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Autore: Manu75    30/03/2016    2 recensioni
"…e tu, femmina dai capelli chiari e dagli occhi freddi e algidi, nel tuo orgoglio soccomberai…prigioniera in una cella di ghiaccio, né calore, né gioia, né amore…tutti voi sarete condannati…io vi maledico! Black, da questa sera, vorrà dire disgrazia e sofferenza e prigionia…e morte! Così è stato detto, che così accada!"
Quando il dovere e l'orgoglio ti spingono contro il tuo cuore, quando una maledizione incombe con tutto il suo potere, quando i sentimenti infuriano nel petto senza poterli placare, il destino sembra solo una gelida trappola. Narcissa Black lo sa bene.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evan Rosier, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Severus Piton, Sorelle Black | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Severus/Narcissa, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Più contesti
Capitoli:
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Mi ripeto e ringrazio di cuore chi legge questa storia e, in particolare, le due ragazze che hanno commentato: LostHope 92 e miss Gold_392!

Ehm, avevo detto che con questo capitolo si sarebbe ritornati ad Hogwarts...ho mentito involontariamente, ho dovuto dividerlo a metà...grazie e a presto!



“Un gelido destino”


Quarantaquattresimo capitolo

 

(L’assenza di quiete dopo la tempesta- prima parte)


