sulla collana che lei portava al collo.
- Certo, te ne freghi finché non hai i tuoi bollenti spiriti da raffreddare...l’ho visto andare a sud, verso la strada principale, va e compiaci il nostro Signore evitando che Evan rovini tutto! Fidati che te ne sarà maggiormente grato di quando gli offri il tuo corpo e, magari, ti ricompenserà!-
Lei si morse le labbra, trattenendo qualche insulto ed esitò ancora un attimo, occhieggiando sua sorella tra le braccia di quell’uomo odioso.
- Vuoi darle un bacio prima di andartene?- la schernì Lucius e lei si ritrasse, guardandolo con un risentimento tale che avrebbe potuto ustionargli la pelle.
- Arriverà il giorno in cui ballerò sul tuo cadavere, giuro che mi prenderò la tua vita o tutto quello che la rende degna di essere vissuta…- gli sputò le parole velenosamente e poi si voltò, sparendo velocemente tra i vicoli del paese.
Lucius fece una smorfia, quella donna era talmente contorta che non se ne distingueva il principio dalla fine, era un tale groviglio che non si stupiva che Evan, contorto anche lui come un ramo d’ulivo, ne fosse così attirato.
Sospirò, lui invece voleva una ragazza chiara e cristallina, la desiderava disperatamente perché era così pura che aveva la sensazione di rendere la propria anima meno nera ogni volta che la sfiorava e, al tempo stesso, la respingeva con vigore per paura di contaminarla e rovinarla.
Osservò il volto di Andromeda posato sul suo petto, gli occhi chiusi e i capelli ramati spettinati e sparpagliati sul viso, le spalle e sulle sue braccia.
Sembrava incredibilmente simile a Narcissa, la notte di Weirwater, quando aveva perduto i sensi tra le sue braccia.
“Non è il caso, piantala!” si rimproverò l’uomo e ,all’improvviso, si ricordò quello che doveva fare e sentì l’urgenza nascere in lui.
Mancava solo un quarto d’ora, doveva muoversi.
Si smaterializzò e poi si materializzò nella casa della donna, seguitando a tenerla tra le sue braccia, spalancò una porta con un calcio e trovò una camera da letto, adagiò Andromeda sul materasso con delicatezza e poi estrasse dalla tasca l’ultima collana d’ambra che possedeva e la posò sul suo petto.
Un secondo dopo si voltò e, come se avesse avuto gli occhi dietro la testa, bloccò la mano dell’uomo che gli si era avvicinato di soppiatto e stava per colpirlo con un candelabro.
- Cosa le hai fatto?!- urlò l’altro, con una voce stranamente sforzata e gracchiante.
Lucius lo osservò e lo trovò ridotto davvero male: il volto era una maschera di sangue, al posto di metà orecchio c’era un grumo rappreso, il collo aveva degli orribili segni violacei, la maglietta era stracciata di netto e intrisa di sangue che colava da una ferita profonda sul petto.
Il Mangiamorte lo sopraffece facilmente, perché il babbano era senza forze e quindi la lotta fu impari, e lo sbatté senza sforzo sul letto, accanto ad Andromeda.
- Non le ho fatto nulla ma, fossi in te, mi preoccuperei di più per te stesso- gli disse, freddo.
L’altro uomo lo guardò determinato con i suoi occhi chiari ,nonostante fosse stravolto.
“Coraggioso il bastardo!” pensò Lucius e la tentazione di infierire fu grande ma Evan, come aveva buona ragione di presumere, aveva già fatto un ottimo lavoro e non c’era tempo.
- Si riprenderà…- gli disse con la sua voce strascicata e piena di disprezzo- adesso vi conviene star qui buoni buoni, perché se uscite potrebbe essere l’ultima cosa che fate!-
L’altro uomo sembrò spiazzato da quell’avvertimento ma si riprese in fretta - Allora la lascerò qui ma io non posso…- e fece per alzarsi ma Lucius, sbuffando, gli puntò la bacchetta alla gola e gli fece perdere i sensi.
- Che assurda perdita di tempo!- sbottò e uscì dalla stanza, non prima di aver preso qualcosa da un comò ed esserselo messo in tasca.
“Ora pensiamo alla marmocchia!” e si maledisse per l’ennesima volta per essersi fatto strappare quella dannata promessa e per la scelta di quel maledetto paese come obiettivo da colpire, sembrava che l’intera famiglia Black si fosse messa d’accordo per rendergli la vita impossibile.


