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Autore: Blakie    03/04/2016    2 recensioni
«Mi sei mancato così tanto mentre non c'eri, Daryl Dixon».
Una versione alternativa in cui Beth e Daryl si ritrovano tra le mura di Alexandria.
[bethyl | alexandria what if]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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And we'll be good
capitolo 6



Non appena riaprii gli occhi, il mattino seguente, mi colpii il mal di testa più lancinante che avessi mai provato prima e dopo l'inizio dell'apocalisse. Era come avere le tempie strette in una morsa d'acciaio, mentre un peso invisibile mi gravava sul capo, peggiorando la situazione. Chiusi gli occhi di scatto, vinta dalla luce della mattina che inondava il mio soggiorno. Mi sentivo tutta indolenzita e con le ossa di gelatina a causa della dormita sul divano. Quando riuscii a riacquistare un po' di lucidità, cercai di ricordare per quale motivo mi trovassi lì e non nel mio letto.
Con un po' di fatica, rimisi ogni dettaglio al suo posto, nel confuso e intricato groviglio dei miei pensieri. Una sensazione di imbarazzo mi colpì lo stomaco un secondo prima che il ricordo della sera precedente facesse capolino sotto il riflettore della mia consapevolezza.
Non ricordavo molto i dettagli, i colori, o le parole esatte, ma in generale sì. Forse il – ugh – bacio di Aiden aveva avuto un impatto notevole sulla mia psiche; quasi quanto i discorsi senza senso – oh mio Dio – con cui avevo ammorbato Daryl
Uno strisciante senso di imbarazzo invase ogni centimetro del mio corpo, facendomi raggomitolare su me stessa e nascondere la faccia sotto al cuscino. Quasi mi mancò il fiato. Non potevo credere di aver fatto davvero una cazzata, anzi, diverse cazzate simili.
Che diavolo mi era preso?
Respirai profondamente, cercando di calmarmi e di armarmi del coraggio necessario a uscire da quel plaid e alzarmi da quel maledetto divano. Mi tirai su a sedere lentamente per non innescare nausea o capogiri, liberandomi della coperta e stiracchiandomi appena. Ero scombussolata, frastornata e spossata: uno straccio in tutto. Per non parlare di quanto la mia bocca fosse riarsa.
Dovevo bere dell'acqua al più presto e farmi una doccia per riprendermi.
Dal nulla, mi colpì il ricordo di Daryl, accanto a me, che mi teneva la mano per soddisfare il mio capriccio di averlo lì. Mi guardai intorno, controllando se fosse rimasto o meno: in quel soggiorno ero da sola. Tirai un sospiro di sollievo: non sarei riuscita a confrontarmi con lui, a guardarlo negli occhi dopo la pessima figura che avevo fatto quella notte. Almeno, non subito. In realtà, non ero nemmeno pronta ad incontrare Maggie, o Aiden.
Forse, per oggi, farei meglio a chiudermi in casa, pensai.
Facendo mente locale, mi resi conto che era lunedì; per un attimo mi prese il panico – sarei arrivata in ritardo in ambulatorio e in condizioni pessime, per giunta – ma poi mi ricordai che il lunedì avevo la mattina libera.
Chissà se Maggie avrebbe lavorato... Avrei potuto evitare di vederla durante il giorno, okay, ma come avrei fatto a rifiutare l'invito della mia famiglia a cenare con loro, quella sera? Come potevo giustificarmi? Avrei dovuto risolvere le cose con mia sorella al più presto, ma ero ancora arrabbiata. Mi tornò in mente anche la scenata della signora Neudermeyer che mi aveva spinta a urlare contro di lei davanti a tutta Alexandria e, ovviamente, davanti a tutta la mia famiglia. Altra fitta di imbarazzo nello stomaco. Sarebbe stata una buona idea barricarmi in casa e non uscire mai più da lì, avevo combinato troppi casini in una sera sola.
Finalmente mi alzai, con fatica immensa e mi trascinai su per le scale, chiudendomi poi in bagno. Mi liberai degli indumenti e rimasi nuda, entrando poi in doccia scossa da un piccolo brivido. L'acqua calda sulla mia pelle mi rigenerò e distese i nervi, facendomi passare un po' il male alla testa e la pesantezza che avvertivo sulle palpebre.