Erano anni che Narcissa non riposava bene la notte, il suo sonno era sempre costellato da incubi o da sensazioni angosciose che ne vanificavano il riposo.
Dalla notte in cui Aloise Alderman aveva declamato la sua maledizione andare a letto significava affrontare tutti i demoni e l’oscurità che Cissy sentiva di avere addosso.
Era come se la madre di Rubinia le avesse aperto uno squarcio nella fronte e un altro, altrettanto profondo, in mezzo al costato e lei aveva l’impressione che le orribili premonizioni che albergavano nella sua testa e i pensieri più che confusi che si agitavano tra le pieghe della sua mente filtrassero in basso, come una specie di fiume sotterraneo e, una volta raggiunto il cuore, lo soffocassero come lava che fuoriesce da un vulcano e brucia ogni cosa sul suo cammino.
Si era chiesta spesso se anche Bella provasse le sue stesse sensazioni e se anche i suoi sogni fossero più simili ad incubi. La profonda conoscenza che aveva di sua sorella, tuttavia, le suggeriva che i demoni di Bellatrix erano diurni e non notturni e che la giovane donna vi convivesse con un consapevole e sadico giubilo, senza rifuggirli come cercava di fare lei.
Vi era una sorta di follia incosciente e coraggiosa nel modo di vivere di sua sorella.
Narcissa si sentiva una vigliacca, viveva in una specie di limbo distratto e delle volte aveva la sensazione che qualcun altro respirasse per lei, come se non riuscisse a cogliere qualcosa, un particolare di vitale importanza. Le parole di Aloise era incise nella sua memoria eppure erano coperte da un velo oscuro e fuorviante: sentiva che setacciare quel fiume di parole avrebbe portato a galla solo fango.
Quella notte non era diversa da tante altre, non riusciva a riposare serenamente e la schiacciavano una miriade di immagini diverse.
Aveva imparato che, almeno nel sonno, cercare di bloccare quelle visioni non portava a nulla di buono e quindi si lasciò andare: sentiva l’erba bagnata sotto i piedi nudi, correva e avvertiva solo il suono del proprio respiro, l’aria era densa, fredda e umida e la leggera camicia da notte le si appiccicava addosso come un impalpabile velo di ghiaccio.
Sentiva i brividi di freddo sulla pelle nuda, i capelli erano umidi e le si incollavano al viso e al collo come i fili di una ragnatela. La Luna si stagliava netta nel cielo, coperta a tratti da nuvole scure, lei aveva paura di scivolare ma non riusciva a smettere di correre.
E poi la vide, finalmente. Rallentò e non l’abbandonò più con lo sguardo, la seguì senza perderla di vista: una piccola e  bellissima farfalla colorata.
Volava leggiadra e sembrava quasi rallentare per attenderla, all’improvviso si ritrovarono in una radura e, quando la Luna poté rischiarare con tutta l’intensità della sua luce quella notte piovigginosa, Narcissa scorse le rovine di una casa che, evidentemente, era stata divorata dalle fiamme.
Sembrava un disegno fatto al carboncino, poteva distinguerne i contorni ma non a comprendere se fosse una dimora a lei conosciuta.
Poi capì di non essere più sola e si voltò lentamente, la gola stretta da un cattivo presagio: un’esile figura vestita di bianco la fissava da poco lontano, il volto era coperto da una maschera argentata ma lei poté distinguere degli occhi chiari, pallidi e dai riflessi argentei, che non l’abbandonavano nemmeno per un istante.
La piccola farfalla colorata danzò intorno alla misteriosa figura e poi si posò sulla leggera veste bianca, spiccando netta nella luce lunare, mentre un vento lieve si innalzò a spazzare via le ultime nubi presenti nel cielo e a rendere l’aria frizzante e leggera.
All’improvviso la bianca figura sollevò un braccio e le mostrò la testa mozzata che teneva stretta per i capelli, il volto era perfettamente distinguibile e il sangue scendeva copioso.
I capelli erano sporchi e privi di lucentezza ma erano chiaramente dei lunghi capelli biondi, talmente chiari da sembrare quasi bianchi, e gli occhi erano così azzurri che riuscivano a riflettere perfettamente la luce della Luna anche se erano privi di vita.
Narcissa si svegliò sentendo il proprio grido impressionante echeggiare nella solitudine della sua stanza.
-Luciuuuss!-
Non aveva mai potuto distinguere il volto dell’uomo bruno che da anni cercava di dirle qualcosa nel suo incubo ricorrente ma, questa volta, non poteva avere dubbi su chi fosse l’uomo del sogno. La vittima di quell’incubo.
Un piccolo colpo bussato alla porta della sua stanza la costrinse a riscuotersi dal tremito convulso che la attraversava e cercare di dominare la nausea potentissima che le agitava le viscere.
Galatea, la civetta nera di Narcissa, agitava le ali dal suo trespolo.