Evan era totalmente in preda al panico, non capiva più nulla, non sentiva più nulla.
Andava avanti alla cieca e, nel profondo della sua anima, capiva di essere finito.
Non si sentiva più neppure umano, era già accaduto una volta ma non in modo così violento, aveva proprio sbagliato tutto, aveva creduto di poterlo controllare e non si era reso conto di essere andato avanti, troppo avanti.
Aveva perduto la misura e il controllo.
Il controllo del suo corpo, del suo cuore, della sua anima.
Inferocito e sofferente sfondò letteralmente la prima porta che trovò, non riuscendo quasi a distinguere nulla, la sua visuale era ridotta e, per cercare di capire cosa lo circondasse, muoveva la testa a scatti.
All’improvviso capì di non essere solo, un uomo stava immobile in un angolo della stanza e lo osservava con gli occhi sbarrati.
- Cosa...cosa…- Evan non riusciva a parlare, la lingua era pesante e asciutta - cosa...GUARDI!- urlò alla fine, facendo sobbalzare l’uomo, che fece cadere tutto ciò che teneva tra le braccia.
Il Mangiamorte cadde per terra, incapace di reggersi in piedi, e si strappò la maschera dal volto.
L’altro uomo si riscosse e si gettò per terra accanto a lui, controllandogli le pupille e tastandogli il polso per sentire le pulsazioni.
Evan rantolava incapace di dire null’altro, gli occhi si muovevano vorticosamente nelle orbite e il ronzio costante nelle orecchie gli impediva di sentire.
L’altro uomo imprecò sottovoce - Ragazzo! Ragazzo mi senti??!- cercò di riscuoterlo ma inutilmente.
Allora si alzò e corse a frugare in uno dei suoi numerosi cassetti, estrasse diverse fiale e riempì delle siringhe poi si precipitò di nuovo accanto ad Evan che tremava in modo convulso.
Un attimo prima che potesse fare la prima iniezione una donna entrò nella stanza, puntandogli addosso una bacchetta.