Uscii pulita e profumata, avvolgendo il mio corpo bollente nell'accappatoio. Mi frizionai i capelli e li lasciai sciolti sulle spalle, lavandomi bene il viso per rimuovere gli ultimi residui di trucco.
Dopo la doccia, mi sentii subito meglio. Legai i capelli ancora leggermente umidi in una coda e mi diressi in camera con indosso solo la biancheria intima. Cercai nell'armadio la felpa più comoda che avevo e un paio di pantaloni da ginnastica neri, indossandoli con piacere e facendoli scorrere sulla mia pelle rinvigorita. Visto che, tutto sommato, era presto – saranno state le nove del mattino – decisi di dormire un altro paio di ore: presi il cuscino che di solito usavo a letto e lo portai con me sul divano, sprofondando tra la morbidezza dei cuscini. Mi coprii col plaid e chiusi gli occhi, per dar pace al mio mal di testa. Crollai in uno stato di dormiveglia dopo poco e stavo per addormentarmi definitivamente, quando sentii bussare alla porta. Stropicciai gli occhi, sbuffando e raddrizzandomi con fatica. Mi trascinai lungo il soggiorno e il corridoio, pensando che avrebbe potuto essere mia sorella, o Daryl, o Aiden. In tutti e tre i casi, non sarei stata felice di aprire la porta.
«
Chi è?», domandai nervosamente, avvicinandomi all'ingresso.

«Sono Noah».
Sospirai di sollievo, girando la chiave e aprendo al mio amico.
«Wow, Beth, hai una cera orribile», proferì non appena mi vide. Alzai gli occhi al cielo e lo ringraziai, invitandolo ad entrare.
«Cosa ci fai qui?», domandai, mentre raggiungevamo il soggiorno. 
«Sono venuto a controllare che tu stia bene. Ieri sera ti ho persa di vista, dopo… beh, hai capito».
Gli sorrisi, grata delle sue premure. «Meglio così, avrei potuto creare problemi anche a te», sospirai, buttandomi sul divano e facendogli posto. Noah si sedette accanto a me con un'espressione perplessa. 
«Cos'è successo? Vuoi parlarne?».
Sì. Morivo dalla voglia di raccontarlo ad una persona amica, l'unica con cui non avessi mai avuto fraintendimenti di nessun tipo: Noah era diventato come un fratello per me, il mio migliore amico.
Sprofondai tra i cuscini del divano, strinsi le ginocchia al petto e iniziai a raccontare. Noah mi ascoltò senza fiatare, mentre continuavo a parlare, arrossendo e inciampando nel discorso di tanto in tanto.  Quando finii, attesi, senza guardarlo in faccia, un commento del mio amico.
«Avevo il sospetto che provassi qualcosa per Daryl. Evidentemente avevo ragione».
Mi sfuggì un lamento. «Non ti ci mettere anche tu, Noah. Ne ho avuto già abbastanza di questo discorso». 
«Ehi, noi non stiamo litigando!», si difese, alludendo a Maggie.
«Lo so, ma è un discorso inutile».
«Sei adorabile quando neghi certe cose a te stessa», affermò, arruffandomi i capelli.
«Non c'è nulla da negare!», sbottai.
«"Aiden non ha una cotta per me"», squittì, imitando il mio tono di voce. «Qualche giorno dopo: "Aiden mi ha baciata"».
Guardai da un'altra parte, gonfiando le guance e provocando le sue risate. «Chissà a cosa porterà il tuo "non provo niente per Daryl"», affermò con fare malizioso.
«Sei veramente insopportabile, Noah», berciai, incrociando le braccia contro il petto. 
«È per questo che sono il tuo migliore amico, no?».
«Umpf, spero che un giorno ti innamorerai anche tu, così sarò io a torturarti e a ficcare il naso negli affari tuoi».
Noah si aprì in un sorriso furbo. «Ma sentila, sei addirittura innamorata?». 
«Smettila!», urlai esasperata, afferrando il cuscino e colpendolo in faccia. 
«Okay, okay, scusami», si affrettò a rispondere, cercando di difendersi da una seconda cuscinata. 
Sospirai, abbandonando le braccia lungo il corpo e appoggiando una tempia contro la sua spalla. «Ho fatto un bel casino. Non ho il coraggio di uscire da questa casa…».