- S-si…- riuscì a mormorare, cercando di ricomporsi.
Dorothy si affacciò nella stanza, con gli occhi sbarrati e il volto pallido, la cuffia da notte spostata malamente di lato.
- Signorina Narcissa…- sussurrò incerta - t-tutto bene…?-
La donna era chiaramente spaventata, il suo urlo probabilmente era stato udito fino a Grimmauld Place, pensò la ragazza mordendosi le labbra.
- Certo- trovò la forza di sorridere - ho fatto uno stupidissimo incubo, ti chiedo scusa Dorothy...ritorna a dormire!- si alzò dal letto per dare più forza alle proprie parole ma la governante esitò sulla soglia.
- M-ma signorina...sembrava che vi avessero strappato il cuore dal petto!-  la donna era sinceramente sconvolta.
- Ma come vedi io sono tutta intera - sorrise nella semi oscurità della sua stanza - va e dormi, non ha senso agitarsi per un incubo infantile…-
La donna si convinse e lasciò la camera senza più protestare.
Narcissa sospirò e guardò l’ora, erano le quattro e mezza del mattino del ventisei agosto.
“Non riuscirò più a dormire” considerò, afflitta.
Avrebbe voluto potersi togliere dalla mente l’immagine della testa di Lucius, penzolante, sanguinante e con la bocca socchiusa ma, per farlo, avrebbe dovuto cavarsi gli occhi e portare la mente alla follia, non aveva alcun dubbio.
All’improvviso una specie di ticchettio sul vetro della sua finestra la fece sobbalzare, guardò fuori e vide un gufo comune che becchettava chiedendo di entrare.
Lei si avvicinò e notò che, legato alla zampa del volatile, c’era un pacco.
Incuriosita decise di aprire e il gufo entrò e attese, con aria compita e professionale, che lei slegasse il pacchetto e poi, dopo aver emesso un breve verso soddisfatto, volò via dalla stanza sotto gli occhi colmi di disprezzo di Galatea.
La ragazza richiuse la finestra e tirò le tende, studiò il piccolo pacco con aria assorta, c’era il suo nome vergato da una sottile e ordinata calligrafia che lei associò ad una mano femminile.
Alla fine si decise ad aprire l’involucro con mani tremanti e rimase sorpresa nel trovarvi la copia di un giornale fresco di stampa.
Non era “La Gazzetta del Profeta” ma bensì “Il Cavillo” un settimanale che veniva prodotto solo da un paio d’anni e che nessuno prendeva sul serio. Il giovane mago che lo dirigeva aveva la passione per le notizie più stravaganti e inutili che si potessero trovare o inventare, come credevano in molti, e quindi la fama di quel giornale era pessima.
Narcissa aprì il settimanale e, con un brivido di orrore, vide che tutta la prima pagina era occupata da una fotografia del Marchio Nero che si stagliava netto nel cielo.
Il titolo che sovrastava l’immagine recitava così: “Dichiarazione di guerra!” e sotto continuava in caratteri più piccoli “Il Ministero parla di  allucinazione collettiva creata dal fumo di un incendio doloso! Ma i numeri parlano anche per il Ministero: trenta morti e cinquanta feriti, vittime di un attacco di massa da parte di maghi oscuri!”
Narcissa non riusciva a staccare gli occhi dalla fotografia: la lingua serpentina saettava nitida dal teschio mostruoso.
Il giornale insinuava che il Ministero della Magia volesse insabbiare tutto o sminuirlo notevolmente ma che fonti autorevoli avevano fornito le stime reali e parlato di attacco organizzato e guidato da un potente Mago Oscuro.
Narcissa sapeva che tutto ciò era vero, aveva visto e sentito troppe cose per non crederci, ma non riusciva a collegare tutto ciò alla realtà, la sua realtà quotidiana.
Fece per girare pagina quando notò che, all’interno della scatola, vi erano altri due oggetti.
Uno era un foglio strappato da quello che poteva essere un registro dell’anagrafe, riportava nomi, date e indirizzi.
Lesse qualche nome e poi si bloccò, folgorata.
‘Andromeda Black in Tonks, nata il giorno nove del mese di Luglio dell’anno millenovecentoquarantasette, residente ad Ottery St. Catchpole, Devonshire, dal giorno dieci del mese di gennaio dell’anno millenovecentosessantotto, al numero civico...e seguiva l’indirizzo completo.
Ottery St. Catchpole era il villaggio scelto, secondo il giornale che aveva appena letto, per quel presunto attacco.
Narcissa sentì il freddo assalirla mentre sollevava il secondo oggetto e lo esaminava nella luce dell’alba che ormai filtrava dalle tende pesanti della sua camera.
Era un pezzo di stoffa, chiaramente un lembo della manica di una camicia perché vi era la parte con il polsino: una camicia di raffinata seta nera e un polsino riccamente rifinito con del prezioso filo d’argento.
Narcissa seppe immediatamente a chi apparteneva quella camicia e non faticò a comprendere che era intrisa di sangue.


