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Autore: Rorschach D Wolfwood    29/03/2016    6 recensioni
La città dei sogni di qualunque animale, la bellezza, la maschera dietro la quale si cela la verità: un letamaio che non aveva conosciuto nè pietà nè bontà.
Ispirato dal fumetto Blacksad, la storia di una giovane volpe solitaria dal carattere chiuso e senza alcuna speranza in un futuro migliore, un incontro inaspettato, uno spiraglio di luce in una spirale di eventi oscuri.
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Judy Hopps, Nick Wilde
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Furry
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2- La maschera di Nicholas Wilde

Dicono che per andare avanti bisogna dimenticare ogni legame con il passato. Dicono che quel che è successo è successo, e non si può cancellare. Si può  solo decidere come sarà il futuro.
So che come concetto è banale, ma a quanto pare è la verità. E l’ho capito solo in tempi recenti, grazie a qualcuno.  Ho sempre cercato di dimenticare il mio passato, ma, andando avanti con gli anni, sentivo sempre più il suo peso. Sentivo qualcosa di molto pesante arrampicarsi lentamente sulle mie spalle. Pesante quanto il Capitano Bogo!  Se facciamo un calcolo, le mie spalle reggevano il peso di un passato con il quale cercavo di chiudere, la realtà squallida dei fatti di una città all’apparenza perfetta ma nella quale dovevo mentire per sopravvivere, e in “minor” misura, il peso di una solitudine che mi accompagnava ogni istante, in ogni luogo, ogni parte del mio corpo.
Solo ora ho capito che tutto dipendeva dalla maschera che indossavo. Quella stessa maschera della quale, ormai, sono riuscito a liberarmi – chissà cosa sarebbe successo se lei non mi avesse salvato… - .

Accadde tutto quando avevo 9 anni; ero un semplice cucciolotto, un piccoletto, ma sempre più alto di Finnick, con la classica voglia di vivere, solarità e felicità di ogni bambino. Avevo un gruppetto di amici, nel quale ero l’unica volpe, formato da una capretta, un maialino, di nome e di fatto, tanto che durante il pranzo persino il tavolo tremava, come se sapesse del suo arrivo, una zebra, un ippopotamo e un paio di giraffe. Forse per questo non mi sentivo a mio agio a volte.
Nessuno di loro, però, mi dette mai motivo di dubitare o di non credere nella loro amicizia.
Passavo interi pomeriggi insieme a loro, e una volta tornato a casa non vedevo l’ora di affondare il muso tra le braccia di mia madre. La prima persona del cui affetto non avrei mai potuto dubitare in tutta la mia vita. Ma dove c’è luce, purtroppo, c’è anche ombra… E l’ombra che abitava la mia casa aveva le sembianze di mio padre.

Si può dire che mio padre corrispondesse appieno al profilo che ogni animale tracciava nei confronti della volpe; aveva alle spalle non so quante truffe, senza dubbio l’unico mezzo con il quale si guadagnava da vivere, perché non ho mai saputo che lavoro facesse, tante bugie, chissà quante nei confronti di mia madre, e completamente inaffidabile. Solo che laddove una volpe avrebbe potuto fermarsi qui, lui riusciva ad andare oltre: non ricordo un solo momento di affetto da parte sua, una sola carezza o una zampa gentile posata sulla mia testa o spalla, in segno di incoraggiamento o di stima.
Freddo, distaccato, disinteressato. A volte mi chiedevo se in realtà non fosse una volpe polare, dato il suo atteggiamento freddo.
Ok, questa era pessima, lo riconosco.

