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Autore: Yanez76    31/03/2016    1 recensioni
“Sarete libera di difendervi, giustificatevi se lo potete.” con queste parole, nel capitolo LXV dei Tre moschettieri, Athos tenta di far passare per un processo regolare il suo secondo tentativo di assassinare sua moglie. Nel romanzo, però, a Milady non viene di fatto concessa alcuna possibilità di difendersi. Ho voluto, quindi, riscrivere il testo riempiendo questa lacuna per consentire a Anne de Breuil/Milady di dire la sua.
Nelle argomentazioni difensive, ho voluto attenermi ai fatti ed alle circostanze narrati nel romanzo (Dumas, da narratore onnisciente, è “neutrale” e non dà giudizi morali) senza contraddirli in alcun punto.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Così come Milady, forse anche i miei lettori saranno curiosi di sapere quali circostanze avessero condotto quel corsaro sulle rive della Lys. Sarà quindi necessario raccontare la scena che si era svolta qualche giorno prima nei pressi di La Rochelle, dove il cardinale Richelieu dirigeva l’assedio alla città ribelle.
Lo scontro ormai si protraeva da troppo tempo e minacciava di durare ancora, nonostante la diga e il blocco avessero ormai ridotto alla fame gli assediati. Quella mattina, il cardinale aveva fatto impiccare alcune spie del duca di Buckingham, che erano state catturate il giorno precedente; addosso ad una di esse, era stata trovata una lettera, destinata al duca inglese, dove i roccellesi gli avevano scritto a chiare lettere che, se non fosse arrivato ad aiutarli entro quindici giorni, li avrebbe trovati tutti morti di fame.
Il cardinale nutriva una grande ammirazione per gli uomini coraggiosi; ma non comprendeva l’ostinazione di quella banda di fanatici che, nonostante l’editto di Nantes che garantiva agli ugonotti la libertà di culto, credevano di conquistarsi il paradiso facendo della Rochelle una seconda Masada.
D’altronde, Richelieu sapeva bene che, se avesse ordinato l’assalto per prendere la città con la forza, avrebbe rischiato un bagno di sangue che avrebbe fatto impallidire il fosco ricordo della notte di san Bartolomeo del 1572 e il cardinale, la cui prima preoccupazione era sempre stata quella di rendere la Francia forte e coesa, non voleva imprimere al regno una ferita che avrebbe rischiato di minarne la pace interna per chissà quanti anni.
La lettera non lasciava dubbi sul fatto che gli assediati vedessero in Buckingham l’estrema risorsa e la loro ultima speranza di resistenza: se si fosse saputo che il duca non sarebbe partito in loro soccorso, i roccellesi stessi, ormai allo stremo, avrebbero costretto quei fanatici dei loro capi alla resa.
Il duca di Buckingham, inoltre, nella sua folle ambizione, tramava ormai apertamente per formare una coalizione antifrancese: era pronto a scatenare una guerra europea solo per marciare su Parigi e presentarsi alla sua amata regina nelle vesti del vincitore. Se quell’uomo non veniva fermato, non solo la situazione alla Rochelle si sarebbe fatta difficile, ma tutto il regno di Francia rischiava di venire investito contemporaneamente dagli eserciti spagnoli, inglesi e lorenesi.
Richelieu attendeva quindi con impazienza notizie dall’Inghilterra: aveva inviato in missione il suo miglior agente, ma perché tardava tanto a dare notizie? Cosa le era successo? Era stata forse scoperta e uccisa? Se la missione di Milady era fallita, le cose rischiavano di divenire incontrollabili e, come se non bastasse, iniziava già a diventare difficile tenere a bada i contrasti di Bassompierre e del duca di Angoulême.
Tuttavia, nonostante quelle gravi preoccupazioni, quella mente eccezionale non era così interamente occupata dall’assedio da non poter esaminare altre questioni che si sarebbero rivelate di non meno vitale importanza.
Il cardinale aveva sempre pensato che la Francia non avrebbe mai potuto emanciparsi dall’orbita spagnola se non avesse saputo contrastare il dominio della Spagna sui mari e nelle terre del nuovo mondo. Per questo aveva persino investito di tasca sua diecimila livres nella Compagnia di Saint-Christophe e attendeva appunto per quel giorno un’ambasceria di quegli audaci corsari; ma, in quel momento, neppure quella preoccupazione assorbiva interamente le inesauribili energie della sua mente: il cardinale, che sempre doveva guardarsi da ogni genere di nemici, in patria o all’estero, stava riflettendo su delle comunicazioni riservate che aveva ricevuto dall’Anjou.
