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Autore: Noel11    26/03/2016    1 recensioni
Una ragazza. Nulla da perdere e tutto da guadagnare.
[Dal Capitolo 1:
Si alza in piedi e si mette ai margini del cornicione. Guarda la città svegliarsi, quella città completamente diversa da quella in cui viveva prima. Scuote la testa energicamente "No" disse "è inutile pensare a un passato che non esiste" e vorrebbe convincersi che non esiste, perché sa che sarebbe tutto più semplice se non fosse esistito. Sospira guardando le prime luci dell'alba facendosi investire dalla fresca brezza mattutina di un giorno di ottobre "è ora di andare, si va in scena" .]
Quanto siete disposti a pagare per la libertà?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 10
7 Giorni


 
1° Giorno
Andare il Sabato a scuola dovrebbe essere considerato illegale, soprattutto dopo una sbronza colossale presa la sera precedente. Purtroppo non lo era.
Strascicava i piedi per terra, non avendo neanche la forza di sfidare la gravità in quel momento per camminare. Gli occhi rossi e l’aspetto trasandato davano l’idea di qualcuno che avesse festeggiato tutto la notte, facendo After la mattina dopo, e in fin dei conti era la verità.
Matteo non aveva chiuso occhio tutta la notte, vuoi per la miriade di pensieri che ormai avevano preso fissa dimora nel suo cervello, o vuoi per le parole che non riusciva a dire ma che aveva vomitato liberandosene dopo essersele bevute tutte all’interno di una minuscola fiaschetta. In ogni caso lui non aveva chiuso occhio, ma aveva deciso comunque di andare a scuola. E tutto questo per lei. Per essere sicuro che stesse bene dopo quello che era successo la notte scorsa, per vedere ancora quegli occhi verdi non più oscurati dalla paura e dall’odio verso se stessi ma dalla vivacità e la lucentezza di cui nei giorni precedenti era riuscito a catturarne la bellezza. Tutto quello lo spaventava, perché voleva dire che lei si stava insinuando sotto la sua pelle. Si guardò le mani, prestando particolare attenzione a quella che l’aveva stretta e gli aveva dato forza, sia a lei che a lui. Forse era già troppo tardi, forse ormai lei lo aveva già marchiato.
Il rumore della campanella lo fece gemere dal dolore mentre cercava di attutire quel suono assordante, tappandosi le orecchie.
Una volta che tutti quanti furono usciti dalla classe anche lui si mosse per andare verso il giardino, lentamente, al passo di uno zombie.
<< Amico, sei uno straccio.>> disse Giorgio, mentre aveva in braccio Anastasia appollaiata contro il suo petto.
<< Mph.>> emise soltanto quel suono. E secondo lui, riassumeva tutto quello che Giorgio voleva sapere.
Si abbandonò malamente contro l’albero e chiuse gli occhi rivolgendo la testa verso l’alto. Alcuni raggi che passavano attraverso le fronde gli riscaldavano la pelle e facevano notare il pallore che non aveva mai avuto. Gli servivano soltanto 5 minuti di riposo, poi avrebbe affrontato il mondo e la sua merda.
Si addormentò, nonostante il chiasso che facevano gli altri studenti, e si risvegliò soltanto al suono fastidioso della campanella.
<< Meglio?>> chiese Giorgio, ancora con Anastasia in braccio. Non si era accorto che stesse dormendo anche lei, aveva un viso così sereno e rilassato, si sentiva al sicuro, protetta. Nelle mani di Giorgio lei si sentiva a casa.
Annuì leggermente con il capo e spostò lo sguardò assonnato e stanco verso Giorgio. Passarono alcuni minuti prima che mettesse a fuoco il capannone dietro di lui. Lo fissò. Ci mise un po’ a collegare il tutto, per via del suo cervello ancora addormentato, ma poi immagini della sera precedente lo travolsero come un’onda d’urto. La festa, i ragni, le grida, le lacrime, il capannone, i muri che crollavano, le mani intrecciate, il marchio ormai sulla sua pelle.
Alice.
Si alzò di scatto, iniziando a vedere tutti puntini neri per la rapidità di quella stupida mossa e si dovette reggere con forza al tronco dell’albero per non rischiare di ritrovarsi con il sedere a terra.
Scosse la testa e riaprì e chiuse gli occhi più volte, cercando di riacquistare la vista e l’equilibrio, e si girò verso Giorgio.
<< Hai visto Alice oggi?>> chiese con un po’ troppa enfasi nella voce.
