Capitolo
11: UDG
Rachel si
precipitò con il cuore in gola verso il fondo del magazzino.
Si maledisse per essere così sfortunata. Com’era
possibile che avevano appena
trovato quel posto e già stava succedendo
qualcos’altro?
Non
doveva fidarsi di quel Kevin, ora l’aveva capito. E
probabilmente
Amalia stava pensando la stessa cosa, mentre correva con la pistola in
mano
accanto a lei.
Ma non
appena raggiunsero il luogo da cui era provenuto il tonfo,
Corvina realizzò che tutti quei problemi mentali che si era
fatta erano
infondati. Tara e Ryan erano là, in piedi, illesi e sereni
in volto. Ai loro
piedi si trovava un materasso, ancora avvolto
nell’imballaggio.
«Ti
avevo detto di fare attenzione» lo rimbrottò la
bionda, mentre il
rosso si grattò dietro alla testa, imbarazzato.
«Lo
so, ma è scivolato...»
Non
appena udì le loro voci, Rachel sentì i propri
nervi sciogliersi. Non
erano stati rapiti, non erano in pericolo di vita, nessun
malintenzionato era
entrato nel magazzino... insomma, non tutti i rumori ambigui
rappresentavano
necessariamente il male assoluto.
«Ragazzi!»
esclamò Amalia, che a differenza di Rachel parve piuttosto
infastidita. «Che cosa diavolo state combinando?! Abbiamo
sentito un rumore
provenire da qui!»
I due si
voltarono verso di loro, sorpresi. Non sembravano averle
notate fino a quel momento.
«Beh,
abbiamo trovato un materasso ancora imballato e volevamo
spostarlo, ma Ryan l’ha fatto cadere»
spiegò Tara.
«Non
l’ho fatto apposta!» protestò ancora il
ragazzino.
«Quindi...
nessuno stava cercando di uccidervi?» domandò
ancora
Komand’r, cauta.
«Ehm...
credo di no...» rispose la bionda, guardandola perplessa.
«Oh...
ok...» Amalia sembrò riuscire a respirare
regolarmente solo
dopo aver udito quelle parole.
«Ehi,
l’avete vista l’area relax dei
dipendenti?» chiese ancora Ryan,
illuminandosi all’improvviso.
«No.»
«Allora
venite, forza!»
Il
ragazzino le guidò verso una porta sul fondo del magazzino.
Non
appena la aprì rivelò al suo interno
un’ampia stanza, con dei divanetti,
qualche tavolo, un televisore fissato contro un angolo in alto e un
piccolo
ripiano con un forno a microonde e un frigorifero.
«Cavolo...»
commentò Rachel. Certo che lì i dipendenti un
tempo
avevano dovuto trattarsi piuttosto bene.
«Vedete? Qui
c’è praticamente
tutto quello che ci serve!» esclamò Ryan,
muovendosi dentro la stanza ed
allargando le braccia.
«Che
ci serve per cosa?» lo interrogò Amalia, apparendo
piuttosto
scettica.
Fu Tara a
rispondere al posto del rosso, ma prima di farlo,
ovviamente, si scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
«Nel caso in cui
dovessimo fermarci qui per più del dovuto. Meglio prevenire
che curare, no?»
«Non
staremo affatto qui più del dovuto. Ne stavamo giusto
parlando
prima io e Roth. Ce ne andremo da Sub City al più presto.
Non voglio avere
nulla a che fare con la gente di questo posto un solo istante
ancora.»
«Ma...
Dreamer aveva detto che lasciare la città non è
molto semplice...»
«Tutte
idiozie.» Amalia indicò fuori dalla porta,
accigliata. «Hai
visto posti di blocco o roba simile mentre venivamo qui? Io no. Ci
serve solo
una macchina e poi...» Abbassò il braccio, un
sorriso soddisfatto apparve sul
suo volto. «Liberi, di nuovo.»
«Se
fosse così facile perché i Visionari ci avrebbero
rapiti?» le
domandò ancora Tara. «Perché avrebbero
voluto così disperatamente l’aiuto di
Rachel?»
«Quei
tizi sono fuori di testa, ecco perché.»
«Dreamer
ha detto che saremmo tornati a chiedere il suo aiuto...»
«Nei
suoi sogni, magari.»
«Tara
ha ragione, Komi» si intromise Ryan, portandosi accanto alla
bionda. «Meglio non prendere le cose sottogamba. Potrebbe
finire male.»
Amalia
roteò gli occhi, quasi esasperata. «Dio, quante
stronzate che
mi tocca sentire. Mi sembrate quasi quel paranoico di
Rosso...»
