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Autore: cartacciabianca    31/03/2009    3 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Gridare la verità






-Spenga la luce, signorina Tomas. Domani ci attende un gran giorno- disse Vidic entrando nella mia stanza.
All’inizio non seppi perché mi aveva detto ciò, ma in breve realizzai che doveva essere successo qualcosa che lo rendeva così di buono umore. E in fatti, prima che potessi domandargli nulla, il vecchio dottor Warren sedette sul bordo del letto dicendo: -Tutto ciò per cui abbiamo combattuto sta per realizzarsi-.
Lo guardai interrogativa, chiudendo il libro che avevo in grembo e poggiando su di esso le mani. –Si spieghi meglio- assentii.
-Domani lei e il signor Miles cambierete il corso della storia-.
Non era stato affatto chiaro, anzi. Avevo più dubbi di prima, molti dei quali erano alquanto turbolenti e malsani. –Doc, cosa…-.
Il vecchio prof sembrava estasiato, completamente assorto nel sapore della vincita. Si alzò dal letto tornando sull’ingresso della camera. Giunse le mani dietro la schiena e, senza voltarsi, proferì serio: -Da domani, il mondo vedrà il nostro operato sotto una differente prospettiva, e ciò ci rende fieri dei risultati che abbiamo raggiunto. La signorina Stilman ha avuto accesso ad un ricordo più avanzato ed è da lì che riprenderemo domani. Entro la fine di questa settimana saremo a compimento della nostra missione- sospirò e uscì, scomparendo nel buio delle luci spente del laboratorio.
Strinsi tra le mani il mio libro, lo stesso libro che per lunghi mesi avevo letto e riletto. Ora questa tortura finiva, e non potei negare a me stessa di essere contenta almeno quanto Warren. Ma qualcosa pulsava ardentemente in me, qualcosa chiama coscienza, l’unica parte restante dentro il mio corpo che fosse davvero cosciente di cosa l’Abstergo aveva cercato e stava per stringere tra le mani, ancora, di nuovo come io stringevo il mio libro.
Il Frutto dell’Eden, un altro Tesoro dei Templari, sarebbe stato consegnato alla società nell’arco di una settimana, ed io avevo contribuito a quel grande passo per la scienza. Avevo cambiato la storia, come aveva detto Vidic. Eppure… sapere che un oggetto di tale potere… non volli neppure pensarci, era il lato terribilmente crudo della mia vita. Avevo contribuito a creare il Nuovo Mondo, e mi sentivo immensamente male di questo.

Quella notte non chiusi occhio.
I tempi si erano ristretti, andavamo in contro alla fine della mia e della prigionia di Desmond, che aveva scontato la sua pena più allungo di me. Mi giravo e rigiravo nel letto nel tentativo di prendere sonno, ma ero troppo eccitata per riuscirci. Mi alzai svariate volte, andai in bagno e mi guardai allo specchio, girovagai senza meta per la stanza, come una folle ne carezzavo le pareti e rabbrividivo al gelido contatto dei miei polpastrelli. La mattina successiva, se quella notte fosse continuata in bianco, non avrei avuto le forze necessarie per dare all’Abstergo quello che cercava, ovvero i miei ricordi. Una mente fresca e sana per una causa acerba e putrida, mi dicevo spesso. Mi chiedevo come avrei trascorso la mia vita se tutta quella tortura non fosse mai iniziata. I miei diciassette anni sarebbero trascorsi più beatamente fuori da quelle mura grigie, e forse, se stavamo correndo in quel modo col progetto, avrei rivisto il mondo esterno prima di compierne diciotto. Ma chi volevo prendere in giro? Mi avrebbero ammazzata, la loro causa non era dedita a nessuno dei soggetti. Avrebbero ammazzato me e Desmond senza un minimo di pietà; dalla nostra parte c’era solo Lucy, che più di tanto non avrebbe potuto neppure intervenire. Eravamo topi in gabbia, tenuti all’oscuro del Governo e costretti ai supplizi di due pazzi quali Alex e Warren. Forse non erano loro la mente del progetto, e non ci pensai tanto poiché dietro Viego e Vidic si celavano i volti di coloro che finanziavano e appagavano il progetto, per poi appropriarsi del dovuto compenso. Di lì a due o tre ore in che mani sarebbe finito il Frutto dell’Eden che la mia Antenata avrebbe riportato alla luce? Per quali scopi malvagi e subdoli sarebbe stato impiegato il suo immenso potere? Avrebbero ammazzato il Presidente degli Stati Uniti per sostituirlo al doppiatore della voce di Omer Simpson, come desideravo facessero quando ero bambina. Risi, anche se le mie condizioni mentali, fisiche e psicologiche mi imponevano che quella in cui mi trovavo era una situazione tutt’altro che divertente.
Fissavo i miei occhi vuoti, stanchi e inappagati nello specchio.
Che valore aveva chiedere una ricompensa in denaro se tanto quelli mi ammazzavano? Nessuna, non c’era un briciolo di umanità in quei signori, in nessuno di loro. Persino Warren, che mi costrinsi a pensare fosse solo una marionetta, agiva per conto avido della paga assurda, oppure accecato dal merito che gli sarebbe stato riconosciuto alla conclusione del progetto. Il Progetto Animus.
Il 2012 era l’anno dell’Apocalisse, e non ricordavo neppure più secondo quale Apostolo. Ma durante la mia permanenza lì avevo perso anche la fede in Dio, se mai ci avessi creduto.
Forse una mia impressione, forse la mia immaginazione, forse i primi sintomi della follia, ma sul vetro dello specchio comparve una scritta sempre meglio definita che andava crearsi sulla condensa.
-Death, anywhere- lessi.
Ero terrorizzata, e ne avevo motivo. Quelle parole si erano scritte dal nulla, o meglio… io non ero stata, e mi costrinsi a pensare che nel bagno della mia stanza fosse entrato qualcuno.
Cancellai quella scritta con la mano, ma questa andava ricrearsi costantemente. Con il respiro affannato strofinai sul vetro entrambi i palmi, ma nulla da fare. Death e anywhere erano sempre lì.
Mi voltai, afferrai un asciugamano e presi a pulire con questo lo specchio, ma fu pressoché inutile.
Ormai spaventata e col cuore che batteva all’impazzata, mi allontanai dalla superficie riflettente, e con pochi passi all’indietro andai a sfiorare qualcosa di morbido e segoso. Mi girai e mi accorsi dell’immensa figura che si stagliava nel buio delle ombre del bagno.
Rabbrividii, mi piegai in ginocchio trafitta da quegli occhi scuri e pieni di ardore.
Stavo impazzendo, mi dissi, ma il bello era che ne fossi consapevole! E nonostante ciò, non riuscii a divincolarmi da quella dimensione assurda delle cose, quel mondo parallelo inquietante e terribile.
Mi rannicchiai a terra come inchinandomi, e sentii la mano di Alex viego poggiarsi sulla mia spalla.