«Non puoi evitare Daryl per sempre».
Alzai gli occhi al cielo. «Noah, non riguarda solo lui, sai? Ora come ora non riuscirei a guardare in faccia nemmeno Maggie o Aiden. Per non parlare del fatto che, quando ho sbraitato contro Shelly, era presente mezza Alexandria. Ho rovinato tutto su più fronti». 
«Secondo me la vedi troppo tragica. Inoltre, toglierei subito Aiden dall'elenco delle persone con cui credi di aver rovinato tutto. Direi che tua sorella e Daryl vengono prima». 
«Non mi sono comportata bene nemmeno con Aiden», borbottai.
In risposta, alzò gli occhi al cielo. «Non hai fatto niente di male, Beth. Non puoi costringerti a baciarlo se non vuoi!». 
«Okay, questo te lo concedo. Cosa dovrei fare, invece, con mia sorella? Sono ancora arrabbiata con lei e, beh, non sono sicura che sia ancora pronta a riparlarne con calma».
«In effetti non hai molti motivi per non esserla. Ti ha trattata come una bambina». 
Rimasi in silenzio qualche momento, per decidere se chiederglielo o no. Alla fine, parlai. 
«Pensi anche tu che… insomma, Daryl…».
«Mi stai chiedendo se penso che Daryl sia troppo grande per te?». 
«Più che altro, se sono io ad essere troppo giovane per provare… questo nei suoi confronti».
Noah si strinse nelle spalle. «Beh, se devi provare "questo" per uno giovane quasi quanto te e il giovane in questione è Aiden, allora, tra i due, è meglio quello più attempato, non credi?».
Scoppiai a ridere di cuore. «Attempato! Vedi di non farti mai sentire da Daryl, non quando ha la balestra a portata di mano, almeno».
«Quello può uccidermi anche a mani nude», ribatté rabbrividendo e facendomi ridere di nuovo. 
«Dai, non è così violento! - esclamai, raddrizzandomi e dandogli una gomitata - È un po' burbero, okay, ma non ti farebbe mai del male per una cosa del genere». 
«Ma guardatela come difende l'uomo dei suoi sogni», mi provocò con finta aria sognante, pizzicandomi un fianco. Mi allontanai da lui per lanciargli un'occhiataccia. 
«Comunque, col tempo, Maggie capirà. Sei la sua sorellina, è normale che si preoccupi per te», affermò, ignorando il mio sguardo truce. 
«Vorrei solo che capisse che non sono una ragazzina che confonde i propri sentimenti e li scambia per qualcosa di diverso. Vorrei che rispettasse il legame che sento di avere con Daryl. Non capisco perché si preoccupa tanto, visto che, ad ogni modo, non sarò mai ricambiata». 
«Perché ne sei tanto sicura?», domandò Noah, curioso. 
«Perché Daryl… è Daryl. Tiene troppo ai suoi sentimenti e al suo orgoglio per metterli in gioco per una ragazzina come me. Io… Io non sono temprata per questo tipo di vita, lui invece è fatto apposta per questo mondo. Ha bisogno di una donna, una donna forte quanto lui che combatta al suo fianco, non che debba essere protetta», spiegai, attorcigliandomi attorno all'indice una ciocca di capelli sfuggita alla mia coda disordinata.
«Devo ricordarti che è merito tuo se siamo arrivati fino a qui? Stai dicendo un mucchio di cazzate, Beth», ribatté, alzando gli occhi al cielo.
«È merito nostro, Noah – lo corressi – E non è questo il punto». 
«Allora qual è?», sbottò, con tono spazientito. «Spiegamelo chiaramente, perché sinceramente a me sfugge. Credi davvero che gli serva conoscere una donna della sua età e che sappia uccidere i vaganti ad occhi chiusi e su una gamba sola, per innamorarsene? Ti sei messa in testa di non essere abbastanza per lui, ma abbastanza cosa? Grande? Forte?».
«Entrambi», sussurrai a occhi bassi, colpita dalle sue parole. 
«L'età ha sempre avuto importanza fino a un certo punto, figuriamoci nel bel mezzo di un'apocalisse di questa portata. Quanti anni avete di differenza, meno di venti? A me non sembra un divario così scandaloso. Ecco, se avesse avuto ottant'anni sarebbe stato più preoccupante». Lasciò che smettessi di ridere, prima di continuare. «La cosa che mi fa incazzare di più, però, è che non ti rendi conto del tuo valore e ti svaluti».