Rachel
fece una smorfia. Poco prima Komand’r aveva creduto che suo
fratello fosse in pericolo di vita solo perché aveva sentito
un rumore, e ora
lei dava a Lucas del paranoico?
Certo,
forse Ryan e Tara stavano esagerando, ma una parte di lei le
suggeriva che forse avrebbe dovuto dare loro ragione. Il coprifuoco,
Dreamer, i
Visionari, Kevin, gli Underdog e Wilson, chiunque essi fossero. Sub
City...
aveva decisamente qualcosa che non
quadrava. Era meglio non abbassare la guardia.
«Un
momento, ma Rosso dove diavolo è finito?»
La
corvina sgranò gli occhi sentendo quella domanda. Si
voltò verso di
Amalia, la quale sembrava spaesata tanto quanto lei. Aveva detto che
sarebbe
uscito solo per controllare il cortile, ma ora era già da un
po’ che non
tornava...
Si
voltò verso la porta. Cercò di mantenere la
calma, considerando
anche che giusto un attimo prima si era preoccupata nonostante non ci
fosse
stato assolutamente nulla di cui preoccuparsi. Uscì dalla
stanza, con passo
moderato, senza dire una parola.
«Roth,
ma dove...» Amalia la chiamò, ma ormai la corvina
era già
lontana.
La
conduit attraversò l’intero magazzino, lottando
con ogni fibra del
suo essere per tentare di non mettersi a correre, poi uscì.
Camminò nel
cortile, guardandosi intorno per cercare tracce del suo amico. Fece per
chiamarlo, ma poi frenò la lingua. Meglio non mettersi ad
urlare lì, in quel
momento.
Cercò
in ogni direzione con lo sguardo, ma di Lucas nessuna traccia.
Ecco, ora
posso preoccuparmi.
«Ehi,
Roth! Che diavolo stai...»
Rachel si
voltò, zittendo Amalia con un cenno. «Lucas non
c’è.»
Komand’r
storse la bocca in un’espressione preoccupata.
«Cosa? E dove
sarebbe andato?»
«Non
lo so. Aveva detto che sarebbe uscito un attimo, ma qui non lo
vedo da nessuna parte» disse, cercando di mantenere il
controllo.
«Non
può essere lontano» disse Tara cauta, tirando
fuori il cellulare
e pigiandoci sopra le dita. «Provo a chiamarlo.»
Corvina
fece di tutto per non cominciare a mangiarsi le unghie per la
tensione, mentre la bionda si portava l’apparecchio
all’orecchio. Se l’era
sentito dentro che c’era qualcosa che non quadrava, poco
prima, ma non avrebbe
mai pensato che quella cosa riguardasse proprio Lucas. Eppure... si era
comportato in maniera troppo strana, poco prima. Che fosse scappato? Il
solo
pensiero fece venire i brividi alla corvina. No, non poteva averlo
fatto
davvero. Non poteva averla abbandonata in quel modo. Era impossibile.
«Pronto?
Lucas?» domandò Tara all’improvviso,
dopo quelle che parvero
eternità. L’attenzione di tutti i presenti si
focalizzò su di lei
all’improvviso. «Dove sei? ... Che cosa?! Ehi, no,
non riattacc...»
La bionda rimase con lo
strumento premuto sull’orecchio per qualche istante, come in
trance, poi lo
abbassò. «Mi ha chiuso il telefono in
faccia...»
«Ma
che ti ha detto?» interrogò Rachel, ansiosa della
risposta.
Tara
sospirò. «Che non poteva parlare e che avrebbe
richiamato lui...
e che quindi dobbiamo aspettare qui e non andarcene per nessuna
ragione...»
Rachel
dischiuse le labbra. Si posò una mano sulla fronte e diede
le
spalle a tutti loro. Non credeva alle proprie orecchie.
Ciò
che disse Amalia riassunse perfettamente la situazione:
«È
incredibile!» Il tono a metà tra
l’incredulo e lo scocciato cascava alla
perfezione. «Ma che diavolo ha in testa
quell’idiota?! Bah, spero che non torni
più!»
Se ne
ritornò nel magazzino con passo pesante e la mascella
serrata.
Gli altri
tre la seguirono con lo sguardo, fino a quando non svanì
dalla vista. A quel punto, Ryan domandò: «Lucas
tornerà, giusto?»
«Lo
spero per lui» replicò Rachel, altrettanto
infuriata con il moro. «Perché
se non lo fa, lo vado a prendere io.»