- Cosa credi di fare!- urlò e le siringhe volarono via dalle mani dell’uomo che gridò per il disappunto.
- Cosa credi di fare tu, donna!- la riprese lui cercando di raccattare le siringhe - quest’uomo è in pieno delirium tremens!**-
- Delirium tremens?!- ripeté stolidamente Bellatrix, che non aveva idea di cosa parlasse quel babbano.
- Rischia danni cerebrali irreversibili!- le gridò, inferocito e concitato - Dovrei idratarlo ma di certo devo fargli subito delle iniezioni di vitamina B1 e benzodiazepine!- proseguì poi, mormorando a sé stesso.
Bella lo guardò come se le avesse parlato in serpentese.
- Dannazione, molla quella bacchetta e vieni qui a tenerlo se vuoi che il tuo amico si salvi, perché siete compari, no?!- la riprese lui e lei represse l’istinto che aveva di tappargli la bocca per sempre e lanciò un’occhiata ad Evan, rimanendo intimamente sconvolta da quello che vide.
Contro ogni volontà si chinò su di lui e bloccò la testa e il torace del ragazzo, abbracciandolo e  tenendolo fermo, mentre l’altro uomo, che aveva una cinquantina d’anni e un viso dai tratti comuni, si preparava a fare le iniezioni.
- Se gli fai qualcosa di sbagliato sei praticamente già morto....- gli sibilò lei, un attimo prima che l’ago si infilasse nella carne di Evan.
- Sono un medico, io!- ringhiò l’uomo, furioso - sono un dottore, ho fatto un giuramento! Ho il dovere morale, etico e professionale di fare ogni cosa in mio potere per salvargli la vita!- la guardò con gli occhi infuocati.
Passarono dei secondi che parvero secoli e il tremito di Evan si placò e il viso del ragazzo si rilassò, gli occhi parvero riprendere vita.
Il Dottore sospirò di sollievo e si tolse gli occhiali, asciugandosi il sudore dalla fronte.
Bella si alzò e cercò di trascinare con sé Evan, ma il ragazzo non era ancora in possesso delle sue facoltà e non si aiutò in alcun modo, così gli sforzi della donna furono vani.
- Non è così semplice!- sbottò il dottore, gettandole un’occhiata rabbiosa - questa persona ha subìto uno shock prolungato, ha bisogno di essere reidratato a lungo e di continuare con una terapia adeguata!-
- Questa persona ha solo bisogno di venire via con me e tu farai bene ad aiutarmi, dottore!- la voce di Bellatrix era velenosa ma anche spaventata: mancavano si e no cinque minuti al rendez- vous e di questo passo avrebbe dovuto abbandonare l’altro Mangiamorte al suo destino ma, prima, avrebbe dovuto ucciderlo e bruciare il marchio nero sul suo braccio.
- Se non viene curato adeguatamente rischia un’encefalopatia grave...dei danni permanenti al cervello!- si infuriò il medico - sto perdendo tempo con voi quando dovrei essere li fuori a soccorrere le vostre vittime innocenti!- sembrava davvero fuori di sé, si precipitò alla sua scrivania, scribacchiò qualcosa su un blocchetto e poi porse un foglio a Bella.
- Ecco, preparagli questa pozione e somministragliela ogni due ore per almeno dieci giorni...e parla con chi di dovere al San Mungo, per Merlino!-
La donna lo guardò, per una volta, senza parole.
- Ma tu…- iniziò a dire ma lui non l’ascoltò, sollevò il ragazzo con fatica e lo gettò tra le sue braccia, poi si chinò e raccolse le bende e le pomate che gli erano cadute in terra all’arrivo di Evan, prese la sua valigetta e si avviò alla porta.
- Allora io vado!- le disse, gettandole mezza occhiata - non ho più tempo da perdere, ho ben altre persone da salvare! Fa come ti ho detto o per lui ci sarà poco da fare, il suo cervello si spappolerà!- e, così dicendo, uscì sparendo nella notte e infilandosi nella guerriglia.
Bellatrix cercò di non cadere sotto il peso di Evan che sembrava ritornare alla realtà poco alla volta.
- B-Bella…- mormorò debolmente - s-sto male…-
Lei si morse le labbra, tentata di lasciarlo la e andarsene, sarebbe stato semplice, la questione di un attimo.
Lo fissò per un momento: il viso giovane e bello stravolto dalla sofferenza, gli occhi nocciola quasi privi di lucentezza.
- Lo so…- gli rispose, cercando di controllare il fastidio che provava - cerca di reggerti, manca poco, tra poco  il marchio brucerà e tutto sarà finito!-
Si mossero lentamente verso l’uscita, Evan era quasi a peso morto e lei stava facendo una fatica immane per restare diritta e trascinarlo, alla fine si ritrovarono all’aperto e lui sembrò trarre giovamento dall’aria fresca, si resse meglio sulle gambe e insieme avanzarono verso la strada principale del paese.
Bella lanciò un’occhiata al biglietto che reggeva in mano, era una carta intestata e lei vi scorse un nome: Dott. A.P.B. Jones **.






 