Strinsi i pugni, gridai perché quel solo tocco mi aveva causato un bruciore immenso a contatto con la mia pelle.
-Vattene, vattene e lasciami in pace…- sibilai, la fronte poggiata sul pavimento freddo che faceva conflitto con l’immenso dolore sulla mia spalla.
Mi sentivo la testa scoppiare di voci, e grida. Grida della gente in fuga che scappa dall’apocalisse.
Chissà dove trovai la forza per alzarmi e scappare da quella stanza.
Inciampai e caddi, ma presto mi tirai su e corsi verso la porta.
Prima che potessi raggiungerla, mi fermai, d’un tratto le mie gambe inchiodarono. Mi voltai lentamente, ad osservare l’uomo vestito di nero che mi seguiva come un’ombra. E quell’ombra andò a confondersi con le altre della camera, mentre i suoi occhi rilucevano di una luce rosso sangue.
E ancora le grida, le urla di gente che non conoscevo e non avrei mai conosciuto, perché la mia esistenza era condannata all’eterna prigionia in quel laboratorio fino alla morte certa.
In preda alle convulsioni, mi accasciai al suolo scivolando sulla porta d’ingresso. –No, no…- mormoravano le mie labbra ma io stessa a malapena udivo la mia voce.
Desiderai che fosse tutto solo un sogno, o meglio dire un incubo. Uno di quelli che svanisce presto, che si dissolve solo quando l’essere superiore che comanda è soddisfatto della tua sofferenza.
Ero nella terribile condizione, sul filo che si stava per spezzare. Mancava poco perché precipitassi nell’immenso baratro della follia, e c’ero quasi… c’ero quasi… eccomi, stavo arrivando.
La parete contro cui ero poggiata scomparve d’un tratto e mi rovescia sul pavimento del laboratorio. Desmond si chinò su di me e mi cinse con un abbraccio, sollevandomi da terra.
Ed io mi avvinghiai a lui, graffiandogli la pelle delle braccia con le unghie e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, mentre il mio respiro affannato s’infrangeva su di esso.
Mi tirò su fino a prendermi in braccio, ed io non staccai la mia presa da lui neppure quando mi adagiò sul letto.
Forse stava dicendo qualcosa, forse mi stava chiamando per nome e forse mi aveva schiaffeggiato appena la guancia per farmi riprendere, ma le mie pupille restavano costantemente dilatate e il mio cuore non accennava a rallentare.
Se mi voltavo, vedevo ancora la malvagia ombra di Alex Viego dietro l’armadio, vicino all’ingresso del bagno, e in quel momento un nuovo brivido mi percorse la schiena.
-Andrea!- ebbi la conferma dei miei mille “forse”: Desmond aveva strillato il mio nome stringendomi come un peluche.
Sentire il suo petto caldo scontrarsi con il sangue freddo che circolava in tutto il mio corpo mi fece riprendere, e percepire le sue mani stringermi le spalle dissolse il pozzo nero nei miei occhi.
-Desmond!- sollevandomi in ginocchio sul letto, ricambiai l’abbraccio fino a quel momento stato parziale.
Mi sentii subito meglio quando le sue labbra si scontrarono con le mie.

Non poteva durare, non sarebbe potuta essere la sua consolazione in eterno. Non negava l’evidenza che qualche mano santa superiore gli avesse dato qualcuno con cui legare durante la sua prigionia in laboratorio, e fare due chiacchiere delle volte aiutava. Ma la sua storia con Andrea non poteva durare. Si consolavano a vicenda perché non avevano nessun altro con cui sentirsi “umani”. L’Abstergo li aveva strappati via dalle loro vite gettandoli chi prima e chi dopo in quel circolo vizioso di malanni mentali e stressanti terapie intensive in un mondo parallelo altamente surreale e malsano alla saluta. Catapultati nel passato dei loro antenati il soggetto 17 e 18 condividevano ora paura, gioia ed un inutile amore.
-So che cosa stai pensando- disse lei.
Desmond abbassò il volto. –Cosa?-.
-Quello che siamo diventati è prettamente inutile. Ad entrambi-.
Desmond sospirò. –Come fai a dirlo? È vero, io l’ho pensato, ma che cosa t’infonde tanta sicurezza?- domandò guardandola, lei stretta tra le sue braccia e seduta accanto a lui.
-Nulla- rispose Andrea svolgendo le se braccia da attorno al suo collo. –Non so che cosa mi sia preso- bofonchiò sedendo a gambe incrociate sul letto.
-Ti capisco, è capitato anche a me. Quelle visioni, intendo. Anche tu la scritta…- stava per chiedere, ma la ragazza l’anticipò.
-Death, anywhere- disse. –Sì- gemé.
Desmond tornò al suo fianco. –Fa paura, vero?-.
Lei annuì.
-Non possiamo farci nulla- proferì assorto.
-Vidic. Questo pomeriggio è venuto da me e ha detto che stanno per finire. Lucy ha trovato un ricordo al quale agganciarsi, e presto termineranno anche su di me- mormorò.
-Immaginavo- assentì lui. –E poi chissà- distolse lo sguardo. –Se mi hanno tenuto in vita fino ad ora, perché dovrebbero ammazzarci?- ridacchiò portandosi le mani dietro la testa.
-Ma tornando a noi- la ragazza si voltò. –Credi che…-.
-Non è mai iniziata- sbottò Desmond. –Ma sarebbe stato…-.
-Non dirlo- intervenne Andrea. –E poi io sono troppo giovane per te. Se ti faranno uscire di qui, dovresti contattare mia madre; si sente sola, poverina- rise.
Desmond afferrò il cuscino alla sua sinistra e glielo sbatté in faccia. –Ti riprendi in fretta, ragazzina!- digrignò. –E poi tua madre non era morta? Come i miei, dopo tutto…- brontolò.
-Sì- rispose lei. –Ma era una battuta, stupido!-.
-Ah, ecco!- la colpì di nuovo.

La nostra storia era iniziata poche settimane dopo il nostro primo incontro nel laboratorio. Ero entusiasta di non aver perso la verginità con un ragazzo che in fin dei conti conoscevo ancora appena. E poi avevo ragione: lui ero troppo vecchio. Allo stesso modo di come tra Elena e il suo maestro non sarebbe potuto nascere nulla, come potevo pretendere io di innamorarmi di Desmond? Certe volte lo trovavo interessante, affascinante, ma come avevo azzeccato che stesse pensando lui, la nostra storia non poteva durare. Eravamo la consolazione l’uno dell’altra, giocattoli con cui distrarsi nel frattempo che quelli sclerati ci mettevano le mani addosso per impadronirsi dei nostri ricordi.
La compagnia di Desmond quella notte fu essenziale. Avevo avuto uno degli attacchi psico-fisici di post trattamento, e la mattina seguente ne parlai con Alex che si occupava del mantenimento pazienti.