La casa di Epzibah Smith, vista dall’esterno, sembrava disabitata e in rovina, nessuno avrebbe detto che vi fosse vita tra quelle mura ,ricoperte di muschio e usurate dal tempo e dalle intemperie, e dietro quelle finestre sbarrate con vecchie assi di legno.
Tuttavia, all’interno, vi si trovava una mezza dozzina di persone riunita nel salotto del piano inferiore.
La maggior parte dei Mangiamorte, una volta terminato il loro compito, si erano recati nelle loro dimore badando di procurarsi degli alibi inattaccabili.
Barty Crouch Jr., avendo un padre importante al Ministero ed essendo ancora uno studente, rischiava molto e quindi era stato esentato dal ritrovo a casa Smith.
Fenrir Greyback, non essendo marchiato, non aveva il diritto di sapere dove dimorasse l’Oscuro Signore e veniva contattato quando ce n’era bisogno tramite degli emissari.
Quella sera, nel vecchio salotto polveroso, erano presenti Lucius (nessuno si sarebbe mai sognato di fare una sortita a casa Malfoy senza un mandato e nessuno, allo stato attuale, avrebbe concesso quel mandato), Evan (che era senza fissa dimora), Dolohov (entrato illegalmente in Inghilterra e ufficialmente residente in Ucraina), Mc Nair (la cui ultima residenza risultava essere l’isola disabitata di Inchcolm, in Scozia) e Bellatrix (che era spalleggiata e, all’occorrenza, coperta dalla sua nuova famiglia: i Lestrange).
La donna era adagiata su un sofà, il volto pallido e sofferente, il braccio destro scendeva inerte lungo il corpo, perdendo sangue in modo copioso.
L’Oscuro Signore si avvicinò a Bella e lei tentò di rialzarsi e inchinarsi ma lui le posò una pallida mano sulla fronte e la costrinse a riadagiarsi sui cuscini.
- Mi hai servito bene- le disse con la sua voce fredda - ora ci prenderemo cura di te -
Lei lo guardò con gli occhi ardenti e il volto trasfigurato, dimentica della sofferenza che le dava la ferita.
Evan distolse lo sguardo, troppo debole anche per il tormento della gelosia.
- Mio Signore…- sussurrò la donna, cercando di rendere le sue parole udibili solo a lui - vivo per servirti…-
L’Oscuro Signore fece quello che poteva sembrare un sorriso e si chinò su di lei e, fissandola negli occhi, allungò una mano e strappò la stoffa della manica del vestito di lei.
Il suono fu secco e il movimento rapido e brusco, lei sussultò e sbiancò per il dolore che avvertì.
Poi il Signore Oscuro circondò la ferita, ormai perfettamente visibile, con la mano e la strinse brutalmente facendone fuoriuscire un fiotto di sangue scuro.
Bellatrix gemette a lungo, combattuta tra la sofferenza lancinante che sentiva e il piacere che quel contatto le dava.
Lord Voldemort si rialzò, gli occhi freddi non mostravano emozione, il volto pallido riluceva perlaceo e le labbra esangui erano arricciate in un impercettibile smorfia soddisfatta.
- Lucius!- chiamò secco, facendo sussultare la donna e risvegliandola da quella specie di estasi dolorosa in cui era caduta.
L’uomo si fece avanti con il volto leggermente reclinato in segno di rispetto.
- Portala di sopra, nella mia stanza- gli disse e si voltò, lasciando il salotto.
Lucius gettò un’occhiata veloce ad Evan, era ridotto in condizioni pietose e sembrava percepire a malapena ciò che gli accadeva attorno.
L’Oscuro Signore aveva accettato senza battere ciglio la spiegazione che il giovane fosse stato schiantato da un Auror, tutto era andato per il meglio e quindi non c’era nulla da recriminare. Per una volta Lord Voldemort era sembrato persino clemente.
Lucius si chinò su Bella e la prese tra le braccia, la sollevò senza sforzo alcuno e si avviò di sopra, ringraziando mentalmente il fatto che le sorelle Black fossero solo tre, visto e considerato che lo tenevano impegnato peggio di un esercito di centauri.
- Posso camminare…- gli sibilò lei, furiosa - lasciami!-
- Fosse per me- le disse, senza guardarla in volto- ti lascerei volentieri e ti aiuterei a ruzzolare di sotto ma visto che non dipende da me…- questa volta le scoccò uno sguardo beffardo - pensavo che la ferita e la prospettiva di un tete-à-tete con l’Oscuro Signore ti rendessero più docile e ti addomesticassero come una cavalla in amore! Invece scalpiti come una giumenta selvatica! Spero che il nostro Signore sia consapevole che, a cercare di accoppiarsi con te, rischia di beccarsi uno zoccolo in fronte!-
Lei si agitò, furiosa, e lui rise di gusto.
- Ti detesto!- ringhiò Bella, fuori di sé e incapace di controllare il piacere che stare tra le braccia di lui le procurava.
Rammentava tutte le sensazioni che aveva provato dopo il raduno di Weirwater, osservando Malfoy stringere tra le braccia Narcissa e cullarla come se fosse un prezioso cristallo.
Si odiò per quel desiderio che sentiva ma, il breve contatto con l’Oscuro Signore le aveva acceso i sensi, in barba a qualsiasi ferita e a qualsiasi dolore, e ora la vicinanza di Lucius le rammentava gli strani pensieri che aveva fatto su di lui nelle ultime settimane.
Riusciva ad essere profumato nonostante la battaglia, il sangue, la polvere.
- Si, si...lo so! Ballerai sul mio cadavere, mi strapperai gli occhi etc- lui ostentò uno sbadiglio - nemmeno io ti sono particolarmente affezionato ma mi tocca sopportarti, fai lo stesso e tiriamo avanti!-