Giorgio lo guardò strano << No.>> rispose tranquillo.
<< Sei sicuro?>> chiese, ora con una punta di preoccupazione nella sua voce.
<< Teo, sono stato tutto il giorno qui con Anastasia. Non l’abbiamo vista.>> lasciò un bacio sulla testa alla sua ragazza facendola mugolare e stiracchiare prima che si mettesse in una posizione più comoda ma sempre attaccata a Giorgio.
Si passò velocemente una mano fra i suoi ricci, frustrato da tutta quella situazione.
<< La sua classe sta al secondo piano, sezione E. Vedi se si trova in classe. Altrimenti vai da Erica, primo piano, sezione A.>> disse Giorgio, vedendo che il suo amico era nel panico.
Matteo lo fissò con la bocca aperta, per poi ringraziarlo e iniziare ad incamminarsi verso l’interno della scuola.
La scuola era abbastanza grande, comprendeva tre indirizzi diversi: classico, scienze umane ed istituto tecnico. 15 classi in tutta la scuola divisi in tre piani. In quel momento i corridoi erano deserti, segno che tutti stavano facendo lezione.
Salì le scale due alla volta, e percorse tutto il corridoio fino a trovarsi davanti alla sezione E. Con il fiatone e il cuore in gola bussò e senza aspettare una risposta aprì la porta. Non badò molto alla professoressa di turnò, si concentrò di più sulla classe, concentrato a trovare una testa riccia con un paio di occhi verdi. Quando vide un banco vuoto, la realtà lo colpì in pieno viso. Non c’era. Guardò la professoressa che ora si era avvicinato a lui, si scusò ed uscì di corsa diretto nella classe di Erica. Doveva sapere che Alice stava bene.
Scese le scale di corsa e davanti alla porta bussò un po’ troppo forte ed aprì, la fortuna non era dalla sua parte ancora un volta.
<< Oh, ma guarda chi si vede.>> sorrise il prof. Mazzi << Non dovresti essere a lezione?>> chiese, infastidendolo.
Matteo fece una smorfia, decidendo di ignorare completamente quella domanda << Sto cercando la rappresentante di Istituto, è urgente!>>
Il professore ghignò << Mi dispiace ma oggi è assente. È un vero peccato.>> Matteo strinse la presa sulla maniglia della porta, odiava essere preso in giro. << Torna in classe ora, la bidella si assicurerà che tu ci arrivi sano e salvo.>> sorrise ancora per poi sbattergli la porta in faccia.
<< Figlio di una buona->>
<< Non so quanto ti conviene dirlo con me accanto.>> constatò la bidella con le mani sui fianchi.
<< Ma tu non mi faresti mai finire nei guai perché mi adori, vero Betta?>> chiese con gli occhi da cucciolo. Era la bidella più simpatica di tutta la scuola, lo copriva sempre ed in più non lo trattava come un caso umano.
<< No, io ti sopporto. È diverso.>> scosse la testa e gli poggiò una mano sulla schiena, << Forza, ti porto in classe. Devi almeno imparare qualcosa in questa benedetta scuola per non diventare un barbone.>> disse incoraggiandolo a seguirla.
<< No, Betta ti prego. Starò buono e non dirò niente a nessuno, lo giuro.>> la pregò con una faccia da cane bastonato, sperando di convincerla.
<< Pff, levati quell’espressione dalla faccia. Almeno oggi imparerai qualcosa. Non ti voglio avere ancora in mezze alle scatole l’anno prossimo.>> continuò decisa, fino a portarlo davanti alla porta.
 << Oggi sei cattiva.>> mise il broncio. Solo con lei si permetteva di essere così infantile, sembrava un gioco che piaceva a tutti e due. Lui faceva i capricci e lei gli metteva la testa a posto.
<< Sono troppo buona invece.>>
<< Lo so, cosa posso fare per sdebitarmi? Prima che entri nell’inferno.>> chiese, circondandole le spalle con un braccio.
<< Sei impossibile.>> rise << Offrimi un caffè per il resto dei tuoi giorni e forse saremo pari.>> scherzò lei.
<< Detto fatto. Entrò in classe e tra 10 minuti esco e ci prendiamo quella pozza di acqua sporca alle macchinette che voi chiamate caffè.>> entrò subito in classe, senza sentire le proteste della bidella.
Si diresse verso il banco senza dire una parola ed aspettò.
Nessuna delle due ragazze era venuta a scuola quella mattina. Forse Alice sta male ed Erica da brava amica gli è rimasta accanto. O forse hanno voluto solo saltare scuola, come voleva fare anche lui del resto.
Si stava fasciando la testa prima ancora di rompersela. Era tutto okay. L’avrebbe sicuramene incontrata Lunedì.
 
