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Autore: j a r t    28/03/2016    1 recensioni
Dal primo capitolo:
L'espressione di Michael si addolcì.
«Sì, lui guadagna bene. Noi viviamo insieme, ma io non volio stare a sue spese... non so se tu capisce cosa voglio dire» riprese, mentre con uno straccio asciugava il bancone.
«Capisco.»
Federico sorrise.
«Sei un bravo ragazzo, Michael.»
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fedez, Morgan, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- 19 -
 
Michael era immobile a fissare la scena, gli occhioni spalancati e nessuna emozione che sembrava attraversare il suo volto. In realtà la sua mente stava elaborando mille teorie e risposte contemporaneamente.
Allora era quello che Federico gli teneva nascosto prima, quando guardava continuamente lo schermo del cellulare?
Da quanto tempo andava avanti quella storia?
E poi perché con Marco? dove aveva sbagliato? cosa non aveva saputo dargli?
Forse lui era sempre stato di troppo.
Si era illuso che un disastro come lui potesse davvero far colpo su un ragazzo perfetto come Federico, e quello era il risultato.
Lo aveva ingannato, sempre.
Probabilmente adesso Federico gli avrebbe riso alle spalle, insieme a Marco.
Che bel quadretto.
Michael neanche se ne rese conto, furono le sue gambe a portarlo lontano da lì. Camminò senza neanche rendersene conto, mentre Federico continuava a ripetergli che gli dispiaceva. Non stava tentando di giustificarsi, di rincorrerlo, di fargli capire che non era come pensava. Semplicemente gli dispiaceva.
Michael si ritrovò fuori dal locale senza neanche la sua giacca, che stava ancora all’appendiabiti custodito della discoteca. Si trovò nel freddo milanese, reso ancora più gelido dal fatto che fosse solo. D’un tratto si fermò rendendosi conto che aveva camminato fino in fondo alla strada fuori dalla discoteca. Un forte singhiozzo gli fece temporaneamente mancare l’aria e portò una mano al viso, stringendo gli occhi.
Solo allora realizzò davvero che Federico gli aveva fatto quella cosa orribile, che l’aveva ingannato per chissà quanto tempo, che ogni volta che lo accarezzava, toccava o baciava non lo desiderava mai sul serio. Le lacrime caddero come grosse gocce senza controllo e si infransero contro i suoi abiti e sul pavimento, lasciando delle grosse chiazze grigiastre laddove si fermavano. Sentiva un dolore al petto e all’altezza dello stomaco; gli girò leggermente la testa, ad un certo punto, motivo per cui dovette sedersi sul basso gradino del marciapiede.
Passeggiava poca gente, a quell’ora, per quella strada. Tuttavia una giovane ragazza bionda dal trench beige gli si avvicinò preoccupata.
«Va tutto bene? Si sente male?»
Domandò allarmata.
Michael avrebbe voluto dirle che andava tutto male, invece, che era solo e che era stato tradito dall’unica persona da cui non se lo sarebbe mai aspettato.
«Sto bene» biascicò soltanto asciugandosi inutilmente gli occhi, che gli si appannarono nuovamente.
La ragazza esitò nel sederglisi accanto ma lo fece, sfiorandogli con delicatezza una spalla.
«Devo chiamare qualcuno?»
Il ragazzo scosse la testa facendo ondeggiare i ricci castani leggermente sudati per aver ballato in discoteca. Nascose il volto tra le mani e continuò a piangere e singhiozzare. La ragazza gli accarezzò la schiena delicatamente.
«Posso aiutarti in qualche modo?»
Stavolta il tono della ragazza non era più allarmato, solo triste.
«No» sussurrò.
La ragazza tirò le labbra rassegnata e si alzò in piedi. Frugò nella sua tasca e ne estrasse il suo biglietto da visita da assistente fotografa, su cui era scritto il suo numero di cellulare.
«Beh, se hai bisogno di qualcuno con cui parlare...»
Si abbassò sul riccio e poggiò sul marciapiede accanto a lui il biglietto, poi si allontanò a passo lento.
 
