“Tu devi essere Mello, vero?”
Sospirò e annuì, capendo che non l’avrei lasciato in pace.
Si voltò verso di me e gli sorrisi.
Abbassò il capo, come per scusarsi di non poter fare altrettanto.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Matt, Mello
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Note: Bhà,
finalmente questa tortura (per voi poveri che vi obbligate a leggere)
è finita. Ultimo capitolo, alleluia.
Forse mi piace un pochino di più rispetto agli altri due. Forse.
Per chi ha commentato Liby_chan: No
dai, ti perdono, davvero XDXDXD Purtroppo il limite massimo per il
contest era di tre capitoli. Bhè, apparte questa che
è un po' una scusa, mi capita spesso di notare che vado
troppo in fretta, con le mie storie (chiamale storie) però
non riesco a farci molto ç__ç" Non sono brava ad
'allungare il brodo'. Mi dispiace, spero quest'ultimo capitolo ti
piaccia lo stesso >____< Elly_Mello:
Avrei voluto concludere il tutto con un bello spargimento di sangue
*sguardo sadico* però ho lasciato un finale un po' aperto,
yeah. Potete sia decide che Mello e Matt muoiano di botte per aver
tentato di scappare, che riescano a fuggire U___U Io preferisco il
primo finale *-* _pEaCh_: Grazie
*-* Non sai quanto mi fanno piacere i tuoi commenti, visto che adoro
come scrivi *-* Fiamma64: eccoti
il terzo capitolo, gwah XD IMHO, non è poi così
carina XD Grazie per averla letta é___è
Grazie anche a tutti quelli che hanno inserito la fic nei
preferiti!Grazie davvero!
Per due giorni Mello non si fece vedere.
Quando stavo iniziando a preoccuparmi seriamente, tutto d’un
tratto ricomparve.
Aveva le braccia e il lato destro del volto coperti di lividi, segno
che la sua assenza era stata punita.
Ero abituato a quel trattamento per le puttane; loro dovevano lavorare,
sempre.
Se anche un solo giorno non si presentavano, venivano malmenate
finché non capivano la lezione, finché non
promettevano di non ricommettere mai più lo stesso errore.
Una volta avevo assistito a una scena del genere.
Mio zio aizzava uno dei suoi a picchiare la sua
‘dipendente’, insultandola, umiliandola e
sputandole addosso.
Quando avevano finito, il grande capo se ne andò impettito
seguito a ruota dalla sua scorta.
Lei era rimasta a terra, rannicchiata, incapace di muoversi per il
troppo dolore.
Mi avvicinai per aiutarla, ma appena fui nel suo campo visivo
cominciò ad urlare di nuovo ‘No!basta!non lo
farò più!vi prego, vi prego…’
Orribile.
E ora…la figura della donna si soprapponeva a quella di
Mello, potevo sentirlo urlare, potevo sentire la mazza abbattersi sulla
sua pelle, potevo sentire mani violente profanare la sua pelle, potevo
vederlo piangere, potevo provare
il suo dolore…
Sentii la rabbia salire sempre di più.
Perché era costretto a sopportare tutto
questo?Perché doveva soffrire così?
Mi fiondai letteralmente sulla panchina, osservando inorridito la pelle
violacea.
Si rannicchiò nel punto opposto al mio.
Aveva paura di me?
Quella consapevolezza mi fece sentire terribilmente sbagliato, indegno
di vivere.
Lui non poteva aver paura di me…Io…
Cercai di incontrare il suo sguardo, ma guardava ostinatamente in basso.
“Mel…Mel…” la voce mi si
strozzava in gola “Sono stati loro?”
Capì subito a chi mi riferivo; annuì piano con la
testa.
Allungai piano la mano e sfiorai uno dei suoi lividi; lui
tremò per il dolore, io per l’angoscia.
La risolutezza mischiata ad un senso di protezione mi invase.
Tutto quello doveva finire, decisi.
Si, quella sera stessa avrei parlato con mio zio. Gli avrei detto addio
e avrei portato Mello via da lì.
Era facile immaginare cosa avrei detto, una volta tornato a casa.
Ma, ovviamente, appena vidi l’uomo in questione in volto ogni
mia sicurezza scomparve.
Lo osservai con occhi obiettivi: non era troppo alto, il fisico
asciutto, le rughe rade ma profonde, che aumentavano ogni volta che
corrucciava la fronte – cosa che succedeva spesso.
Probabilmente era solo la sua fama ad incutere timore; il suo aspetto
non era poi così minaccioso come invece si diceva.
L’unico elemento inquietante nel suo volto era lo sguardo.
Sadico. Dopo tutte le crudeltà che aveva visto (e compiuto)
trovava ancora un piacere smodato nel dolore altrui.
Cercai di recuperare il coraggio di quel pomeriggio, ma i lividi di
Mello scivolavano via dalla mia testa come acqua.
Il giorno dopo, e quello dopo ancora, mi sentii un codardo, un essere
inutile.
Lui era lì, a leccarsi le ferite, continuando a subire, e io
non avevo ancora trovato il coraggio di salvarlo.
Era passata più di una settimana – non ricordavo
preciso quanto, il tempo volava così in fretta…
Da quel giorno non ci eravamo più sfiorati, era tutto come
al principio, io parlavo e lui guardava in silenzio gli alberi, e i
suoi piedi, e i sassi e le macchine che correvano.
Titubavo, ma avevo quasi preso la decisione definitiva.
Avevo calcolato ogni possibilità, ogni via di fuga e ogni
tipo di reazione da parte di mio zio.
Ero pronto; mancava solo un’ultima cosa.
“Mel…” mi guardò, non negli
occhi, non lo faceva mai, ma alzò lo sguardo sui miei
capelli, forse incuriosito dal tono di voce diverso.
“Mel, qual è il tuo nome? Quello vero,
intendo.”
Mi fissò sconvolto. Accennai un sorriso “Il mio
è Mail Jeevas.”
Sostenne il mio sguardo ancora per un po’, poi si
fissò le mani.
Si mordicchiò il labbro, non sapendo cosa fare.
Dentro di me pregavo mi rispondesse.
“Mihael Keehl.” Sussurrò.
Gli sorrisi felice, lui ricambiò imbarazzato.
Da quel momento fui certo d’essere in grado di affrontare mio
zio, di poter affrontare i suoi cani da guardia.
Perché Mello…Mihael
si fidava di me.