Fenrir Greyback era guidato solo da un istinto animalesco, solo dal desiderio di colpire, ferire e uccidere. Come una bestia malata che, alla fine della sua vita, diventa feroce e pericolosa così era lui, ma lo era sempre e costantemente. Quella era la sua malattia, che diventava la condanna di chiunque lo incontrasse.
Non aveva pietà perché non aveva coscienza, non aveva rimorso perché non provava sentimenti ma solo istinti.
Quella notte per lui era semplicemente lo sfogo senza limiti dei suoi bisogno più bestiali, spalleggiato e scelto dal Signore Oscuro che gli aveva promesso tante e tante di quelle notti e lui, maledizione, le voleva. Voleva quelle emozioni, voleva sentire il bisogno della caccia esplodere in lui, voleva azzannare e porre fine al tremito dei suoi denti e al prurito delle sue mani.
All’improvviso la sentì, annusò l’aria in estasi, si, era li vicino, la più inebriante delle prede...e così seguì quel profumo celestiale.
Si immise nella sua scìa e sentì il cuore pompare sangue più velocemente, camminò percorrendo la stessa strada di quei piccoli passi che correvano svelti, poteva sentire il fiato accelerato della sua vittima designata.
Ed ecco, la poteva vedere, poteva vedere il piccolo corpicino coperto dalla camicia da notte, le codina muoversi nell’impeto della corsa. Correva senza voltarsi, andando decisa verso una meta conosciuta.
Il Lupo Mannaro non vedeva l’ora di prenderla tra le proprie grinfie ma, si rese conto, non era il solo.
Da un’altra stradina sbucò uno dei Mangiamorte, sul momento non lo riconobbe ma poi capì che era quel bamboccio di Barty Crouch.
I due si ritrovarono faccia a faccia sulla stessa strada, Greyback ringhiò violentemente - Lei è mia!-
Bartemius lo fissò da dietro la maschera, con una smorfia sadica sulla bocca - Se ci arrivi prima di me!- gli disse, sfoderando la bacchetta.
La bimba, che si era voltata e aveva visto i due, si portò le manine alla bocca, incredula nel vedere un essere mostruoso come quel Lupo Mannaro.
Terrorizzata dimenticò la sua destinazione e si infilò in un vicolo, incapace di muovere ancora un passo.
-M-mamma…- mormorò, cercando di piangere piano ma troppo spaventata per riuscire a controllare i singhiozzi, che si persero comunque nel frastuono della battaglia- voglio papà...voglio la mia mamma!-
L’ultima parola le morì in gola perché sentì il ringhio feroce della bestia che aveva appena visto.
Voleva essere coraggiosa ma aveva solo tanta paura, era così vicina eppure sapeva che adesso non avrebbe mai più avuto il coraggio di uscire, quel Licantropo era spaventoso, più della strega e più del fuoco.
Voleva tanto vedere lo zio Al, sapeva che lui era forte e avrebbe sconfitto chiunque, ma aveva paura che non sarebbe mai arrivata alla piccola rimessa incantata.

 

Fenrir Greyback non aveva intenzione di lasciare la sua preda a nessuno ma Barty Crouch, quel moccioso slavato che sapeva essere tanto utile al Signore Oscuro, era altrettanto determinato.
Una bimba così piccola e così tenera, voleva essere lui ad occuparsene per primo, non intendeva lasciarla nelle zanne di quella disgustosa creatura che l’avrebbe fatta a pezzi in meno di un secondo.
Lui non intendeva piegarsi, nemmeno a quell’essere mostruoso e letale, voleva la sua parte di gloria, voleva divertirsi, voleva godere alla faccia di quell’insulso bacchettone di suo padre.
L’uomo che lo disprezzava perché lo credeva debole e fiacco ma, allo stesso tempo, decantava a tutti le sue doti scolastiche. Troppo comodo, incensarlo in pubblico e denigrarlo in privato!
- Pensi di aggredirmi?- provocò l’orrida bestia, con un sorriso pieno di sadica gioia- ricordati cosa ha detto Malfoy e ricordati anche da chi prende gli ordini lui! Se mi sfiori sarà lo stesso Oscuro Signore a ridurti in poltiglia!-
Fenrir era furioso, sentiva che la bambina era li vicino ma in ciò che gli stava dicendo quel moccioso folle e arrogante c’era del vero e persino lui, il forte e potente Greyback, temeva il Signore Oscuro.
- Facciamo che chi la trova per primo se la tiene!- ringhiò, trovando quello che gli sembrava un buon accordo, anche se l’idea di scendere a compromessi con quel bamboccio gracilino gli causava una sorte di furia senza fine.
L’altro rinfoderò la bacchetta.
- Ci sto!- e rise di gusto - cervello contro muscoli, umano contro animale...vediamo chi prevale!- esultò euforico, come se stesse già vincendo.
E così si separarono, il Lupo Mannaro era quasi certo di farcela perché lui possedeva l’istinto e il fiuto.
Si, l’avrebbe trovata annusando l’aria e fiutandola, nonostante la polvere e l’odore acre del fumo, e l’avrebbe sentita, nonostante il fragore della lotta.