E detto
quello, seguì la mora dentro all’edificio.
Lucas,
giuro che se scappi o ti metti nei guai ti ucciderò io con
le mie mani. Non è
una minaccia, è una promessa.
***
Cominciarono
quasi a perdere le speranze. Anzi, più che altro fu
Rachel a fare ciò.
Sei di
sera. Di Lucas, ancora nessuna traccia. Tara aveva provato a
richiamarlo più volte, sempre senza successo. Gli aveva
scritto, intasato la
segreteria di messaggi vocali, ma nessun risultato.
Il buio
ormai era sceso. L’atmosfera nelle strade attorno al
magazzino
si era fatta ancora più tetra. Come se non bastasse, avevano
finito le scorte
di cibo a pranzo.
Era ormai
certo che avrebbero passato la notte lì. Avevano trovato
diversi materassi ancora imballati, e c’erano anche i
divanetti nell’area
relax, ma senza coperte non se ne facevano nulla, visto che il
riscaldamento
non funzionava.
Se non
altro, almeno c’era l’elettricità, ma
solo dopo che Ryan aveva
smanettato con il quadro elettrico. Per fortuna il ragazzino aveva
fatto
l’istituto tecnico, prima di trasferirsi in America. E per
fortuna c’era ancora
l’allaccio, o sarebbero rimasti al buio anche lì.
Rachel
non aveva smesso di lanciare occhiate alla finestra,
preoccupata. E più passavano i minuti, più si
accorgeva dell’oscurità che
scendeva inesorabile, più il conflitto con sé
stessa si faceva intenso. Era
combattuta tra il desiderio di andare a cercarlo e la fiducia che il
telefono
di Tara potesse squillare da un momento all’altro.
Aveva
ormai spazzolato via metà delle sue unghie quando quella
maledetta suoneria trillò all’impazzata, facendoli
trasalire tutti. In quel
silenzio carico di tensione che si era formato nell’area
relax, quella
musichetta era sembrata una cannonata.
«È
lui!» esclamò Tara osservando il display, per poi
rispondere in
fretta e furia. «Lucas! Che sta succedendo?!»
Qualunque
cosa rispose, doveva essere qualcosa di grosso, perché la
bionda rimase a bocca semiaperta. Allontanò il telefono
dall’orecchio, per poi
spostare lo sguardo sui suoi amici.
«Che
diavolo ti ha detto?!» domandò Amalia, alzandosi
dal divano di
scatto.
«Che
dobbiamo raggiungerlo nel cortile di una fabbrica a qualche
isolato da qui.»
«Quale
fabbrica? Qui ce ne sono un casino!»
«Ha
detto che ci sono due alte ciminiere e che è impossibile
sbagliare, e che...» Tara esitò per un attimo, poi
aggiunse: «... che non ha
molto tempo. E, beh, dal tono che aveva non sembrava che stesse
mentendo.»
Amalia
rimase interdetta. Spostò lo sguardo su Rachel,
probabilmente
in cerca di una sua reazione. Reazione che non giunse,
perché la corvina era
senza parole proprio come lei. Una sola domanda affiorava nella sua
testa,
ovvero che cosa diavolo avesse combinato quell’idiota.
«Dobbiamo
andare a vedere» decise alla fine Komand’r, prima
di perdere
ulteriore tempo.
«E
se fosse pericoloso?» domandò Tara.
«Insomma, perché avrebbe dovuto...»
«Andiamo
solo io e Roth» la interruppe la mora, estraendo la sua
pistola dalla tasca del cappotto. Smontò il caricatore e
controllò che fossero
presenti dei proiettili, poi annuì e lo richiuse. Si
voltò verso di Rachel. «Andiamo.»
La
conduit annuì. In effetti non c’erano molte strade
da prendere, a
quel punto. «Sì, va bene.»
«Voglio
venire anch...» Ryan cercò di alzarsi dal divano,
ma la
sorella lo liquidò di netto con un gesto secco della mano.
«Tu non farai un bel
niente.»
«Ma...»
«Niente
ma! Resta qui e fine della discussione!»
Il rosso
la osservò con un’espressione mista tra
l’incredulità e
l’esasperazione, poi si risedette pesantemente sul divano.
«È incredibile...»
mugugnò contrariato, venendo tuttavia ignorato dalla
maggiore.
Amalia
uscì dalla stanza, passando accanto a Rachel.
«Forza, diamoci
una mossa. E tu...» fece ancora, voltandosi verso di Tara ed
indicandole il
ragazzino sul divano. «... tienilo
d’occhio.»
