Libri > I Miserabili
Segui la storia  |       
Autore: AdeleBlochBauer    27/03/2016    1 recensioni
Se Valjean fosse stato presente quando Javert tentò il suicidio.
Un percorso morale e spirituale che, da qui, può scaturirvi.
---
Una storia scritta qualche tempo fa, dedicata unicamente all'amore e alla gratitudine per Victor Hugo.
Non chiedo nulla e non ho nessuna pretesa: ma, forse, se hai amato I Miserabili quanto l'ho amato io, forse questo ti piacerà.
O, almeno, lo spero.
Grazie.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées;
Des montagnes, des bois, des nuages, des mers,

Par delà le soleil, par delà les éthers,
Par delà les confins des sphères étoilées.”


 
“Al di sopra degli stagni, al di sopra delle valli,
Dei monti, dei boschi, delle nuvole, dei mari
Al di là del sole, al di là dell’aria,
Al di là dei confini delle sfere stellate.”



- Charles Baudelaire, Élévation [Elevazione]


-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

PARTE SECONDA
FIAT LUX

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


 

1. Militat omnis amans*


La mattina precedente Cosette si era svegliata quasi all’aurora, nella più completa serenità. Era rimasta nella convinzione (del tutto scontata, a quell’ora, dopotutto) che la Toussaint e il vecchio padre fossero ancora a letto.

Le procurò solo qualche turbamento scoprire che Jean Valjean, contrariamente a quanto credeva, era uscito di casa ancora prima del suo risveglio, vale a dire prima dell’alba. La sua preoccupazione crebbe di fase in fase quando Jean Valjean non si fece vivo né a pranzo, né a cena, né al tramonto. La ragazza si trovava, inoltre, impossibilitata a chiedere qualsiasi aiuto: sia lei che il padre mancavano di amici quanto di conoscenze. Era anche molto reticente a chiedere servizio alla polizia, ben conscia che, fin da sempre, il padre aveva accuratamente evitato ogni contatto con le autorità.

Non si può dire che ne comprendesse il motivo appieno (diciamo, anzi, che molte delle abitudini di grande riservatezza di Jean Valjean la trovavano ancora piuttosto perplessa), ma fin da bambina si era abituata senza troppe storie alle bizzarrie di quell’uomo buono e schivo. D’altronde, Cosette non era una ragazza vana: sapeva osservare e, avendo osservato Jean Valjean per anni, si fidava.

Se non comprendeva i suoi motivi, ne capiva però i sentimenti. Vedeva che Jean Valjean rifuggiva la società, senza odiarla; capiva che i suoi nascondigli non erano privi di luce. Sapeva che la sua reticenza non era pericolosa. E, in più, lo amava.

Nessun sospetto avrebbe mai potuto sfiorare il candore del suo amore filiale. Jean Valjean era padre, madre, fratello, amico, salvatore: una sua prospettiva in negativo non era accettabile. Una parola contro Valjean, era un’accusa alla parte più sublime del genere umano. C’era Jean Valjean, c’era Marius, c’era il resto del mondo. Cosette non trovava motivo migliore al mondo di essere coraggiosa, e di avere fede, se non per lui: avrebbe offerto il collo nudo alla ghigliottina del peggiore dei boia, se Jean Valjean le avesse assicurato che non avrebbe corso pericolo.

A notte fonda, tuttavia, senza osare coricarsi prima del ritorno del padre, Cosette aveva deciso che se non avesse avuto notizie di lui entro il mattino seguente sarebbe andata certamente dalla polizia.
Non fu necessario: Cosette rivide Jean Valjean a casa verso la mezzanotte. Come purtroppo ben sappiamo, il suo ritorno non fu volto ad alleviarle i dolori: sporco e sanguinante, la avvertì che Marius era ferito (gravemente ferito, come ammise infine), a casa del nonno paterno, in estremo bilico fra vita e morte.