Aveva freddo e gli occhi le si stavano chiudendo, voleva dormire e la mente iniziò a vagare, pensieri senza una logica precisa ma che la cullavano.
All’improvvisò sentì un rumore, spalancò gli occhi e, girando la testa, lo vide: un uomo mascherato, la stessa maschera d’argento che portava anche la strega cattiva.
Non era molto distante e, se solo avesse voltato la testa, l’avrebbe vista.
Tremò sentendo le lacrime fare nuovamente la loro comparsa e scendere copiose sul visetto impolverato.
Un secondo dopo, infatti, lui la scorse e la bocca gli si contorse in un ghigno malvagio mentre estraeva la bacchetta. Lei sapeva che le avrebbe fatto del male, si coprì il piccolo viso con le mani.
E poi accadde qualcosa.
L’uomo fu colpito da una potente luce rossa e stramazzò al suolo, privo di sensi.
Subito dopo, arrivò un altro uomo vestito nello stesso identico modo, una maschera argentata che copriva anche il suo volto. Passò accanto a quello svenuto in terra, lo colpì con un violento calcio nelle costole e gli sputò addosso, la bimba lo sentì dire  -Questo è da parte di Evan, schifoso bamboccio!***- e poi venne da lei.
Ormai non aveva scampo e lo guardò con gli occhi sbarrati.
Lui si chinò accanto a lei e le disse - Vieni con me, ti porto al sicuro!- e, prima di prenderla in braccio, si tolse la bella collana che indossava e gliela infilò attorno al collo.
- Sei un principe?- gli chiese, dimenticando di colpo la paura, quando lui l’ebbe sollevata e lei poté scorgere i suoi occhi azzurri - oppure sei uno Huldrekarl?***- lo osservò con interesse, notando una lunga ciocca di capelli biondi uscire dal suo cappuccio.
L’uomo sembrò divertito e sorrise, aveva dei denti bellissimi, non belli come quelli del suo papà ma molto belli.
- Conosci molte cose per essere così piccola!- le disse, parlando in fretta e muovendosi rapido, continuando a stringerla tra le braccia.
- Il mio papà sa tutto della Norvegia!- si entusiasmò lei ma lui le mise un dito sulle labbra per zittirla.
- Adesso ti riporto a casa…- le sussurrò, muovendosi più guardingo e nascondendola sotto il suo mantello.
- No!- sbottò lei facendolo fermare, stupito - mamma e papà mi hanno detto di andare in un altro posto, l’hanno fatto per me! E’ più sicuro…è vicino vicino…-
Lui allora si fece mostrare il posto, era a cinquanta metri dal corpo esanime di Barty Crouch.
- Li dentro?- le chiese poco convinto, notando quella specie di piccolo ripostiglio chiuso da una porticina.
Lei annuì, sentendosi improvvisamente felice.
Lui l’accontentò, sembrava avere molta fretta e, dopo essersi guardato attorno, aprì la piccola porta e la spinse dentro.
- Non uscire ancora per un pò! - le raccomandò - e non toglierti la collana!-
- Sei buono ma ti vesti da cattivo così li imbrogli, vero?- gli chiese la bimba - io mi chiamo N...Dora...e tu?-
- Chiamami Principe...Karl! - le sorrise un ultima volta e richiuse la rimessa, lasciandola li.
Ninfadora esultò dentro di sé, i suoi capelli divennero di un bel colore rosa e lei batté le manine: ce l’aveva fatta! Era salva e presto lo zio Al sarebbe arrivato a difenderli!