Gli descrissi ogni dettaglio, e come Desmond mi aveva detto di fare, raccontai al signor Viego anche della scritta sullo specchio. Alex si accorse subito della coincidenza tra me e Desmond, ma era dettaglio irrilevante poiché le conclusioni fossero sempre le stesse: la rinvenuta del Frutto avrebbe causato morte, in ogni luogo.
Quando alla luce del sole mi fecero sedere sull’Animus, mi sorpresi alquanto rilassata e tranquilla.
Desmond, Alex, Lucy e Vidic mi osservavano attenti come se aspettassero una qualche reazione istantanea al solo tocco con quell’aggeggio.
-Ascolti bene, signorina Tomas. Il ricordo che stiamo caricando ora è collegato strettamente a quelli che abbiamo appena passato ed influenzerà quelli futuri. Il che vuol dire che la sua antenata si troverà di fronte ad un nominato “bivio”. Cercheremo di aver maggior presa sulla ragione di Elena per permettere al progetto di agganciarsi al ricordo più avanzato, ma essa, la Dea, non dovesse presentarsi disposta all’impiego di quella direzione, i tempi resteranno invariati e lei dovrà sottoporsi ad altri due mesi di trattamento- aveva annunciato in pompa magna il dottor Warren, mentre le dita svelte di Lucy picchiettavano sul portatile.
-Che!?- per me era come se avesse parlato arabo.
Alex trattenne una risata dandomi le spalle.
Lucy avviò il caricamento e nel frattempo si prese qualche istante per spiegarmi in una lingua umana cosa aveva appena detto Vidic.
-Nel giorno 12 dicembre del 1191 d.C. la tua Antenata si troverà a dover prendere una tra le due strade che le verranno proposte. Non sappiamo con certezza a cosa si riferisca questa scelta, ma per ora è certo che da questa postazione noi dell’Abstergo possiamo fare poco e niente per interferire nella sua coscienza. Quindi, quello che ti chiediamo è, per il fatto che non abbiamo idea a che cosa andiamo incontro, di stare vigile su quale delle due scelte potrà condurci al prossimo ricordo-.
Sgranai gli occhi. –Ed io come faccio a saperlo?!- sbottai.
Lucy sospirò, ma al discorso si sostituì Alex.
-Questo è il problema. Siccome solo tu e tu soltanto puoi indirizzare la tua Antenata, il massimo che possiamo fare noi è indirizzare te! Per tanto, siccome il ricordo cui vogliamo agganciarci risale alla rinvenuta del 2° Frutto dell’Eden, dovrai valutare tu stessa le due opzioni date ad Elena e scegliere cosa può avvicinare il processo genetico della tua mente a quello stabilito ricordo- disse Viego.
Cominciavo a capirci qualcosa, ma forse Desmond poteva illuminarmi.
Mi girai verso di lui, che a braccia conserte mi osservava da lontano appoggiato ad una delle colonne del laboratorio.
Lo vidi stringersi nelle spalle e annuire, poi distolsi lo sguardo non riuscendo.
Potevo essere in grado di prendere quella decisione al posto della mia antenata? Da quanto mi disse Vidic mentre mi stendevo sull’Animus, in quel momento avrei potuto decidere io per Elena perché lo stesso filo mnemonico della mia Antenata sarebbe stato interrotto per catapultarmi direttamente nelle sue vesti. Questo solo per pochi secondi. Il tempo sufficiente di dire sì o no, a seconda di cosa sarebbe successo e chi avrebbe chiesto cosa alla povera Elena. Dopo di allora, la mia antenata avrebbe vissuto quella condizione, quella mia scelta fino alla fine senza mai ripensamenti e assenze di memorie. Mi dissi che era una cosa assurda, perché Elena si sarebbe accorta che qualcosa le era mancato durante quel “sì, lo voglio” oppure quel “ma vaff…” ecco, quello. Non riuscivo a comprendere come la mia Antenata avrebbe potuto mentirsi dicendosi che era stata “lei” a scegliere e non qualcun altro. Forse le nostre menti combaciavano davvero in quel modo. Anche se avevo gli occhi verdi e lei azzurri, forse i nostri corpi e le nostri ragioni potevano davvero essere così simili da non potersi porre quesiti l’una sull’altra. Già, ma maledizione a chi inventò la parola… “forse”. Ero già conscia che Elena avrebbe subito ogni cosa passivamente, e la sua mente sarebbe stata sopraffatta dalla mia solo per pochi istanti, ma causare tanto annebbiamento altrui non mi faceva certo sentire sopra le nuvole.
Senza accorgermene, la schermata dell’Animus mi era balenata davanti e il bianco accecante del passato mi aveva inghiottito nel suo vortice temporale. Nel momento in cui la mia coscienza aveva raggiunto quella della mia Antenata, avevo avvertito un inattendibile gelo far tremare il “suo” corpo.

La folata di vento fu improvvisa, spettrale e risuonò nella stanza facendo svolazzare le tende.
Elena balzò giù dalla sedia della scrivania e si apprestò a chiudere la finestra.
Fuori dai vetri, il paesaggio era cambiato in appena una settimana.
C’era la neve, così candida e bianca che sovrastava le strade di Masyaf e compattava il mondo esterno ricco solo dei bagliori azzurrini e grigiastri. Ai lati delle strade della cittadella si accumulavano pozzanghere marrone di terra mischia alla neve, che anche quella mattina cadeva dal cielo lentamente soave e bellissima. I bambini correvano per il villaggio coi loro cappotti di lana, mentre l’inverno si era abbattuto persino sul campetto da calcio degli assassini che ora sembrava più una pista da pattinaggio. Le spiagge del lago si erano ghiacciate, la vegetazione era imbiancata nell’arco di pochi giorni, e l’arancione dell’autunno si era sostituito alla stagione che per lei sarebbe stata sempre la più meravigliosa e incantevole.
Il suo respiro si infrangeva sul vetro appannandolo in quel punto ristretto, mentre si sorprendeva di come le attività nella fortezza restassero sempre le stesse nonostante il freddo pungente.
C’erano due assassini che si allenavano nell’arena, le solite pattuglie che facevano il giro del cortile e i colombi padroni dei tetti che si appollaiavano vociando il loro cantico grave su di essi.
Nell’alto del cielo latteo, Elena scorse a mala pena la figura piccola e agile di Rashy che compieva piroette tra le nuvole. Quella scena la fece sorridere, ed una nuova giornata apriva le porte alle novità della nuova stagione.
