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Autore: Mephi    30/03/2016    4 recensioni
«Oh, andiamo...» disse alzando gli occhi, decidendo di essere troppo stanco per parlare con quell'orso. Perchè sì, ci parlava. Non sapeva cosa fosse, esattamente, era certo fosse un illusione della sua mente che si divertiva a torturarlo, dando a quell'orso la voce... della sua coscienza? Era complicato. Sapeva solo che odiava quell'orsetto.
«È reciproco.» era disturbante. L'immagine di quel pupazzo che doveva essere innocente, bhe, di innocente aveva ben poco. Due sclere nere sostituivano il bianco che di solito si trovava lì, e al posto degli occhioni gialli, due puntini bianchi lo fissavano, e seguivano i suoi movimenti. La sua conscienza se la sarebbe aspettata meno inquietante. Avrebbe preferito un simpatico Girllo Parlante come quello di Pinocchio che... Quel peluche inquietante.
Genere: Comico, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeremy Fitzgerald, Mike Schmidt, Purple Guy/Vincent, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Ritorno Di Una Guardia Notturna

 

Fritz e Jeremy

 

 

Il Freddy Feazbear Piazza è completamente rinnovato, ormai! Venite, venite a trovarci per gustare la nostra pizza deliziosa in compagnia delle mascotte più amate da grandi e piccini! Su, su!

Accorrete! Freddy e i suoi amici sono ansiosi di fare la conoscenza di nuovi bambini per cantare loro le nuovissime cazoni. Allora? Siete pronti al divertim-

 

 

Lo spot pubblicitario non potè terminare che il televisore si oscurò, spegnendosi. Il ragazzo sul divano sospirò, ai suoi occhi quel locale non aveva più nulla di gioioso e carino. Ringraziò il fatto che, a quanto pareva, la gente tendeva a dimenticare in fretta le tragedie se mascherate dietro a qualche robot nuovo, colorato, ultramoderno e... sicuro.

Fritz ricordava bene quando, 6 anni prima, si era ritrovato davanti un Jeremy bianco come un cadavere, la pelle d'oca alle braccia, lo sguardo spaesato, come se la realtà per quel giovane 16enne stesse correndo un po' troppo velocemente per stargli dietro. Però si sforzava di sembrare tranquillo, peccato il suo corpo lo tradisse in maniera così palese.

Ricordava che si era preparato un discorso da fratello maggiore per Jeremy, riguardo al buon senso, il limite da non superare, cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Ma quando gli si presentò davanti quell'immagine, il suo stomaco si chiuse dolorosamente in una morsa, la sua mente annientò ogni discorso che si era preparato fino a quel momento, e la sua gola era diventata arida come il deserto più caldo. Jeremy non aveva bisogno di un discorso per capire cosa avesse fatto. Lo sapeva. E proprio perchè lo sapeva che era in quelle condizioni.

Lo aveva preso con sè, e i primi giorni... No, in verità i primi mesi furono difficili. Per entrambi. Jeremy provava in tutti i modi a mostrarsi forte, il suo orgoglio era ancora intatto. Quel tenersi ogni dolore, pensiero, ricordo, lo incatenava a quel giorno. Parlava poco, mangiava poco e si provava, in casa Fritz, a non nominare in alcun modo nulla che riguardasse il passato. Però, ancora una volta, era il suo corpo a tradire Jeremy. Le urla strazianti di notte in preda agli incubi, i singhiozzi che si potaveno udire se ci si accostava alla porta di camera sua, di notte, e a volte notare il suo sguardo perso, lontano, a un giorno doloroso, e vederlo pian piano sbiancare. E poi correva via, Jeremy, in bagno, a vomitare, perchè quei ricordi gli provocavano i conati. Era disgustato da sè stesso. Eppure quando lo aveva sentito al telefono, sei anni fa, quando gli raccontò ogni cosa per telefono pareva star bene. Tanto che Fritz si potè permettere di chiamarlo Imbecille. E poi? Cos'era successo? Forse stava semplicemente cominciando a rendersi davvero conto di quello che era successo e più il tempo scorreva, più la consapevolezza cresceva, e più stava male. Si ridusse a un fantasma di ciò che era un tempo. Fritz sapeva che quel ragazzo era nelle sue mani, ora, che doveva gestire lui la sua vita, perchè Jeremy non ne pareva più in grado. Gli aveva ordinato di venire da lui perchè si sentiva capace di affrontare questa situazione, ma ciò che aveva davanti era molto peggio di ogni sua pessimistica visione.