«Vorrai
scherzare!» esclamò ancora il rosso, venendo
ignorato una
seconda volta.
Corvina
si sforzò di ignorare l’espressione corrucciata di
Ryan,
quella più perplessa di Tara e la discussione appena
avvenuta tra il rosso e la
sorella. Si limitò semplicemente a seguire la mora fuori
dalla stanza.
***
Per tutto
il tratto di strada che percorse correndo accanto ad Amalia,
Rachel non smise di domandarsi perché diavolo stesse facendo
tutto quello. Cosa
cavolo era preso a Lucas, perché era sparito in quel modo e
perché ora le stava
facendo uscire allo scoperto in quel modo in quella città
che nemmeno
conoscevano, dopo tutti gli avvertimenti ricevuti da chiunque avessero
incontrato?
Era forse
impazzito? Rachel sperò di no, ma una parte di lei lo temeva
almeno un po’.
«Ecco,
le due ciminiere» disse Amalia all’improvviso,
indicando verso
l’alto le due alte torri nere e sottili, le quale svettavano
al di sopra di
quella landa desolata formata da grosse fabbriche grigie abbandonate.
Rachel si
era quasi dimenticata della presenza della mora. Fino a quel
momento non aveva più detto una parola, ma le fu di conforto
sapere che ci
fosse anche Komand’r insieme a lei.
Raggiunsero
l’ingresso della fabbrica. Il grosso cancello sembrava
essere stato aperto con la forza bruta, ma a giudicare dalle sue
pessime
condizioni era chiaro che ciò fosse accaduto molto tempo
prima del loro arrivo
a Sub CIty.
Entrarono
nel perimetro della struttura, mettendo piede nel
fantomatico cortile dove avrebbero dovuto incontrare il ragazzo. Una
fitta rete
di tubature e passerelle sopraelevate passava sopra le loro teste,
diramandosi
in tutte le direzioni e coprendo praticamente tutta l’area,
per poi smarrirsi
all’interno dei grossi edifici grigi.
Procedettero
rallentando il passo, guardandosi attorno con la massima
attenzione, fino a quando non udirono una voce molto familiare
chiamarle: «Ehi!
Amalia, Rachel!»
Le due
ragazze si voltarono verso la medesima direzione e videro
sbucare fuori dall’ombra la figura di una persona che
riconobbero all’istante.
«Lucas!»
«Rosso!»
Corvina
si sentì parecchio sollevata quando lo vide. Certo, era
ancora
infuriata per come se n’era andato senza dire nulla a
nessuno, però se non
altro sembrava stare bene.
Amalia
invece non sembrava dello stesso avviso. «Rosso!»
esclamò
ancora, portandosi le mani sui fianchi, accigliata. «Ma che
cosa diavolo ci
facciamo qui?! E dove sei stato per tutto questo...»
«Sentite,
non ho molto tempo» la interruppe lui, zittendola.
«Dovete
seguirmi e sbrigar... ma ci siete solo voi due? E Tara e
Ryan?»
«Ti
aspettavi che li avremmo fatti venire con noi in questo posto,
dopo il tuo strano comportamento?» domandò
Komand’r incrociando le braccia,
fredda.
Il
ragazzo dischiuse le labbra. Sembrò che stesse per replicare
qualcosa, poi liquidò la faccenda con un gesto secco della
mano. «Ah, al
diavolo. Forza, seguitemi.»
Cominciò
a correre, diretto verso una delle tante stradine che
conducevano verso i meandri della fabbrica. Amalia e Rachel lo
seguirono con lo
sguardo, per poi guardarsi tra loro perplesse. Una voce nella testa
della
corvina le suggerì che qualunque cosa Lucas stesse tramando,
era tremendamente
stupida. Ma aveva
altre scelte?
Con un
sospiro, partì all’inseguimento del partner. E
anche Amalia le
venne dietro senza dire una parola.
Più
seguiva il ragazzo, più Rachel si convinceva che quella
fabbrica
desolata e isolata dal resto dell’universo era proprio il
luogo ideale per una
rapina, uno stupro o una violenza ai danni di tutti loro, fino a quando
non raggiunsero
un parcheggio e si fermarono di fronte ad un furgone nero, spento.
Sulla
fiancata era verniciato un marchio giallo-arancione, costituito dalle
lettere
U, D e G incatenate tra loro. Un’aquila
del medesimo colore si stagliava alle loro spalle, distendendo le ali e
le
osservandole con il suo muso privo di tratti quasi come se stesse per
agguantarle con i suoi artigli. Vide Lucas avvicinarsi ad esso e aprire
le
porte posteriori, per poi farle cenno di avvicinarsi.