Marco era in silenzio, nel bagno, mentre Federico accanto a lui piangeva. Il tatuato non si lasciava andare quasi mai nella sua vita a pianti, ma in quel momento non era riuscito davvero a controllarsi. Aveva fatto del male a Michael, il suo ragazzo, la persona che amava e che aveva promesso di proteggere. E invece era stata la sua prima fonte di dolore.
Federico guardò in alto perché non sapeva davvero dove trovare la forza per andare avanti. Non era stato così rompere con Giulia, e si rese conto che quella era la chiave di tutto: non aveva mai amato nessuno neanche un po’ di quanto avesse amato Michael. Sembrava strano, ma era così. Se avesse pensato quella cosa appena un anno prima, si sarebbe dato dell’idiota e ci avrebbe riso su. Ma ora era tutto diverso, grazie a Michael: gli aveva fatto capire chi fosse Federico sul serio, era stata una specie di guida per lui. E poi si erano amati. Tanto, anche se in poco tempo.
Federico si coprì il volto con le mani.
Aveva sprecato mesi a capire di amare quel ragazzo e adesso desiderava solo averlo capito subito, così avrebbe potuto passare più tempo con Michael.
Marco, seduto accanto a lui sul freddo pavimento del bagno, gli passò un braccio attorno alle spalle e lo strattonò appena. Non era bravo a consolare le persone, ma perlomeno aveva quel sangue freddo che al tatuato serviva per non crollare del tutto.
«Hai fatto la scelta giusta. Dovevi lasciarlo andare soprattutto per il suo bene.»
Federico non rispose mentre Marco si accendeva una sigaretta in quel bagno già claustrofobico.
«Vuoi?»
L’uomo gli porse una sigaretta e Federico la guardò a lungo prima di accettare e lasciare che l’altro gliela accendesse.
Si sentì leggermente meglio con la nicotina che entrava in circolo. Dopo Michael, quella era sempre stata la sua droga preferita.
Federico si perse a fissare il fumo della sigaretta che creava mille disegni e si disperdeva poi nell’aria.
Michael odiava vederlo fumare, diceva che gli faceva male. E aveva ragione, ovviamente. Michael aveva sempre ragione.
«Dio, quanto sto diventando patetico» sorrise amaramente dando voce ai suoi pensieri.
Marco scoppiò in una fragorosa risata, pur non capendo il senso di quell’improvvisa frase: poteva ben immaginarselo.
 
Michael chiamò un taxi e si fece portare a casa. Era ancora scosso da tutto quando accese il portatile e rispose alla casa discografica, accettando la proposta e dichiarando che il giorno dopo sarebbe stato a Londra. Non gli importava se non lo avessero considerato - d’altronde aveva risposto dopo un bel po’ di giorni - lui sarebbe tornato a Londra comunque, dalla sua famiglia. Poi avrebbe preso un appartamento tutto suo e avrebbe trovato un lavoro qualsiasi. Tutto, pur di andarsene dall’Italia e da Federico.
Afferrò il suo trolley e lo scaraventò sul letto - adesso il dolore che aveva provato si stava trasformando in rabbia, forse per l’istinto di autoconservazione - e si trovò a pensare che fin troppe volte aveva riempito quella valigia. La sua vita in Italia era stata un travaglio continuo. Lui non meritava tutto quello, e anche se lo meritava adesso ne era davvero stanco. Voleva semplicemente tornare a casa, e casa sua non era più Federico.
Chiamò per prenotare i primi biglietti aerei disponibili per Londra: avrebbe dovuto aspettare il mattino seguente, ma guardando l’orologio il riccio si accorse che non mancava poi tanto alle sette e trenta del mattino. Solo cinque ore, ma non poteva più passarle in quella casa.
Così decise che avrebbe dormito in aeroporto.
Era comunque una prospettiva migliore.
 