3° Giorno
Erica era tornata a scuola.
Di Alice non ce ne era ancora traccia.
Si mise seduto sotto l’albero e sbuffò. Almeno una delle due era tornata.
Giorgio lo fissò per poi << Non credi di esserci entrato troppo in fissa?>> chiedere.
Matteo piegò la testa non capendo a cosa si riferisse.
<< Intendo con tutta questa situazione. Quella ragazza si assenta per due giorni e tu dai già di matto.>>
Provò a rispondere ma dalla sua bocca non uscì neanche un suono. Si mise a guardare per terra, tenendosi la testa fra le mani. Giorgio aveva ragione. Non stava facendo altro se non pensare ad Alice, se stesse bene e quando sarebbe tornata. Più della metà dei suoi pensieri era rivolto a lei. Si ricordava almeno a cosa pensasse prima che arrivasse Alice?
Tutto quello che era iniziato come un gioco, come una sveltina senza sentimenti, si era trasformato in tutto… quello. E con il passare del tempo sarebbe peggiorato. Perché ormai, doveva ammettere a se stesso, Alice l’aveva marchiato. L’aveva fatto diventare dipendente come le peggio droghe. Ma non poteva permetterselo. Si sarebbe fatto male, e lui era troppo stanco per farsene ancora.
<< Fanculo!>> sbottò all’improvviso << Hai dell’erba?>> chiese a Giorgio.
<< Credevo non ne volessi più.>> disse, ricordando le parole dell’amico.
<< Bisogna tornare alle vecchie abitudini.>>
Lui voleva ritornare a come era prima. Dimenticarsi di Alice, di quella notte, del marchio sulla sua pelle che continuava a bruciare. E l’unico modo per farlo era fare finta che non fosse mai cambiato niente.
Più di una volta aveva desiderato viaggiare indietro nel tempo per cambiare le sue scelte, e questa volta, più delle altre, voleva poter cancellare così tanto il suo ricordo che ora sapeva di abbandono.
 
4° Giorno
<< Matteo, ti vogliono in presidenza.>> disse Betta, svegliandolo dalla trance in cui era caduto.
<< Perché?>> chiese. Non era certo uno che rispettava le regole della scuola, o che seguisse le lezioni, ma non gli sembrava di aver mai creato un grande casino tanto da mandarlo in presidenza. Beh, forse qualcuno ha scoperto che i lividi che casualmente si trovavano sui due ragazzi che avevano attaccato Alice erano opera sua, eppure non aveva lasciato tracce. Sarebbe stato un pessimo assassino.
<< Non lo so. Ha detto che però devi andarci, e di corsa anche.>>
<< Okay, okay. Andiamo a fare quattro chiacchiere con il vecchio senza collo.>> rise, per poi alzarsi e dirigersi verso la presidenza.
<< Buona fortuna, Teo. Se ti serve un avvocato, chiamami!>>
<< Oh, taci Malpelo.>> si ritrovò a dire Betta, ricevendo un dito medio da Giorgio per quel soprannome.
 
