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Autore: ElyJez    30/03/2016    5 recensioni
Era un posto strano quello, dotato di una perfezione anormale, di un ciclicità tranquilla che non poteva essere interrotta, eppure nonostante ciò, qualcosa era successo. Era morta una donna e nessuno ne parlava. Sembrava che il mio fantasma fosse stato ingoiato dall’asfalto pulito o dalla luce fioca dei lampioni ed anch’io, mentre abbandonavo quelle stradicciole debolmente illuminate, sentivo di sparire poco a poco.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo primo
Raven’s Hill

Rebekah
20 Ottobre 2015, Lunedì
In tutta la mia breve vita non avrei mai pensato di trasferirmi; ero sempre stata una di quelle persone che non si schiodano da dove hanno messo radici neanche se la città in cui si trovano stesse per essere inghiottita dall’inferno stesso, ma, a mio malincuore, quella volta fu diverso.
Mio nonno era caduto dalle scale fratturandosi il femore ed ora se ne stava stanziato su una sedia a rotelle provvisoria, con obbligo di fisioterapia.
Tutto questo, unito al fatto che durante la mia sempre breve e miserabile vita era stato l’unico ad essersi interessato a me, aveva solleticato quello che potremmo chiamare dovere famigliare, senso di colpa per il mancato intervento, solidarietà tra cristiani, insomma, scegliete voi quello che più vi aggrada.
In quel momento però l’importante non era la ragione che mi aveva spinto a prendere un aereo con scala Chicago-Londra, no, l’essenziale era capire per quale dannato motivo non avevo noleggiato una macchina affidandomi invece alle cure poco amorevoli di un tassista ambiguo.
Così, tra uno sbuffo ed un altro- e fidatevi se vi dico che io sospiravo tanto- giunsi scortata dal mio autista occasionale fino a Raven’s Hill, una cittadina posta sulle coste settentrionali della Cornovaglia in cui la mia famiglia viveva dal diciassettesimo secolo.
Una lunga stirpe di albini si era diramata da un unico antenato o, stando alle parole della mia carnefice, più comunemente chiamata zia, una schiera di matti da rinchiudere.
Con gli altri non aveva avuto tanto successo- a volte essere morti ha i propri vantaggi- ma con me ci era riuscita alla grande, anche se … beh, io me la sono sempre cavata abbastanza bene da sola.
I miei pensieri contorti ed i continui sbuffi diventati abitudinali furono interrotti quando il taxi frenò davanti ad un cancelletto in ferro battuto.
La casa che avevo davanti era stata costruita circa trecento anni prima e, nonostante le sue mura fossero state recentemente tinteggiate di verde pallido e il suo tetto di rosso, la struttura, nella sua austerità, tradiva gli anni che l’avevano vista come scenario di vite a me sconosciute.
Sospirando, questa volta di sollievo, scesi dalla vettura, pagando il conducente e prendendo i pochi bagagli che mi ero portata: infondo, quanto poteva metterci il vecchietto per riprendersi? Scrollai le spalle tra me e me, iniziando a trainare il trolley lungo il vialetto segnato dalla ghiaia e circondato da piccoli nontiscordardimé che, nonostante la temperatura, regalavano all’ambiente il loro profumo e le sfumature delicate.
Per di lì vi era una grande veranda scandita da arcate, che seguivano un modulo regolare, e colonne i cui capitelli ritraevano dei corvi intenti ad osservare la scena.
Suonai il campanello più volte- mio nonno aveva dei problemi all’udito quando voleva- per assicurarmi che prima o poi qualcuno mi fosse venuto ad aprire e stranamente la mia attesa non fu poi così lunga.
<< Buonasera Bekah>>
Davanti ai miei occhi, o meglio, per essere sinceri un po’ più giù del mio sguardo, Victor Shay se ne stava seduto sul suo temporaneo mezzo di trasporto con la solita voce pacata, leggermente profonda, simile ad un mare piatto senza onde né sole. La pelle, proprio come la mia, era molto chiara, ma sicuramente i suoi capelli corti e radi lo erano ancora di più. L’unica traccia di colore che vi era in quell’uomo si poteva scorgere nei piccoli occhi rossi affossati, circondati da rughe.