«Lucas,
ma cosa...» La corvina si avvicinò, seguita a
ruota da Amalia,
e non appena vide cosa il partner volesse mostrarle, sgranò
gli occhi.
Il retro
del veicolo... era straripante di dispenser pieni di
provviste, acqua, coperte, fucili d’assalto e perfino delle
casse di birra.
«Ok,
Rosso...» cominciò Amalia, interdetta, senza
staccare gli occhi
da tutta quella roba. «... comincia a spiegare.»
«Dopo.
Ora aiutatemi a scaricare tutta questa roba.» Lucas
salì sul
furgone e sollevò una cassa di birre, per poi voltarsi verso
di loro, questa
volta accigliato. «E datevi una mossa, visto che siamo solo
in tre...»
«Ma
perché tanta fretta? E non
potevi portare questo furgone fino al nostro magazzino?»
insistette ancora la
mora.
Lucas
sbuffò esasperato, scendendo e posando la cassa.
«Ma non
potresti startene zitta per una volta e aiutare?!»
domandò, mentre saliva una
seconda volta e raccoglieva una cassa con dell’acqua dentro.
«Ha
ragione, Lucas» si intromise Rachel, fermando Komi con un
cenno
della mano, prima che replicasse a tono. «Non puoi chiederci
di aiutarti in
questo modo dopo che sei sparito per tutto il giorno, è
assurdo!»
«Ok,
volete una spiegazione?» domandò lui a quel punto,
cominciando ad
alterarsi. Scese e posò pesantemente a terra la seconda
cassa. «Ho rubato
questo furgone a delle persone a cui non avrei mai dovuto rubarlo,
è probabile
che sopra ci sia piazzato un localizzatore ed è altrettanto
probabile che in
questo momento stiano triangolando la sua posizione, con noi qui
vicino. Vi
basta, o devo raccontarvi tutti i dettagli?»
Rachel
sentì le proprie orecchie fischiare quando finì
di udire quelle
parole. Rimase a bocca semiaperta, non sapendo nemmeno da dove
cominciare.
Dovette di nuovo dare merito alla vocina nella sua testa. Ancora una
volta ci
aveva azzeccato.
«Tu
cosa?!» lo interrogò Amalia con la voce
più alta di un’ottava,
atterrita.
«Te
l’ho appena spiegato. E adesso forza, datemi una
mano.»
Le due
ragazze si guardarono tra loro, mentre Rosso ricominciava a
scaricare la merce. «Non appena avremo finito farò
sparire il furgone, cosicché
non possano più risalire a noi. Semplice, no?»
Corvina
sospirò. Non era più in vena di discutere.
«Va bene,
sbrighiamoci...»
Fece per
salire sul furgone, quando diversi rumori provenienti dalle
loro spalle la fecero trasalire. Sembrava il rombo di diverse
automobili.
Si
voltò. Una mezza dozzina di luci provenienti dalla strada
dalla
quale erano arrivati la abbagliarono. Dei fanali.
«Che
sta succedendo?!»
La
risposta che udì dal ragazzo non le piacque per niente.
«Oh-oh...»
Cinque
fuoristrada grigi scuri apparvero alla loro visuale.
Viaggiavano talmente veloci che sembrava quasi che li volessero
investire
tutti, ma all’ultimo momento frenarono bruscamente,
fermandosi ad una trentina
di metri di distanza da loro tre. Sulle loro fiancate, Rachel
notò un simbolo
arancione che già aveva visto. Il suo cervello non ci mise
molto a fare due più
due.
Dai
veicoli scesero una decina di uomini, tutti armati fino ai denti,
con indosso un’uniforme mimetica grigia scura e giubbotti
antiproiettile. La
prima cosa che fecero una volta tutti radunati fu quella di dirigersi
verso i
tre ragazzi bracciando le armi. Alcuni di loro avevano i volti coperti
da dei
passamontagna, altri invece no, ma una cosa era certa: nessuno di loro
sembrava
avere buone intenzioni.
E quando
Rachel notò le lettere UDG stampate sui loro petti,
capì che
erano finiti in un bel guaio.
Quei tizi
non erano affatto come i Visionari di Dreamer, i Mietitori o
gli Spazzini. Erano chiaramente ad un livello superiore. Non erano una
banda di
criminali qualsiasi, sembravano un’organizzazione
paramilitare.