Arrivarono in cima alle scale e lui entrò nella stanza personale di Lord Voldemort, Bellatrix si agitò leggermente tra le braccia di Lucius e lui la posò, con un pò di impazienza, sulla sponda del letto.
Non amava perdere tempo con quella donna, voleva solo ritornare da Evan e cercare di capire cosa gli fosse accaduto e come aiutarlo.
Dell’Oscuro Signore non c’era traccia ma un’esile figura vestita di bianco si stagliò alla luce dell’unico candelabro acceso nella stanza.
- Brigid…- mormorò a denti stretti Lucius.
- Malfoy- lo salutò lei, secca - non pensare di scappare, vieni qui e tienimi ferma questa donna!-
- Da quando mi dai degli ordini?- chiese lui, che era già sulla soglia della camera, studiando il volto della giovane donna coperto da un velo che ne rendeva i lineamenti difficili da interpretare.
- Da quando gli ordini me li impartisce direttamente il Signore Oscuro…- sussurrò lei e si avvicinò a Bella.
- E questa chi è?- mormorò la donna, stringendo gli occhi scuri con malevolenza.
- “Questa”- le rispose la ragazza, con un tono di voce duro - è quella che ti guarirà quel braccio…- e si chinò su di lei - Malfoy!- chiamò poi - vieni qui e non farmi perdere tempo!-
Lui imprecò a voce alta, senza curarsi di essere in presenza di due donne.
- Cosa devo fare?- le chiese, gelido.
Per tutta risposta Brigid allungò il braccio, gli afferrò la manica della camicia di seta nera e tirò con forza, lacerandogliela dal gomito in giù.
Questa volta l’uomo esclamò una parolaccia vera e propria ed insultò Brigid senza riserve.
- Si può sapere cosa diamine fai?- le chiese poi, furioso.
- Stringile con forza il braccio subito sopra la ferita- gli disse lei per tutta risposta - ho bisogno che l’emorragia si fermi e che la ferita sanguini meno-
Lui si chinò su Bella e le strinse, con un movimento rapido, quella che era stata la manica della sua costosa camicia come se fosse un laccio emostatico.
La donna sbiancò per il dolore ma non fece un fiato.
Da sotto il leggero velo, Brigid lanciò un’occhiata penetrante alla collana con la pietra d’ambra che l’altra donna portava al collo, ma non disse nulla.
Da un sacchetto di velluto attaccato alla sua cintura, invece, estrasse una cristallo scuro, piatto e liscio, Bellatrix sembrò attratta dalla cinta della ragazza e allungò la mano sinistra per prenderla tra le dita, osservando pensierosa i diamanti e i rubini che si alternavano per tutta la sua lunghezza*.
Brigid si irrigidì - Non toccare - le disse con voce glaciale - mi distrai e non ti conviene, fidati!-
Poi , partendo dal laccio emostatico improvvisato, sfregò la pietra nera sulla pelle di Bella e scese verso il basso premendo forte e passando lentamente sulla brutta ferita slabbrata, rossa e gonfia che deturpava l’arto.
Bellatrix gemette e impallidì, rischiando di perdere i sensi per l’acuto dolore che si irradiò lungo tutti i nervi del corpo.
Lucius teneva fermo e disteso il braccio della donna e osservava con curiosità ciò che faceva la giovane e misteriosa ragazza velata.
Ad un certo punto la carne sembrò gonfiarsi e, dal foro circolare nel mezzo della ferita, fuoriuscì la pallottola che aveva causato quei danni, cadde a terra sul parquet e rotolò poco distante.
Brigid continuò a passare il cristallo su e giù, provocando a Bellatrix la sensazione di avere il braccio in fiamme ma, quando l’altra ebbe finito, la pelle era perfettamente liscia e rimarginata ed il braccio di nuovo sano.
- Notevole…- sussurrò Lucius, ma la ragazza lo ignorò, tolse il lembo di camicia di lui dal braccio della donna, se lo mise in tasca e si rialzò.
- Bene, ora puoi ritornare a casa - disse, rivolta alla Mangiamorte - l’Oscuro Signore desidera riappropriarsi della sua camera per poter riposare. -
Bellatrix si sentì come l’avessero schiaffeggiata e fissò con odio la misteriosa figura vestita di bianco, chiedendosi quale legame avesse con Lord Voldemort.
Lucius si alzò e osservò Brigid con rinnovato interesse ma la ragazza trafficò un attimo con la sua cintura e uscì, senza più rivolgere loro nemmeno una parola e lasciandoli da soli.
L’uomo osservò la propria camicia mutilata e fece una smorfia di disappunto, poi si concentrò su Bella, il cui volto aveva un’espressione frustrata e scontenta, e mormorò un - Oh, oh...mi sa che ti è andata buca…- rischiando che il braccio risanato della donna lo colpisse in pieno volto.
- Prima le signore…- le disse allora lui, invitandola ad uscire - fossi in te mi rassegnerei, stanotte dovrai accontentarti di tuo marito!- la provocò, vedendo che lei esitava a lasciare la stanza.
Bella scattò in piedi e lo superò, uscendo, raccattando il suo mantello e smaterializzandosi non appena mise piede fuori dalla porta principale della casa.
Lucius entrò nel salotto e vide che Evan era rimasto da solo, si avvicinò al suo amico con i sentimenti meno amichevoli del mondo ma vedere il suo volto trasfigurato dal misterioso malessere che l’aveva colpito, lo convinse a rimandare qualsiasi diatriba.
- Come posso aiutarti?- gli chiese, parlando lentamente e cercando di catturare lo sguardo fuggevole del ragazzo.
Evan ci mise qualche istante a raccogliere le idee e poi, con un lieve cenno degli occhi, indicò la collana d’ambra che portava ancora al collo.
Lucius non ebbe bisogno d’altro, capì.


