Capitolo primo.
UNA VITA CONTRO UN MILIONE
Alzò la
cornetta. La voce
dall'altro capo del filo cominciò a parlare. Mano a mano che
proseguiva, le sue pupille si riducevano a due fessure e le sue
unghie affondavano nella carne dei palmi, facendo colare il sangue
sul pavimento e scricchiolare le dita. Tuttavia il suo respiro rimase
calmo. Nessun ansito di troppo, nessun'inspirazione spezzata fecero
trasparire anche la minima traccia di inquietitudine al suo
interlocutore. Rimase calmo e impassibile, mentre dentro di lui
infuriava una tormenta maggiore di qualsiasi uragano del nuovo mondo.
Alzò lo sguardo sul proprio compagno più fidato,
appoggiato alla
parete con fare apparentemente rilassato, gli occhi chiusi, in
ascolto.
- Qual'è la tua scelta... Cappello di Paglia?- lo
raggiunse la voce.
Alzò nuovamente lo sguardo sul suo migliore amico che ora lo fissava con l'unico occhio ancora utilizzabile e prese la sua decisione.
-Loro no. Solo io.-
E chiuse la
chiamata.
Lentamente
rilassò le spalle larghe e aprì i pugni. Si
studiò i palmi coperti
di sangue e sorrise triste. Il limite era stato superato e lui come
persona e come responsabile di milioni di vite umane, non poteva
permettersi la scelta sbagliata. Guardò ancora il suo
vicecapitano
negli occhi e annuì breve.
-Vado a costituirmi.-
-Forza re
degli
straccioni!-
-Crepa una buona volta, feccia!-
-Affonda
insieme alla tua nave!-
-Tornatene al buco del culo da dove sei
venuto!-
L'ennesima sfilza di insulti venne attutita dall'acqua di
mare, che gli entrò rombando nella cavità nasale
e nei polmoni
sottraendogli contemporaneamente anche le forze. Il re dei pirati non
si ribellò; dopo quattro anni di torture, quella era una
delle più
magnanime. Evitò di muoversi più del necessario
per non peggiorare
la situazione, fino a quando sentì un doloroso strattone e
le sue
spalle larghe e muscolose, legate con grosse catene di algalmatolite
a una trave di legno, vennero tirate verso l'alto. Emerse dall' acqua
con tutta la parte superiore del corpo tossendo e sputando alla
disperata ricerca di un po' di aria. “Ne è valsa
la pena”,
pensò. Si ripeteva le stesse identiche parole ogni giorno
per non
impazzire. Perchè per quanto onore un uomo come lui potesse
possedere, per quanto potesse essere altruista e orgoglioso, per
quanto potesse costringersi a restare come prima, quella prigione lo
aveva reso egoista.
Nei
quattro anni in
cui era stato rinchiuso in quell'inferno, aveva subito ogni giorno
torture e violenze, e indebolito dall'algalmatolite non aveva saputo
reagire in alcun modo. Nonostante ciò, nei primi tempi si
era
ribellato, aveva scalciato, urlato insulti, si era dibattuto, aveva
combattuto. Ma man mano che passava il tempo aveva cominciato a
lasciarsi scivolare addosso i soprusi, e ora dopo quattro anni si
lasciava scivolare in uno stato di semi incoscienza sopportando il
dolore ogni volta che subiva. Era arrivato al punto da sorprendere se
stesso a pensare che se quel giorno in cui il grand'ammiraglio della
marina Akainu l'aveva chiamato non avesse assecondato la richiesta di
quest'ultimo, ora sarebbe libero. In quei momenti dava uno strattone
alle proprie catene che gli incidevano i polsi nelle ferite sempre
aperte, e il dolore lo faceva tornare lucido. In quei momenti si
ripeteva che la sua era stata la scelta giusta, che la sua esistenza
non valeva quanto quella delle migliaia di persone della cui vita era
responsabile.