Gli lanciai un'occhiata abbastanza eloquente. «Da che pulpito, Noah».
«Sei una ragazza forte, Beth», proseguì, ignorando il mio commento. «Sei tenace, gentile e la speranza non ti lascia mai. Non ti arrendi. Non ti sei arresa con la tua famiglia, hai fatto di tutto perché Aaron li riuscisse a condurre qui e, nel frattempo, non hai mai smesso di sperare».
«Beh, non sono qualità che servono molto a sopravvivere», mugugnai, per nulla convinta delle sue argomentazioni.
«Servono per vivere. Vivere davvero. Servono a vivere la vita alla quale non è possibile aspirare quando si è là fuori, in pericolo. Cosa ti importa se non sei abile con le armi o non sei una cacciatrice esperta?».
«Sono un peso morto, ecco di cosa mi importa! In una situazione di emergenza Daryl, Maggie, Rick o chiunque altro, sarebbe costretto a controllarmi per proteggermi».
«Puoi chiedere a qualcuno di loro di aiutarti a migliorare la tua abilità con le armi, se pensi che questo serva a Daryl per vederti sotto una luce diversa», suggerì, esasperato.
Quel commento fece apparire incredibilmente stupido tutto quello che avevo detto fino a quel momento. Io dovevo voler migliorare le mie doti di sopravvivenza per me stessa, non per apparire migliore agli occhi di Daryl. Mi incupii all'improvviso e Noah lo notò, perché mi diede una carezza affettuosa sulla nuca.
«Sono proprio una stupida», mugugnai.
«No, non la sei. Sei una ragazza meravigliosa, Beth. Sono sicuro che Daryl lo sa ed è per questo che tenta di allontanarti».
Lo guardai, esibendo un'espressione perplessa che fece ridere il mio amico.
«Beh, non è ovvio? Tenta di allontanarti perché ha paura degli stessi sentimenti che stai provando tu. Secondo me quell'uomo si sta facendo più paranoie di te», scherzò.
«Noah, non stai azzardando a dire che Daryl mi ricambia, vero?», domandai, scettica. Come poteva pensare una cosa del genere? Era... Sarebbe stato assurdo.
«Secondo me tiene a te più di quanto tu riesca a comprendere. Altrimenti perché ti sarebbe venuto ad aspettare davanti a casa? Se senti di avere un legame tanto forte con lui, non puoi aspettarti che sia a senso unico. C'è un riscontro, da parte sua, altrimenti non proveresti certe cose».
No, no, no. Non potevo permettere a Noah di insinuare certi dubbi, certe illusioni nella mia testa. Io per Daryl ero un membro della famiglia esattamente come qualsiasi altro; come Rick, Michonne, Carol, Glenn, Maggie o Carl. Mi proteggeva e mi trattava come avrebbe fatto con qualsiasi altra persona nella nostra grande famiglia. Non potevo lasciare che nemmeno la più piccola parte di me credesse che i gesti di Daryl fossero frutto di un sentimento più forte. Dovevo farmi bastare quello che provavo io, senza pretendere nulla da lui. A sua detta, grazie a me, aveva ricominciato a credere che in quel mondo esistessero ancora brave persone, e questo bastava a rendermi felice. Era anche troppo.
«Io e lui facciamo parte della stessa famiglia, Noah, tutto qui. Probabilmente mi tratta con un occhio di riguardo perché si sente ancora responsabile per la morte di mio padre. Vuole mantenere non so quale promessa proteggendomi e preoccupandosi per me. Tutto qui. Non illudermi facendomi fraintendere certi suoi gesti. Ti prego», sussurrai con la voce stanca.
«Non volevo illuderti, Beth. Scusami», mormorò, guardandomi preoccupato.
Gli sorrisi, scuotendo il capo. «No, non scusarti. Apprezzo tutto quello che hai detto, davvero. Grazie».
«Però, davvero, secondo me dovresti chiedergli se può insegnarti come muoverti là fuori!», propose, allegro, cercando di sviare l'argomento.