Federico tornò a casa sfinito, verso le tre e mezza del mattino. Spalancò la porta e trovò l’appartamento completamente immerso nel buio. Ben tredici volte Marco lo aveva trattenuto dal chiamare Michael, anche se Federico era visibilmente preoccupato perché lo aveva lasciato andare senza neanche provare a rincorrerlo. Lui avrebbe voluto, ma non poteva.
Accese l’interruttore e dovette chiudere un attimo le palpebre perché la luce era troppo forte. In salotto - notò - era tutto esattamente come l’aveva lasciato.
Una strana sensazione d’angoscia gli attanagliò il petto mentre percorreva i passi che lo separavano dalla loro stanza. Sapeva che non avrebbe più trovato le cose di Michael, se lo sentiva. Eppure ci aveva sperato fino alla fine. Fino a che non aveva acceso la luce della stanza e si era reso conto che il trolley di Michael non era più al solito posto. Aprì le ante dell’armadio e non trovò più i suoi abiti, quelli che occupavano gran parte dello spazio e che lo riempivano di colori.
Ma la cosa che più gli fece male fu il vedere ancora sul comodino la loro foto incorniciata; anche il cuscino a forma di cuore era ancora lì, quello che gli aveva regalato quel giorno per scusarsi. Erano i segni che Michael non voleva più ricordare la loro storia, tutto quello che avevano passato insieme.
Federico si sedette esausto sul letto, le lacrime che stavano per cadere ancora.
«Ti amo, Mich, io ti amo» sussurrò, come se quel pensiero potesse davvero  raggiungere Michael ovunque si trovasse.
 
Il cuore del riccio faceva ancora incredibilmente male, nel petto. Fissava il vuoto e occupava garbatamente la sua sedia nello spiazzale dell’aeroporto. Tanto non sarebbe riuscito a dormire comunque. La voce metallica dall’altoparlante annunciava a raffica i voli in partenza e in arrivo. Michael chiuse semplicemente gli occhi per quelli che gli sembrarono essere dieci minuti, ma che poi scoprì essere state quasi due ore. Balzò in piedi ed ebbe paura di aver perduto l’aereo, ma quando si rese conto che erano ancora le quattro e mezza del mattino si risedette al suo posto e si guardò attorno imbarazzato: aveva attirato l’attenzione di almeno cinque o sei persone.
Per distrarsi accese il portatile e controllò la posta elettronica, ma non trovò alcuna risposta dalla casa discografica.
Spense tutto e attese fino all’ora del check-in.
Durante il viaggio in aereo riuscì a dormire per un po’, anche se le ore di sonno furono frammentarie e perlopiù senza sogni. Solo una volta rivisse la scena di Federico nel bagno con Marco, ma non seppe dire se si trattasse di un incubo vero e proprio o di un momento tra veglia e sonno. Quando comunque tentò di riaddormentarsi, un neonato strillò dal fondo dell’aereo, e sbuffando Michael non riuscì più a chiudere occhio.
Atterrò a Londra verso le 9 e 15 e si precipitò - bagagli al seguito - a fare colazione. Non appena mise piede nel bar, però, un senso di nausea lo pervase. Uscì immediatamente dal locale, scontrandosi anche con un uomo che lo maledisse, e decise che non era proprio il momento di mangiare.
Quando arrivò a casa sua Joannie aprì la porta con la fronte corrugata. Non le servì molto per immaginare cosa fosse successo: quando Michael la abbracciò e cominciò a singhiozzare e piangere  contro la sua spalla la donna capì, complice anche quella strana empatia materna che l’aveva sempre legata a Michael, molto di più di quanto non fosse legata agli altri figli.
«Vieni, entra.»
Michael seguì la donna in cucina e anche qui l’odore di cibo lo nauseò.
Seduto al tavolo della cucina, però, c’era suo padre. Ebbe un sussulto al cuore. Ma il suo cuore era talmente stanco di provare tutte quelle emozioni che decise di ignorarlo.
Suo padre non fu dello stesso avviso.
Alzò gli occhi su di lui e lo guardò: vide la sua stanchezza, i suoi occhi arrossati e lucidi e il peso di tutti quei problemi di cui lui non era stato partecipe per tutti quegli anni. Una grossa morsa gli si strinse attorno al cuore, specialmente quando il ragazzo si sedette al tavolo in silenzio e suo padre notò quanto fosse cresciuto, quanto della vita di suo figlio si fosse perso. L’aveva odiato, tanto, ed era stato lui stesso parziale causa del dolore che in quegli anni suo figlio aveva provato.
Ciò che il riccio non sapeva era che quando lui era scappato via da quel palazzo con Federico, i suoi genitori avevano molto discusso. Joannie aveva tentato di fargli capire che era arrivato il momento di porre freno a quell’odio e a quella situazione. E non aveva dovuto faticare molto, dato che Michael Sr. pensava a suo figlio già da troppo tempo, e sempre più spesso. La fiamma che aveva alimentato l’odio per tutti quegli anni si stava affievolendo, e vederlo per lui era stato un forte colpo al cuore.
Mio figlio è cresciuto così tanto, è diventato un uomo. E io mi sono perso tutta la sua vita. Che padre sono?
Adesso i due sedevano vicini, ma Michael non guardava suo padre; teneva lo sguardo fisso sul tavolo e il cuore chiuso nel dolore che provava per l’abbandono e il tradimento di Federico.
Perciò sobbalzò e sgranò gli occhi quando suo padre gli poggiò una mano sulla spalla. Fu una presa titubante e delicata, incerta, ma a Michael bastò per capire che lui era lì. Finalmente.
 