Nonostante ciò però, Impel Down era riuscita nel
suo intento: spezzarlo. Aveva istillato in lui quel pensiero fisso,
quel pensiero per il quale avrebbe voluto uccidersi per quanto si
sentiva egoista, quel pensiero che gli diceva in continuazione che
avrebbe fatto meglio a salvarsi, che avrebbe dovuto sacrificare
migliaia di vite per sè stesso. La prigione l'aveva diviso
tra due
consapevolezze: il puro istinto di sopravvivenza e il pensiero
razionale del bene comune. Rufy sapeva sin dall'inizio della sua
prigionia, che Impel Down non avrebbe lasciato invariato il suo
essere, ma sapeva anche che non si sarebbe in alcun modo sottomesso
nè piegato. No, la prigione non era riuscita a piegarlo e
non ci
sarebbe mai riuscito nessuno. Ma era riuscita a spezzare quella parte
di lui che bramava la libertà, i mari aperti e il vento tra
i
capelli, quella piccola parte che se fosse stata intera, gli avrebbe
permesso di combattere contro quel nemico invisibile, annidato negli
angoli bui delle celle, nell'aria che odorava di stantio e sotto gli
alti soffitti ricoperti di muffa della prigione.
I suoi pensieri vennero interrotti dal rude tocco del suo carceriere, un omaccione colossale con una pancia assai prominente e il capo coperto, che gli staccò le spalle dalla trave e rimessegli le catene, lo trascinò in malo modo verso la sua cella e ce lo buttò dentro incatenandogli la caviglia al muro, chiudendo poi a chiave la porta, il tutto sotto una pioggia di insulti provenienti dagli altri prigionieri.
Rufy si trascinò verso il muro e ci si appoggiò contro respirando pesantemente. Con mano tremante si scostò i capelli fradici dal viso raschiando con le dita le proprie guancie ricoperte da una leggera barba e tremando per il freddo. Fece un paio di respiri profondi per diminuire i tremori, ma il suo possente corpo continuava a essere scosso da spasmi incontrollabili, in preda alla febbre. Scivolò lentamente lungo la parete fino a restare sdraiato raggomitolato e tremante. Ogni settimana la stessa storia: lunedì la frusta, martedì le braci, mercoledì l'acqua, giovedì di nuovo la frusta e venerdì di nuovo l'acqua. Una settimana per recuperare. Triste ma vero, quello era l'unico modo che Rufy aveva per scandire il tempo. Contava le settimane, i mesi e gli anni sulla sua pelle, senza mai perdere il conto, perdendo però, piano piano, qualsiasi speranza di uscirne vivo.
-Vado a
costituirmi.-
Zoro lo
guardò impassibile per lunghi istanti.
-Così anch'io.-
Rufy
lo guardò agrottando la fronte aggiungendo al suo cipiglio
serio uno
leggermente arrabbiato.
-Non se ne parla Zoro. Ci vado da solo. Ti
lascio il mio compito come capitano di questa nave. Nasconditi con
gli altri e prenditi cura della mia Robin, avete tutta la vita
davanti, non permetterò che per causa mia questa finisca
troppo
presto.-
Il pugno di Zoro colpì il tavolo.
-Ho detto che vengo
con te! Non credere di sentirmelo dire mai più, ma la mia
vita
appartiene a te! Come tuo vicecapitano e primo compagno, non posso
vivere senza la tua guida, anche se a volte fa schifo!- Zoro
abbassò
il capo.-...Come tuo migliore amico non posso farlo. E oltretutto
dubito che gli altri ti lasceranno andare così facilmente.-
Rufy
gli lanciò un'occhiata di fuoco.
-Se credi che approverò questa
pazzia, ti sbagli di grosso, Zoro! Non permetterò
né a te, né a
Robin né a nessun altro della nostra ciurma di seguirmi!-
-Cosa
credi, eh?! Che io voglia mandare Nami in quell'inferno di merda?!-
Zoro scosse violentemente la testa.-Ma so già che nonostante
tutti i
miei tentativi, lei non si smuoverà... così come
non desisteranno i
nostri amici. Quindi abbandona l'idea di liberarti di me e, per
quanto io odi questo pensiero, abbandona l'idea di liberarti dei tuoi
compagni perchè ti assicuro che nessuno di loro ti
lascerà
andare.-
Rufy strinse le labbra fino a farle diventare una riga
sottile e storse il naso, conscio che non sarebbe mai riuscito a far
cambiare idea a Zoro.