La porta della presidenza era di legno duro. Perfetta in ogni particolare, scolpita con attenzione, e la targhetta d’oro con la scritta Presidenza rendeva il tutto ancora più perfetto. Poteva dire che tutti i soldi della scuola erano stati spesi solo per fare quella porta, e naturalmente anche l’interno della presidenza. Ci era stato poche volte, ma ricordava benissimo i divani in pelle, la TV al plasma e il tavolino di cristallo che adornavano il grande e spazioso ufficio del preside. Poco importa se nei bagni non c’è carta igienica o che le porte non si aprano bene e rischino di cascare ogni volta che c’è un soffio di vento, questo perché hanno il più bel ufficio di presidenza dell’intero pianeta. L’acqua con il calcare che esce dai rubinetti li rende più forti, dovrebbero ringraziarli.
Scosse la testa per poi bussare forte sul legno, ricevendo il permesso di entrare.
Appena entrato trovò il “grande” preside senza collo. Tutto l’Istituto si chiede ancora che fine abbia fatto il suo collo e come la sua testa possa reggersi da sola. Alcuni sostengono che sia il gemello segreto di Maurizio Costanzo. Lui si chiede se sia possibile che nascondi droga nel posto dove dovrebbe esserci il suo collo, non la troverebbe nessuno.
Il suo sguardò passa ai due poliziotti che gli stanno ai lati e improvvisamente sbianca. Non prometteva niente di buono. Si spostò lentamente verso di loro e si sedé sulla sedia davanti al grande tavolo di ebano lucido, più costoso della sua casa sicuramente.
<< Matteo, non preoccuparti. Non sei finito nei guai. Questi signori vogliono farti solo delle domande e poi potrai tornare in classe.>> lo rassicurò Preside senza collo. Lui annuì, ancora incerto e terrorizzato da quella situazione. << Vi lascio soli.>> si alzò dal suo grande trono e con passi pesanti quanto blocchi di cemento, cadenzava il tempo dei battiti del suo cuore, che ogni volta minacciava di fermarsi e sprofondare.
Una volta soli, la donna poliziotto si sedé e iniziò a guardarlo con un sorriso inquietante.
<< Ciao Matteo. Io sono il colonello Marta, e questo è il mio collega il capitano Paolo.>> disse indicando l’altro poliziotto. << Scommetto che ti starai chiedendo perché siamo qui e perché vogliamo parlare proprio con te.>>
<< Si, mi è passato per la testa questo pensiero.>> rispose, sollevato che almeno non fosse stato chiamato per aver colpito quei due idioti. Una sospensione in meno.
Marta sorrise. << Vogliamo farti solo alcune domande, e vorremo che tu fossi sincero con noi e che collaborassi. Lo faresti?>> chiede.
Lui annuisce, non sapendo se fosse pronto a quello che sarebbe venuto di lì a poco. Forse l’esame di maturità sarebbe stato meglio di questo interrogatorio. Forse.
<< Okay.>> prese un registratore dalla tasca, lo accese e lo poggiò sul tavolo << Mi puoi dire dove ti trovavi la notte del 26 Ottobre?>>
<< Ero in giro.>> rispose con voce ferma. Sapeva che avrebbero chiesto di quella maledetta notte.
<< Qualcuno può confermarlo? Eri da solo o con amici?>>
<< Mia madre mi ha visto uscire prima che andasse al lavoro. Ero da solo.>>
<< Dove stavi andando quella sera?>>
Si bloccò. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Mi trovavo in un quartiere famoso per lo spaccio, per prendere delle pillole che sono illegali, infrangendo la legge. Non avrebbe aiutato di certo la sua posizione, già abbastanza sfavorevole.
<< Non avevo una meta fissa, girovagavo così, tanto per fare una passeggiata.>> rispose cercando di essere il più vago possibile.
Il telefono del suo collega iniziò a squillare, provocando una smorfia sul viso di Marta. Lui si scusò ed uscì a rispondere. Rimasero solo loro due.
Prese un foglio dal nulla e glielo mise sotto gli occhi. Era pieno di numeri e scritte.
<< Riconosci questo numero?>> chiese, indicandone uno sottolineato, che si distingueva per l’ordine rispetto agli altri.
Deglutì pesantemente per poi annuire << È il mio numero di cellulare.>>
Marta sorrise, contenta forse della sua onestà. << Quella notte tu hai chiamato, e l’agente che era in servizio è stato interrogato come te. Vuoi raccontarmi cosa è successo precisamente? Come hai trovato il corpo?>>
Non voleva raccontarlo. Non voleva essere messo in mezzo a questa faccenda. Ma soprattutto, voleva dimenticare quell’immagine orribile. Sembrava che più provasse a dimenticare e più la gente cercava di impedirglielo.
Marta vide il suo stato e gli strinse la mano << Ehi, noi siamo qui per aiutarci a vicenda. Ti prometto che non ci saranno ripercussioni su di te, ti proteggeremo, ma ci serve che tu dica tutto quello che sai perché quella persona potrebbe far del male a qualcun altro.>> disse con un tono preoccupato.
Matteo prese un lungo respiro profondo e ricominciò a raccontare quello che già aveva detto a Giorgio. L’odore di ferro, la curiosità, la piuma trovata a terra e il corpo. No, non aveva visto nessuno entrare ed uscire da là. No, non aveva sentito grida provenire dal vicolo. Si, molto probabilmente era arrivato quando ormai era tutto finito, quello che ha fatto era stato solo dare l’allarme.
<< Perché non sei rimasto ad aspettare l’autorità quando hai chiamato?>> fece la fatidica domanda.
<< Perché non volevo essere collegato a tutto questo. Ma a quanto pare è stato inutile.>> rise amareggiato.
Marta spense il registratore e si avvicinò a lui << Non è stato inutile, hai aiutato a fare passi avanti con l’indagine. E non ti preoccupare, ne resterai fuori. Promesso.>> disse facendosi una croce sul cuore come giuramento.
In quel momento Paolo entrò come una furia, spalancando le porte dell’ufficio e avvicinandosi a passo svelto verso la collega.
<< Hanno trovato un altro cadavere. È successo ancora.>> sputò tutto d’un fiato. Matteo sbiancò a quella notizia, mentre Marta rimase impassibile, calma e controllata.
<< Dove?>> chiese soltanto.
<< In una provincia molto distante da qua. Ci vorrà un po’ di tempo per arrivarci.>>
<< Okay, dì alla polizia del luogo di perimetrare la scena del delitto. Voglio una volante insieme a noi, e avvisa i ragazzi della scientifica.>> ordinò, per poi girarsi verso Matteo e sorridergli << Grazie per la tua collaborazione, se ti venisse in mente qualcos’altro questo è il mio numero.>> gli passò un bigliettino da visita con sopra il suo nome e il suo numero << Stai tranquillo. Lo cattureremo.>> lo rassicurò lasciandogli una pacca sulla spalla e andandosene subito.
Si rigirò il biglietto fra le mani.
Sperava davvero di non dover usare di nuovo quel numero.
 