Gentile Signor Penniman,
Le riconfermiamo la nostra proposta e la attendiamo presso la nostra sede il giorno 10 settembre alle ore 5:30 pm per discutere del contratto.
Siamo molto felici che Lei abbia accettato.
Cordialmente,
Jake Windelow
 
La gamba di Michael tremava nervosamente su e giù. Joannie lo aveva costretto a pranzare - dopo aver rifiutato la cena il giorno precedente - e ora tutto il cibo che aveva ingerito minacciava di risalire su e ricomporsi malamente sul pavimento della sede di quella casa discografica.
Erano almeno due ore che attendeva in quella sala d’aspetto orribile, asettica quasi quanto quella di un ospedale. Una ragazza bionda lo aveva accolto sorridente e, dopo aver controllato il suo nome su una lista, lo aveva spedito in quella stanza chiedendogli di aspettare.
Il riccio era stanco di aspettare, ma non poteva perdere quell’occasione solo perché l’ansia lo rendeva impaziente.
La porta di fronte a lui si spalancò e Michael sobbalzò, colto di sorpresa. Un uomo un po’ grasso in giacca e cravatta lo guardò per un po’ con aria severa prima di parlare.
«Signor Penniman?»
«Sì, sono io.»
«Si accomodi.»
 
8:27 p.m.
Sent to: Mama <3
Ce l’ho fatta! Contratto discografico! :D <3
 
Federico, steso sul letto a guardare il soffitto, aveva un blocco che gli impediva di scrivere rime da almeno due giorni. Il proprietario dell’etichetta discografica si era molto arrabbiato, per quello, perché l’uscita del suo disco era stata programmata e lui aveva delle scadenze da rispettare. Federico però stava di merda, e delle sue scadenze del cazzo non se ne fregava neanche un po’.
Il tatuato sbuffò rumorosamente e chiuse gli occhi. Era stanco, il suo corpo e la sua anima chiedevano un po’ di tregua.
Da quando Michael era andato via si era tassativamente imposto di non pensare più a lui, di metterci una pietra sopra. Ma come poteva riuscirci se quel riccio maledetto si era portato via con sé una parte consistente del suo cuore?
Federico balzò in piedi e afferrò con impeto il suo cellulare. Scorse i numeri in rubrica fino a fermarsi alla lettera “P”. Lo teneva ancora salvato così, “Patatone :B”, e la cosa lo fece sorridere. Si sentì uno stupido quando realizzò che dopo tutta quella fatica stava per crollare e mandargli un messaggio, quindi spense il cellulare e lo posò sulla scrivania per non avere più quella tentazione.
Cosa gli avrebbe scritto, poi? Ormai era andata, e lui doveva solo cercare di dimenticare e andare avanti. E ci sarebbe riuscito, se magari lo avesse lasciato normalmente. Invece gli aveva mentito e lo aveva abbandonato nella maniera più subdola esistente per un rapporto di coppia.
 