Sbuffai. «Come no. Prima dovrei ritrovare il coraggio di parlargli e non so quanto tempo ci vorrà».
Noah allungò le gambe davanti a sé e poggiò la testa sullo schienale del divano, distendendosi. «Beh, potresti venire stasera a cena, per esempio, e fare pace anche con tua sorella. Via il dente, via il dolore».
Al solo pensiero, sentii attorcigliarsi lo stomaco. «Io... Non credo di essere ancora pronta». Mi voltai verso di lui. «Ti prego, Noah», lo supplicai. «Stasera di' agli altri che oggi, dopo il lavoro, mi sono sentita poco bene e che non riesco ad esserci per cena. Per favore».
«Beth...», provò ad opporsi lui.
«Solo per questa sera, Noah. Per favore».
«Lo sai che alcuni partiranno in missione, domani? Daryl compreso», mi rese partecipe. Io mi irrigidii all'istante: se fosse successo qualcosa a qualcuno di loro e il nostro ultimo ricordo non sarebbe stato una cena in famiglia, tutti assieme, lo avrei rimpianto per sempre. L'idea di affrontarli così presto, però, mi faceva contorcere lo stomaco allo stesso modo. Mi ero comportata troppo da idiota.
«Sanno cavarsela, Noah», dissi stancamente. «Sono fatti per stare là fuori. Domani sera torneranno e ceneremo tutti insieme e io mi scuserò, te lo giuro. Ma stasera... non ce la faccio», sbottai, raccogliendo le ginocchia al petto e poggiandoci sopra la fronte.
Noah mi osservò con uno sguardo di rimprovero. «Okay, Beth, va bene. Sappi solo che poi per rivedere Daryl ci vorrà un po' di più».
Non mi servì chiedergli cosa volesse dire, perché mi venne in mente pochi istanti dopo: se Daryl fosse uscito con Aaron, sarebbe stato via molto più tempo e non mezza giornata soltanto. Almeno una o due settimane.

Merda.
«Lo so», sussurrai, abbassando lo sguardo.
«E non vuoi comunque vederlo prima che parta?!», esclamò Noah, accorato.
Scrollai le spalle. «Forse è meglio così. Se non gli parlassi più lo libererei da un bel peso».
Il mio amicò grugnì per esprimere il suo disaccordo. «Sei veramente impossibile».
Scoppiai a ridere e gli rivolsi un sorriso. «Tanto quanto lui».
Noah mi lanciò un'occhiata maliziosa. «Siete fatti l'uno per l'altra allora».
Lo colpii di nuovo con un cuscino, mettendoci tutta la forza che avevo. «SMETTILA!».

~~~


Noah se ne andò poco prima di pranzo, ma non prima di avermi chiesto almeno una decina di volte se fossi sicura di star meglio. Quando finalmente riuscii a convincerlo e se ne andò, chiusi la porta, ci appoggiai la schiena e sospirai, sollevata.
Volevo rimanere sola, per un po'. Avevo ancora mal di testa, ma mi sarebbe passato. Tornai a sonnecchiare sul divano e puntai la sveglia che avevo trasferito dal comodino in camera mia al tavolino del salotto per andare all'ambulatorio nel pomeriggio.
La giornata proseguì tranquilla, come sempre. Balbettai le mie scuse a Josie, presente alla festa la sera prima, dicendole che non era stata mia intenzione rovinare la serata, ma lei mi sorrise, rincuorandomi e dicendomi di star tranquilla.
«Non è successo nulla di grave, Beth», mi rassicurò, mentre metteva in ordine degli antibiotici nella credenza dei medicinali.
«Lo so, ma è imbarazzante lo stesso», borbottai, seduta alla scrivania di Pete. I miei occhi si posarono su un grosso libro di medicina che non avevo mai visto prima. «Di chi è questo mattone?», domandai a Josie, indicando il libro sotto al mio naso.
«È il manuale di Denise», mi informò, richiudendo la credenza e avvicinandosi a me.
Denise era una sopravvissuta che era arrivata ad Alexandria poco tempo prima; stava studiando medicina al college prima che i morti riprendessero a camminare, ed era il secondo dottore, oltre Pete. In ambulatorio, però, non la vedevo quasi mai e non mi ero mai soffermata a interrogarmi sul motivo.