Lucius sentiva di avere il Diavolo in corpo, il tempo era quasi scaduto e aveva perso un sacco di tempo.
Si avvicinò a Barty Crouch, puntò la bacchetta e mormorò un Innerva a denti stretti.
Il ragazzo riprese i sensi, ancora fortemente stordito.
- C-cosa…?- riuscì a dire mentre Lucius lo sollevava di peso, rimettendolo in piedi.
- Qualcuno ti ha schiantato - gli spiegò - adesso andiamo,ormai è ora di chiudere!-
Si voltarono e si trovarono davanti Fenrir Greyback, Lucius non lo lasciò nemmeno aprire bocca e gli disse - Andiamo! E non voglio sentire storie!-
Il Lupo Mannaro digrignò i denti ma cedette, si era divertito a sufficienza ormai e non sentiva più traccia della bambina, non riusciva a distinguerne l’odore e non voleva rischiare di scontentare il Signore Oscuro.
E così si diressero svelti verso la strada principale.
- Adesso procediamo rapidi! Ma non esponetevi fino all’ultimo secondo!- ordinò Lucius e, contemporaneamente, si sfiorò con la punta della bacchetta il marchio nero inciso sull’avambraccio sinistro.
Simultaneamente si sentirono diversi crack e i Mangiamorte cominciarono ad apparire, uno dopo l’altro.
Bellatrix ed Evan apparvero per ultimi, arrivando a piedi da una strada laterale, lui sembrava in enorme difficoltà ed era privo della maschera.
All’improvviso si udirono altre materializzazioni e, leggermente prima del previsto, apparvero alcuni Auror del Ministero, guidati da Alastor Moody che, ringhiando degli ordini, li incitò all’attacco.
Decine di incantesimi si incrociarono nell’aria, la notte fu sferzata da tutta quella potenza magica concentrata in un perimetro così ridotto, i Mangiamorte erano superiori per numero ma la grinta di Alastor guidava gli Auror e permetteva loro di non soccombere e, anzi, di far stringere gli avversari in una specie di abbraccio protettivo che ne limitava l’azione.
Bella, avvantaggiata dall’essere più defilata, fece adagiare Evan per terra ed estrasse la sua bacchetta per colpire un Auror che le dava le spalle ma, all’improvviso, ci fu un’esplosione, un rumore che si distinse da qualsiasi incantesimo e non apparteneva al mondo magico, e una pallottola si conficcò  con precisione millimetrica nel braccio della donna che lanciò un urlo di dolore e lasciò cadere la bacchetta finendo tra le braccia di Evan.
- Nooooo!- urlò l’uomo, disperato, incapace di fare altro che stringere a sé la donna mentre il sangue di lei usciva a fiotti.
Lucius arrivò proprio in quel momento, la bacchetta già sfoderata, il mantello che svolazzava nell’aria alle sue spalle e, abbracciato con lo sguardo l’intera scena, mosse appena il braccio con un movimento quasi casuale e, senza nemmeno rivolgergli un’occhiata, lanciò l’Anatema che uccide sul babbano che aveva sparato a Bellatrix.
L’uomo cadde a terra folgorato, sotto gli occhi impotenti di Alastor Moody, che ruggì di rabbia e scagliò uno Schiantesimo così potente che sollevò da terra Fenrir Greyback e, pur senza fargli perdere i sensi, lo fece volare addosso a Barty Crouch.
Lucius non perse altro tempo, si sfiorò nuovamente il marchio nero con la bacchetta e allora, tempo un secondo, accadde qualcosa.
Come uno Tsunami che sposta l’aria e strappa di dosso le vesti e la pelle, una potenza assurda si abbatté su Ottery St. Catchpole, scoperchiando i tetti e mandando in frantumi i vetri, travolgendo gli Auror che finirono spazzati via, sbattuti contro i muri delle case, sollevati come foglie dal vento.
I Mangiamorte vennero avvolti e protetti da quel turbine nero e poi, nel mezzo della scena, apparve Lord Voldemort, davanti gli occhi ammirati e vittoriosi dei suoi seguaci e quelli stravolti e increduli dei suoi antagonisti.
Egli mosse qualche passo al centro della strada e, ogni qual volta l’Oscuro Signore avanzava, la terra sembrava tremare sotto la sua potenza. Un turbine di vetri, calcinacci e mattoni si abbatté sugli Auror, ferendoli e straziandone le carni, rendendoli del tutto inermi e togliendo loro il respiro.
Poi, quando egli si fermò e con lui si placò anche quella furia, estrasse la sua bacchetta e lanciò un incantesimo in aria dove, turpe e terrificante , apparve un gigantesco Marchio Nero che riverberò nel cielo, sovrastando il villaggio devastato e in fiamme.
Un secondo dopo Lord Voldemort e tutti i suoi seguaci si erano smaterializzati, come la lama di una spada che affonda nella carne e poi ne viene estratta, lasciarono il paese ferito mortalmente, lacerato e sanguinante.
Quella fu la notte in cui il Marchio Nero apparve per la prima volta sotto gli occhi di tutti, la notte in cui per la prima volta la sua comparsa nel cielo significò morte e distruzione, la notte in cui l’orrido Teschio dalla lingua serpentina annunciò, in tutta la sua violenta oscenità, che la guerra era cominciata.