«Qualcuno
è venuto a reclamare la sua roba...»
mugugnò Amalia, prima
osservando i nuovi arrivati, poi scoccando un’occhiata
omicida a Lucas.
Il
ragazzo serrò la mascella, poi notò la mora
mentre alzava le mani
in segno di resa. «Che diavolo fai?!»
sussurrò.
«Aspetto
che la Roth ci tiri fuori da questo casino...»
«Cosa?!»
domandò la corvina, perfino più sorpresa di Red
X.
«L’hai
fatto con Dreamer, non vedo come tu non possa farlo anche con
loro...»
«Lo
so, ma...» Rachel si interruppe, poi sospirò. Per
la milionesima
volta fu costretta a porsi il solito quesito: aveva altra scelta? O
faceva
qualcosa, o si facevano tutti ammazzare. Dubitava che quei tizi li
avrebbero
dato una pacca sulle spalle e li avrebbero lasciati andare se
riavessero
consegnato loro il furgone.
Che ha
rubato Lucas..., pensò,
mentre una smorfia nasceva sul suo viso.
Inspirò,
poi abbassò il capo e cominciò a prepararsi.
Sentì i passi
degli uomini farsi sempre più vicini. Una voce
parlò: «Voi tre!» Il timbro era
grave, sicuramente era uno degli individui di fronte a loro.
«Siete in un’area vietata
all’accesso, state infrangendo il coprifuoco e avete rubato
uno dei nostri
furgoni, arrendetevi immediatamente e...»
Non
concluse la frase. Rachel sollevò la testa di scatto,
gridando a
pieni polmoni e allargando le braccia. La stessa esplosione nera che
aveva
usato contro i Visionari si attivò, scaraventando tutti gli
uomini di fronte a
lei a terra.
«È
una Conduit!» gridò uno di loro, rialzandosi in
piedi poco dopo e
puntandole addosso il fucile. «Uccidiam...»
Un raggio
nero lo centrò in pieno petto, mettendolo a tacere. E uno
era sistemato. Restavano gli altri dieci.
Rachel
cercò di sfruttare il vantaggio e di colpirli mentre erano
ancora a terra, ma riuscì a metterne fuori gioco soltanto
uno. Tutti gli altri
riuscirono a rialzarsi e a correre ai ripari dietro ai loro
fuoristrada, per
poi rispondere al fuoco.
Una
muraglia di pallottole si abbatté sui tre ragazzi. Lucas e
Amalia
si ripararono dietro al furgone, mentre Rachel si trasformò
in rapace e si
sollevò in aria, schivando la raffica mortale.
Cercò
di aggirarli. I proiettili fischiavano accanto a lei, altri la
colpivano perfino, ma per lei fu come ricevere una puntura di zanzara.
Fastidiosa, anche un po’ dolorosa, ma non mortale. Certo, se
l’avessero
crivellata per dei minuti interi anche lei sarebbe morta, ma fino a
quando
avrebbe continuato a volare non avrebbe corso rischi troppo gravi.
Il buio
della notte alimentava il suo potere, e il corpo da rapace era
una garanzia contro le armi degli uomini.
Li
aggirò e scese in picchiata su uno di loro. Quello
gridò quando
vide la figura nera precipitarsi su di lui. cercò di
respingerla, ma la ragazza
fu più veloce e lo colpì con quanta
più forza possedesse, spedendolo contro la
portiera di uno dei cinque veicoli e accartocciandola.
Concentrò
poi la sua attenzione sugli altri, giusto un secondo prima
che due di loro crollassero a terra all’improvviso. Rachel si
voltò e notò con
enorme sorpresa Amalia con un fucile d’assalto in mano, con
la canna ancora
fumante.
A quel
punto, gli UDG rimasti non seppero più da che parte
voltarsi.
Lucas
piombò fuori dal nulla all’improvviso e ne
atterrò altri due.
Gli ultimi rimasti cercarono allora di sparargli, ma Rachel si
avventò su di
loro, colpendone alcuni o distraendoli e lasciandoli in piena balia di
Red X e
del fucile di Komand’r.
Non
appena tutti gli uomini furono sistemati, un silenzio irreale si
generò.
«E
questi pagliacci chi credevano di spaventare?»
domandò Amalia,
avvicinandosi ad uno dei corpi e punzecchiandolo con la punta del
piede.
Ridacchiò. «Idioti...»
Rachel
sospirò. Non se la sentì di dire alla compagna
che se lei non
fosse stata una conduit, probabilmente non sarebbero riusciti a
scamparla. E
inoltre, la situazione era molto più grave di quello che
sembrava.