Una certa Jeanne de Belciel aveva riferito che il curato di Saint-Pierre de Loudun, direttore spirituale del convento delle orsoline di quella cittadina, uomo colto e di bell’aspetto le cui prediche ottenevano un tale successo, specialmente presso le donne e le fanciulle, che i predicatori cappuccini di quella regione se ne erano lamentati persino con père Joseph,  avesse ottenuto, in virtù di un patto diabolico, degli straordinari poteri che gli permettevano di dominare la mente delle povere monache a lui affidate, tra le quali la stessa Belciel, allo scopo di soddisfare la sua insana concupiscenza. Sicuramente, peraltro, il successo di quel prete non doveva limitarsi alle sole prediche, se era vero che la giovane figlia del magistrato Trinquant, una delle penitenti più devote e assidue a frequentare i suoi esercizi spirituali, aveva da poco partorito un bel bambino in cui tutti vedevano il ritratto del curato.
Il cardinale, il quale sapeva bene come, in questo genere di affari, la semplicità, che ordinariamente caratterizza le anime più pie, porta spesso a ritenere vere le ingannevoli visioni partorite da una fantasia suggestionabile , non avrebbe dato credito a quei rapporti, frutto di vecchie ruggini, invidie, scandali e voci messe in giro da gente che aveva più motivi per odiare quel curato, se il nome del prete non avesse risvegliato in lui preoccupazioni ben più serie.
Richelieu lanciò un’occhiata pensosa alla cartella di cuoio appoggiata sul suo scrittoio sulla quale si leggeva il nome di Urbain Grandier;  si ricordava bene di quell’uomo, l’aveva conosciuto all’epoca in cui era priore di Coussay e, già allora, aveva avuto occasione di scontrarsi con lui.
Il cardinale sapeva da fonte sicura che Grandier era l’amante di quella Hammon, la protetta di Maria de Medici, che, con ogni probabilità era la famosa “Cordonnière” a cui si doveva quell’infame satira contro di lui pubblicata l’anno prima.  Non era difficile indovinare che, se non l’aveva scritto lui stesso, fosse stato proprio Grandier a suggerirle di scrivere quell’ignobile pamphlet.
Se poi, in quelle voci di possessioni e poteri straordinari c’era un fondo di verità - e il cardinale sospettava ci fosse - allora poteva persino darsi che Garnier avesse riscoperto il segreto di quella scienza misteriosa che consente di dominare le menti: quel misterioso magnetismo, già noto agli antichi Egizi ed ai Greci, il cui segreto, perso nelle brume del medioevo, era ormai noto solo a pochi iniziati; se un suo nemico poteva realmente disporre di quei poteri segreti, la cosa non doveva essere sottovalutata.
Sì udì bussare leggermente alla porta e l’usciere di servizio entrò, porgendo una lettera. Ad un cenno del cardinale, l’usciere lasciò la stanza per condurvi poco dopo un uomo che portava abiti di foggia marinaresca.
L’usciere si ritirò senza proferire una parola, mentre il cardinale fissava il suo occhio indagatore sul giovane che attendeva in silenzio e a capo scoperto con un’aria piena, ad un tempo, di rispetto e di dignità.
Si trattava di un bellissimo giovane di ventotto o trent'anni, di statura alta, e dalle forme elegantissime che ne rivelavano l’origine aristocratica. Aveva gli occhi di un verde smeraldino animati da uno sguardo fiero e ardente, i capelli e i baffi d’un castano quasi dorato e la pelle chiara solo leggermente abbronzata dal sole bruciante del Golfo del Messico. Vestiva un lungo gabbano di foggia marinaresca blu scuro con gli alamari dorati, mentre la casacca, i calzoni e il giustacore erano di finissima seta turchina. Portava un feltro adorno d'una lunga piuma e una larga cintura nera da cui spuntavano i manici di due pistole e l’elsa di una larga sciabola dalla guaina di cuoio bruno come quello degli alti stivali.
Quelle possenti armi che richiamavano terribili abbordaggi, producevano un pittoresco contrasto con i guanti candidi e i raffinati merletti che parevano usciti dalle mani dei migliori artigiani di Bruges.
“Signore”, disse infine il cardinale, “siete voi il conte de Vintmille?”
“Per servirla, Eminenza”, rispose l’uomo con un inchino.