Se Freddy aveva usato i pugni per farlo riprendere - che poi non aveva funzionato molto, a quanto pareva - Fritz optò per un modo molto più umano. Lo portò fuori, innanzitutto, da molti mesi si rifiutava di uscire di casa, era dimagrito molto, così, dato che era giunta la stagione estiva, lo portò al mare. Non si oppose, Fitzgerald, non ne aveva la minima forza, era spettatore della sua stessa vita, la osservava scorrere, senza osare prenderne parte. E forse credeva anche di meritarselo.

Lo portò quindi al mare, provando a intavolare conversazioni casuali che morivano per colpa del castano e delle sue risposte monosillabiche. Quindi restavano in silenzio, a prendere il sole o in acqua, con Fritz che riusciva a stringere amicizia anche con i sassi e Jeremy che si isolava dalla vita che lo circondava: i bambini che costruivano un castello di sabbia, le mamme che li ricorrevano per mettergli la crema, i papá che leggevano sottovoce il giornale, seduti sulla sdraio.

«Dovresti metterla anche tu, sai? La crema, dico. Sei bianco come un cadavere, ti scotterai.» ma quegli occhi azzurri erano persi all'orizzonte, sempre a quel giorno. Jeremy non era lì, al mare, con Fritz; era al Feazbear, tra un orso color oro e lo sguardo di suo padre, deluso. E quello di Mike sorpreso, spaventato. E quello di tutte le persone accanto a lui.

Fraticida. No. Non lo era! Kentin stava bene! L'aveva salvato-

Fraticida, stavi per macchiarti di un crimine immenso- un giorno avrebbe rimediato! Lo giurava. Avrebbe rimediato a tutto-

Come intendi rimediare a un omicidio sventato per poco? Credi di poterlo fare? Credi davvero di meritare il famoso "Happy Ending"? Che ipocrita!

Sentì la nausea salirgli d'improvviso e d'istinto si piegò appena in avanti, mettendosi una mano davanti alla bocca, mentre davanti ai suoi occhi scorrevano scene mai avvenute: i denti dell'orso che si serravano, la testa di suo fratello che veniva schiacciata, e si sentiva un crack tremendo, che sarebbe stato capace di far tremare persino le ossa metalliche degli endoscheletri degli animatronics.

«Jeremy!» e Fritz pensò che forse non era stata una buona idea, quella.

Dopo quell'avvenimento ci riprovò con nuove uscite, al parco, al centro commerciale, facendogli visitare musei del paese. E durante queste uscite Fritz parlava. Sempre. In continuazione. Per lui non era un problema, era sempre stato un grande chiaccherone, e quelle parole, quello che era un monologo più che una conversazione, dovevano tenerlo lontano dai pensieri. A costo di farsi venire il mal di gola, doveva fermare quella ferita nell'anima del suo amico che si allargava e continuava a farlo. E funzionò. Ebbe il mal di gola tanto desiderato. Ovviamente riuscì anche a strappare Jeremy a quei ricordi. Insieme ne erano usciti.

«Guarda, mostro. A malapena riesco a parlare. Spero ti sentirai in colpa anche per questo!» gli disse Fritz, dopo un anno passato immersi nella tristezza, erano riusciti a ricreare un'aria leggera in quella casa, che mancava da molto tempo, e ricevendo un mezzo sorriso da Jeremy.