La ragazza tornò a sedersi alla sua scrivania e si riappropriò della lettura del diario di sua madre. Dopotutto, era da quando Tharidl l’aveva consegnato lei che non gli dava un’occhiata. E finalmente Leila sembrava aver terminato le sue torture. Era stato bello imparare da lei, ma i tempi, chissà perché, sembravano essersi ristretti per tutti. Stava solo divagando, non godendosi a pieno il fatto che i suoi addestramenti erano compiuti ed ora poteva essere chiamata “Dea”. Aveva appreso ogni tattica, ogni mossa di quello stile sopraffino di combattimento, ma nonostante si fosse sforzata al massimo, Leila riusciva sempre a metterla al tappeto. Nell’ultimo periodo un po’ meno, dato che la giovane assassina riusciva a tener testa a parecchie delle sue finte e a molti dei suoi duri e violenti attacchi, per non parlare della sua difesa impenetrabile e la rigidezza delle sue gambe. Era stato doloroso, lo ammetteva assaporando sulla lingua il sapore acre del sangue e della fatica, ma ne era valsa la pena. Avrebbe potuto mettere all’angolo Corrado stesso con il solo uso delle sue mani, e doveva tutta quella maestria alla sola ed unica sua torturatrice e insegnante.
Ma tornando al diario di Alice; le sarebbe piaciuto scoprire cosa celavano quelle pagine a proposito dell’avventurosa storia d’amore tra sua madre e suo padre.
Come prima cosa, si stupì della calligrafia impeccabile e preziosa che teneva Alice in ogni singola riga del testo. Come seconda, Elena notò una certa familiarità tra i suoi e gli atteggiamenti di Alice durante i loro rispettivi primi tempi nella Confraternita.
Alice parlava di sconforto, timore, ignoranza e curiosità. Narrò del suo incontro con Al Mualim, delle amicizie che strinse con le Dee, soprattutto con una di nome Nicole che aveva lo stesso suo accento francese. Scoprì che sua madre era una francesina importata a Masyaf per via dei suoi genitori, ovvero i nonni di Elena, che l’abbandonarono sul ciglio della strada a soli sei anni. Alice cominciò a scrivere il suo diario all’età di quattordici e da allora buttò giù mezza pagina al giorno in una scrittura di per sé minuscola!!! Così Elena si ritrovò mezza ciecata dopo aver appena letto la sesta pagina.
A metà del secondo capitolo, sua madre mostrava già il suo interesse per Kalel. Kalel di qua, Kalel di là! Elena scoppiò a ridere per quanto riguardasse le fantasie di sua madre a proposito del giovane Kalel, che all’epoca aveva quasi otto anni più di lei.
Come primo espediente, Elena lesse che le Dee amiche di sua madre sapevano da parecchio che la piccola Alice sbavava dietro quel temuto assassino, ma che per evitare problemi, non erano mai state di parte. Alice le descriveva come le “galline dal becco corto” perché piuttosto che avvertirla di quanto stesse sbagliando, le Dee quasi la incoraggiavano facendosi i fatti loro. E Alice, giovane e diventata la migliore praticante tra tutte, fu presto notata dall’alto mastro Kalel, che finì da subito con l’osare troppo.
Era emozionante leggere dei loro sguardi, immedesimarsi in sua madre che descriveva con tanta dedizione e attenzione i propri sentimenti. La sua relazione con Kalel era tanto vera che le fece salire una morsa allo stomaco solita di quando si sentiva emozionata. Sembrava di leggere una novella destinata a non finire con un felice e contenti, perché Alice, pur amando quell’uomo, era ben distaccata e sembrava attenersi compostamente alle regole della setta.
E in quelle righe, Elena riuscì a specchiarsi più in suo padre che in sua madre. C’era un che di familiare in quella storia, un che di dannatamente familiare e riconducibile a ciò che stava vivendo assieme a Marhim. Desiderio e confini illegittimi, li chiama la Dea, poiché nulla può restare celato così allungo.
Arrossì di vergogna nel leggere della loro prima volta assieme, precisamente nella biblioteca
Alice era andata lì per cercare alcune pergamene che Al Mualim l’aveva incaricata di portargli, ma il “giocherellone” assassino era comparso alle sue spalle dal nulla e l’aveva gettata nel buio senza lasciarle fiato. Come sul dire, c’era parecchia passione tra loro.
Questa fu la sua adolescenza, ed Elena non riuscì a spingersi oltre perché cominciò a girarle la testa.
Richiuse il libro che era arrivata appena al quarto capitolo e si abbandonò allo schienale della sedia.
Prese un gran respiro e adocchiò di nuovo fuori dalla finestra.
Qualcuno bussò alla porta, e la ragazza sobbalzò.
-Cos’hai da ridere tanto?- bisbigliò una voce.
Quando si voltò, saltò giù dalla sedia. –Marhim!- gioì. –Che ci fai qui?-.
-Ero di passaggio, e Halef mi ha detto che Leila si trova al campetto; così ne ho approfittato- sorrise lui chiudendosi la porta alle spalle.
Elena gli andò incontro. –Effettivamente, da quando Leila ha concluso il mio addestramento, è tornata ad arbitrare le partite di calcio. Su ghiaccio, per di più- proferì divertita.
-Ebbene- sopirò lui. –Sono davvero curioso di sapere cos’è tutta quest’allegria!- allungò un’occhiata alle spalle della ragazza e notò il libro poggiato sulla scrivania. –Che leggevi?- chiese superandola e avvicinandosi al tavolo.
Elena gli si parò davanti e afferrò il tomo stringendoselo al petto. –Aspetta!- disse.
Marhim inarcò un sopracciglio.
-Tutta ha un prezzo- rise maliziosa.
A quel punto, il giovane assassino parve ancor più sconcertato. –Cosa…-.
La Dea si allungò sulle punte, lo baciò dolcemente sulle labbra e Marhim non si oppose; anzi.
Dopo una prima reazione alla “tozzo di legno” il ragazzo la cinse in un abbraccio gentile. A separare i loro corpi c’erano solo le trecento pagine del libro, che Marhim le sfilò dalle mani.
-Brutto!…- digrignò la ragazza, sentendosi profondamente imbrogliata.
-Ah, chi è che ride ora?- fece lui una smorfia sedendosi sul letto.
Elena gli si accomodò affianco, mentre Marhim ne apriva la copertina rigida.
-Non ci credo- gli balenarono gli occhi, che poi si sveltì a piantare in quelli di lei.
Elena aggrottò la fronte.
-Dove l’hai trovato?- domandò l’assassino strabiliato, e le sue dita corsero già alle pagine centrali del tomo.
-Me l’ha dato Tharidl, ma…-.
-Sono anni che lo cerco! O meglio, che ne cercavo uno!- aggiunse lui.
Elena gli si avvicinò. –Come mai?-.
Marhim distolse lo sguardo assorto dallo scritto e lo piantò in quello confuso della Dea. –Tharidl aveva accennato alla possibilità che una Dea ne avesse scritto uno, ma non credevo che… ho setacciato la biblioteca in lungo e in largo, e solo ora vengo a sapere che quel vecchio pazzo l’ha tenuto sottobraccio tutto questo tempo!- sbottò irritato.
Elena allungò le labbra in un sorriso. –E fin qui va bene, ma perché t’interessi tanto?- chiese.