-Allora andiamo a scoprirlo.-
-Ehi
Rufy...- gli
giunse alle orecchie una voce attraverso il velo febbricante che lo
avvolgeva.
-Zoro...- chiamò il suo compagno di cella. -Questa
volta ci metterò un po' di più a guarire,
direi...- disse con voce
gracchiante. Il suo migliore amico lo fissò dalla sua
posizione
dall'altra parte della cella. Le sue braccia muscolose erano
incatenate alla parete sopra la sua testa, e la maglia strappata
lasciava intravvedere il torace allenato con la lunga cicatrice a
segnarlo. Lo spadaccino si limitò a guardare il proprio
capitano.
Sapeva fin troppo bene che Rufy non amava essere compatito, preferiva
sopportare in silenzio che farsi consolare, tralasciando il fatto che
Zoro non era affatto uno di tante parole. Oltretutto quella scena si
era ripetuta già così tanto, che ogni volta che
succedeva i due
compagni rispettavano il tacito accordo di non commentare.
Parecchie ore più tardi Rufy dormiva sul pavimento freddo della cella, mentre Zoro vegliava su di lui. Nonostante il fatto che in quel luogo più che mai i due pirati non fossero al sicuro, nessuno dei due aveva perso l'istinto di protezione verso l'altro. Nonostante tutto, sembra sempre un bambino, pensò Zoro guardando il proprio capitano dormire.
Da quando era cominciato il loro viaggio insieme, a quando era diventato il re dei pirati, dieci anni prima, Rufy era cambiato moltissimo, ricordò Zoro. Aveva raggiunto non solo la stazza di un uomo, a partire dalle spalle larghe e dall'altezza, ma anche una certa maturità e serietà. Parte del bambino che era molti anni prima continuava a vivere in lui, ma aveva imparato a mettere da parte i suoi sentimenti infantili quando ce n'era bisogno, e la sua carica lo richiedeva spesso. Era diventato sempre più abile nelle trattazioni e mano a mano che proseguiva con gli anni, la sua parte spensierata emergeva sempre meno, fino ad apparire solamente nelle poche occasioni di relax che gli erano concesse.
Zoro osservò a lungo il suo migliore amico steso per terra, sudato e scosso dagli spasmi della febbre. Vedere la figura imponente del proprio capitano in quelle condizioni senza poter fare nulla per migliorare la sua condizione, lo faceva impazzire tanto che strattonò involonatriamente le catene. Sibilò più per la rabbia che per il dolore quando le grosse manette gli incisero i polsi facendogli tendere impotente le grosse spalle. Fu così che cullato dalla frustrazione scivolò lentamente in un sonno agitato.
-Zoro!-
sentì la sua voce -Zoro!
Ehi dico a te dormiglione!-
Aprì gli occhi e nel suo campo visivo
scorse la testa rossa di Nami, a pochi centimetri dalla sua, la cui
proprietaria lo guardava sorridente.
-Che ore sono?- mugugnò Zoro
affondando la faccia nel cuscino.-Anzi no... non dirmelo. Non voglio
sapere...- un vistoso sbadiglio attutì la fine della frase.
-Ma
come...- si lamentò Nami e lo spadaccino potè
quasi vedere il
caratteristico broncio che la navigatrice metteva quando era
scontenta.-Non ti ricordi che giorno è oggi?-
-No... e ora
lasciami dormire.-
Il calore della sua compagna lo abbandonò di
colpo quando lei si alzò dal letto senza una parola, offesa.
Allora
Zoro si costrinse a scacciare gli ultimi residui del sonno e ad
afferrarla per la vita, prima che avesse il tempo di allontanarsi
troppo. La tirò accanto a sè e
l'abbracciò stretta.
-Certo che
non mi sono dimenticato che giorno è oggi...- Zoro le
baciò il
collo da dietro e piano la voltò verso di sè.-E
ho anche un regalo
per te...-
Guardandola negli occhi si sfilò uno dei suoi pendagli
e glielo mise all'orecchio.
-Ho riflettuto a lungo su cosa
regalarti oggi, e alla fine mi sono deciso per questo.- Le
sfiorò la
guancia.-In modo che tu abbia sempre qualcosa di mio.-
Nami lo
guardò con occhi lucidi.-È perfetto...-
sussurrò abbracciandolo
stretto e affondando il viso nell'incavo del suo collo.