Ora
sì che l’avevano fatta grossa. Avevano appena
eliminato quegli
uomini, rubato uno dei loro furgoni e perfino fatta franca. Dubitava
che le
loro azioni sarebbero passate inosservate a persone di rango maggiore
rispetto
a quei tizi che aveva appena sconfitto.
«Tutto
ok Rachel? Ti hanno colpita?» le domandò Lucas
all’improvviso,
facendole distogliere l’attenzione da quei pensieri.
La
ragazza si voltò verso di lui, rivolgendogli un cenno del
capo. «Sto
bene, tranquillo.»
Il suo
socio annuì, per poi sgranare gli occhi
all’improvviso. «Attenta
alle spalle!»
«Cos...»
Rachel si voltò sorpresa, per poi essere colpita in pieno
volto dal calcio di un fucile. Gridò di dolore e cadde a
terra, coprendosi il
naso con una mano.
Sollevò
lo sguardo e vide la canna dell’arma puntata contro di lei,
più lo sguardo infuriato dell’uomo che la teneva
in mano. Lo vide avvicinare il
dito al grilletto, ma Lucas piombò su di lui
all’improvviso, disarcionandolo e
sferrandogli un pugno.
Quello
mugugnò di dolore e barcollò, il fucile gli cadde
di mano, ma
ci mise poco a riprendersi. Evitò un altro colpo di Rosso,
poi afferrò il
ragazzo per le spalle e lo scaraventò contro la portiera di
uno dei
fuoristrada, distruggendo un finestrino. Si fiondò su di lui
e cominciò a
riempirlo di pugni allo stomaco, facendogli emettere dei versi
soffocati ad
ogni colpo.
Lucas si
liberò da quella situazione colpendolo con una testata sul
naso. Si separarono dalla macchina e cominciarono a scambiarsi un colpo
dietro
l’altro.
Il
ragazzo afferrò l’uomo per l’orlo del
giubbotto e gli sferrò
diversi pugni, ma quello estrasse fulmineo un coltello da una fondina
legata al
suo fianco e trafisse il braccio del ragazzo.
Red X
gridò per la sorpresa ed indietreggiò, tenendosi
il braccio
martoriato. L’UDG sollevò il coltello macchiato di
rosso in punta e fece per abbatterlo
su di lui.
Rachel
sgranò gli occhi e cercò di rimettersi in piedi
per scongiurare
la catastrofe imminente, quando una raffica di esplosioni
detonò
all’improvviso. Il coltello cadde a terra con un tintinnio e
l’individuo
stramazzò al suolo urlando di dolore e con diversi fori di
proiettile sul
braccio e sul fianco.
Corvina
sentì il proprio cuore ricominciare a battere. Si
voltò. Amalia
abbassò il fucile in quello stesso istante, per poi
osservare Lucas. «Dannazione
Rosso, perché ti sei messo in mezzo? Non riuscivo a prendere
la mira!» La sua
voce sembrava scocciata, ma il suo sguardo invece sembrava sollevato.
«Fottiti»
replicò il ragazzo, sopprimendo una smorfia di dolore mentre
stringeva la presa attorno all’arto ferito. Fiotti di sangue
vermiglio
filtravano tra le dita della sua mano, mentre la teneva premuta sulla
ferita. «Stava
per sparare a Rachel, dovevo agire in fretta...»
«Non
dovevo abbassare la guardia, è stata solo colpa
mia...» si auto
rimproverò la corvina, mentre si rimetteva in piedi e
guariva la ferita del
moro. Fu tuttavia bello sotto certi punti di vista sentire come il
ragazzo si
fosse preoccupato per lei.
«Non
ci pensare» la rassicurò Lucas, una volta guarito,
appoggiandosi
contro un fuoristrada per poi osservare l’UDG che a terra si
contorceva e
mugugnava per il dolore. «È stata colpa di tutti.
Abbiamo sottovalutato
l’avversario.»
Rachel
annuì, senza rispondere. Il ragazzo aveva ragione,
dopotutto.
Lei non si sarebbe mai aspettata che uno di quegli uomini si potesse
rialzare
così in fretta dopo essere stato colpito da uno dei suoi
attacchi.
«Beh,
ora l’avversario è a terra» disse Amalia
avvicinandosi. «E noi
invece...»
«Non
la farete franca...» biasciò l’uomo
all’improvviso, con voce
roca.
I ragazzi
trasalirono, mentre quello si metteva faticosamente a
sedere, premendosi una mano sul fianco. Si trovava esattamente in mezzo
a tutti
loro e faceva vagare lo sguardo su ciascuno dei tre, ad alternanza.