«Davvero? Va a me il merito del tuo mal di gola? Pretendo un premio, per questo.» 

«Ti preferivo abbattuto e vomitoso!»

«Io ti preferisco così, che mamma Chioccia. E vomitoso non è una parola.»

«Sai? In quest'anno credevo- ugh... La gola. Dicevo... Cosa dicevo? Me ne sono dimenticato.» Fritz prese a grattarsi la testa, provando a ricordare cosa dovesse dire a quel furfante, stringendosi meglio nella coperta rossa e certo che il castano gli avrebbe regalato una delle sue frecciatine. Invece no. Quando alzò lo sguardo lo trovò a sorridere, sinceramente, guardandolo; gli occhi ritornati di un azzurro limpido e molto, molto più maturi. Quello che aveva davanti era un ragazzo di 17 anni o uno di 30?

«Grazie, Fritz.» l'arancione sgranò gli occhi e schiuse la bocca dalla sorpresa: non credeva a quello che sentiva. Poco dopo sbuffò un sorriso e annuì.

«Per te sono Angelo Custode.»

«Non esagererare ora.»

«Ovviamente questo "grazie" significa anche che mi porterai la colazione a letto tutte le mattine per sdebitart-»

«Grazie, Fritz. È solo un grazie.»

«Who. Non ripeterlo così tante volte. Non vorrai mica far piovere, vero?» e si potè ricominciare davvero. Mettendo il proprio passato a riposare, in un angolino. Solo per il momento, come Jeremy aveva promesso a Freddy. Pausa.

Ebbene, altri cinque anni erano passati, ora, e aveva fatto l'abitudine a quel castano ormai 22enne, e si era affezionato maggiormente a lui quanto alla  sua cucina! Seriamente, aveva un talento naturale per i fornelli, al contrario suo che prima del suo arrivo viveva di pizza, fast food, sushi, tutto cibo ad asporto insomma. La sua mamma lo aveva sgridato più volte per quell'alimentazione della Morte, la chiamava lei. E non aveva tutti i torti. Lasciò cadere il telecomando accanto a sè, sul divano bianco e recuperò il telefono dalla tasca, digitando velocemente il numero di Jeremy che ormai conosceva a memoria.

«Stò lavorando, cosa c'è?» gli rispose la voce di Jeremy, che probabilmente aveva risposto di nascosto dato la sua voce ridotta a un sussurro.

«Jer, sono le nove di sera, ho fame!» si lamentò come un bambino quello che doveva essere il maggiore tra i due.

«Il mio turno finisce alle 23 se tutto va bene.» Fritz a quella notizia si lasciò andare a un mugugnio, frutrato.

«Ma ti ho lasciato del pollo in forno, devi solo scaldarlo. Capito? Scaldarlo. Non bruciarlo. Devo andare, non farmi trovare la casa in fiamme!» esclamò il giovane interrompendo subito la chiamate per tornare al suo lavoro, mentre negli occhi di Fritz cominciava a brillare quella che poteva essere definita gratitudine, gratitudine per Jeremy e qualunque Dio caritatevole glielo avesse mandato.

 

 

Alla fine era successo esattamente quello che si aspettava: era uscito da quel ristorante all'una inoltrata di notte. E di certo non era un'ora tranquilla quella, almeno lui non si sentiva tale, camminando per le strade buie illuminate pigramente da qualche lampione. Sbadigliò, Jeremy, meravigliandosi che le sue gambe riuscissero ancora a tenerlo in piedi dopo aver fatto avanti e indietro per la sala per quelle che erano ore. Il cameriere. Da ragazzo non avrebbe mai pensato di fare quel lavoro. Si fermò, quando in mezzo al marciapiede, esattamente sotto la luce di un lampione vide un peluche di un orso: Fredbear.