Marhim tornò a sfogliare il diario. –Non so, forse era l’unica testimonianza tanto proibita cui aspirassi davvero. Sono sempre a caccia di qualcosa di nuovo da leggere, e ho pensato che sapere delle Dee, cui testimonianze sono pochissime anche nelle Cronache altrui, sarebbe stato interessante- confessò in tutta sincerità.
La ragazza annuì compiaciuta.
-Ti andrebbe…- mormorò lui ad un tratto, attirando l’attenzione della ragazza.
-Sì?- sperava davvero che…
-Ti andrebbe di leggerlo insieme?- i suoi occhi da cucciolo e color cioccolato la sciolsero ad un solo passaggio, ed Elena accettò.
-Un capitolo a sera?- rise lei.
-A me sta bene- assentì.
-No, intendo…-.
Marhim sobbalzò. –Elena!- la riprese.
-Che c’è?!- scattò in piedi.
-Non ti facevo così…- sibilò lui.
-Così come?- si chinò alla sua altezza e sul suo volto si stagliò un nuovo sorriso malizioso.
Marhim deglutì. –Così… schietta a proposito-.
Elena si sedette a cavalcioni sulle sue gambe. –A proposito di cosa?- mormorò avvolgendogli il collo con le braccia.
Il diario di Alice capitava di nuovo al posto sbagliato nel momento giusto, ovvero ad intermezzo tra i loro corpi.
Marhim s’irrigidì improvvisamente, e per sciogliere la tensione Elena avvicinò il viso al suo.
-Che stai facendo?- balbettò lui stringendo convulsamente le mani attorno alla copertina del tomo.
-Nulla, ma ti prego, se vuoi continuare ad ignorarmi, fai finta che non ci sia- il fiato di lei s’infranse sulle sue labbra, poi Elena chinò la testa e lasciò una scia di baci lungo il profilo del suo mento.
-Eheh, facile a dirsi…- bofonchiò il ragazzo.
Elena allontanò improvvisamente il volto dal suo, e Marhim rimase interdetto.
-Ti sei fatto la barba- constatò lei carezzandogli una guancia.
-Ovvio, giusto per l’evenienza!- alzò gli occhi al cielo.

La giovane Dea Elena sedeva su una delle panche del giardino. I suoi occhi celesti spicciavano svelti sulle pagine del diario di sua madre che aveva poggiato sulle gambe, mentre il fruscio silenzioso del vento invernale accompagnava l’aria gelida della mattina attorno alla fortezza. Tutto taceva, tutto era bianco di un bianco candido e la neve aveva da poco smesso di piangere dal cielo argenteo.
La fine dell’anno si avvicinava. Gli ultimi giorni di dicembre erano trascorsi in quel modo adorabile e tranquillo che Elena aveva imparato ad amare. A proposito di amare… certo le sue sviste contro le regole con Marhim si facevano sempre più frequenti, o nella sua stanza quando Leila era fuori oppure nella biblioteca nell’ora in cui tutti, assassini e saggi, erano a pranzo e vi restavano solo loro due. Non poté che rallegrarsi, anche se aspettava con impazienza il momento in cui Marhim avrebbe voluto “crescere” insieme a lei. Era impaziente, avida di quel momento ed ogni secondo che trascorrevano assieme, nella sua stanza o nella biblioteca che sia, le pareva quello giusto per la loro prima volta. A quei pensieri le si arrossavano sempre le guance, lasciandola spossata e sorpresa di se stessa. L’Elena di una volta non c’era più. Quella ragazza che era approdata nella fortezza spaurita e con l’unico ideale da perseguire, ovvero di riscattare i peccati di sua madre, non c’era più. Col passare del tempo aveva appreso che i desideri, i sogni e i sentimenti umano non possono essere repressi; ma lei come sua madre a suo tempo, si sentiva in dovere, quel minimo, verso la confraternita che tanto l’aveva accettata calorosamente. Dopotutto, persino il fatto che si trovasse lì, seduta su quella panca, era un piccolo strappo alle regole che Tharidl si era permesso per salvarle la vita, o Elena non avrebbe avuto altro posto dove stare.
Improvvisamente si voltò, attratta dallo scricchiolare di alcuni passi sulla neve.
-Maestro- proferì un inchino con la testa e si alzò.
L’assassino avanzò verso di lei. –Tharidl vuole vederti- proferì composto.
La ragazza si strinse il libro al petto. –Come mai?- domandò.
Altair scosse la testa. –Avanti, vieni- fu piuttosto la sua risposta.

La fortezza sembrava un cimitero in quel periodo dell’anno, e chi vi abitava veniva avvolto da un’ombra sempre più profonda di silenzio e rispetto.
Altair camminava composto a pochi passi da lei e le fece strada fin nella sala d’ingresso della roccaforte, dove al piano superiore attendeva conscio il Gran Maestro.
Elena aggrottò la fronte. Quell’ala del palazzo era deserta; le guardie ai lati delle colonne e i saggi assorti tra gli scaffali delle librerie… non c’era anima che vagava per quelle mura che non fossero lei e il suo insegnante d’armi.
Altair si fermò di colpo, si voltò e la ragazza per poco non sbatté contro il suo petto.
Elena indietreggiò confusa. –Perché vi siete fermato?- domandò.
L’assassino la osservò allungo da sotto il cappuccio. Nel buio dei suoi occhi Elena colse appena del timore, come un risentimento.
-Elena- cominciò lui. –Qualsiasi cosa Tharidl ti dirà, sappi che tu potrai scegliere… sia che lui te ne dia o no la possibilità. E se non acconsentirà, sarò io a fermarlo- disse in un filo di voce.
-Di cosa parlate?- era spaventata.
Il suo maestro ignorò la domanda e guardò verso l’alto, dove Tharidl, poggiato al parapetto di pietra, li osservava entrambi.
-Non abbiamo altro tempo- dicendo così si avviò ed Elena lo seguì restando al suo fianco.
Perché tutt’un tratto quella paura? Le parole di Altair l’avevano lasciata col fiato sospeso, incerta persino su quali passi muovere restando appiccicata a lui come la sua ombra.
Tharidl aspettava con le braccia conserte davanti alla scrivania. Lo sguardo austero e fiero. Elena si sentì congelare da quegli occhi così bui e improvvisamente inesorabili.
Era successo qualcosa?
-È successo qualcosa?- chiese senza preavviso, e si portò una mano alla bocca subito dopo aver parlato.
Altair si fermò in disparte, ed Elena avanzò al centro della stanza.
Dalle vetrate alle spalle del vecchio entrava una luce grigia e bianca affascinante, che conferiva alla saletta una luminosità contenuta ma ben distribuita. Era l’atmosfera tipica dell’inverno che Elena vedeva spesso ad Acri negli stessi mesi circa, quando il cielo diventava ancor più cupo e solo nelle mattinate si azzardava qualche nevicata. Ora Masyaf era in preda al candido tocco della neve, che si poggiava sui tetti e andava ad infangarsi ai lati della strada in cumuli marroncini.