Josie prese il grosso libro tra le mani, sospirando. «Se continua a lasciarlo in giro, prima o poi Pete cambierà la serratura dell'infermeria e non la farà più entrare».
Guardai la mia collega, perplessa. «Perché dovrebbe fare una cosa del genere?».
«Pete non la vuole attorno», rispose, rabbuiandosi.
Sgranai gli occhi, interdetta. «Cosa? Dovrebbe insegnarle tutto quello che sa, invece. Avere due medici con noi è una grandissima risorsa».
«Lo so, Beth», rispose Josie, infilando il manuale nella sua borsa. «Ho provato a parlarne con lui, ma... Non era in vena di discussioni».
«In che senso? Ti ha trattata male?», domandai ingenuamente.
Il suo sguardo saettò nel mio, con urgenza. «No, Beth, no. Lui... Non importa».
Il suo tono si era fatto improvvisamente strano, come se avesse qualcosa da nascondere. Josie mi voltò le spalle e si trovò qualcos'altro da fare per evitare le mie domande, fingendosi impegnata.
Iniziai a rimuginarci sopra.
In effetti, ogni tanto Pete aveva dei comportamenti strani, e capitava che non si facesse vedere in ambulatorio per qualche giorno. A volte incrociavo Jessie per le vie della città e mi sembrava pensierosa, distratta. Quelle uniche due volte in cui ero stata invitata a cena a casa loro non lo avevo notato, ma in quel momento mi resi conto che Pete, troppo spesso, dava ordini a sua moglie, o le rispondeva male se non gradiva quello che lei gli diceva. Anche mio padre ogni tanto – specialmente quando era nervoso o stressato – si sfogava con mia madre, senza volere; ma Pete era strano, il modo quasi timoroso con cui Jessie si approcciava a lui era strano. Come se misurasse ogni parola per non far scattare suo marito, per non farlo arrabbiare. E adesso anche Josie parlava di lui in maniera così affrettata, come se una parola di troppo avesse avuto conseguenze negative. Senza dimenticare Denise, che si teneva alla larga dall'ambulatorio perché Pete aveva deciso così e non poteva essere il contrario.
Mi sentii una perfetta idiota a capire tutto solo in quel momento.
Come avevo fatto a non arrivarci prima? Pete era un uomo violento.
«Ti ha fatto del male?», domandai a Josie, riprendendo il discorso arrivando dritta al punto.
Vidi la sua schiena irrigidirsi e lei sospirò, voltandosi verso di me con aria preoccupata. «Beh, è stato aggressivo, ma no, non mi ha fatto nulla».
I suoi occhi erano però così pieni di paura che non riuscii a trattenermi dall'alzarmi e abbracciarla. «Mi dispiace Josie, io non sapevo nulla di tutto questo, non potevo immaginare–».
«Non devi dispiacerti per me, Beth», mi interruppe con un mezzo sorriso. «Io sto bene, è Jessie che... che non se la passa bene, con lui», disse, con voce grave.
Deglutii, mentre un fremito mi scuoteva la spina dorsale. «Lui la... ecco...», balbettai. Non avevo nemmeno il coraggio di porre la domanda al completo.
«Sì», disse Josie, abbassando lo sguardo. «Va avanti Dio solo sa da quanto. Jessie non mi ha mai raccontato nulla apertamente, ma una sera, prima che tu arrivassi qui, se l'è vista davvero brutta. Si è precipitata in lacrime da me, pregandomi di medicarla al più presto in modo che i suoi figli non vedessero come Pete l'aveva ridotta. Quella volta erano con altri ragazzini, per fortuna, ma si è lasciata sfuggire che, quando questo succede, Sam e Ron si chiudono nell'armadio e... mio Dio, non sembrava nemmeno lei».
Immaginai i figli degli Anderson chiusi a chiave in un armadio, mentre il padre picchiava la loro madre. Ero scioccata. «Perché? Perché fa tutto questo?!».
Gli occhi di Josie si riempirono di lacrime. «Perché è un alcolizzato figlio di puttana», sputò, con rabbia.
La afferrai per le spalle. «Josie, dobbiamo dirlo a qualcuno! Non possiamo lasciare che Pete continui così!».
Lei scosse la testa con veemenza. «Non possiamo dirlo a nessuno, non capisci? È l'unico dottore che abbiamo, non lo allontaneranno mai dalla città».
