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Autore: Sethmentecontorta    27/03/2016    2 recensioni
Camminava muta, come chiusa in una bolla che la separava dal resto del mondo: i suoni e le immagini la toccavano solo a metà, qualunque gioia, volontà, felicità era scivolata via da tempo. Era solo una dodicenne, quanto tempo avrebbe resistito sola a quel modo? Che motivo aveva per andare avanti? Ah, lei lo sapeva eccome quale motivo la convinceva a continuare, seppur così.
Nonostante la sua mente fosse così offuscata da oscuri pensieri, l’animo appesantito, il suo passo incedeva leggero, invariato; attraversava strade, superava semafori, negozi, parchi, case, persone. Quel mondo che le appariva così distante, in cui i bambini ridevano giocando insieme, le ragazze come lei chiacchieravano dei loro amori adolescenziali o di qualunque cosa interessasse loro, gli adulti affannavano dietro al lavoro, ai figli, a mogli e mariti. Mentre la vita scorreva frenetica, lei camminava lentamente per la sua via; lo sguardo nel vuoto, la treccia ondeggiante lungo la schiena con un ritmo quasi ipnotico. Era così estranea.
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|Remake di "The dreamer girl|OC, Kidou Yuuto, Goenji Shuuya, Fubuki Shirou, Fudou Akio|triste|
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axel/Shuuya, Caleb/Akio, Jude/Yuuto, Nuovo personaggio, Shawn/Shirou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seth's corner: Credo che finché riuscirò vi porterò un capitolo ogni due settimane. Credo che almeno fino al quinto di certo ce la farò. In ogni caso, questo è solo un piccolo capitolo di passaggio, per inquadrare un po' meglio la situazione della nostra bambina, dal prossimo inizia la vera azione, ve lo prometto. Avrei voluto mostrarvi un disegno per farvi vedere un po' come me la immagino, ma ora non ci riesco e volevo portarvi questo capitolo. L'immagine del giorno è stata offerta da bertilmelhof, mentre la canzone che vi consiglio per la lettura è The lost one's weeping (sì, questa volta, coi vocaloid, mi addentro su terreni che per voi saranno penso più familiari). 
Ripeto che questo è un progetto a cui tengo un casino, vorrei davvero non finisca come con The dreamer girl, che per mancanza di fiducia in me stessa getti tutto all'aria per mancanza di vostro sostegno. Non ve lo chiederei se non fosse necessario, ma ricevere due paroline da voi mi farebbe davvero stare meglio. Ringrazio in anticipo tutti gli eventuali recensitori (ma si dice, poi?) e tutti i lettori silenziosi che fanno comunque sempre la loro parte. A fra non moltissimo col terzo capitolo!
~Seth
 

Chapter 2 Self-induced isolation

 
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Respiri pesanti ed ansanti aleggiavano nello stadio della Teikoku Gakuen, echeggiando in ogni angolo, accompagnati dal rumore dei passi, dei salti, degli scarpini che sbattevano e strisciavano sull’erba, dei palloni che rimbalzavano al suolo, che colpivano birilli, pali, traverse, a volte persone… I suoni a cui Tenshi era ormai perfettamente abituata, che la rilassavano e cancellavano qualunque cosa nella sua testa, facendole pensare solo a come preparare al meglio i giocatori. Camminava tra i ragazzi, guardandoli con sguardo serio, pratico, obiettivo, valutando le loro abilità, i loro miglioramenti, il loro impegno, la loro forza di volontà, tutto ciò che sarebbe servito in partita. Proseguiva, a passi lunghi, con le mani congiunte dietro alla schiena, gli occhi vigili e precisi, che studiavano fino alla minima mossa, al minimo guizzo di muscoli, di tanto in tanto arrestava il suo incedere, correggeva le posture o i movimenti dei calciatori. Raramente parlava, se non per spiegar loro nuovi esercizi da svolgere, spesso restava in silenzio; solo una volta finita la sessione si lasciava andare ad un flebile sorriso, perdendo quell’aria da adulta, lodandoli per il lavoro svolto, facendo notare loro conquiste o difficoltà da superare, distribuendo ad ognuno bottiglie di fresca acqua ed asciugamani nivei e profumati, morbidi, che poi ritirava ed andava a riporre al loro posto, pronti per venir ripuliti ed usati nuovamente i giorni seguenti. 
Quello era il suo lavoro lì: preparava e supervisionava i loro allenamenti, ormai era diventata abile. Sapeva dire con una sola occhiata se un giocatore aveva un problema, qualcosa che non andasse, se provasse dolore in qualche punto, le bastava guardarli giocare per sapere dove doveva concentrare il prossimo allenamento. A lei non dispiaceva neppure tutto quel lavoro, almeno poteva essere d’aiuto a qualcuno, fare qualcosa, e non rimanere inerte a soccombere al vuoto ed alla solitudine della sua vita. Amava la squadra, era l’unica cosa che la trascinava via dalla realtà.
 