-Buon
quinto anniversario Nami...-
Freddo.
Freddo.
Freddo.
Nella
mente di Robin non c'era nessun'altra parola. Il suo corpo non
percepiva nulla. La sua mente non formulava nessun pensiero coerente.
I suoi occhi fissavano un punto indefinito oltre le sbarre della
cella, senza tuttavia vedere niente.
Una volta, tanti anni fa,
quando la sua prigionia era ancora all'inizio, quando ancora si
sforzava a fare dei movimenti per riscaldarsi, a saltellare sul posto
o semplicemente a tenere occupata la mente, si era chiesta il
perchè
di quelle sbarre. Solo quando il freddo le aveva intaccato le ossa, e
l'aveva resa quasi incapace di muoversi, aveva formulato il suo
ultimo pensiero articolato: Le sbarre servivano a non permettere ai
lupi di porre fine alla sofferenza dei prigionieri.
Ora, quattro
anni più tardi, i suoi pensieri non avevano più
un senso preciso,
vagavano, facendo le associazioni più casuali, ma che in
qualche
modo portavano sempre alla stessa destinazione.
“Quanto è
bianca la neve...” le balenò nella testa
“Come la spuma di
mare.”
Robin continuò a guardare fuori con occhi vitrei, le
palpebre semichiuse per un periodo che sembrava lungo mille anni. Non
seppe se erano passati minuti, ore o addirittura giorni, quando
un'altro pensiero le attraversò la mente impigliandosi nei
meandri
del suo intelletto fino a radicarsi nella sua memoria. Ancora una
volta era giunta a destinazione.
“Come
il suo
sorriso”
Baltigo
-Capo!-
La
porta dell'ufficio si spalancò e un giovane entrò
trafelato e
agitato.
L'uomo dietro la scrivania alzò gli occhi da un plico di
carte che stava leggendo e puntò i propri occhi neri in
quelli del
suo direttosottoposto.
-Dimmi, Tofu.- lo apostrofò l'uomo con
voce profonda e calma.
Il giovane, il cui vero nome era
Dakuohteifu ma veniva affettuosamente chiamato
“Tofu”, sia per
via del suo incondizionato amore verso il formaggio di soia, sia per
le difficoltà di pronuncia del suo nome completo, riprese
fiato e
posò una pagina del giornale, la prima per la precisione,
sul tavolo
del suo capo.
-Guardi qui, capo.- disse Tofu puntando il dito su
uno dei vari sottotitoli e leggendo ad alta voce.-”Il
grand'ammiraglio ripulisce un'altra isola: La pirateria è
stata
sconfitta anche a Keishin” e guardi qua.- mostrò
l'immagine, posta
subito sotto la scritta, che mostrava il presunto panorama dell'isola
di Keishin con i suoi abitanti in festa.-E ora... si becchi questi.-
continuò Tofu, non facendo caso all'occhiata stranita del
suo capo a
quel linguaggio giovanile. Posò sul tavolo un plico di foto
che
mostravano gli stessi paesaggi ma completamente diversi. L'uomo
dietro la scrivania prese le immagini e dopo aver osservato per
qualche tempo la distruzione più totale e i cadaveri sparsi
per le
strade, con le mani che stringevano sempre di più la carta,
con un
movimento del braccio spazzò tutta la superficie del tavolo,
scaraventando per terra tutto ciò che vi era sopra.
Sbattè
violentemente il pugno sulla scrivania facendo incrinare il legno e
ignorando il giovane che mugugnava “e anche questa
è
andata...”.
-Dannazione!- esclamò alzandosi dalla sedia e
cominciando un nervoso avanti e indietro nella stanza.-Akainu
continua ad esagerare! La marina protegge i civili, uccide solo i
pirati...cazzate!- esclamò arrabbiato.-Se continua a
“liberare”
le isole in questo modo, l'intero mondo andrà a rotoli...-
si
massaggiò l'attaccatura del naso con una mano.-Se solo
potessi
impedirglielo in qualche modo...-
-Mi scusi, ma non aveva già
mandato le nostre navi a proteggere le isole e i civili?- si
intromise Tofu.