E’ terrificante constatare la potenza di un istante. I precisi attimi di lacerazione che, necessariamente, si accompagnano alla vita. E’ durante i quali si viene trafitti, o illuminati. Sangue o luce. Istanti di crollo o di elevazione, che irrompono spaccando un bivio nella rettitudine di una vita, rompendo muri, rovesciando palazzi o, nell’altro caso, spalancando portoni e inondando di raggi. Tali squarci, che salvano, dannano o –più spesso- semplicemente insegnano, a seconda del Fato, irrompono con violenza in una vita, in un’idea, in un affetto, e delineano altre vie, o una soltanto, scelte o imposte, inesorabili o solo possibili.
Il cielo, in quell’istante, era crollato sulla fronte di Cosette. Marius, Marius Pontmercy, poteva morire.

Consideriamo, per un attimo, la vita di Cosette.

Cosette non ricordava sua madre; aveva vissuto dai Thenardièr in una sorta di vaga, acre nebbia mnemonica. Poi, era stata salvata da Jean Valjean. Da quel giorno, non aveva conosciuto che luce; aveva sorriso e aveva studiato; aveva passeggiato e aveva conversato con Jean Valjean; aveva letto i libri che lui le prestava, aveva meditato e chiacchierato, si era vestita e aveva sognato. Aveva incontrato Marius e, per lo stesso principio con cui si alzava ogni mattina, se n’era innamorata. Del tutto semplicemente. Tale era stata la sua vita: aveva subito passivamente, era rinata, aveva amato appassionatamente. Ora, in un istante, sprofondava.

Marius era quindi ferito? Era privo di coscienza e coperto di sangue? Rischiava di morire? Cosa significava tutto questo? Pazzia, tutta pazzia! Marius, il suo Marius, non era certo solo corpo, un corpo che poteva essere ferito o danneggiato: Marius era spirito, luce, aurora. Perché doveva essere importante quel fragile rivestimento di pelle, tendini e ossa, ora quasi fatalmente indebolito, a cospetto dell’invincibile entità quale era Marius per Cosette?

Amare un’anima che si fa corpo, e questo corpo che muore. Orrore come pochi. Rendersi conto che una sola ferita fisica basta per spazzare via quell’immenso empireo di mente, anima e sentimento al cui cospetto abbiamo donato vita e cuore.
Scoprire l’esistenza della morte avvicinata, unita, compenetrata, per la prima volta, a quella dell’amore. Chiediamo al lettore, consci della nostra profonda insufficienza, di darci il sostegno che può, cercando davvero di assimilare tale concetto.

Amare, e vedere morire. Immaginate, se potete, un dolore peggiore e più ingiusto. Cos’è l’amore, se non l’istintiva negazione della morte? E cosa succede quando, invece, la morte impone la sua presenza in quel terreno a lei non consacrato? Amare per sempre, sapendo l’esistenza della fine e della morte, cosa significa questo? Cosa si prova ad amare una persona, una in tutto il mondo, una, solo una, e vederla abbandonarci per sempre, per un volere brutale e innaturale? Ed essere costretti a vivere, quando ci sentiamo morti, ma per quanto amiamo la vita, davvero l’abbiamo amata, di un amore spasmodico e cristallino, ora dunque, ora, solo ora, in un istante, ci vogliamo morti! Perché così sarebbe il giusto, così sarebbe naturale, perché non può essere che siamo ancora vivi, che ci è stato negato di morire al posto suo, e quell’orribile, straziante senso di colpa di respirare quell’ossigeno rubato, rubato alla sua vita, ai suoi respiri immobili, e perché non soffocarsi per questo!
E sapere che se solo avessimo potuto, se solo ci fosse stato qualcosa, helàs, qualunque cosa che avessimo potuto fare per evitare la tragedia, come Orfeo, fino al Regno dei Morti a piedi saremmo arrivati per raggiungere la nostra Euridice! Sapere che avremmo dedicato tutta la nostra vita alla sua felicità, tutto il nostro cuore a riempire il suo petto, tutta la nostra anima a combattere ogni suo momento di dubbio o d’angoscia, sapere che ogni particella di questo straziante amore è ora inutile, vuoto, impotente al cospetto della sua tomba! Lo sgorgare continuo, incontrollato e silenzioso di un cuore dissanguato, che non un grido né mille possono esaurire; l’angoscia di continuare a vivere nella sua assenza, senza vita, nella notte, a esistere.
Il pensiero della sua perdita solo per causa di un danno causato al corpo, un mero rivestimento, così fragile, così fallace, attorno ad un’anima. La sua anima.