Molto prima di quanto avrebbe mai pensato e desiderato, l’allenamento era già terminato, e dovette avviarsi verso casa, sistemate le ultime cose. La tensione era appena accennata, nell’aura della Teikoku Gakuen; si avvicinava il termine delle fasi regionali del Football Frontier, e la Raimon cominciava a migliorare a vista d’occhio, tant’è che avrebbero potuto incontrarli in finale, tutto dipendeva dalla prossima partita della squadra avversaria. Quei ragazzi sarebbero potuti diventare una minaccia, per quell’imbattibile squadra che dominava da ormai quarant’anni senza una sola sconfitta? Sospirò, mentre usciva dall’edificio scolastico, sbattendo un paio di volte le palpebre per abituarsi alla luce, più forte all’esterno. Lentamente, come controvoglia, si avviò per la strada popolata da qualche studente che, come lei, aveva concluso le attività del proprio club e si dirigeva verso la propria abitazione. Il suo sguardo vagava un po’ ovunque, senza che lei recepisse effettivamente nulla, persa nei suoi pensieri, palesati dalle ombre delle sue iridi; la cartella le rimbalzava sulle cosce, per via della sua abitudine di camminare con le braccia dietro la schiena, ma non le creava fastidio.
I suoi occhi si concentrarono su un piccolo market. Forse avrebbe dovuto fare la spesa, cosa avrebbe cucinato quella sera? Entrò silenziosa nel modesto negozio e comprò il necessario per cucinare del ramen con uova strapazzate, accennando un sorriso alla commessa che, mentre le porgeva il resto, si complimentava con lei per voler aiutare i suoi genitori con le faccende. Una volta che si ritrovò all’aria aperta proseguì il suo cammino, a passi lenti e misurati, chiedendosi come poter allontanare ancora di un po’ il momento in cui si sarebbe trovata da sola con le sue lacrime mai piante nella sua stanza. Tutto questo era così sbagliato, lo sentiva.
Camminava muta, come chiusa in una bolla che la separava dal resto del mondo: i suoni e le immagini la toccavano solo a metà, qualunque gioia, volontà o felicità era scivolata via da tempo. Era solo una dodicenne, quanto tempo avrebbe resistito sola a quel modo? Che motivo aveva per andare avanti? Ah, lei lo sapeva eccome quale motivo la convinceva a continuare, seppur così
Nonostante la sua mente fosse così offuscata da oscuri pensieri, l’animo appesantito, il suo passo incedeva leggero, invariato; attraversava strade, superava semafori, negozi, parchi, case, persone. Quel mondo che le appariva così distante, in cui i bambini ridevano giocando insieme, le ragazze come lei chiacchieravano dei loro amori adolescenziali o di qualunque cosa interessasse loro, gli adulti affannavano dietro al lavoro, ai figli, a mogli e mariti. Mentre la vita scorreva frenetica, lei camminava lentamente per la sua via; lo sguardo nel vuoto, la treccia ondeggiante lungo la schiena con un ritmo quasi ipnotico. Era così estranea.
Venne riscossa dalle vibrazioni del cellulare nella cartella, lo prese senza contenere un cipiglio stupito, le occasioni in cui quell’apparecchio aveva il privilegio di produrre i suoni che componevano la semplice suoneria erano assai sporadiche. Guardò il messaggio che le era arrivato, mittente: Kidou Yuuto. Prevedibile. Il ragazzo le chiedeva se le andasse di andare a prendere un gelato in centro con lui, Sakuma e Genda. Accennò un sorriso - che pure non lasciava trasparire significativi indizi di gioia -, proprio al caso suo. La sua spoglia e opprimente camera avrebbe atteso ancora un po’.
 