«Non sto dicendo di allontanarlo dalla città, ma da Jessie e i suoi figli. Quell'uomo va fatto ragionare, ha un problema di dipendenza che va risolto prima che sia troppo tardi!».
«Pensi davvero che Pete vorrà collaborare e fare il suo dovere, quando avrà tutti apertamente contro? Le persone lo sanno, sanno tutto, ma fanno finta di non accorgersene. Lui non accetterà mai di essere aiutato».
«Anche noi, se non diciamo nulla, facciamo finta di non accorgercene e diventiamo complici di questo schifo. Josie, io... Io posso parlarne con Rick, posso–».
«No, è inutile», mi interruppe. «Rick non può fare niente, Beth, niente! Abbiamo le mani legate», mormorò, con la voce sconfitta.
La sua voce esprimeva tutto il dolore che provava e la frustrazione di dover lavorare accanto a un omuncolo del genere. Io stessa mi sentii schifata e frustrata, senza la minima idea sul cosa fare e come.
Avrei dovuto parlarne con qualcuno: era un bisogno che sentivo forte fin dentro le ossa, perché non potevo sopportare di mantenere un segreto del genere.
La prima persona che mi venne in mente fu Maggie. Era l'unica che mi avrebbe ascoltata e sarebbe stata abbastanza cauta da non dirlo a nessuno, per il momento. Le altre persone a cui avrei potuto chiedere aiuto nella mia famiglia erano troppo risolute e pratiche, avrebbero ignorato le parole di Josie e le mie, risolvendo il problema alla radice.
Un motivo in più per fare pace con mia sorella al più presto.
La giornata, a parte quello, proseguì tranquilla. L'imbarazzo e la paura di rivedere la mia famiglia, dopo quello che era successo la sera prima, non mi avevano ancora abbandonata: scappai a casa quando terminò il mio turno in ambulatorio, sperando che Noah mantenesse la promessa e si inventasse una scusa per coprirmi le spalle, solo per quella volta.
Cenai con una tazza di latte freddo e cereali, visto che non avevo molta fame; poi mi stesi sul divano, cercando di immaginare come la mia famiglia avesse commentato la mia assenza alla cena. Forse avevo solo peggiorato le cose, facendo la figura della ragazzina immatura.
Avrei avuto tutto il tempo del mondo per chiarirmi con Maggie, ma Daryl sarebbe partito la mattina dopo e non sapevo a che ora. Dovevo assolutamente scusarmi, chiarire con lui prima che partisse. Provai a scavare nella memoria per capire se Aaron mi avesse mai detto, di solito, a che ora usciva a reclutare.
Solitamente, la quotidianità ad Alexandria prendeva il via verso le nove del mattino ed era probabile che anche Eric e Aaron uscissero dai cancelli per quell'ora lì. Avrei dovuto chiedere ad Aaron e, per quanto potesse essere imbarazzante, era l'unico modo per sapere quando avrei potuto incrociare Daryl prima che partisse.
Rimasi in tuta e mi infilai la giacca, diretta verso casa dei miei amici.
Aaron – che evitò di indagare troppo a fondo – mi informò che la mattina dopo, come previsto, avrebbero lasciato Alexandria verso le nove e che sarebbero rimasti fuori dalle mura per un paio di settimane. Ringraziai il reclutatore e mi scusai per il disturbo, tornando a casa mia in tutta fretta. Dovevo alzarmi in tempo e, per esserne in grado, sarei dovuta andare a dormire non troppo tardi: tolta la giacca e chiusa la porta a chiave, afferrai la sveglia che era rimasta sul tavolino da quella mattina e mi diressi a letto, puntandola per le otto della mattina successiva.
Prima di addormentarmi, mi torturai pensando a cosa avrei potuto dire, all'imbarazzo che avrei provato, a come avrebbe reagito Daryl, a come mi avrebbe trattata e se fosse arrabbiato con me per la mia codardia.
La mattina mi svegliai con un nodo stretto allo stomaco e l'ansia che mi opprimeva il petto. Mi vestii, feci colazione e mi diressi ai cancelli per aspettare di incrociare Daryl prima che uscisse per andare in missione.