“A quanto ne so, la vostra famiglia conta numerosi rami…”
“Sono il figlio di colui che diede la vita nel tentativo di difendere dai suoi assassini il Maresciallo d’Ancre.”, rispose il corsaro, “Io ero allora molto giovane e stavo di guardia alla famiglia del ministro; riuscii, a rischio della vita, a salvare il piccolo Henri  dalla plebaglia inferocita che aveva assaltato il palazzo di Saint Germain”.
“Conoscevo bene vostro padre, un valoroso. La sua morte fu una grave perdita per la Francia”, disse il cardinale con amarezza, mentre alla sua memoria si ripresentava la terribile visione del corpo straziato di Concini sul Pont Neuf, quando lui stesso era stato a un passo dal condividere la sorte di quell’italiano che lo aveva nominato ministro.
“Fu il più infame dei tradimenti, giacché fu il suo stesso fratello, mio zio, uno dei prezzolati tagliagole inviati da Vitry, ad ucciderlo.”
“Che volete farci? La brama d’oro può spingere un uomo alle peggiori infamie; ma mi pare che vostro zio non poté godere la ricompensa che gli era stata promessa…”
“Vostra Eminenza è bene informata” disse il corsaro sul cui volto era scesa un’ombra cupa.
“Non foste forse voi a punirlo? A quanto mi hanno riferito, lo sfidaste a duello e lo uccideste.”
“Ho creduto fosse dovere di un figlio vendicare l’assassinio di suo padre…”
“Un figlio che vendica il padre assassinato dallo zio: mi ricorda un dramma scritto da un inglese morto qualche anno fa…”, fece Richelieu pensoso, “Tuttavia, i giudici non sono stati del vostro avviso: vi hanno condannato sostenendo che aveste voluto la morte di vostro zio per ereditarne le fortune e perché eravate l’amante della sua giovane moglie.”
“È un’infamia Eminenza!”, gridò il corsaro balzando in piedi, “Purtroppo un giudice può sbagliare o venir corrotto…”
“Va bene, non occorre che continuiate.”, lo fermò il cardinale con un gesto che rivelava come conoscesse perfettamente la storia, “Sta di fatto che siete stato condannato, avete perso tutti i vostri beni e avete quindi cercato fortuna oltremare, assieme al signor d’Esnanbuc, tra i corsari di Saint Christophe. Il signor di Calvet mi ha parlato molto bene delle vostre imprese ed io so apprezzare l’intelligenza ed il valore anche quando portano un giglio sulla spalla.”
Il corsaro trasalì quando Richelieu accennò al marchio che lo condannava all’infamia.
“Vedo che a vostra Eminenza non si può celare nulla…”, disse con un lieve inchino.
“Non occuperei il posto che occupo se non fossi in grado di conoscere tutto dei miei amici come dei miei nemici; ma non temete, non siete l’unico, tra coloro che sono al mio servizio a portare un fleur de lys e coloro che mi sono amici non hanno nulla da temere dai giudici del Re…”
“Vi sono molto obbligato, Eminenza. Ma tengo a farvi sapere che non è da un atto di giustizia che la vostra mano mi protegge.”
“Oh, ne sono certo; ma non è per parlare del vostro passato che vi ho fatto convocare: ci sono questioni molto importanti da trattare.”
“Certamente, Eminenza: purtroppo la nostra situazione a Saint Christophe diventa sempre più difficile. All’inizio, i rapporti con gli Inglesi del capitano Warren erano abbastanza buoni; ma ora con la guerra abbiamo assolutamente bisogno di rinforzi o la nostra posizione rischia di diventare insostenibile.”
“Ne sono al corrente e conto di provvedere non appena risolta la situazione qui a La Rochelle; e potrebbe risolversi presto se l’emissario che ho inviato a Sua Grazie il duca di Buckingham porterà a termine la sua missione. C’è, però, anche un’altra questione sulla quale desidero voi mi illuminiate.”
“Quale, Eminenza?”
“Si dice che voi possediate una sorta di dono straordinario che vi consente di suggestionare la mente delle persone e di dominare le loro volontà.”
Il corsaro trasalì e la fronte gli si imperlò leggermente di sudore.
“Non temete”, fece il cardinale, intuendo acutamente il dubbio che passava nella mente dell’uomo che aveva di fronte, “Non siete davanti ad un inquisitore ottuso che sente ovunque odore di zolfo e smania solo di accendere cataste di legna. So bene che si tratta di una facoltà già nota agli antichi Egizi e voglio solo sapere se voi ne possedete il segreto.”
“Lo possiedo, Eminenza.”