Il villaggio di Ottery St. Catchpole era attonito e osservava stordito i danni riportati in seguito a quella battaglia, improvvisa e inaspettata.
Case distrutte, persone ferite, vittime innocenti.
A poco più di due ore dall’inizio dell’attacco le autorità del Mondo Magico e quelle babbane stavano prestando soccorsi e cercando di ricostruire quanto avvenuto in quei maledetti e infernali quarantacinque minuti.
Andromeda era accanto a Ted, disteso su una barella, attaccato ad una flebo e sofferente, con il busto fasciato, il volto tumefatto e stravolto dalla numerose ferite.
Su di lui c’era stato un accanimento quasi animalesco.
Gli occhi della donna cercarono la loro bambina: era avvolta in una coperta e dormiva tra le braccia del Dott. Jones, l’unico nonno che lei conoscesse da quando era nata.
Era stata ritrovata nella piccola rimessa incantata da Moody, l’uomo era corso da lei non appena era riuscito a rialzarsi dopo che la potenza oscura si era abbattuta su di lui e i suoi Auror.
Alastor non si era curato di avere metà viso devastato, la gamba squarciata e il petto infranto dallo spostamento d’aria, si era smaterializzato correndo un gravissimo rischio per lo sforzo sostenuto ed era corso dalla sua “zucchetta rosa”, trovandola appisolata ma sana e salva.
L’aveva estratta dal piccolo ripostiglio, lei aveva aperto un attimo gli occhi e gli aveva sorriso nel sonno “Lo sapevo…” gli aveva detto “li hai scacciati...ma ti hanno fatto tanto male…” e gli aveva accarezzato la guancia insanguinata, lui aveva scosso la testa e l’aveva stretta forte sentendosi piombare addosso il dolore e la paura che aveva provato quando aveva pensato che per lui e tutti gli altri fosse giunta la fine.
E poi gli occhi di Andromeda saettarono verso qualcosa che lei non riusciva ad accettare e realizzare.
Coperto da un pietoso telo bianco c’era Michael.
Quello che restava di lui...un corpo e nient’altro.
Il bravo, forte, generoso ragazzo che lei aveva conosciuto quando aveva incontrato Ted, il ragazzo che doveva sposare Hellen, lo zio del cuore di Ninfadora, quello che aveva sempre una storia divertente da raccontare o un gioco scatenato da fare.
Il coraggioso, giovane uomo che aveva deciso di diventare poliziotto e aveva creato un legame tra la polizia babbana e gli Auror del Ministero, di cui Hellen era entrata a far parte lasciando perdere l’Università.
Una coppia di combattenti, una coppia che si amava.
Andromeda chiuse gli occhi per il troppo dolore che sentiva dentro di sé, la sua amica stava seduta accanto a quel corpo, devastata nel fisico e nell’anima: aveva perduto la persona che amava e riportato gravi ferite, il tutto nel giro di pochi secondi.
Il volto di Bellatrix emerse davanti i suoi occhi, così come l’aveva vista nei minuti in cui si erano ritrovate faccia a faccia.
Sua sorella le aveva sorriso beffarda, incurante della sofferenza e della violenza che divampavano intorno a loro ma, anzi, esaltata da esse.
Andromeda riaprì gli occhi, lasciò la mano di Ted e si avvicinò ad un uomo alto e dai capelli rossi che, con volto grave, stavo facendo dei rilevamenti.
- Arthur…- lo chiamò e lui si voltò, cercando di trovare un sorriso da rivolgerle - Moody è andato via...devo parlare con qualcuno di cui mi fidi...devo parlare con te…-
- Certo- le rispose gentilmente - come posso aiutarti?-
- Io…- esalò un respiro carico di sofferenza - io ho visto in volto uno degli assalitori, è una donna a dire il vero, l’ho vista senza maschera. So chi è…-
Arthur annuì e prese appunti.