Tuttavia, non possiamo impedircelo. In tutto questo orrore, ad oggi, noi crediamo.

Crediamo nel vincere, conquistare, annullare la morte. Crediamo nell’amore, inteso come espressione suprema dell’infinito nella mente umana, e crediamo nell’amore che sopravvive oltre l’ignoto e l’oblio. Scrive Gautier: “Si è veramente morti soltanto quando non si è più amati”. Noi ci crediamo. Potremmo fare altro?

Questa che esponiamo, sia ben chiaro, non è una nostra opinione: nessuna speculazione filosofica o tantomeno letteraria ci spinge a tali considerazioni. Non abbiamo pretese di convincere nessuno della bontà delle tesi qui ricordate: ci limitiamo ad arrenderci alla loro evidenza. La genuflessione di fronte alla sublimità di ciò che osserviamo, ecco tutto ciò su cui si basano le nostre dimostrazioni. “Lo studio del bello è un duello in cui l’artista grida dallo spavento prima d’esser vinto”. Questo è Baudelaire. Ebbene, noi gettiamo le armi e ci inchiniamo a testa bassa davanti al bello, inteso come ciò che è essenza di poesia, ben lungi dall’essere un giudizio materiale o superficiale, e per provarne la santità e la verità ci limitiamo a dire: guardate.
Osservate voi stessi.
Verità e sublimità sono due aste di una stessa bilancia.
Contemplate le case abitate davanti a voi, l’anima che brilla dentro di voi e il cielo stellato sopra di voi, e provate a dire che non esiste un infinito sacro in tutti e tre i luoghi.
E ora, fermatevi a raccogliere tutto l’amore provato o latente che avvertite nell’anima.
Congiungete insieme ogni emozione, sentimento e commozione che abbiate mai avuto la grazia di provare nella vostra vita.
Rivivete ogni abbraccio, ogni sorriso, ogni passione, ogni contemplazione; il moto di affetto dedicato a chi compone la vostra luce, la lacrima nata nella poesia di un istante, quello slancio di allargamento del cuore dovuto a tutto ciò la cui natura è avvolta da un mistero alato e celeste: provate dunque ad affermare a voi stessi che tutto questo è semplice materia, e che con la materia si distruggerà.

Ciò che il cuore grida di aver perso, l’anima lo ritrova. Come un sasso che cade nell’acqua, ogni cosa che vive genera cerchi che si estendono oltre i confini della materia. Siamo carne e sangue, è vero: ma da questa carne e da questo sangue, da questa pulvis et umbra, nasce qualcosa.
Tale è la verità: l’amore sopravvive nella morte poiché, se così non fosse, né spirito né mente avrebbero mai avuto senso di esistere.

Annullare il dolore è impossibile, ma è necessario ricordare che, l’anima di lutto in lutto, l’uomo di riva in riva, ci si volge all’eternità.

Torniamo alla nostra storia.

E’ chiaro, in tutto questo, lo stato di profondo turbamento in cui Cosette si trovava, nel momento in cui la Toussaint tutta tremante fece entrare dalla porta principale due figure malridotte, di cui solo una nota a Cosette: il vecchio padre adottivo, stremato, appena semi cosciente, sorretto interamente da un poliziotto arcigno, il quale depose delicatamente Jean Valjean sul divano al centro della sala.
Pallidissima e trepidante, Cosette si chinò sul padre e, quasi immediatamente, si rialzò e, assieme alla Toussaint, si profuse nella ricerca di tutte le coperte, cure e medicine che l’istruzione, l’amore e il buon senso potevano suggerirle.

Il poliziotto, appena dopo avere posato il corpo quasi inerme di Jean Valjean, riprese la redingote e, senza dire una parola, se ne andò. 




 

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
* Ovidio: “Ogni amante è soldato.”
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > I Miserabili / Vai alla pagina dell'autore: AdeleBlochBauer