Il naso era leggermente grosso, una patata in piena faccia, mentre il labbro inferiore era ancora pieno, quasi a testimoniare un fascino e una sensualità passata che ora si era dissipata con il sopravvento della vecchiaia.
<< Ciao>>
Si fece indietro per farmi entrare, strusciando così le ruote sul parquet di legno duro dell’atrio.
<< La mia camera? >>
Chiesi dando un’occhiata in giro. L’ingresso non era molto grande, eppure le pareti chiare tendevano a farlo sembrare più spazioso di quello che era, contrastando allo stesso tempo con il legno del pavimento e delle scale che si aprivano al centro della stanza.
<< Piano superiore, seconda porta a destra>>
<< Vado a sistemare le valigie>>
Chiarii iniziando a salire gli scalini notando che ormai l’uomo mi stava già dando le spalle recandosi quindi in un’altra stanza. Solitamente dopo tanti anni che non si vede un famigliare, soprattutto se quest’ultimo si è rotto una gamba per non essersi allacciato una scarpa, bisognerebbe abbracciarlo, confortarlo con parole ben scelte e sperare che quando arrivi la sua ora ti lasci qualcosa in eredità, ma noi non eravamo fatti così.
L’unica persona che poteva tirarmi fuori di bocca qualche parola era il dentista ogni qualvolta rischiava di bucarmi la lingua, o il salumiere al banco degli affettati e, per quanto riguarda Victor … beh, lui ha sempre parlato a monosillabi.
Quando salii al piano superiore, lo spazio che mi si parò davanti era leggermente differente da quello che avevo appena visto. Sì, le pareti erano sempre celesti ed erano coperte dagli stessi pannelli in legno, ma su di esse si trovavano svariati quadri dipinti dalla stessa mano esperta.
Poiché mio nonno non sapeva neanche disegnare una casetta col sole, doveva averli acquistati da qualcuno con un particolare talento e, anche se non avevo una laurea in storia dell’arte o non era di mia consuetudine visitare musei, riuscivo a riconoscere qualcosa di bello quando l’avevo davanti.
La maggior parte delle tele ritraevano dei corvi risaltandone le loro qualità: in quelle pennellate vi era la regalità, la ferocia, la saggezza e la consapevolezza del mondo.
Fin dai tempi antichi si credeva che questo tipo di passero possedesse straordinarie doti di preveggenza e che annunciasse l’arrivo di una guerra o di una morte imminente: a quel punto non doveva essere poi così strano trovare così tante raffigurazioni in quella casa.
Gli Shay erano sempre stati dei medium. Nonostante non mi piaccia sventolarlo ai quattro venti- soprattutto perché poi le persone cominciano a evitarti come il letame- io posso vedere.
I miei occhi rossi sono collegati in un modo inspiegabile con quello che viene chiamato Altrove, un mondo parallelo al nostro, senza tempo, in cui sono bloccate le anime di coloro strappati alla vita troppo presto.
Per tutti quelli che se lo stanno domandando, no, non è un posto pieno di bambini e ventenni morti per incidenti d’auto … ok, si ci sono anche loro, ma non è questo il punto: nell’Altrove si trovano anche le persone anziane che avevano del tempo da vivere, delle faccende da concludere, e per qualche assurdo motivo erano deceduti … insomma, tutti quelli che non rientrano nei decreti divini, o ne fanno parte in una maniera inspiegabile se ne stanno lì a rigirarsi i pollici.
Spesso ad alcuni di loro piace mettersi in contatto con me per chiedere aiuto o per spaventarmi e altrettanto spesso io li minaccio con un mazzo di gigli - che ci crediate o no, quest’ultimi, usati contro le entità maligne, sono più efficaci di una mazza chiodata piantata nel cranio.
Sbuffando lasciai perdere tutti quei pensieri dirigendomi verso quella che sarebbe stata temporaneamente la mia stanza.