 

Narcissa, contro ogni aspettativa, si riaddormentò ai piedi del letto e riuscì a riposare un’ora, prima di risvegliarsi di colpo e guardare l’orologio.
Erano quasi le otto del mattino, si alzò di scatto e corse a farsi una doccia veloce, poi si legò i capelli ancora umidi in una crocchia strettissima e indossò un abito blu scuro dalle maniche lunghe e dalla foggia molto particolare, che le dava un’aria più matura del solito.
Il tutto in quindici minuti.
Poi corse al piano di sotto, decisa a convincere suo padre a portarla con sé al Ministero con qualche scusa.
Dopo aver ricevuto quel pacco da un qualche misterioso “amico” o “amica” , sulla cui identità non aveva nemmeno un blando indizio, era rimasta ore a tormentarsi.
Se, e non aveva dubbi, quello che riportava il giornale era vero allora Lucius, Evan e, il cuore le si era stretto, Bella avevano preso parte a quella battaglia.
Il lembo di camicia che lei sapeva appartenere al suo ex fidanzato era pregno di sangue e Narcissa continuava a chiedersi di chi fosse. Non poteva ignorare che il luogo scelto per quell’attacco fosse il paese dove risiedeva Andromeda...e se il sangue fosse stato quello di sua sorella maggiore?
Più probabilmente la persona ferita era il proprietario della camicia e l’idea di sapere il ragazzo ferito gravemente, o peggio, le dava un senso di nausea. Con profondo sgomento aveva realizzato che, non essendo più legata a lui da alcuna promessa di fidanzamento, non sapeva come arrivare a Lucius per accertarsi del suo stato di salute. Semplicemente non ne aveva il diritto.
Non poteva scrivergli, non poteva presentarsi a casa sua, non poteva chiedere ad Abraxas, non senza disintegrare il proprio orgoglio e rischiare di sembrare alla ricerca di una scusa per riallacciare i rapporti che lui aveva troncato così bruscamente.
Non senza il rischio di apparire come una donna rifiutata e disperata.
Nemmeno l’angoscia che la schiacciava in quel momento riusciva a prevalere sul suo amor proprio, non del tutto almeno.
Aveva scritto qualche riga di saluto a Bellatrix, chiedendole di incontrarsi prima della sua partenza per Hogwarts per congedarsi in modo tranquillo e sereno. Aveva inviato Galatea a recapitarglielo, dopo aver raccomandato alla civetta di consegnare il messaggio solo ad un’ora decente e non sospetta.
Con questo gesto, dopo che durante il loro ultimo incontro sua sorella l’aveva provocata con cattiveria paventando la possibilità di sedurre Lucius solo per farle un dispetto, Narcissa sentiva di aver calpestato sé stessa abbondantemente ma, del resto, sperava di accertarsi di persona sullo stato di salute di Bellatrix che restava pur sempre sangue del suo sangue.
Con Lucius la faccenda era più complicata ma le era nata un’idea e, se fosse riuscita a metterla in pratica, avrebbe potuto appurare che lui stava bene senza perdere la faccia.
Quando arrivò al piano di sotto, tuttavia, Dorothy le annunciò che suo padre era già uscito da almeno mezz’ora.
- Dannazione!- sbottò Narcissa, sotto gli occhi meravigliati della domestica. Di solito lei non perdeva mai la calma così facilmente e non imprecava a voce alta.
La ragazza si morse le labbra e poi decise che non avrebbe cambiato i suoi piani per così poco.
- Dorothy, fammi preparare la carrozza!- ordinò e, senza badare alle proteste della donna, corse di sopra e terminò la sua toeletta.
“Disperata si, ma con classe!” si disse a denti stretti nascondendo le tracce della notte insonne, ravvivando le labbra con un lucida labbra e profumandosi a dovere.
Sapeva che a mezzogiorno ci sarebbe stata una riunione del Consiglio al Ministero a cui Cygnus avrebbe preso parte e sapeva anche, avendo passato settimane a Malfoy Manor, che Lucius al Ministero della Magia praticamente ci viveva.
Vi si recava ogni giorno e faceva le funzioni di Abraxas in tutto e per tutto.
Se Lucius stava bene, se era vivo, sarebbe stato presente alla riunione e, recandosi li, lei avrebbe potuto sincerarsi sulla sua salute in modo indiretto.
Incurante delle proteste della governante, Narcissa le ordinò di tacere e salì nella carrozza dei Black con il cuore in gola e la determinazione alle stelle, animata da un unico obiettivo: accertarsi che Lucius fosse vivo.
Quando giunse al Ministero le si presentò un primo problema: lei era minorenne e, in quanto tale, non poteva accedervi senza un accompagnatore adulto.
Purosangue o no, la regola valeva per tutti.
All’ingresso pubblico per i maghi c’erano vari uscieri che controllavano i permessi di accesso e autorizzavano le persone ad entrare.
Cissy esitò, studiandoli uno ad uno, erano tutti molto giovani e lei li sondò cercandone uno dall’aria più malleabile poi, nella sua mente ,si accese una luce: uno di quei ragazzi era un suo ex compagno di scuola.
Un Grifondoro, ricordò con una smorfia, ma pur sempre uno studente di Hogwarts, era certa che si trattasse di un Caposcuola, doveva solo ricordarsi il suo nome.
- Rufus?- esclamò, avvicinandosi al giovane che aveva una criniera di capelli rossi - Rufus Scrimgeour?- gli lanciò il più bello dei suoi sorrisi e lui sembrò folgorato e arrossì vistosamente.
- Black…- la voce era leggermente roca e lui se la schiarì rumorosamente, imbarazzato - come mai qui?-
“Che stupido!”, si rimproverò il ragazzo, Cygnus Black era un pezzo grosso, niente di strano che sua figlia passasse al Ministero.
La verità era che quella ragazza l’aveva sempre mandato in confusione, era la classica bellezza bionda e algida che aveva il potere di farlo inciampare nei suoi piedoni numero quarantaquattro e farlo sentire un idiota totale.
Ad Hogwarts si erano a mala pena rivolti la parola, del resto stavano in Case diverse, e lui non poteva credere che lei conoscesse il suo nome.
Vista così da vicino era ancora più bella di quello che ricordasse e aveva un sorriso tutto per lui, cercò di ricomporsi e non pensare a quanto dovesse sembrare sgraziato con i capelli spettinati e il fisico massiccio coperto dalla brutta tunica color vinaccia che il Ministero forniva agli uscieri.
Lei sventolò un plico di fogli con aria leggermente esasperata.
- Mio padre ha dimenticato questi! Gli servono tra poco - fece un sorriso brillante.
- Se vuoi posso chiamare qualcuno che glieli consegni- le disse Rufus, cercando di essere gentile.
- So che preferisce riceverli dalle mie mani - Narcissa fece un movimento con le spalle a mò di scusa e il sorriso rimase intatto, ma gli occhi splendettero di una luce decisa.
Sperò che lui non notasse la stranezza della situazione e l’assenza di un pass che suo padre avrebbe potuto procurarle in un attimo. Lei sapeva che se voleva la verità, o una parte di essa, l’effetto sorpresa era determinante, suo padre e i Malfoy non erano uomini che condividessero volentieri con le donne le loro macchinazioni e i loro affari.