Michael Sr. beveva il suo caffè sorridendo, seduto al tavolino, mentre suo figlio saltellava per la cucina raccontando a lui e a Joannie ogni minimo particolare dell’incontro con i discografici. Non stava zitto né fermo un attimo, ma entrambi sapevano che era impossibile dire al riccio di stare fermo o zitto, perché lui era fatto così e basta, fin da quando era bambino: e quella era una delle tante caratteristiche che lo rendevano unico e che a Michael Sr. erano mancate tantissimo.
Joannie, dopo aver ascoltato tutto ed essersi complimentata con lui almeno mille volte, sorridendo, continuò a tirare la pasta con il matterello sul ripiano della cucina. Ad un tratto diventò incredibilmente seria.
«Invece vuoi raccontarci cos’è successo con Federico?»
Michael si fermò e il suo sorriso si spense. Non ne avevano ancora parlato, doveva aspettarselo che sua madre tirasse fuori quell’argomento, prima o poi. Suo padre poggiò il bicchiere di caffè sul tavolino e lo guardò. Michael si sedette e tenne lo sguardo basso per tutto il tempo del suo racconto.
Parlò di ogni cosa, del legame con Federico e delle cose belle che avevano fatto insieme, dei momenti un po’ bui, di Marco Castoldi e poi dell’ultimo tradimento del tatuato. I suoi occhi lucidi minacciarono di far cadere altre lacrime, quando giunse al racconto di quel momento, ma fu distratto da suo padre che ancora una volta gli poggiava la mano sulla spalla e lo guardava comprensivo, cosa che destò di nuovo la sua sorpresa: non era più abituato ad avere suo padre accanto.
Michael Sr. portò poi la mano al mento, dubbioso. Passarono dei minuti di silenzio prima che l’uomo esternasse le sue perplessità.
«Non pensi che forse potrebbe avere a che fare con il tuo contratto?»
Il riccio fece scattare nuovamente lo sguardo su di lui e corrugò la fronte, dato che non capiva dove volesse andare a parare.
«Insomma, la storia del tradimento con questo Marco mi sembra un po’ troppo strana, non ti pare? Federico lo odiava, no?»
Michael fece di sì con la testa. Forse iniziava a capire.
«Potrebbe essere stata una scusa, secondo me. In qualche modo lui avrà saputo che tu stavi rinunciando alla tua opportunità per lui e avrà voluto rimediare. Da quello che mi hai raccontato, almeno, questa sarebbe l’unica spiegazione logica, perché non credo regga la storia d’amore con un tizio che non ha quasi mai visto!»
Michael fece mente locale e dovette ammettere che c’erano tante cose che non quadravano. Una di queste era proprio quella che gli aveva suggerito suo padre, e cioè che Federico non aveva mai avuto il tempo materiale di stare con Marco a sua insaputa. E poi Federico odiava Marco!
Sì, ora l’ipotesi di suo padre sembrava quasi essere vera.
Non voleva illudersi, ma allo stesso tempo era stato così cieco da credere veramente a quella finzione, senza farsi neanche una domanda al riguardo, troppo distratto dalle sue sofferenze.
Michael sorrise e balzò in piedi.
 
10:02 p.m.
Sent to: Federico <3
Prendo l aereo. Sto tornando in Italia.


 

ANGOLO AUTRICE
Una gioia per i nostri patatoni, finalmente? Adesso voglio vedere quanti di voi ameranno improvvisamente Michael Sr. AHAHAH dai, si è fatto perdonare alla grande <3
Ultimo capitolo lunedì prossimo! Sto già malissimo, vi giuro ç____ç ceh, dovrò abbandonare questi patati e i vostri scleri nei commenti, e come faccio? ç____ç 
Ma basta, rimando le lacrime al prossimo capitolo! Ve se ama <3

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