«Oh, andiamo...» disse alzando gli occhi, decidendo di essere troppo stanco per parlare con quell'orso. Perchè sì, ci parlava. Non sapeva cosa fosse, esattamente, era certo fosse un illusione della sua mente che si divertiva a torturarlo, dando a quell'orso la voce... della sua coscienza? Era complicato. Sapeva solo che odiava quell'orsetto.

«È reciproco.» era disturbante. L'immagine di quel pupazzo che doveva essere innocente, bhe, di innocente aveva ben poco. Due sclere nere sostituivano il bianco che di solito si trovava lì, e al posto degli occhioni gialli, due puntini bianchi lo fissavano, e seguivano i suoi movimenti. La sua conscienza se la sarebbe aspettata meno inquietante. Avrebbe preferito un simpatico Girllo Parlante come quello di Pinocchio che... Quel peluche inquietante.

«Inquietante come la cosa che hai provato a fare tu a tuo fratello, Jeremy?» la bocca dell'orso non si muoveva ma sentiva la sua voce dolce, carezzevole, nella sua testa. Peccato non facesse altro che impregnare di dolce veleno le sue parole. Odiava il fatto che gli leggesse nel pensiero.

Scosse la testa, dando la colpa di tutto alla sua coscienza e riprese a camminare, sorpassando il pupazzo che rimase in silenzio, senza degnarlo di alcuna frecciatina. Questione di pochi passi e lo ritrovò davanti a sè, nella stessa posizione di prima, sotto un'altro lampione, quegli occhi bianchi a fissarlo. Jeremy serrò i denti e continuò a camminare più velocemente, e si ripeteva la stessa scena, sapeva di star camminando, di starsi avvicinando a casa, ma ritrovarlo sotto praticamente ogni due lampioni gli faceva quasi credere di essere caduto in un loop infinito.

«D'accordo. Sei insistente.» si arrese alla fine, fermandosi nuovamente davanti al peluche.

«Cosa vuoi?» chiese, ma il peluche non gli rispose. Era da almeno una settimana che lo incontrava e ci aveva fatto l'abitudine, ma era inquietante e lo rendeva nervoso. Era davvero la sua coscienza? Se fosse stato così perchè non dire chiaro e tondo cosa fare per liberarsi di quell'orso?

Era già da un minuto che attendeva in silenzio, non voleva rispondergli?

«Cosa stò facendo...? Parlare con un peluche. Sono pazzo.»

«Oh, Jeremy, allora sarò un'ottima compagnia per te. Com'era...? I pazzi si capiscono tra loro, giusto?» Jeremy si morse il labbro. Sapeva come mandarlo via, semplicemente doveva dar voce alla sua coscienza, lui, personalmente.

«Mi sento ancora in colpa per mio fratello.» disse, sicuro, osservando il pupazzo che si sarebbe dissolto presto. Una risata melodiosa gli riempì la testa.

«Ritenta, magari funziona.» disse la voce di Fredbear, facendo sgranare gli occhi a Jeremy che per un attimo credette davvero di essere divenuto completamente pazzo.

«Diciamo che non è quello che volevo sentire, ecco. Ma mi fai pena. Sei stanco. Sarò breve, voglio solo ricordarti che hai fatto una promessa, Jeremy. Saresti tornato. Sono passati 6 anni, quanto dovrà ancora durare la tua vacanza? Ah, no, Jer, non guardarmi così, io so bene cosa pianifica il tuo cervello. Non lo ammetterai mai, ancora orgoglioso, ma tu non ci vuoi affatto tornare, lì, vero? Qui hai una vita stabile, lavoro, casa, persino amici! Perchè dovresti tornare? Non ne hai motivo!» Jeremy aprì la bocca per provare a contrastare quelle parole acide che lo stavano investendo, ma la sua bocca rimase aperta senza produrre alcun suono, facendo realizzare al castano che era vero. Era tutto vero. Richiuse la bocca, leggermente stordito da ciò che aveva appena realizzato.