Il viso della ragazza, dai lineamenti perfetti e dalla pelle diafana, era saldo e, visto così da vicino, bello in modo irreale.
Il ragazzo arrossì e, maledicendosi per la propria debolezza, acconsentì a lasciarla passare.
Cissy esultò dentro di sé ma fuori mantenne il suo solito e impeccabile contegno, lo ringraziò con calore posandogli delicatamente una mano sul petto e lui si sentì appagato.
Ora la ragazza sapeva dove andare, suo padre l’aveva portata con sé qualche volta, quando era bambina, e lei ricordava quella specie di salotto privato dedicato alle famiglie di purosangue che avevano un posto riservato di diritto al Ministero, generazione dopo generazione, secolo dopo secolo.
Malfoy, ovviamente, Black e Crouch, erano le tre più importanti e antiche famiglie.
Giunta davanti all’ingresso dell’area riservata a quei pezzi grossi**, però, si trovò davanti un altro ostacolo.
Una specie di guardiano, un uomo dall’aria impettita e dalla divisa inamidata, che si rifiutò di farla passare senza prima aver visto un permesso.
Narcissa non si fece intimorire, era arrivata fin li e non intendeva ritornare indietro senza aver avuto la sua risposta e così, con un gesto poco signorile, gettò addosso all’uomo i fogli che ancora teneva in mano.
- Guardi cosa ha fatto!- esclamò, gelida - ora li raccolga se non vuole che Cygnus Black in persona provveda a farLa licenziare!-
L’uomo si chinò a raccogliere i fogli con aria frenetica e lei lo scavalcò agilmente e, superata l’anticamera, aprì la porta del lussuoso salotto privato senza nemmeno bussare e se la richiuse alle spalle.
I tre uomini presenti all’interno si voltarono sorpresi verso di lei, interrompendo i loro discorsi.
Cygnus era seduto dietro l’unica scrivania della stanza, Abraxas era sprofondato nella poltrona posta dinnanzi ad essa e Lucius stava in piedi, appoggiato al grande camino in pietra con il fuoco acceso, tenendo in mano un bicchiere di brandy.
Era tutto intero: la testa era attaccata al collo, le braccia c’erano tutte e due, le lunghe gambe erano incrociate in una posa rilassata e lui era vestito in modo curato e sfarzoso, come sempre.
O almeno così le parve perché, non appena entrata, Narcissa aveva intravisto la sua chioma biondissima e sfiorato i suoi occhi azzurri e quindi aveva distolto immediatamente lo sguardo per fissarlo su suo padre.
- Buongiorno!- salutò, sentendosi una perfetta idiota.
Nell’atmosfera ovattata e raffinata di quel salotto tutte le angosce e le paure notturne sembravano lontanissime, come gli incubi dei bambini che spariscono alla prima luce del sole.
“O potente Morgana, voglio morire qui e subito!” pensò, combattendo contro la voglia di chiudere gli occhi e darsela a gambe.
- Mia cara!- Abraxas fu il primo a riaversi dalla sorpresa, si alzò e le venne incontro, prendendole la mano - va tutto bene?- le chiese con la consueta gentilezza.
- Narcissa!- suo padre si alzò a propria volta e la guardò, leggermente irritato per quell’improvvisata - non ti aspettavo!-
Lucius si limitò a fissare il suo bicchiere di cristallo e nessuno sembrò notare la mancanza di cortesia che ebbe nei riguardi della ragazza, evitando di rivolgerle la parola o di avvicinarsi per salutarla.
- Io- cominciò lei, ignorando il dolore acuto che avvertì dentro di sé davanti all’indifferenza che il ragazzo le dimostrò - sono qui per una ricerca…- buttò la, senza pensare.
I due anziani uomini la fissarono come se un ventriloquo fosse uscito da sotto il suo bel vestito blu e avesse parlato per lei.
L’idea era così buffa che la ragazza fece una specie di risolino nervoso, trattenendosi per un pelo dallo scoppiare  a ridere in faccia a suo padre e al suo mancato suocero.
Lucius aggrottò leggermente le sopracciglia ma continuò a sorseggiare il suo brandy.
“Sei una dannata, dannata deficiente!” si insultò con grande vigore.
- Ricerca?- le chiese suo padre, troppo stupito per invitarla ad accomodarsi.
- Oh, Black! Ti ho trovata!- la porta si spalancò e Barty Crouch Jr. entrò, con un gran sorriso stampato in volto - chiedo scusa, buongiorno a tutti!- salutò con aria cortese e umile.
Narcissa lo fissò stupita ma il suo volto, allenato alla dissimulazione, espresse a mala pena l’enorme sorpresa che provò.
Conosceva Bartemius, ovviamente, perché frequentava il sesto anno ad Hogwarts ed era un Serpeverde.
Il ragazzo aveva già diciassette anni ma era entrato a scuola un anno dopo per motivi di salute, o così si diceva in giro.
Era un ragazzo molto riservato e per bene, con un volto pallido ricoperto da lentiggini e i capelli biondi che sembravano paglia, lei lo aveva sempre trovato piacevole ma non si erano mai scambiati più di dieci parole in tutti quegli anni.
- Crouch…- riuscì a mormorare, mentre lui le sorrideva incoraggiante, comunicandole qualcosa con gli occhi.
- Scusami Black- proseguì Barty - ti ho dato appuntamento nel luogo sbagliato! Essendo divenuta Prefetto - spiegò poi, rivolto agli altri uomini presenti - deve presentare una ricerca scolastica su come migliorare la comunicazione tra studenti, prendendo come esempio il Ministero. E’ una ricerca che dobbiamo fare assieme,a dire il vero, essendo Prefetto anch’io!- concluse con un gran sorriso a cui i due uomini non poterono non rispondere.
Narcissa provò per lui una grandissima ammirazione e una profonda riconoscenza, pur non comprendendo perché si stesse dando tanto da fare per toglierla d’impaccio.
- Che bravi ragazzi- la gelida voce di Lucius era così strascicata che le urtò ogni singolo nervo - lo studio è una cosa importante, siete proprio degli scolari meritevoli …- il tono era paternalistico e l’espressione sulla sua faccia leggermente tediata.
- Ottimo!- anche Cygnus approvò la cosa e sembrò sollevato da quella spiegazione così logica - allora buon lavoro !- e rivolse un ultimo sorriso a sua figlia, congedandola.
Barty offrì il braccio alla ragazza e lei, resistendo stoicamente alla tentazione di rivolgere un ultimo sguardo a Lucius, salutò genericamente i presenti e accettò, infilando il suo braccio sotto quello del ragazzo.
Lucius non rispose e continuò a fissare il liquido ambrato, facendolo roteare nel suo calice con aria distratta e vagamente annoiata.
Il giovane Crouch gli lanciò un’occhiata di sottecchi e sorrise sotto i baffi, conducendo Narcissa fuori dalla stanza.

 

Fine quarantaquattresimo capitolo


* ovviamente sono i diamanti e i rubini che facevano parte della favolosa collana appartenuta ad Aloise Alderman.

** quando ho immaginato il salotto privato con Abraxas e Cygnus me li sono figurata come i due vecchietti dei Muppets...o come i fratelli Duke&Duke de "Una poltrona per due", lo ammetto...scegliete l'immagine che più vi piace :D

  
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