Non avrei mai pensato che nella casa del nonno, tutta linda e pinta, disseminata da tinte pastello ci fosse posto per un po’ di normalità.
La mia nuova stanza era di forma quadrata, tappezzata di tappeti scuri e moquette color vino. In una nicchia nel muro a fiori si trovava un letto bianco in completo accordo con la scrivania, le sedie e la porta del bagno. Non era tutto quello ad ispirarmi però.
Abbandonata in un angolo, tra la polvere e la semioscurità si trovava un vecchia poltrona rosa scuro, di quelle che si vedono nelle case retrò degli anni settanta, tanto orrende quanto comode, disseminate da cuscini e coperte all’uncinetto.
Vicino a questa, per mia grande gioia, c’era una libreria bianca, logorata dal tempo, che strabordava di vere opere d’arte. Charles Baudelaire, Lord Byron, John Keats e Robert Stevenson, erano solo alcuni dei nomi che apparivano sugli scaffali verniciati. Infine, una portafinestra si affacciava su un piccolo balconcino con tanto di tavolino da tè e sedie shabby chic. Abbandonai il trolley e la mia giacca a vento sopra il letto, scendendo nuovamente al piano inferiore anche se, a dir la verità, l’unica cosa che desideravo fare, era dormire fino a che le ossa non si fossero intorpidite.
Non impiegai tanto tempo per trovare mio nonno, infondo bastava soltanto seguire il rumore della televisione che, mi condusse fino in cucina.
<< Allora, per stasera pollo e tv? >>
Chiesi attirando la sua attenzione, ma lui scosse il capo.
<< No, stasera andiamo a casa di vecchi amici>>
<< Perché?! >>
Il mio fu un urlo mezzo strozzato. Non mi era mai piaciuto stare con le persone ed odiavo fare nuove conoscenze. Perché? Era abbastanza ovvio: avevo la socialità di un lampione. Oh, aspettate, credo che questo sia uno dei tanti sintomi e non la causa della mia misantropia. Come posso spiegarlo in poche parole? Forse ho trovato. Non sono mai piaciuta agli altri.
La gente normale non fa amicizia con i pazienti di psichiatria segnati da chiari sintomi di schizofrenia, ed io non avevo pazienza per trattare con degli imbecilli e la loro arroganza.
Per questo motivo, per il mio caratteraccio, e per una serie di ragioni che non sto qui a spiegarvi, non avevo mai avuto degli amici, ma non ne facevo una colpa né a me, né alle leggi di equilibrio cosmico. Era un dato di fatto, tutto qui.
<< I vecchi solitamente non mangiano minestrina e giocano a carte? >>
<< Sì, e lo faremo a casa dei miei conoscenti>>
Lo guardai, basta, non c’è bisogno di aggiungere altro. Seduto su una carrozzina, con lo sguardo calmo, la bocca serrata, le mani rilassate, era lui a decidere.
<< Certo, che problema c’è! >>
Sbraitai salendo le scale con passi pesanti simili a incudini scagliati contro gli scalini. Ci mancava anche la serata con un branco di vecchi babbioni.
<< Metti qualcosa di elegante>>
Disse con il suo solito tono pacato, che in quel momento mi fece saltare i nervi.
Dannazione, perché ero voluta andare lì? Va bene la riconoscenza e tutto, ma io e il vecchio eravamo come l’acqua e il fuoco e sapevo piuttosto bene che vivere con quel despota silenzioso significava dover affrontare un continuo susseguirsi di battaglie perse.

Angolo autrice:
Salve a tutti! Ecco il secondo/primo capitolo della storia (dipende da come lo si guarda) e sì, per chi ha seguito l'altra storia che ho scritto, Excalibur, ho riciclato alcuni personaggi - scusatemi, ma ero troppo affezionata a loro per lasciarli nella polvere. La storia continuerà alternando vari punti di vista quindi, ad ogni capitolo ci sarà scritto il nome del narratore.
Spero che tutto ciò vi piaccia. Se volete lasciate qualche recensione, mi farà piacere ricevere qualche consiglio da voi
Ciao, ciao
  
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