-Per favore…- sibilò afflitta. –Vi prego, se sono qui per essere punita di qualcosa…- balbettò, e subito le balzò alla mente la prima e l’ultima volta che aveva infranto le regole della confraternita, ovvero i suoi mille tentativi di allacciar bottone con Marhim.
A quel punto tacque. Se era davvero successo qualcosa, se qualcuno aveva davvero parlato o vuotato il sacco, Elena l’avrebbe scoperto a breve; non c’era motivo di torturarsi oltremodo.
Era stata scoperta!!! Ma che diamine!!!
-Elena, oggi sono pronto a dirti la verità, tutta la verità-.
La ragazza sollevò gli occhi spauriti e incontrò quelli del vecchio. –Cosa…- mormorò flebile.
Altair si fece ancor più da parte, riparandosi nell’ombra delle colonne. Quel gesto la mise solo maggiormente in allarme, mentre Tharidl muoveva alcuni passi verso di lei.
-Rispetto la tua scelta di non opporti alle mie conclusioni, Elena, e sono fiero del coraggio che mi stai dimostrando quando in qualche modo resisti alla tentazione di strapparti i capelli dal voler chiedere di più. Ebbene, questa mattina il tuo maestro mi ha aperto gli occhi su ciò che ti devo da quando entrasti in questo luogo per la prima volta-.
-Maestro, so già chi degli assassini che abitano questa fortezza è mio fratello- abbassò il capo. –Non c’è bisogno che vi preoccupiate per me- sussurrò afflitta.
Tharidl allungò le labbra in un lucente sorriso. –No, Elena, di quello sono certo. Ma vorrei che i tuoi dubbi sulla mia follia finissero qui, vorrei dirti perché ti ho tenuto nascosta la verità quando credevi non ne avessi motivo-.
La ragazza si raddrizzò, ascoltando curiosa.
Il vecchio prese un gran respiro. –Gabriel non compare spesso nella fortezza perché egli è un Falco, il Sacro Incaricato di condurre il Frutto nell’Eden da capo a capo di questa terra maledetta da Dio. Assieme al suo compagno, egli viaggia di città in città rischiando ogni particella del suo essere in un tracciato che non avrà mai fine. Elena, temevo che se avessi saputo che Gabriel era di tuo stesso sangue, avresti fatto di tutto per fargli rinunciare all’incarico, e trovare qualcuno di affidabile come quel giovane assassino è stata un’impresa più che ardua. Egli ha le capacità per vivere allungo nel deserto senza bere e mangiare, il suo fisico forte e allenato ha passato incolume le tempeste delle tempeste e non avrei voluto interrompere la catena proprio ora che pensavo di avere tra le mani la vittoria-.
I Falchi…
Aveva ragione. Forse Gabriel era davvero il ragazzo con quelle doti che l’avrebbero portato più lontano di altri nel suo compito. Suo fratello… un Falco. Le ci volle parecchio, parecchio tempo trascorso in un silenzio interdetto e meravigliato per poter realizzare a pieno quelle parole. Il pieno non si fece attendere, perché gli occhi le luccicarono.
-Lui… rischia la vita per… il Frutto?- balbettò.
-Sì, ogni giorno. Agguati, assalti, e la stessa madre natura che spinge i soldati di Corrado vi è contro a questi due folli. Elena, mi è abitudine chiamarli folli perché la scelta che hanno preso entrambi, Gabriel e Amir, è di nobili radici. E l’appellativo “folle”, per me è simbolo di immensa saggezza…- il vecchio spostò lo sguardo sull’assassino nascosto nel buio, e Altair accennò un sorriso.
-Ti è più chiaro, ora?- proferì allegro Tharidl camminando su e giù per la sala. –Mi vedi ancora come un pazzo che detta ordini senza sapere a chi e cosa va incontro? Elena, avresti tentato di fermare tuo fratello se te l’avessi detto prima?- chiese tranquillo.
-È probabile- rispose in un sussurro. –Ed ora capisco, e avete ragione… come sempre- assentì.
Ora le era possibile scorgere sotto la scrivania poiché Tharidl si fosse allontanato da essa.
Buffo, pensò Elena notando un secchio di legno tenuto discosto sotto lo scranno. Sembrava contenere del ghiaccio o della neve fresca, e vicino ad esso c’erano degli asciugamani bianchi e uno straccio. Poi, altro particolare che la colpì, fu il guanto posato sul tavolo. Vi era allacciato il meccanismo della lama nascosta che la ragazza riconobbe bene, e sul dorso vi erano le placche di metallo che più volte Elena aveva notato al polso sinistro del suo maestro d’armi.
In fine, un pugnale, adagiato sopra alcune vecchie pergamene; ma non vi era altro sulla scrivania, che sembrava essere stata sgombrata per l’occasione.
Tharidl la squadrò chiuso in un orribile e fastidioso mutismo.
C’era dell’altro? Ovvio.
Indizi, si disse… il secchio di neve, gli asciugamani, il pugnale e il piccolo e minuto guanto con la lama nascosta. Erano tutti indizi. Possibile che… no, non poteva essere… perché dopo così tanto tempo trascorso in riposo, Tharidl la chiamava al dovere in quel modo violento?! Ricominciavano così le sue dure giornate di allenamento e i suoi sali-scendi da una torre all’altra di Acri? Era quello il primo passo per tornare alle calcagna di Corrado?
Non poteva crederci. Era assurdo che il suo vecchio Gran Maestro desiderasse questo per lei.
Elena si trovava nel posto giusto al momento sbagliato.
Doveva scappare, dire di no e andarsene alla svelta! Altair le aveva detto che le sarebbe stato possibile scegliere. Ebbene, lei aveva deciso di rimandare.
Non ora che una nuova stagione stava spazzando via i ricordi di quella precedente! Non ora che indossava delle vesti linde, e non ora che la sua mano sinistra aveva appreso neppure il necessario per sopportare tale dolore!
Tharidl si volse verso l’assassino, ignorando l’espressione spaurita della ragazza.
-Dunque?- domandò composto il vecchio.
Altair alzò il mento fiero. –Non dovete chiedere a me, Maestro- rispose lui.
-Ella non è ancora pronta per prendere alcuna decisione. Troppo piena della sua giovinezza, ho sbagliato a conferirle tale fiducia. Ho avuto modo di scoprire da me molte cose, ultimamente, quindi vorrei che prendeste voi una decisione per lei- sbottò Tharidl, improvvisamente furioso.
E così Elena non veniva reputata degna di decidere delle sue dita?! Assurdo, maledettamente assurdo… che cosa aveva fatto per meritarsi quello? Forse Tharidl davvero aveva scoperto qualcosa, ed Elena pensò di nuovo a Marhim, ma ancora prima a Rhami. Ma che cavolo!
Tharidl si distrasse un secondo, andando a scrutare fuori dalle vetrate con le braccia conserte. –Chiedo a voi, Altair. Confido che sappiate scegliere cosa è giusto per lei, ora… ma vi rammento che in futuro potrebbe non esserci modo di agire…- proferì contenuto.