Aveva il
fiato grosso e stava perdendo parecchio sangue, era chiaro che non
sarebbe
durato ancora a lungo senza medicazioni. «Vi siete messi
contro le persone
sbagliate. Il nostro capo ve la farà pagare molto cara. Gli
Underdog vi daranno
la caccia. Non arriverete alla settimana prossima...»
«Un
momento, sareste voi i famigerati Underdog?»
domandò Amalia, quasi
con tono divertito. «Vi dipingono come i tiranni della
città e poi vi fate
sconfiggere così da tre ragazzini?»
«Sì,
ridi finché puoi...» la minacciò
l’uomo, serrando la mascella. «Quando
il nostro capo ti chiuderà nel suo laboratorio implorerai la
nostra pietà! Vi
farà rimpiangere di essere nati, ve lo posso
garantir...»
«Sai
che c’è?» lo interruppe
Komand’r all’improvviso, chinandosi di
fronte a lui. Lo colpì con forza su una tempia con il calcio
del fucile,
facendolo stramazzare al suolo e mettendolo a tacere con un gemito.
«Mi hai
rotto.»
Si rimise
in piedi, dandosi una spolverata veloce ed una sistemata ai
capelli, per poi guardare Lucas, il quale la osservava a bocca aperta a
sua
volta, imitato da Rachel.
«M’beh?
Che avete da guardare?» domandò lei, sollevando le
spalle.
«Niente,
niente...» rispose Lucas, con tono quasi intontito. Si
schiarì la voce, poi proseguì.
«D’accordo, sarà meglio levarci dalle
scatole
prima che ne arrivino altri, forza, svuotiamo quel dannato
furgone.»
Rachel
annuì. Fece per muoversi, quando un guizzo di luce blu a
malapena percepibile apparve nella periferia più remota del
suo campo visivo.
Si voltò di scatto, sussultando. Non vide nulla.
«Rachel,
che succede?» le chiese Lucas, allarmandosi di nuovo.
«Hai
visto qualcosa?»
«Io...»
La corvina esitò. Ne era sicura al cento percento, aveva
visto
quel bagliore blu, in lontananza tra i meandri della periferia
industriale. Era
stato un lampo, qualcosa di minuscolo, insignificante, qualcosa che
nessun
altro avrebbe mai notato, qualcosa che avrebbe fatto dubitare chiunque
della
sua veridicità. Ma lei lo aveva visto.
Rimase
ferma, ad osservare quel punto, facendo vagare lo sguardo alla
ricerca di eventuali, ulteriori, segnali, ma ancora non vide nulla.
Fu solo
quando si accorse di essere osservata dagli altri due, che
decise di lasciar perdere. Sospirò. «Niente. Non
ho visto niente.»
Sì, perché se state pensando "ehi, ma quello è l'angolo dell'autore, di sicuro avrà qualcosa di importante da dire!", allora vi sbagliate di grosso.
Scrivo questa roba solamente per dire le solite cose, spero che il capitolo vi sia piaciuto e se trovate degli errori segnalatemeli, grazie.
Non so, personalmente non sono molto convinto del finale, ho paura di averlo fatto troppo affrettato. Ma non sapevo in che altro modo farlo, quindi... boh, non so. Ditemi voi.
Ultimamente questa fic è passata un po' in secondo piano per me, causa altri impegni (Psycho-Pass...) , ma spero che non si noti troppo e che sia comunque rimasta sugli stessi livelli dell'inizio. Spero di poter approfittare delle vacanze per dedicarmi di più alla storia.
E voglio anche fare un grande annuncio: HoS ha raggiunto 20 preferenze!!
Sono stra felice per questo traguardo e ringrazio queste 20 persone che hanno preferito quella storia, probabilmente la maggior parte di loro nemmeno leggerà queste righe, anzi, nemmeno leggerà questa storia, ma chissene, sono troppo felice comunque.
E' un grande traguardo per me, considerando anche i gusti dei lettori... è molto difficile trovare qualcuno concorde con me, perciò vedere quel "20" sotto la voce "preferiti" mi riempie di gioia.
Quindi grazie infinitamente, a loro e anche ai lettori di questa storia. Spero che anche Infamous possa raggiungere un successo simile, ma sì, lo so, "sogna Edo, sogna..."
E no, stranamente non ho nulla da precisare sulla trama di The Darkness's Daughter. Leggete e vedrete. Ancora qualche capitolo un po' più lento e poi la situazione degenererà completamente!
Alla prossima!