«Visto? Te ne sei accorto anche tu. In realtà lo sapevi già, io non ho fatto altro che farlo emergere fino a portarlo davanti ai tuoi occhi. Jeremy Fitzgerald. Suona bene. Sotto questo nome falso però sei diventato un'altra persona, più maturo, con una vita diversa. Il tuo passato stà riposando? Non prendiamoci in giro, Jeremy, tu vuoi farlo dormire per sempre, quel passato. E sai perchè?»

«Zitto...» ordinò senza forze il giovane, indietreggiando di un passo quasi avesse voluto scappare per non sentire quelle parole che sapeva che, impietoso, Fredbear avrebbe pronunciato direttamente nella sua testa, scrivendole e marcandole nel suo cervello così che non se ne potesse dimenticare nemmeno volendo.

«Perchè hai paura.» e fu un dolce sussurro, quasi come la ninna nanna di una madre cantata al suo piccolo, peccato che a Jeremy quelle parole trasmettevano tutto, meno che tranquillità. Sentì un brivido freddo attraversargli il corpo e sapeva che in quel momento la sua pelle doveva sembrare cadaverica.

«Gli occhi di tuo padre, Jeremy. Quello sguardo rimarrà nei tuoi ricordi fino alla tomba! Sei un assassino! E ora vorresti scappare? Prova a mostrarti ancora a quella gente, ragazzo. Prova ancora, ma senza alcuna maschera: senti sulla pelle quegli sguardi, lascia che ti brucino la pelle, i muscoli, le ossa, fino ad avvelenare il tuo sangue! E i loro sussurri, lascia che entrino nelle tue orecchie, giungano alla tua anima, fa in modo che la spezzino e, forse, allora, e solo allora, potrai ricominciare una nuova vita... Sempre se riuscissi a uscirne vivo, s'intende. Ma così? Così, ragazzo mio, è troppo facile. Così è da codardi.» e dopo quella frase Fredbear scomparve, quasi come fosse fatto di nebbia, dissolvendosi nell'aria lasciando prima piccoli filamenti gialli, poi non lasciando più nemmeno quelle.

Jeremy sentiva il cuore battere furioso contro la cassa toracica, il suo respiro era affannato, come se avesse appena finito di correre, provato da quelle parole che l'avevano costretto a fare i conti con la verità.

Per quanto lo avesse fatto soffrire, Fredbear aveva ragione. Sei anni erano tanti. Se ne era dato al massimo tre, e invece... Stava scappando, ma non poteva più farlo. Il passato era attaccato a lui come la sua ombra; solo che al contrario di essa se c'era buio non scompariva, si ampliava e lo divorava, spesso trascinandolo in incubi.

Quando si riprese ricominciò a camminare verso casa, con passo svelto, e nello sguardo sicuro si affiancava anche la paura. Stava lasciando la sua vita sicura, tranquilla e serena, con un lavoro, una casa e degli amici per far ritorno alla sua vecchia vita. Quella che sarebbe dovuta essere l'unica. Quella che sarebbe stata capace di ributtarlo, con prepotenza, nel suo dolore. E questa volta non era detto che sarebbe stato capace di rialzarsi. Rivivendo con la mente quei giorni un brivido gli attraverò la schiena, ma strinse i denti, era adulto. Era cresciuto mentalmente e fisicamente. Si sarebbe ripresentato come promesso. Nella sua mente risuonò la risata di Golden Freddy versione pupazzo.

«Bravo, ragazzo.»

Quando finalmente tornò a casa decise di andare a dormire, e pensare il giorno dopo a ciò che andava fatto, informando anche Fritz. Il sonno e la stanchezza resero le sue palpebre pesanti, facendolo crollare sul suo letto e facendolo addormentare lì, vestito, con nella mente un orsetto dagli occhi bianchi che vegliava tetramente sui suoi sogni.

O incubi.

 

   
 
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