La ragazza scattò di lato, allungò un passo verso le scale, era quasi per lasciare la stanza, quando il suo insegnante d’armi l’afferrò per i fianchi e la strinse a sé, inchiodandola dov’era.
-Sta’ calma- le sussurrò all’orecchio, ed Elena s’irrigidì. –Andrà tutto bene, ma è importante che lasci fare a me- aggiunse soave.
Elena gli lanciò un’occhiata, lo vide sorridere e se ne stupì.
Tharidl Lhad voleva affettarle un dito e il suo maestro era così tranquillo? Forse Altair avrebbe provveduto lui stesso a tirarla fuori da quella situazione, ma non ci contò poi tanto.
Era la sua vicinanza ad infonderle tanta sicurezza? Era il calore del suo petto e delle sue braccia che le cingevano le spalle a darle nuovo vigore? Oppure era stato solo il suono delle sue melodiose parole a rassicurarle il cuore e a rallentarne i battiti, che nel momento in cui l’aveva sfiorata erano andati alle stelle.
Altair la lasciò, ed Elena si riebbe della forza delle proprie gambe, sentendosi però mancare il conforto del suo maestro, che si allontanò di qualche passo.
Elena strinse i denti, voltandosi lentamente a guardare il vecchio.
Questo osservò muto come la ragazza riacquistava compostezza di fronte a lui, e passò una mano sul guanto poggiato sul tavolo. –Non possiamo aspettare. I nostri impegni e doveri si stanno accavallando, e non possiamo permetterci altri rinvii e ritardi. Elena, ti ho concesso abbastanza tempo per pensare da te a quello che ti sarebbe spettato un giorno di questi. Oggi giunge il momento in cui viene a dimostrare la tua fedeltà alla setta- proferì tornando con gli occhi su di lei.
-Fedeltà?- eruppe Altair all'istante, e la ragazza stette in silenzio smarrita.
Tharidl inarcò un sopracciglio.
Altair avanzò a sguardo basso. -La chiamate fedeltà?- continuò - Quell’arma non è certo dovuta alla fedeltà al credo! Non è certo per atto morale che ci viene fatto quel che deve essere fatto! È una questione di comodità alla pratica di quell’oggetto, ed oggi voi parlate di fedeltà? Vi rifugiate dietro a delle farse pur di far acconsentire Elena a tagliarsi un dito?!- ruggì. –E cercate di confondere anche me?!-.
Elena sgranò gli occhi e sentì mancarsi il fiato. Era vera, la storia del dito era vera… non riuscì a crederci. Più che altro non volle crederci. Non concepiva il fatto che Tharidl la odiasse a tal punto! Lui che l’aveva sempre protetta e le aveva offerto sempre il meglio. Perché d’un tratto pretendeva tanto da lei?
I tempi si stringevano, giustamente dovevano agire al più presto. Corrado si apprestava a divenire Re del Regno di Gerusalemme, con al suo fianco Isabella e la sua piccola Maria, ed era ora di affrettare ogni cosa. Capiva il timore di Tharidl, comprendeva che in quei giorni fosse occupato e messo sotto pressione oltre il dovuto.
-È un segno, una devozione alla causa che ho appreso essere essenziale! Al Mualim me ne parlò in persona- ribatté il vecchio.
Altair soffocò una risata. –Al Mualim era un vecchio pazzo che voleva al più presto raggiungere i suoi scopi! Le sue parole di promesse e “fedeltà al credo” erano vuote fin dal primo momento in cui sedette a quella scrivania!- obiettò l’assassino.
-Vedila come vuoi, ragazzo, ma abbiamo già discusso del perché ella ha bisogno di quest’arma e subito!- eruppe Tharidl indicando prima il guanto e di seguito lei. –Forza Elena, avvicinati. Sono certo che hai compreso a dovere e sei pienamente d’accordo. Avvicinati, cara-.
Prima che Elena potesse muovere un muscolo, Altair le si parò davanti e Tharidl batté un pugno chiuso sul tavolo.
-Basta!- gridò il vecchio.
L’assassino prese un gran respiro e curvò le spalle.
-Vattene, ho detto. Ti sei reso complice abbastanza, puoi andare- sibilò con più calma.
Elena osservò la rassegnazione farsi largo sul volto del suo maestro, mentre questo le volgeva un ultimo sguardo.
-Avete detto che potevo prendere parte alla vostra decisione attivamente- sottinse guardandola, ma quelle parole erano riferite al Gran Maestro, che sedette alla scrivania pesantemente.
Elena piantò i suoi occhi azzurri in quelli neri e profondi del suo insegnante, fin quando egli non aggiunse voltandosi verso il vecchio: -Non è obbligata certo da voi, non ha bisogno di tutto ciò e le basterà stare a guardare…- disse solo.
Tharidl poggiò i gomiti sul tavolo. –Ne abbiamo già discusso, adesso va’-.
Altar fece per avviarsi, ma Elena lo afferrò per la manica della veste. –No- mormorò lei.
L’assassino lanciò un’occhiata stupida al vecchio, poi strinse la mano di Elena avvinghiata alla manica della veste nella sua. –Ora esageri- le sorrise.
Elena restò seria, respirando cauta e, con le dita della sua mano sinistra ancora stretta tra quelle del suo maestro, si voltò a guardare il vecchio.
-Sono stata in silenzio a guardare anche abbastanza, e ho capito a cosa vi riferite entrambi. Ho avuto modo di comprendere che quell’arma è dedita solo ai meritevoli della setta, ed io… come Dea e come mio volere, non ho intenzione di raggiungere il rango superiore a quello che ho adesso. Insomma… no, non voglio quell’aggeggio!- sbottò.
Sul volto del suo maestro si disegnò un ampio sorriso soddisfatto, e la presa attorno alla mano di lei si fece più stretta.
Elena cercò di non farsi distrarre da quel contatto e proseguì. –Vi prego, Maestro. Non ho bisogno di uccidere, ma se proprio devo non è con la lama nascosta che debbo raggiungere il mio scopo. Vi supplico, voi che avete sempre pensato al mio bene! Voi al quale vi ha affidato mio padre, vi prego…- mormorò affranta.
Tharidl tacque, e con lui l’assassino al suo fianco, ed Elena si girò a guardarlo.
Altair soffocò il suo sorriso che divenne una smorfia, prese fiato e lasciò la mano di lei. –Avete le vostre conferme, Tharidl. Oggi non mi contrappongo al vostro volere, ma vi impongo di ascoltare il suo- disse. -Se ella intende rinunciare all’incarico, è un suo desiderio, e non potete interferire in questo- proseguì sicuro.
Tharidl ridacchiò. –Ma ella non sa neppure di che incarico si tratta!- rise.
Elena avanzò. –State parlando di un omicidio? Be’, allora… Corrado… quando morirà assisterò in disparte, come era previsto che facessi. Dopo tutto, avete affidato ad Altair l’impegno di…- le parole le morirono nella gola, nell’istante in cui si accorse che i due uomini la fissavano seri.