Hogwarts si stagliava netta nella notte scura, dopo le piogge dei giorni precedenti il cielo si era finalmente aperto e le stelle brillavano in cielo, l’aria era ormai fresca e annunciava la fine dell’estate.
La Scuola era semi deserta ma pronta ad accogliere gli studenti che sarebbero arrivati da li a pochi giorni.
Erano quasi le due di notte del ventisei agosto e nella Sala Grande un gruppetto di persone stava chiacchierando allegramente, davanti ad una tavola imbandita.
Al centro troneggiava una splendida torta ricoperta di panna e ribes, con golosi strati di crema al limone.
- Beh, Albus!- biascicò il Professor Slughorn, sollevando per l’ennesima volta il suo bicchiere colmo di succo di zucca corretto con Whisky Incendiario - permettimi di fare di nuovo un brindisi al più potente dei magli...hic...ehm...si...maghi, nonché mio carissimo amico, che si sia mai veduto su questa Terra!- e trangugiò il contenuto del suo calice senza aspettare che gli altri riempissero i propri.
Hagrid applaudì con energia, decisamente alticcio anche lui, e batté un pugno sul tavolo, rischiando di sfondarlo e di disintegrare la torta con lo spostamento d’aria, per sottolineare quanto avesse gradito quel discorso.
Madama Chips e Miss Sprite si coprirono la bocca e ridacchiarono, in preda ad un’allegria molto sospetta.
Seduto al centro della tavolata Albus Silente sorrideva, con gli azzurri occhi che brillavano dietro gli occhiali a mezzaluna.
Ad un certo punto incontrò lo sguardo di Minerva Mc Granitt, che stava seduta composta e osservava leggermente esasperata il mancato contegno dei suoi colleghi, e i loro occhi si incatenarono per qualche secondo.
Un muto dialogo passò tra loro, la consueta comprensione che li accompagnava da molti anni e il pensiero che li accomunava in quel momento fu formulato da lei ad alta voce - Alastor è in ritardo…- un lampo attraversò lo sguardo chiaro del Preside e, come chiamato dalle parole di Minerva, Moody spalancò le porte della Sala ed entrò.
Silente si alzò in piedi, svettando in tutta la sua altezza, e quando gli altri presenti videro l’Auror si ammutolirono perdendo ogni traccia di ilarità.
L’uomo avanzava claudicante lungo la navata centrale, appoggiandosi ad un bastone nodoso, i suoi abiti e i suoi capelli  erano ricoperti di polvere bianca, mezzo volto era fasciato in modo approssimativo, il soprabito era stracciato e macchiato di quello che sembrava sangue rappreso.
- Scusate il ritardo...- Moody si fermò davanti alla tavolata - auguri Albus…- l’uomo fissò Albus Silente con il suo sguardo mutilato e rovente.
Il Professor Slughorn era sbiancato e si era ammutolito, Hagrid aveva gli occhi sbarrati, Madama Chips e Miss Sprite erano impallidite.
Minerva si avvicinò all’Auror con sollecitudine invitandolo a sedersi ma l’uomo rimase in piedi, senza abbandonare Silente con lo sguardo.
- Non ho mai avvertito una tale potenza, mai…-gli occhi del Preside brillarono con maggiore intensità a quelle parole - con la sua sola presenza ha scoperchiato case e creato un cratere nel mezzo della strada...ci ha spazzati via come si fa con le briciole da un tavolo, ci ha resi inermi come dei neonati - disse con la sua voce dura- ci hanno giocato, una soffiata ci ha mandato qui in Scozia, nulla ci ha fatto pensare che il vero obiettivo fosse giù a sud, qualcuno ha lavorato molto bene per farci credere che ci sarebbe stato un attacco al nord! - Alastor aveva una voce bassa e profonda e parlava lentamente, nella Sala il silenzio era irreale.
- Quante vittime?- chiese il Preside con la sua voce chiara, il volto era di granito e la mascella serrata.
- Ventotto...- l’unico occhio libero di Alastor brillò febbrile, un singulto d’orrore uscì dalla bocca della professoressa Sprite - diciotto feriti gravi e venti feriti meno gravi, quattro dispersi... -
Minerva si portò la mano alla bocca, sconvolta.
Madama Chips scoppiò a piangere.
- Benji** ha un polmone collassato per lo spostamento d’aria. Il nostro contatto tra le Forze di Difesa babbane…- e qui la voce gli mancò per un attimo - ...Michael Tonks...ucciso sotto i miei occhi e sotto gli occhi della nostra Auror, Hellen Mitchell, la sua fidanzata...Albus!- il tono divenne urgente - il Ministero sta cercando di insabbiare il tutto in accordo con il Ministro Babbano...ma non possono smentire questo!- e lanciò attraverso il tavolo una fotografia del Marchio Nero che si stagliava netto e spaventoso nel cielo.
- Albus non possiamo più aspettare, dobbiamo agire! Questa volta devi darmi retta, solo tu puoi…- Alastor mostrò per la prima volta la fatica e la sofferenza e Minerva fu lesta a prenderlo sottobraccio per sostenerlo.
Albus Silente fissò lo sguardo in quello della donna e lei fece un breve cenno col capo, aveva capito.
Tutti puntarono gli occhi sul Preside di Hogwarts: Hagrid sembrava spaesato, il Professor Slughorn terrorizzato.
- Alastor, raduniamo tutti…- e l’Auror sembrò finalmente soddisfatto e si sedette di schianto, passandosi una mano sul volto bendato e stravolto mentre Madama Chips si affaccendava attorno a lui con sollecitudine per prestargli soccorso.