5° Giorno
Alice non era ancora tornata.
Sapeva che non doveva pensare a lei, ma visto che c’era stato un omicidio e di lei ancora non c’era traccia non poteva fare altro se non preoccuparsi fino a sentirsi male.
La cosa che lo faceva imbestialire di più era Erica. La sua migliore amica scompare e lei sembrava tranquilla, come se non fosse successo nulla.
<< Vacci a parlare.>> disse Giorgio, concentrato a rollarsi una canna.
<< Come scusa?>> chiese, non capendo a cosa si riferisse.
<< Hai capito cosa intendo. Se ti fa sentire più tranquillo, vacci a parlare e chiedile dove sta.>>
Matteo rise << Non me lo dirà mai. Lei vuole difenderla da me.>>
<< Provarci non costa niente. E poi scusa, da quando per te è un problema ottenere quello che vuoi? Dov’è finito il grandissimo testardo che non accettava un No come risposta?!>> chiese, enfatizzando la domanda.
Lui sospirò. Voleva sapere anche lui dove fosse finito. Comunque Giorgio aveva ragione, doveva ritornare quello di una volta, ma soprattutto doveva togliersi quel peso che aveva sul petto che solo la verità su Alice avrebbe potuto togliere.
 
Una volta che il cortile iniziava a diventare sempre più vuoto, lui prese per un braccio Erica e la trascinò fino al capannone, prima che entrasse in classe e senza ascoltare le sue proteste.
<< Dov’è Alice?>> chiese subito, una volta assicurato che non ci fosse nessuno.
<< Ciao Matteo, come stai? Anche per me è un piacere vederti, certo magari se non mi avessi trascinato per tutto il cortile sarebbe stato meglio.>> puntualizzò lei acida.
<< Dov’è Alice? Rispondimi!>> chiese spazientito.
Lei lo guardò con la bocca aperta, offesa dalle sue maniere. Scosse la testa e sbuffò << Non lo so.>>
<< Non mentirmi.>> non si fidava di lei.
<< Non ti sto’ mentendo. Non so dove sia, davvero.>> disse lei con tranquillità, guardandolo negli occhi per dimostrare la sua sincerità.
<< E non sei preoccupata a morte?!>> chiese stupito e infastidito da quella calma che circondava Erica.
<< No, perché non è la prima volta che lo fa.>>
<< Cosa?! Cioè sparisce senza dire niente a nessuno?!>>
<< Esatto, lo faceva anche prima. Tranquillo tornerà. Ritorna sempre.>> disse Erica, alzando le spalle.
<< Quando?>> chiese, sollevato dal fatto che almeno prima o poi sarebbe tornata.
<< Di solito sparisce per una settimana. Ma l’ottavo giorno ritorna come se niente fosse successo.>>
<< Perché?>> era tutto quello che si chiedeva. Sparire in quel modo e poi tornare. Non sapeva darsi una risposta e se non ce l’aveva Erica, non sapeva dove avrebbe potuto trovarla.
Erica poggiò la sua schiena sulle pareti del capannone e si mise a guardare il giardino ormai vuoto, se non per loro due. Fissò il terreno sotto ai suoi piedi, persa nei suoi ricordi. Lui aspettò, e sembrò passare più tempo del previsto per quella risposta che lo avrebbe rassicurato o forse l’avrebbe fatto preoccupare ancora di più.
<< Sai una volta gli feci la stessa domanda. Le prime volte che lo faceva non gli ho mai chiesto il perché, mi bastava che fosse tornata. Ma poi lei continuava a farlo ogni volta, e io ogni volta mi preoccupavo così tanto. Avevo il terrore che un giorno non tornasse.>> si strinse tra le spalle, non volendo pensare a quella possibilità che si era presentata troppe volte nella sua testa << Cosi glielo chiesi e lei mi disse: “Dio ha creato il mondo in sette giorni. Io in sette giorni devo ricreare il mio.” Non capì cosa intendesse quando diceva di “dover ricreare il suo mondo” e lei non me lo spiegò mai. Col tempo misi a posto i tasselli e capì che ogni volta che spariva, il giorno prima gli succedeva qualcosa di brutto, qualcosa che la distruggeva dall’interno e non solo dall’esterno. Quindi credo che lei voglia ricrearsi per farsi più forte, più perfetta. Almeno questa è la mia teoria.>> finì, facendo un sorriso tirato.
Rimase immobile, senza parole per tutto quello che aveva sentito. Molte volte anche lui era stato vicino all’andarsene, lasciare tutto indietro per non tornare mai più. Ma Alice aveva qualcosa che a lui mancava, coraggio e nulla da perdere.
<< Senti>> iniziò di nuovo Erica catturando di nuovo la sua attenzione << Sono preoccupata anche io, soprattutto dopo quello che è successo alla festa>> disse ricordandogli un’Alice vulnerabile e spaventata << Non so cosa sia successo, cosa tu abbia fatto per tranquillizzarla, ma ti ringrazio. Perché almeno ora sono sicura che anche se è sparita, lo ha fatto più tranquilla e sicura delle altre volte.>>
Matteo annuì, contento che lui ed Erica avessero per il momento sotterrato l’ascia di guerra per un bene comune.
<< Ora non ci resta che aspettare che ritorni.>> osservò, con un po’ di amarezza nella voce.
<< E tu lo fai sempre? Voglio dire, aspetti sempre che lei torni?>> chiese stupito.
Erica annuì.
<< E non ti stanchi mai?! Cioè, non ti viene mai voglia di mollare tutto e magari staccarti da tutto questo preoccuparsi e stare in ansia ogni volta che se ne va?>>
Erica rise << No>> rispose per poi girarsi e guardarlo in faccia << Perché so che per lei ne vale la pena.>>
Matteo rimase impietrito, di fronte a quella dimostrazione di affetto e fiducia che Erica provava verso la sua migliore amica. Non aveva dubitato nemmeno un secondo di lei, non sembrava pesargli il macigno che sicuramente aveva anche lei nel petto.
Erica si avviò verso la sua classe, senza neanche salutarlo. Non servivano parole.
Matteo guardò il capannone.
<< Lei ne vale la pena…>>
 