-Certo che l'ho fatto, Tofu, ma i nostri uomini
non sono abbastanza per fronteggiare una potenza come la marina da
soli, e le ciurme maggiori sotto i quattro imperatori non vogliono
saperne di immischiarsi nelle faccende che non li riguardano. Ho
contattato personalmente Law e Bonney ma mi hanno negato il loro
aiuto senza esitazioni. Daltronde posso capirli... il codice dei
pirati dice chiaramente “ciò che è sul
territorio del re dei
pirati, è del re dei pirati”... Compresi i casini.-
Si sedette stancamente nella
poltrona con le mani a nascondere l'espressione esausta.
-E le
ciurme sottoposte al re dei pirati?-
-Loro mantengono un profilo
basso. Aiutano un po' qua e là ma da quando Rufy...- si
schiarì la
voce- è fuori dalla circolazione, preferiscono non mettersi
troppo
in mostra. Akainu sa che per eliminare anche solo una di quelle
ciurme dovrebbe sacrificare una forza militare enorme, però
non vuol
dire che se loro creassero problemi lui non lo farebbe. Quindi loro
non si comportano eccessivamente male, nel limite del possibile
ovviamente, e lui fa finta di non vedere. Anche questo accordo
ovviamente è provvisorio, conoscendo Akainu li
attaccherà non
appena avrà eliminato i pirati minori. Questa situazione
quindi non
può che peggiorare.- L'uomo si passò una mano
sulla faccia
sospirando pesantemente.-A questo punto...-
Il capo dei
rivoluzionari scosse la testa e si appoggiò allo schienale
della
poltrona con lo sguardo vuoto, perso nei suoi pensieri. Per alcuni
minuti regnò il silenzio nella stanza, che veniva interrotto
soltanto dei lievi respiri dei due uomini uno di fronte all'altro.
Alla fine Tofu non ce la fece.
-”A questo punto” cosa?!-
Il
suo superiore alzò gli occhi e lo guardò con uno
sguardo che
raccoglieva un misto di eccitazione, ferocia e impazienza, che
mostrò
a Tofu la tanto decantata parte birichina del suo capo, che
però lui
non aveva mai scorto.
-Allora a questo punto attuiamo il piano B:
Andiamo a liberare il mio caro fratellino!-
Impel Down - Una settimana dopo
Era
venuta una carceriera donna a tagliargli la barba e a lavarlo alla
bell'e meglio per renderlo presentabile. Era una nuova, non era mai
venuta prima, ma come tutte le altre non aveva sprecato neanche un
minuto prima di strusciarglisi addosso mentre gli rasava le guance, e
lavandogli il corpo aveva fatto ben altro oltre a quello.
-Donna-
l'aveva apostrofata Rufy con un sottotono minaccioso quando la sua
mano si era spinta ben più in là dei suoi
addominali e mugugnando
contrariata, in un modo che doveva risultare sexy, aveva messo il
broncio ritirando la mano dai suoi pantaloni. Rufy continuò
a
guardarla torvo. Nonostante le sue forme potessero risultare
invitanti per qualsiasi occhio esterno, a lui non facevano
né caldo
né freddo e al suo ennesimo tentativo di sedurlo Rufy
ringhiò e le
disse chiaro e tondo:
-Sei come un uomo per me.-
Quella si era
allontanata di scatto come scottata e dopo avergli lanciato in faccia
lo straccio bagnato, se ne era andata urlando improperi.
Dall'angolo
della cella più lontano da Rufy, provenì il rauco
ridacchiare di
Zoro che attaccò anche il re dei pirati, che dopo qualche
secondo si
fece sfuggire un ghigno.
-Ah se la rasassero anche a me la barba
una volta al mese... sei proprio fortunato amico-
-Se anche a te
mandassero queste puttane, preferiresti anche tu di sembrare un
vichingo.- gli rispose Rufy.
-Si ma quella dell'uomo era
veramente cattiva...- ghignò Zoro.
Il bianco del sorriso che
balenò sul viso di Rufy raggiunse il suo vice capitano che
continuò
a ridacchiare.