Da cucciolo parlavo sempre di quanto desiderassi entrare a far parte degli scout,
così da passare le estati con i miei amici, e, non ci crederete, di fare il poliziotto. Diventare il primo agente volpe e aiutare Zootropolis ad essere la città più bella del mondo.
Vi ho stupito, vero?
Ma ogni volta che accennavo ai miei sogni, solo la voce di mia madre mi dava conforto e fiducia, e mi spronava a crederci dicendomi che se mi fossi impegnato, avrei potuto realizzare tutto quello che volevo.
Un classico da genitore, insomma.
Il disappunto, o se vogliamo, menefreghismo di mio padre, non tardava ad arrivare.
"Nicholas Wilde" Le parole con le quali iniziava il solito discorso  "Credi davvero che una volpe possa avere la fiducia degli erbivori? Credi davvero che delle prede si fidino di te?" 
"Si papà, ci credo!" Gli rispondevo ogni volta. "Io li conosco e mi fido di loro, sono miei amici."
A quelle parole, una sonora e fastidiosa, ma soprattutto bastarda, risata rimbombava nelle mie orecchie, e vi si faceva strada come fosse un branco di vermi schifosi che strisciavano fino ai miei timpani, fino a raggiungere, in qualche modo, il mio cuore e colpirlo come solo lui sapeva fare.
- Bastardo… - Un pensiero che riecheggiava nella mia mente, un riflesso istantaneo a quella risata, mentre stringevo i pugni e tentavo di trattenere le lacrime. Non avrei mai avuto il coraggio di dirglielo. Almeno non da cucciolo. Se lo incontrassi adesso, probabilmente gli romperei tutti i denti.

"Una volpe poliziotto? Ah! Ci sono più probabilità che lo diventi un coniglio al posto di una volpe!"

In quei momenti, solo l’abbraccio di mia madre riusciva a strapparmi dalla crudeltà di quelle parole. Ma nonostante tutto, non potevo trattenermi dal singhiozzare, tanto che, per tentare di nascondere la vergogna provata, cercavo di affondare il muso sempre più nel suo petto. Lei lo capiva, e non mi lasciava finchè tutta la tristezza non scemava. E a quel punto, quando veramente ci riusciva, si beccava un bacione sulla guancia da parte mia.
Se mi avesse visto lui, invece…
Arrivò finalmente il giorno in cui gli amici del quartiere, membri del gruppo scout di Zootropolis, mi chiesero di unirmi a loro. Quel giorno ero davvero al settimo cielo. Mia madre, che sapeva bene del mio desiderio, tirò fuori una divisa da scout nuova di zecca, talmente bella che credo mi brillarono gli occhi appena la vidi. Non resistetti; l’appuntamento con i compagni era alle 7 di sera, ma io la indossai subito, tutto il giorno, anche se dopo colazione, su ordine di mamma, e in parte anche per mio desiderio.
Una divisa così bella non avrebbe dovuto sporcarsi nemmeno per sbaglio!



Avevo passato l’intero pomeriggio davanti allo specchio con la divisa addosso e mettendomi nelle pose più strane, da quelle più fiere a quelle più ridicole.
Il momento arrivò.
Mi ritrovai lì, in piedi davanti alla porta d’ingresso del club. Mi sentivo ancora più piccolo di quanto già non fossi davanti a quella porta gigantesca, e il cuore, forse più nervoso di me, batteva più forte di un tamburo, tanto che ero sicuro sarebbe balzato fuori dal mio petto per darsela a gambe.  - Un cuore con le gambe?-
Ma non glielo permisi! Raccolsi tutto il mio coraggio ed entrai. Trovai tutti gli altri ad aspettarmi, anche loro con le divise indosso, e nella mia testa mi pavoneggiavo pensando che la mia divisa fosse più bella della loro. Come fanno tutti i bambini insomma.
D’un tratto le luci si spensero. Un bagliore improvviso mi accecò, e d’istinto mi coprii gli occhi, e solo allora realizzai che si trattava di una torcia puntata contro il mio muso. A puntarla era il maialino, il capetto del gruppo, e tutti gli altri erano riuniti in circolo intorno a me. La luce si abbassò quanto bastava per permettermi di vedere chi avevo davanti, mentre le mie dita picchiettarono le une contro le altre in un misto di agitazione ed emozione.
Quando iniziò il giuramento.
"Io, Nicholas Wilde, prometto di essere coraggioso, leale, disponibile e affidabile!"
" … Anche se sei una… Volpe!" Un silenzio tombale mi circondò. Abbassai le orecchie e tentai di parlare, ma l’enfasi maligna con cui era stata pronunciata quella parola, volpe, bloccò ogni parola e ogni suono nella mia gola.
Quando ero certo di riuscire a parlare di nuovo la torcia si spense, e sentii qualcosa, o meglio qualcuno, afferrarmi le zampe e portarle dietro la mia schiena per impedirmi di muoverle, e qualcosa di duro e metallico serrarmi la bocca. Quando si accesero le luci realizzai che mi avevano messo una museruola. C’erano attaccati gli zoccoli grassi del capetto del gruppo, il maiale, e dietro di lui tutti gli altri che mi guardavano ridendo con disprezzo, e una delle giraffe mi stava trattenendo. 
"Pensavi davvero che ci saremmo fidati di una volpe come te? Sei solo uno stupido!" Quella domanda risuonò nell’aria così forte da coprire le risate degli altri, i quali sembravano divertirsi come fossero ad una festa di compleanno.
"Guardate, ora si mette a piangere!"
Tentai di dire qualcosa, di pregarli di smettere e lasciarmi andare, ma le mie parole non ebbero alcun peso. Sentivo la museruola talmente stretta che nemmeno il mio fiato riusciva a scappare. Mi sentivo soffocare, il mondo sembrò girarmi intorno vorticosamente. Ero certo che da un momento all’altro sarei svenuto.
Ma poi me la tolsero. Ma non per chiedermi scusa. Mi spinsero a terra e iniziarono a pestarmi. Tutto sembrava interminabile.