 

Molto più tardi, nel suo Ufficio, Albus Silente fissava il cielo stellato con aria grave, gli occhi brillavano incessanti alimentati da infiniti pensieri.
Ad un certo punto una mano prese la sua e lui si voltò per fissare il viso di Minerva, turbato ma sorridente.
- Tom ha voluto farti capire - mormorò lei con voce sofferente - che non avrà pace finché non ti raggiungerà…-
Lui ricambiò la stretta e si portò la mano di Minerva alle labbra.
- Temo che mi abbia già superato e temo di non essere io la persona che lo fermerà…-
- Se non puoi tu, non può nessuno!- affermò lei con forza.
Lui sorrise con aria maliziosa - Dopo tutti questi anni hai ancora fiducia in questo povero vecchio!-
Minerva sbuffò e strinse le labbra.
- Se Tom vuole la guerra, guerra sarà e tu lo sai! E poi non sei vecchio, solo incredibilmente testardo!- gli stampò un bacio sul naso e poi se ne andò invitandolo a riposarsi almeno un paio d’ore.
Silente fissò nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra.
“Hai voluto farmi un regalo di compleanno in grande stile, Tom…”
Il cielo andava schiarendosi e l’alba lo dipingeva nei toni dell’oro pallido: un nuovo giorno era iniziato.


Fine quarantatreesimo capitolo

 

*soccorso

 

** qualcuno se li ricorda? :D sono Michael, cugino di Ted, ed Hellen, figlia di babbani e amica di Andromeda ad Hogwarts e grazie alla quale Andromeda e Ted si sono conosciuti (nei primissimi capitoli di questa storia…).

** il Delirium tremens è uno stato patologico che insorge in soggetti che hanno una dipendenza dall’alcool e se ne privano improvvisamente. Si rischiano, tra le altre cose, gravi danni cerebrali.

** Le prime cure per il Delirium tremens comprendono idratazione via endovenosa, somministrazione di ansiolitici e vitamina B1.

** il Dottore che soccorse Andromeda rivelandole di essere incinta. E’ un Magonò, lontanamente imparentato con i Black.

** Benjamin Fenwick membro dell’Ordine della Fenice nella prima guerra magica, raccolse la profezia udita da Silente su Harry e Voldemort e, per questo, fu fatto successivamente a pezzi da Fenrir Greyback nel tentativo di estorcergli informazioni.

 

*** nei capitoli precedenti, grazie alla soffiata di Barty, L’Oscuro Signore ha saputo che nella casa di Evan era stato usato un Avada Kedavra contro un poliziotto babbano, allertando gli Auror, e Rosier è stato, di conseguenza, punito.

 

***HurdleKarl = creatura fantastica della mitologia Norvegese (e nordica in generale) di bellissimo aspetto.


Angolino simpatico (ossia le note dell’autrice): grazie della pazienza, questo capitolo è stato infinito e davvero faticoso da scrivere ma io adoro intrecciare le storie dei personaggi e quindi ci tenevo in modo quasi maniacale...spero sia stata una buona lettura e che il tutto non sia risultato troppo lungo e tedioso. 

  
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