Quel raro momento di semi-allegria venne
interrotto da un rumoroso cigolio proveniente da qualche parte della
prigione che fece tornare seri i visi dei due pirati.
-Eccolo che
arriva...- mugugnò Zoro, il buon umore sostituito da una
nota
rassegnata, mentre Rufy raddrizzava la schiena e serrava la mascella,
le spalle tese. C'era sempre una notizia che aspettava con
più
impazienza, il resto poteva aspettare. Un rumore di passi che si
avvicinavano sempre di più alla cella, provenne da oltre le
sbarre,
annunciando il visitatore abituale, l'unico che fosse mai venuto, di
cui entrambi conoscevano già l'identità. Rufy
puntò i suoi occhi
in quelli dell'uomo davanti a lui e alzò il mento in cenno
di
saluto.
-Smoker.-
-Preferirei “Ammiraglio”, Cappello di
Paglia.- rispose l'uomo soffiando una nuvola di fumo dalle narici.-Ma
ripetendotelo una volta al mese dovrebbe già esserti entrato
in
testa, o sbaglio?-
-Ammiraglio...
qui dentro tendo a dimenticare le cose.- ribattè Rufy
guardandolo
negli occhi.
Smoker lo fissò dall'alto della sua statura
imponente.
-Non sono qui per scambiare convenevoli.- con un cenno
della mano fece segno alle due guardie armate che lo sguivano di
lasciarlo solo.-Anche se quasi quasi preferisco stare qui a parlare
con te che tornare la fuori, il che ti dà una chiara visione
di
quanto le cose vadano male al momento.- Smoker si grattò il
naso e
il silenzio regnò sovrano per un po'.
-Sono ancora vivi.- esordì
poi dal nulla l'ammiraglio.
Le spalle di Rufy si rilassarono
notevolmente, così come quelle di Zoro.
-Grazie- sospirò
sollevato.
-Non ringraziarmi troppo presto, re dei pirati, c'è
una cosa che devi vedere prima.
Detto ciò Smoker tirò fuori
dalla tasca del suo mantello la prima pagina di un giornale.
-I
rivoluzionari si stavano già muovendo da un paio d'anni per
opporsi
alle flotte sterminatrici di Akainu, ma di recente c'è stato
un
fermento e alla fine...- gli buttò il giornale davanti ai
piedi
-questo.-
Rufy allungò la mano per prendere il foglio, raschiando
il pavimento con le catene.
Si portò la pagina sotto gli occhi.
Mano a mano che leggeva, aggrottava sempre pù la fronte,
esprimendo
tutta la sua confusione.
Alzò lo sguardo su Smoker.
-Ma che
diavolo...-
In prima pagina c'era una foto con l'obiettivo per tre
quarti coperto da una mano dove risaltava chiara e grande la scritta
5D.
In secondo piano lo guardava, con un sorriso di sfida, Sabo.
Buonasera
Ragassuoli che avete letto questo capitolo!
Sono Ika e ora vi darò
alcune informazioni:
Questa è la mia prima storia su One Piece,
ma non la mia prima in assoluto. Ho già scritto
precedentemente (tre
anni fa) una piccola long fiction che però trovo un po'
scadente.
Ora dopo tre anni, spero che il mio modo di scrivere sia migliorato
almeno un po' e per questo me ne esco con questa storia.
Ho
sempre voluto scrivere un racconto con una trama un po' più
avvincente della solita solfa tra innamorati, ma essendo una ragazza,
non posso farci nulla se ogni tanto (poi quanto spesso, sarà
da
vedere) mi scappa un po' il romanticismo ;)
Detto ciò, spero di aver incuriosito almeno qualcuno/a di voi con questo primo capitolo.
Un altro aspetto importante: i miei aggiornamenti non saranno veloci e men che meno regolari. Mi scuso in partenza perchè so già che anche con tutta la buona volontà, dovrò schiacciare i miei momenti di scrittura tra i miei molti impegni.
Inoltre
chiunque voglia darmi il suo parere, farmi domande o criticare (in
modo intelligente) la storia, è il benvenuto nelle
recensioni!
Alla
prossima (che potrebbe essere quando l'essere umano si sarà
estinto)
e ciao!
Ika