Quando aprii la porta di casa, la prima cosa che vidi fu mio padre, seduto sulla poltrona, perfettamente di fronte a me. Non riuscii nemmeno a chiamarlo, tanto ero impegnato a respirare affannosamente e massaggiarmi lo stomaco per via di tutte le botte che avevo preso.  "E così quelli erano tuoi amici, giusto?" 
Una coltellata in pieno petto. Un’altra ferita da aggiungere a quelle che già avevo. 
– Sta zitto, maledetto!-
Quasi come se mi avesse letto nel pensiero, mio padre si alzò e si diresse verso di me. 
- Mamma… Mamma, aiutami… -
Le enormi zampe di mio padre mi schiaffeggiarono almeno 3 volte, o forse di più. Per come era conciato il mio muso quasi non sentivo più nulla.
"Te l’avevo detto, stupido! Una volpe non può avere la fiducia di nessuno!" Tuonò  "E scommetto che non hai nemmeno provato a reagire. Dovresti essere un predatore! Dovresti essere più forte di loro!". Tentai con le poche forze che mi erano rimaste di non lasciarmi andare, ma in tutto quel casino, anche loro mi avevano abbandonato. Mi lasciai cadere a terra, mi rannicchiai e mi sfogai. Le lacrime sgorgarono come fiumi, rigandomi il muso come se me lo stessero graffiando. Mio padre proibì persino a mia madre di avvicinarsi e medicarmi.
La serata peggiore della mia vita. In assoluto.
E il giorno dopo, mio padre se ne andò. Abbandonò me e mia madre, per sempre.
Non capii mai perché mio padre ce l’avesse così a morte con me. Non gli avevo mai fatto nulla per meritarmelo. Forse non ero un figlio degno di un bugiardo come lui.
Voleva solo una copia di sé stesso? Un figlio bugiardo e disonesto che rispecchiasse ciò che tutti pensavano della mia razza.
Allora realizzai.
Mio padre non si fece più vivo, ma col passare degli anni la sua ombra si insediò in me. Crebbi, mentii, ingannai tutti, spesso in compagnia di Finnick, che nel frattempo conobbi, e grazie al suo aiuto molti trucchi e molte truffe fruttarono a entrambi un bel po’ di soldi. Abbandonai anche il mio sogno di diventare la prima volpe poliziotto di Zootropolis.
Se mi sentivo in colpa? Assolutamente no! Perché avrei dovuto?
Non era certo colpa mia se quegli idioti si lasciavano fregare come polli.
E comunque, nessuno avrebbe potuto giudicarmi, visto e considerato che io e Finnick non eravamo gli unici a truffare per sopravvivere. Nel nostro mondo, tutti fregavano tutti, solo i più svegli non si lasciavano fregare. Ma, ovviamente, se lo faceva una volpe era peggio che essere uno che uccide a sangue freddo persino chi non ha la possibilità di difendersi.
Questa fu la mia vita. Chissà, probabilmente adesso mio padre mi avrebbe amato. Ero diventato esattamente come voleva lui, però molto più carino di lui. Almeno io non avevo il pelo brizzolato e di muso ero più bello, modestamente.
La maschera di Nicholas Wilde, la volpe bugiarda di Zootropolis, si era “finalmente” posata sul mio muso.

 
   
 
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