“Dunque potete veramente far fare a qualcuno ciò che gli ordinate?”
“In realtà, Monsignore, non posso costringere nessuno a fare cose impossibili o sovraumane e neppure posso magnetizzare tutte le persone; non credo potrei dominare una volontà forte come la vostra; ma potrei indurre, per esempio, il vostro cameriere ad indossare il vostro zucchetto”.
“Il mio cameriere indossare il mio zucchetto?”, esclamò Richelieu scoppiando in una risata, cosa che gli accadeva di rado, “in fede mia, questa vorrei proprio vederla.”
Richelieu batté brevemente le mani e la porta si aprì facendo entrare il cameriere il quale conduceva due persone: un individuo dall’aria distinta che indossava l’uniforme delle guardie del cardinale e una donna bruna dagli occhi languidi colore dell’ebano la cui veste attillata ne faceva risaltare le forme superbamente modellate.
Il cardinale presentò i due nuovi arrivati come il conte Rosnay e l’agente 860. Il corsaro salutò garbatamente la guardia, inchinandosi poi a baciare galantemente la mano che la bella agente gli porse con un sorriso malizioso.
Richelieu indicò il cameriere con un cenno del capo; il corsaro, compreso il tacito ordine del cardinale, fissò il cameriere negli occhi mentre, con la mano, tracciava in aria dei rapidi gesti davanti al suo volto. L’uomo chiuse gli occhi e rimase immobile come profondamente addormentato.
“Orsù, buon uomo”, fece il corsaro con voce suadente, “non avete sentito che sua Eminenza vi ha ordinato di prendere il suo zucchetto e di mettervelo in capo?”
Improvvisamente, il cameriere riaperse gli occhi e, con aria imbarazzata, biascicò un “come ordina Monsignore…” e, preso lo zucchetto scarlatto dalla testa del cardinale, lo indossò, con grande stupore di tutti i presenti.
“Veramente incredibile!”, esclamò Richelieu. “Adesso, però, sarà meglio rimettiate le cose a posto.”
Il corsaro ordinò al cameriere di rimettere lo zucchetto dove si trovava prima, quindi risvegliò l’uomo con uno schiocco delle dita, dopo avergli ordinato di dimenticare tutto l’accaduto.
Il cameriere si guardò attorno stupefatto, non riuscendo a comprendere perché tutti gli sguardi fossero fissi su di lui.
“Vi sentite bene?”, gli chiese Richelieu.
“Ottimamente, Eminenza”.
“Non ricordate nulla?”
“Ma…Non vi capisco. Cosa dovrei ricordare?”, chiese l’uomo esterrefatto.
“Nulla, nulla, andate pure.”, disse Richelieu, congedando l’uomo che si affrettò ad inchinarsi e ad uscire borbottando qualcosa sulle preoccupazioni dell’assedio che dovevano aver affaticato troppo il signor cardinale.
“Molto bene. Non mi ero sbagliato nel giudicarvi un uomo pieno di risorse e, forse, ciò che mi avete appena mostrato mi aiuterà a chiarire un certo mistero”, disse Richelieu, gettando nuovamente uno sguardo al plico con il nome di Grandier.
“Tuttavia”, continuò il cardinale, “i misteri da chiarire in questo mondo sono molti e può darsi che voi mi possiate essere utile anche per risolvere un altro di essi.”
“Quale, Monsignore?”.
“Sappiate che quanto sto per dirvi è un segreto che riguarda la sicurezza della Francia e non dovrete farne parola con alcuno, eccetto con chi lavora al mio servizio.”
Il corsaro assentì con il capo.
“Voi che siete un uomo di mare, caro Rochenoire”, iniziò il cardinale, “avrete forse sentito parlare del capitano Towerson e degli Inglesi della Compagnia delle Indie Orientali che gli Olandesi hanno fatto giustiziare alle Molucche cinque anni or sono…”
“Ne ho sentito parlare, Eminenza”, rispose il corsaro.
“Come potrete immaginare, questo spiacevole episodio non ha certo favorito i rapporti tra l’Inghilterra e le Province Unite; tanto che gli Inglesi hanno, per ritorsione, sequestrato cinque navi olandesi, dietro il pretesto del contrabbando delle spezie ed, al momento, le cinque navi sono ancora in sequestro nel porto di Londra.”
Il corsaro annuì, non riuscendo però ad immaginare perché Richelieu si interessasse a quella lontana vicenda.