6°-7° Giorno
Quei giorni passarono lenti, ma colmi di speranza e sicurezza che Alice sarebbe tornata. Cercò quindi di occupare tempo e mente. Uscì con Giorno, passando più tempo fatto che lucido, e cercò di non pensare a lei, di ritornare alla vita che faceva prima che la incontrasse ma era difficile farlo se pensava che l’avrebbe rivista di lì a poco.
Aveva paura della speranza, pensava che fosse la bestia più infame di tutte. Ma era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi.
 
8° Giorno
Si svegliò per andare di corsa a scuola. Non aveva mai fatto così presto in vita sua, era arrivato in anticipo di dieci minuti al suono della campanella. Era sicuro che l’avrebbe incontrata solo a ricreazione, ma l’adrenalina non accennava a diminuire.
Le tre ore in classe, le passò guardando l’orologio. Ogni lancetta avanti, segnava un minuto in meno dal vederla.
Una volta arrivato fuori in giardino, si mise seduto vicino all’albero come al solito e aspettò. Continuava a guardare l’entrata sperando di vederla sbucare da un momento all’altro.
<< Sembri un cane che aspetta il ritorno a casa del padrone.>> scherzò Giorgio, ottenendo un’occhiataccia e un dito medio da parte dell’amico.
Forse aveva ragione, e sicuramente sarebbe sembrato ridicolo, ma non gli importava. In quel momento l’unica cosa che voleva era incontrarla e magari abbracciarla, così, tanto per assicurarsi che fosse reale e che non provasse a scappare più.
Sorrise a quella scena creata nella sua mente, ma i castelli che si era fatto si sgretolarono tutti insieme appena vide Erica da sola. Si alzò come una molla e corse verso di lei. Non poteva crederci, non poteva avergli mentito. Quando avrebbe imparato a non fidarsi più delle persone?
Ogni passo che faceva verso di Erica era un passo intriso di rabbia e dolore. E solo una volta davanti a lei si blocco del tutto, grazie solo al suono di due parole.
<< È tornata.>> disse Erica.
Quel macigno era ufficialmente sparito. Rilasciò il respiro, e giurò di non essersi mai sentito così leggero. Iniziò a vagare con lo sguardo per il giardino, cercando quella testa riccia, ma Erica lo fermò subito.
<< Non è qui. Mi ha detto che non se la sentiva di tornare a scuola e che quindi sarebbe tornata Lunedì.>> lo informò Erica, prendendo il suo panino.
<< Oh>> è tutto quello che riuscì a dire prima di riprendersi e tornare a guardare Erica << Grazie per avermelo detto.>> disse sorridendo.
<< Figurati. Non mi divertiva più vederti impazzire perché non sapevi dov’era.>> ghignò, segnando così di nuovo la rivalità fra i due. Magari questa volta meno accentuata.
Lui sorrise, e tornò da Giorgio un po’ deluso nel poterla vedere solo Lunedì.
Quindi si siede e… aspetta. Come ha sempre fatto Erica
 