Dopo essere passata a casa a lasciare la spesa in cucina e a cambiarsi rapidamente, si ritrovò nella stazione centrale di Tokyo, a cercare con lo sguardo tre dei migliori giocatori della sua squadra. Li individuò seduti ad una panchina, immersi in una conversazione che indovinò vertere sul calcio. Li raggiunse, stringendo tra le sottili dita di una mano la tracolla della sua borsetta lucida del colore del più profondo degli oceani. I ragazzi rivolsero lo sguardo verso di lei e sorrisero.
– Scusate il ritardo. – disse, legandosi un elastico color cielo intorno alla treccia che aveva rapidamente intrecciato in treno. Nonostante la fretta, la capigliatura era al suo solito perfetta, aveva ormai una certa abilità nell’intrecciare i propri capelli in ogni genere di trecce.
I tre la perdonarono senza problemi, dirigendosi verso una gelateria. La ragazza camminava al loro fianco, intervenendo sporadicamente nelle loro discussioni, per lo più li ascoltava, lo sguardo perso verso l’infinito orizzonte. Gli altri non vi facevano caso, erano abituati al fatto che la ragazza sembrasse costantemente sulle nuvole.
Arrivarono alla gelateria, sedettero ad un tavolino in ferro nero, dalle fattezze graziose ed eleganti, ordinarono distrattamente tre coppe di gelato ed una granita, ancora presi dalla loro discussione - eccetto la fanciulla, che ricevette dalla cameriera un’occhiata eloquente, come volesse dirle “questi ragazzi!” con il solo ausilio degli occhi. Poco dopo venne servito loro ciò che avevano chiesto, coppe guarnite da un’invitante panna, ciliegie, codette o polvere di cacao, ed una granita alla menta, sulla quale ugualmente svettava uno sbuffo color latte, che in confronto agli altri tre ordini sembrava assai misera e poco invitante. Quest’ultima venne data alla ragazza, che distrattamente prese a giocare con la guarnizione candida come neve, per poi mangiarne una cucchiaiata. Passò poi con lo sguardo dal ghiaccio color verde alla tranquilla stradina, percorsa da alcuni passanti, ma non frenetica, dalla quale erano separati solo grazie ad una siepe dalla forma accuratamente rettangolare. Vedendo un trio di ragazze che ridacchiavano allegramente, si chiese se anche lei un giorno sarebbe riuscita a provare quelle sensazioni a lei sconosciute come gioia, senso di leggerezza, se avrebbe potuto sentire di non aver alcun problema a gravare sulle proprie spalle. Si chiese se avrebbe mai avuto quella spontaneità, se avrebbe mai smesso di indossare maschere su maschere. Che poi, chi era la vera Tenshi? Perfino lei ne aveva perso memoria da tempo, quei ricordi erano ormai lontani, corrotti dalla solitudine, dall’assenza di amore. Avrebbe mai compreso il significato di certe parole? Amore, che suono strano.
Tenshi, l’avevano chiamata, che scherzo del destino, un simile nome ad una come lei, che di angelico non aveva forse che l’aspetto, mentre nell’animo si sentiva pesante come una roccia. Probabilmente, se l’avessero gettata in un fiume, sarebbe colata a picco senza bisogno di alcun espediente come riempirle i vestiti di sassi o simili. Buffo, si sarebbe potuto dire. Buffo davvero.
– Terra chiama Tenshi! Ci sei? – Genda le sventolò una mano davanti al viso, facendola sussultare impercettibilmente e riscuotendola bruscamente dai propri pensieri, attirando la sua attenzione verso il trio seduto assieme a lei al tavolo di color ebano. Il castano la stava guardando accigliato, mentre gli altri due avevano sguardi più morbidi, e labbra piegate in un piccolo sorriso.
– Scusate…? – chiese appena timidamente. Forse, stare sempre a rimuginare sui suoi problemi non le avrebbe fatto che male, avrebbe provato a rilassarsi e lasciarsi andare, nei limiti del possibile, per una volta.
– Stavamo parlando della Raimon. – le spiegò Sakuma.
– La Raimon, eh? Argomento più che discusso dai media sportivi della zona, dato che in sole poche partite di campionato regionale hanno avuto una crescita più che notevole.
– Pensi che dovremmo temerli? – la interrogò il capitano.
– Ora come ora, la loro forza è insufficiente a sconfiggerci, se continuano ad incrementare le loro abilità col ritmo mantenuto finora, forse potranno darci filo da torcere. Mentre, se miglioreranno ancor più… temo che dovremo faticare questa vittoria. – congiunse le mani davanti al mento, che vi appoggiò. C’era sempre il fattore “Kageyama” da tenere in considerazione. Avrebbe fatto di tutto per ottenere la vittoria a tavolino o comunque favorire in qualunque modo la propria squadra, se la Raimon fosse migliorata al punto da rivelarsi una minaccia.
I ragazzi si lanciarono un’occhiata di intesa che a lei non sfuggì. 
– Cosa tramate di fronte ai miei occhi?
– Hai alcuni dei suoi modi di fare, non puoi negarlo. – fu la spiegazione fornitale dal portiere dalla castana chioma leonina.
– Dopo cinque anni di convivenza e collaborazione, qualcosa avrò pur preso da lui, non ti pare? – sospirò, avrebbe preferito non assimilare nulla di quell’uomo, ma se ciò l’avrebbe portata alla verità, ne sarebbe valsa la pena. – Per concludere il precedente discorso, se volete la mia opinione personale, ho il presentimento che quella squadra ci riserverà sorprese. – disse, stringendo tra le dita la cannuccia rosso acceso della granita e bevendone un sorso.
– Sorprese di che genere? – volle informarsi Kidou.
– Non lo so, sento solo che ci stupirà. E non solo loro, ho una strana sensazione su tutto questo Football frontier. – giocherellò con il tubetto di plastica cremisi, osservando i granelli di ghiaccio ruotare ed agitarsi nel bicchiere.
– Ahi ahi, quando Tenshi ha questi suoi “presentimenti” e “sensazioni” c’è sempre da preoccuparsi. – disse Genda, con un sorriso quasi tendente al ghigno, mangiando una gran cucchiaiata di gelato.
Le labbra della ragazza si piegarono, ma quella sul suo volto si sarebbe potuta dire una smorfia, più che un sorriso, tanto era la sua espressione piena di rammarico ed amarezza. – Già, dobbiamo davvero preoccuparci
   
 
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