“Vedete, così come noi, in Francia, ci siamo trovati nella necessità di organizzare una rete di agenti in modo da essere sempre al corrente dei progetti delle altre potenze e, all’occorrenza, di agire in modo efficace e riservato per tutelare i nostri interessi, anche gli Spagnoli hanno fatto altrettanto. Ebbene, si dà il caso che l’uomo che dirige l’attività di spionaggio spagnolo in Francia, che si fa chiamare don Cifra, sia particolarmente incline a concedersi ogni sorta di lussi e piaceri, il che ha grandemente facilitato la raccolta di informazioni da parte della nostra agente 860 della sezione F.”, Richelieu rivolse per un attimo lo sguardo alla bellissima donna che increspò leggermente le labbra in un sorriso di soddisfazione, “Come ha scoperto la nostra agente, lo stile di vita poco parsimonioso di don Cifra sembra aver esaurito le pur cospicue ricompense che gli versa sua grazia il conte di Olivares e che don Cifra abbia così pensato di realizzare altri profitti, investendo i fondi che Filippo IV di Spagna mette a sua disposizione per la sua attività, nel contrabbando delle spezie. Fatalità ha voluto che abbia investito i suoi fondi proprio nei carichi che sono stati sequestrati, il che, al posto dei guadagni con cui sperava di continuare la sua vita nei lussi, gli ha procurato la perdita completa dei milioni di reales che aveva ricevuto per finanziare la sua rete di spie. Credo che don Cifra sia consapevole che qualora l’Olivares venisse a conoscenza dell’accaduto, a lui non resterebbero alternative oltre a suicidarsi o far perdere le proprie tracce, così ha deciso di rifarsi giocando d’azzardo. Conoscete il gioco dello zecchinetto?”
“Lo conosco, naturalmente”, rispose il corsaro, “come faremmo altrimenti noi gentiluomini di fortuna ad ammazzare il tempo nelle bonacce, se non sapessimo come spennarci reciprocamente i dobloni guadagnati negli abbordaggi? Ma francamente non capisco come questo Cifra speri di recuperare una simile quantità di denaro a quel modo…”
“Qui sta il punto”, fece Richelieu, “sembra che don Cifra disponga di un giocatore imbattibile, detto el ciego che finora è sempre riuscito a vincere anche contro i migliori giocatori.”
“El ciego? Ma in spagnolo vuol dire cieco. Volete dire che non ci vede?”
“Proprio così, si dice che sia dotato di poteri magici; ovviamente, l’aura di mistero che lo circonda attira molti giocatori curiosi di vedere questo fenomeno, e i loro danari finiscono regolarmente nelle tasche di don Cifra che, in tal modo, sembra sia già riuscito a recuperare una certa somma. Tuttavia, per sperare di recuperare tutto il denaro che ha perduto, il nostro uomo ha bisogno di una vincita molto consistente, così ha preso una piccola villa ai confini delle Province Unite dove, grazie ad un discreto passa parola, ha dato convegno ai più forti giocatori d’azzardo per un torneo di zecchinetto il prossimo 15 settembre.”
“Capisco”, fece il corsaro, “don Cifra spera che il suo giocatore magico riesca a fargli recuperare la somma perduta, così da non farsi eliminare dai sicari del conte d’Olivares”.
“Esattamente”, rispose il cardinale, “se, invece, qualcuno riuscisse a battere questo supposto mago al tavolo da gioco, la rete spionistica spagnola in Francia andrà incontro ad una completa bancarotta e Olivares sarebbe costretto ad eliminare il suo principale agente e a ricominciare tutto da capo. Naturalmente, sarebbe nell’interesse della Francia che ciò accada, per cui ho pensato a voi.”
“A me?”, chiese il corsaro stupito.
“Sì, potrebbe darsi che don Cifra adoperi qualche metodo per suggestionare la mente degli avversari e voi potreste essere la persona adatta per smascherarlo. Voi dovreste partecipare al torneo di zecchinetto nei panni di un facoltoso gentiluomo inglese e cercare di aggiudicarvi la vincita o, almeno, di smascherare don Cifra come baro. Rosnay vi accompagnerà e vi metterà in contatto con il nostro agente che vi aspetta a Middelburg. Il nostro servizio nelle Province Unite provvederà a fornirvi documenti e lettere credenziali. Accettate?”
“Sono al servizio della Francia e di vostra Eminenza”, rispose il corsaro con un inchino.
Definiti i particolari della missione, il corsaro prese congedo dal cardinale e, il mattino seguente lui e Rosnay partivano al galoppo lungo la via che conduceva verso le Fiandre.
 
   
 
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