Quel pomeriggio Giorgio lo obbliga ad andare in palestra perché “Non puoi fare l’ameba, devi muoverti, altrimenti ti crescerà il culo come quello della Minaj. E non in senso positivo.” Quindi aveva accettato e si era buttato in piscina per un’ora e mezza, continuando a fare vasche su vasche, eliminando così tutta la tensione, la rabbia accumulata in quella settima. Gli faceva bene, l’acqua che gli entrava nella orecchie, attutiva tutti i rumori esterni di un mondo troppo incasinato. E dopo essersi tolto quel macigno dal petto, sentirsi leggero e trasportato dall’acqua era una bella sensazione.
Una volta finito, si lavò e si cambiò nello spogliatoio, pronto per uscire.
Stavano attraversando il corridoio per andare al piano superiore quando delle urla di incitazione attirarono la loro attenzione. Si affacciarono verso quell’area di palestra e rimasero sbigottiti da quella visione.
Quella sala era dedicata alla Boxe, quindi era circondata da sacchi da boxe e vari manubri e pesi per potenziare i muscoli. Al centro della sala c’era un Ring enorme, ed era proprio lì che tutta la gente, più uomini che donne, si era radunata a guardare un incontro.
Si avvicinarono incuriositi da tutto quel baccano, chiedendo cosa stesse succedendo a uno dei ragazzi che si trovava lì.
<< Una ragazzina accetta tutti quelli che la vogliono sfidare e per il momento hanno tutti perso, sia uomini che donne.>> disse con un certo luccichio negli occhi.
Matteo e Giorgio si guardarono ancora più confusi e curiosi. Cercarono di avvicinarsi ancora un po’ di più al Ring, cercando di farsi spazio in mezzo a quell’ammasso di corpi, e quando videro chi ci fosse sopra, entrambi si immobilizzarono.
<< Matteo, quella non è->>
<< Alice!>> disse, quasi urlando.
Videro come Alice mise il suo avversario con il culo per terra con un calcio laterale dritto al petto, vincendo anche quell’incontro. Era sudata, e il paradenti gli permetteva di respirare poco alla volta, facendole venire il fiatone. Una volta finito l’incontro l’arbitro gli alzò il guanto per proclamare la sua vittoria << Vince Alice! 6 incontri su 6, signori!>>
Alice continuò a guardare dritto davanti a sé, finché l’arbitro non gli lasciò il braccio e lei si diresse all’angolo per prendere un sorso d’acqua.
<< C’è qualcun altro che vuole sfidarla?>> chiese, guardando uno per uno le persone raggruppate lì intorno.
Matteo alzò subito la mano.
<< Teo che cavolo fai?! Tu non sai combattere!!>> Giorgio cercò in ogni modo di abbassargli la mano, volendo evitare che il suo amico si facesse ammazzare, come il tizio precedente.
Matteo se lo scrollò di dosso << Non mi importa. Se non vuoi vedere esci.>> si avvicinò al Ring e salì superando le corde.
<< Sei sicuro di volerlo fare, ragazzino?>>
Matteo annui, serrando i pugni. << Mi manca solo l’attrezzatura.>>
<< Per quello non c’è problema.>> ghignò per poi rivolgersi al pubblico << Qualcuno dia un caschetto, dei guanti e un paradenti a questo coraggioso ragazzo.>> disse, ottenendo da qualcuno l’attrezzatura richiesta.
Guardò dall’altra parte del Ring e dopo una settimana incontrò di nuovo quei occhi verdi. Non sapeva cosa provasse in quel momento Alice nel vederlo lì. Sicuramente era sorpresa, ma per il resto i suoi occhi erano vuoti. Si era costruita un muro ancora più forte e lui non sapeva se sarebbe riuscito a sfondarlo.
Una volta messo tutto, si avvicinò al centro del Ring. L’arbitro iniziò a dire le regole << Ragazzi, gioco pulito. 1 Round da 3 minuti. Colpi sopra la cintura, dopo due colpi alle spalle c’è la squalifica. Vince l’ultimo che rimane in piedi.>> disse per poi << Alice, vacci piano con lui. Non fa Boxe.>> rivolgersi a lei, quasi supplichevole.
Lei continuò a guardare Matteo per poi fare un cenno con la testa. Quel cenno serviva solo a dire che aveva capito e non che aveva intenzione di andarci piano.
<< Pronti? Fight!>> annunciò l’inizio dell’incontro.
Matteo schivò subito un diretto sinistro, spostandosi leggermente all’indietro. Continuò con questa tecnica per un po’, non riuscendo a schivarli tutti e prendendosi un bel calcio circolare sulle costole e un montante all’altezza del plesso solare che l’aveva sicuramente lasciato senza fiato per alcuni minuti.
Passato il primo minuto, stanco di prenderle e basta, iniziò ad attaccare. I primi colpi andarono a vuoto, Alice sembrava capire i suoi movimenti, prevederli in anticipo e schivare di conseguenza. Poi era molto veloce e questo giocava a suo favore, sembrava che danzasse su quel Ring per quanto fosse leggera.
<< Avanti Teo! Trova un punto scoperto!>> urlò Giorgio.
Il problema era che Alice aveva un’ottima difesa, non c’erano punti scoperti dove poter colpire. Lui però non si arrese continuando a sferrare dritti e ganci sperando di riuscire a prenderla.
La sua occasione si presentò quando Alice provò a dargli un gancio, scoprendo la parte bassa del corpo. Lui si abbassò per schivarlo e, da quella posizione, gli diede prima un pugno alla bocca dello stomaco con un dritto e poi proseguì con un montante sul mento. La vide indietreggiare leggermente per il colpo ricevuto ma tornò subito in posizione di difesa.
<< 30 secondi!>> urlò l’arbitro.
A quel punto Matteo continuò a resistere e a provare ad attaccarla finché lei non gli diede un gancio destro, colpendolo tra la tempia e l’occhio, facendogli perdere l’equilibrio per il forte impatto e mandandolo a terra.
L’arbitro annunciò di nuovo la vittoria di Alice. E lui la guardò. Non c’era empatia in quei occhi, non c’erano sensi di colpa, ma solo rabbia. E per una volta lui rivide se stesso in lei.
Giorgio lo aiutò ad alzarsi << Amico, andiamo. Non racconterò in giro che sei stato battuto da una ragazza.>> rise per alleggerire la tensione.
Accettò la mano per poi scendere dal Ring. Si girò un ultima volta prima di uscire da lì. Alice non c’era più.
 