La ragazza sbiancò. –Non…- balbettò. –Non avevate mica…- esitò indietreggiando. –Non avevate intenzione di… io… avrei dovuto ammazzarlo io?- la voce le veniva meno, e la testa cominciò a girarle.
Giunta con le spalle al parapetto del piano, si appoggiò completamente ad esso, sconvolta.
Era quella la verità. Tharidl le stava affidando il compito di prendere parte attivamente ad indagini e omicidio. Una volta ottenuta la lama nascosta, sarebbe stata la sua a trafiggere la carne di Corrado, la sua lama a mettere fine alla sua vita, e Tharidl… confidava in lei.
-Elena!- Altair le venne al fianco. –Non farti pervadere dalla rabbia! È il suo scopo, egli ti sta assegnando questo compito solo al fine di dannarti per sempre! È una trappola…- mormorò inquieto.
Tharidl si alzò spostando rumorosamente lo sgabello. –Adesso basta; Altair, puoi andare- dichiarò.
-Vile… guarda che cosa le hai fatto!- digrignò l’assassino.
Elena si strinse nelle braccia e si sollevò dal parapetto. Andò verso il tavolo e puntò i suoi occhioni di cristallo sul vecchio. –E sia…- disse.
Tharidl annuì soddisfatto, mentre Altair osservava in silenzio sconvolto.
L’assassino si passò le mani sul volto. –Dov’è finito il tuo onore?!- gli gridò contro. –La stai colpendo dove è più vulnerabile! Guardala! Elena, hai gli stessi occhi di quando Al Mualim usò i poteri del Frutto sulla gente della città! Sono vuoti e offuscati dalla collera! Elena, ascoltami!- provò ad avvicinarsi, ma Tharidl alzò una mano.
-Non ti conviene, se non vuoi rischiare grosso- proferì serio.
Elena non sapeva che fare, che aggiungere o che dire. Combattuta tra rabbia e paura, dava troppo poco ascolto alle parole del giovane suo insegnante, senza lasciar spazio alla ragione, colma di dolore.
Ma Altair aveva ragione, i suoi occhi erano vuoti… e lei, sopraffatta da una seconda coscienza, non poté ribellarsi.
-Non interferire. Ha fatto la sua scelta, ed era giusto che nelle mani avesse ogni tassello del puzzle. Saresti stato tu l’unico ad imbrogliarla se ella non avesse saputo di quale uomo avrebbe dovuto occuparsi. Ora è libera di cambiare idea, ma come vedi non lo farà…- enunciò Tharidl composto, ed Elena strinse i pugni.
-Permettetemi almeno- mormorò Altair avvicinandosi. –Di restare- aggiunse rassegnato.
Elena si girò a guardarlo, e lo colse più vicino a lei di quanto si aspettasse.
-Elena?- la chiamò il vecchio.
La ragazza annuì. –Sì, vi prego…- sussurrò. –Voglio che resti-.
-Bene, allora avvicinati. Vorrei che tu lo provassi prima di iniziare- dichiarò, ed Elena si avvicinò alla scrivania.
Fu Altair ad aiutarla ad allacciare ogni cinghia del guanto, che divenne a tal punto a stretto contatto con la sua pelle, che quasi il peso del meccanismo era nullo. Lo sentiva già parte di sé, sentiva quell’arma già parte del suo passato, presente e futuro.
Altair le mostrò come innescare il meccanismo, che partiva con un lieve tocco del mignolo. La lama venne fuori di colpo, scattante, pulita, brillante e ancora pura come la sua nuova padrone.
Dopodiché, ad Elena venne chiesto di privarsene, e lì ebbe inizio l’agonia.
Il vecchio issò sul tavolo il secchio di neve e vi distese accanto un asciugamano.
Elena ammirò ancora una volta la perfezione della simmetria delle sue dita, una delle quali presto avrebbe perduto.
Il vecchio le fece addormentare tutta la mano lasciando che la neve gelida arrestasse la circolazione. Quando perse la sensibilità dei polpastrelli, la ragazza fu attraversata da un brivido. E l’incoscienza dei suoi muscoli si allungò tra le ossa, avvolgendo centimetro dopo centimetro prima le dita poi l’intera mano.
Dopo poco, trasse dal cesto l’arto addormentato e quella sensazione le diede un fastidio smisurato. Tremava, ovviamente, ma erano tremori di freddo. Ormai i timori erano stati cancellati dalla voglia di combattere e arrivare fino all’ultimo, spingersi oltre il limite del dolore e ottenere per “mano” sua la morte di Corrado.
Elena lanciò un’occhiata al guanto fino e magro adagiato in disparte. Prese un gran respiro e aprì il palmo sinistro sfiorando appena il tessuto dell’asciugamano, che il tatto assente non riconobbe.
Che cosa ne avrebbero fatto del suo dito? Si chiese, e un sorriso divertito le affiorò sulle labbra.
-Pronta?- domandò Altair guardandola dall’alto.
Elena annuì di nuovo e lentamente, con un braccio teso sul tavolo, si avvicinò al petto del suo maestro. Si avvinghiò a lui affondando il viso nell’incavo del suo collo; una guancia poggiata sul cappuccio che portava abbassato.
Altair s’irrigidì scoccando uno sguardo sorpreso al vecchio.
Tharidl sorrise commosso. –Va bene così- bisbigliò.
L’assassino alzò gli occhi al cielo e ricambiò il dolce abbraccio della sua allieva. La strinse a sé avvolgendole le spalle e accarezzandole i capelli.
Il tempo sembrava essersi fermato. Tharidl assemblava i preparativi, e dovevano fare in fretta o il sangue avrebbe ricominciato la sua corsa svegliando la mano.
Il tocco della lama fu improvviso, più gelido della neve nella quale aveva affondato le dita. Veloce, agile… Tharidl le tagliò così un dito.
Elena soffocò il grido riempiendo di lacrime la veste del suo maestro. Singhiozzò senza sosta, strinse con violenza il tessuto bianco della tunica e cercò di darsi un contegno.
Quale contegno? Tra i suoi denti non aveva neppure un legnetto da stringere, piuttosto avvertiva il calore freddo del corpo del suo maestro così vicino al suo.
Tharidl le fasciò la mano e lei non volle assistere a nessuno dei suoi gesti. Piuttosto cercò ulteriore riparo tra le braccia di Altair, che la sentiva diventare sempre più rigida e scossa da brividi continui.
Quando Tharidl ebbe finito con le bende, Elena perse totalmente il controllo.
Il taglio pulsava sia nel corpo che nello spirito. Gridò con quanto fiato avesse pur di liberarsi di quel peso, e le sue urla s’infransero tra le mura della fortezza, raggiungendo gli alloggi degli Angeli, gli appartamenti delle Dee e il cortile interno nel quale si stavano allenando due assassini.
   
 
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