La
guardava. La guardava da quando aveva memoria, ma non
l’aveva mai vista così poco se stessa.
Era
stata ciò a cui tutti aspiravano, nel bene e nel
male, ma purtroppo quando sei sulla bocca di tutti, ora e sempre, ti
fanno
diventare quello che hai evitato di essere per tutta la vita.
E
lui si chiedeva perché fosse stato così idiota da
non
averla aiutata quando ne aveva più bisogno,
perché lei non era più quella che era e
lui avrebbe potuto starle vicino e farle scoprire se stessa. Invece no,
era
stato un codardo e non avrebbe mai potuto perdonarsi per questo,
soprattutto
osservando ciò che aveva davanti agli occhi.
Lei
era lì, di fronte allo specchio e si stava
trasformando in qualcuno che la spaventava a morte.
Metteva sulla
faccia qualcosa di rosa che la rendeva finta e sciupata. Qualcosa sotto
gli
occhi e sul resto del viso. Stendeva tutto ciò in modo che
la pelle risultasse
naturale ma mentiva a se stessa, sembrava un pagliaccio depresso.
E poi quella
maschera nera sugli occhi, quella sotto la quale nascondeva tutto
ciò che era.
Abbassò
lo sguardo. Lui aveva visto la lei bambina, così
dolce e innocente, così vera, e quella maschera cancellava
completamente le
poche tracce rimaste di ciò che era stata.
Perché, si chiedeva.
Tornò
a guardarla. Stava completando l’ “opera”.
Labbra
rosse, occhi neri, pelle bianca. Niente della
Ginny che conosceva.
Si
guardava allo specchio con lo sguardo intimorito da
ciò che era diventata, come se sapesse che non sarebbe
più riuscita a tornare
indietro, a cambiare.
Mentre
sistemava i capelli si girò verso di lui. Un
sorriso forzato, come da convenzione.
Si
mosse per andare a salutarlo. Ogni passo una richiesta
d’aiuto. E lui lì, sconvolto da tanta bellezza e
tanta finzione.
Avrebbe
dovuto aiutarla. Doveva almeno provarci.