Si resse la testa con le mani mentre Giorgio stava pagando l’ora in piscina che avevano passato. Gli faceva male la faccia, ma non era niente in confronto ai continui pensieri che lo stavano mangiando.
<< Ehi.>> disse Alice, dopo essersi seduta vicino a lui << Tieni.>> gli passò una busta di ghiaccio. Lui la prese guardandola, senza parole. << Mettitela sull’occhio se non vuoi che ti venga un livido.>> disse senza guardarlo in faccia.
Lui abbassò lo sguardo e fece come aveva detto << Grazie…>>
Restarono un po’ in silenzio, lei che non voleva parlare e lui che non sapeva come iniziare. Gli sembrava una situazione stupida.
<< Sei tornata.>> disse soltanto, ricevendo un mugolio d’assenso << Dove sei stata?>>
<< In giro.>> rispose secca.
Si stava comportando in modo distaccato e scontroso. Cosa era successo a quella Alice che aveva conosciuto?
<< Perché?>> chiese soltanto. Quella domanda racchiudeva tutto quello che voleva sapere: perché se ne era andata, perché si stava comportando così e perché era stata così fredda sul Ring. Lei sembrò leggergli nel pensiero.
<< Sei mi stai chiedendo il motivo per cui me ne sono andata, sono fatti miei. Ma credo che Erica ti abbia già detto tutto, giusto?>> lui abbassò lo sguardo, sentendosi quasi un colpa per aver ficcanasato in fatti che non gli riguardavano. Era stato lui a chiederlo, solo lo aveva chiesto alla persona sbagliata. D’altra parte però lo aveva fatto perché l’ansia e la preoccupazione lo stavano mangiando vivo.
<< Se ti chiedi perché ti ho fatto un occhio nero, beh quello è perché così impari la lezione. Solo perché sono una femmina non vuol dire che sono debole, delicata e innocente. Quando stiamo sul Ring, siamo tutti uguali e l’unica legge che esiste è quella del più forte.>>
Lui la guardò allibito, non pensava si fosse accorta del fatto che stava evitando in ogni modo di colpirla per paura di fargli male. E ora però lui ci aveva rimesso un occhio nero.
Rise scuotendo la testa << Hai ragione. Mi dispiace.>>
Lei sorrise << Hai imparato la lezione.>> disse fiera di sé. Regalandogli quel sorriso che da troppo tempo non vedeva.
<< Sono contento che sei tornata.>> la guardò, felice di aver detto quelle parole e di poter di nuovo bearsi di quei occhi.
<< Già…>> rispose lei << Ora devo andare. Ci vediamo a scuola.>>
Non fece in tempo a protestare che lei si era già alzata e se ne era andata, sparendo dietro una porta bianca. Giorgio lo raggiunse, lasciandogli una sonora pacca sulla spalla << Eh, Teo. Donne. Non potrai capirle, ma non puoi neanche vivere senza di loro.>> rise.
Uscirono fuori dalla palestra e una volta arrivata davanti a casa di Matteo, che si trovava più vicino, Giorgio lo prese per le spalle << Stasera ti porto a bere, così magari ti diverti un po’.>> gli fece l’occhiolino.
Matteo scosse la testa. Non se la sentiva di ubriacarsi e di stare a contatto con delle persone << Stavolta passo, amico. Stasera ho altri piani.>>
Giorgio sbuffò << Okay, basta che non ti butti da un palazzo. Non voglio raccogliere il tuo piccolo cervello spappolato per strada.>> scherzò, ricevendo una spinta e un insulto nato dal cuore.
 
Una volta arrivata sera prese giacca, portafogli e chiavi. Si diresse verso la più vicina fermata degli autobus ed aspettò. In casi come questi, voleva stare da solo, lontano da tutti, libero di pensare, e c’era solo un posto in grado di calmarlo.
Il mare distava a 20 minuti con i mezzi e conosceva un pontile mezzo rotto dove nessuno lo avrebbe disturbato.
 
Su quello stesso pontile una ragazza con le ali nere contemplava il mare, non sapendo che di lì a poco avrebbe incontrato la sua più grande debolezza.







Angolo autrice
Chiedo venia per il ritardo, non era mia intenzione riaggiornare dopo così tanto tempo. Ma guardate il lato positivo, i capitoli sembrano diventare sempre più lunghi!
Di questo capitolo non ne sono pienamente soddisfatta a dirla tutta. Anche se sono stata fino alle 3 di notte a scriverlo. Beh, pazienza. In fin dei conti penso che non sia malaccio. 
Ringrazio tutti quelli legeranno o recensiranno la storia.
A presto.
E. xx


 
 
  
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