Chiacchierai con chi era di guardia, finché non vidi l'arciere avvicinarsi assieme ad Aaron. Le parole mi si bloccarono in gola e mi dimenticai all'istante di cosa stessimo parlando. Balbettai qualche scusa e andai incontro ad un perplesso Daryl. Ci fermammo entrambi, a pochi passi di passi di distanza l'uno dall'altra, guardandoci.
Aaron, per lasciarci soli, blaterò qualcosa sull'aprire i cancelli e preparare le macchine e la moto di Daryl, che la sera prima avevano parcheggiato vicino alla torre di vedetta.
L'arciere aveva la balestra in spalla e mi osservava con occhi imperscrutabili, l'espressione neutra dietro la quale era solito nascondere tutto ciò che provava.
Non sapevo assolutamente cosa dire, ma sapevo che lui stava aspettando che parlassi per prima; al pensiero mi si attorcigliò lo stomaco e abbassai lo sguardo, a disagio.
«Così, uhm, state andando a reclutare» fu il mio imbarazzante esordire.
«Già», rispose lui, impassibile. Sembrava in attesa e sapevo bene di cosa: aspettava che dicessi qualcosa di sensato, visto che gli era chiaro che lo stavo aspettando e che ci fosse un motivo dietro. Non riuscivo ad aprire bocca perché avevo paura, paura che qualsiasi cosa avessi detto sarebbe stata stupida. Temevo di fare la figura della stupida, ai suoi occhi. Provai a parlare, ma non riuscivo a fare uscire dalla mia bocca nemmeno un suono; rimanemmo così per qualche minuto, e per tutto il tempo pregai che una voragine si aprisse sotto i miei piedi e mi inghiottisse una volta per tutte. Poi, prendendomi in contropiede, mi superò e si diresse verso la sua moto, con la stessa espressione illeggibile.
Ecco, si era seccato di aspettare che balbettassi una delle mie idiozie.
«Daryl», provai a fermarlo, voltandomi nella sua direzione con urgenza. Lo raggiunsi oltre il confine del cancello, fin dove aveva spinto la sua moto ancora spenta.
«Ci metteremo due settimane al massimo», affermò dal nulla, mentre montava in sella alla sua moto e cercava di tenerla in equilibrio. Mi sorprese: era forse un tentativo goffo di rassicurarmi?
«Lo so», dissi, avvicinandomi a tal punto che, con un movimento del braccio, avrei potuto toccare il manubrio della sua moto.
«Io... Io volevo chiederti scusa per l'altra sera», mormorai, incoraggiata dalla sua rassicurazione malcelata.
«Sei una seccatura, ragazzina», sbottò, alzando gli occhi al cielo. Accese il motore che, con un rombo, diede vita alla moto e catturò la mia attenzione. Quando spostai di nuovo lo sguardo su Daryl, notai che aveva le labbra appena ricurve in un sorriso.
Gli sorrisi di rimando, col cuore più leggero.
«Stai attento», gli dissi con premura, appoggiando una mano sul suo braccio teso, stringendo appena la stoffa della camicia e lasciandola andare subito dopo. Mi pentii amaramente di aver sprecato il giorno prima lontana da lui, soprattutto perché non trovai il coraggio di abbracciarlo e salutarlo come avrei voluto.
Daryl non disse più nulla: mi rispose con un cenno del capo e con quel mezzo sorriso, lo sguardo legato al mio. Non serviva altro: bastavano i suoi occhi blu per capire che, tra noi, era tutto a posto. Il mio cuore si riempì di serenità.
Rimanemmo a guardarci per qualche momento, finché la moto non ruggì nuovamente e lui partì, precedendo Aaron – alla guida del pick-up – sulla strada che portava lontano da Alexandria. Salutai anche il mio amico con una mano e li guardai allontanarsi finché non sparirono dalla mia visuale.
Sospirai a fondo, pronta alla logorante attesa che mi separava dal ritorno di Daryl.
Mentre tornavo indietro in direzione di casa mia, incrociai Maggie. La sua espressione era seria ma pacifica e probabilmente mi stava studiando per capire se poteva rivolgermi la parola o no; la tensione tra noi si era notevolmente allentata, ma forse non era il luogo migliore per chiarirci, non lì, in mezzo ai viali.
Senza che ci fosse bisogno di parlare, la seguii. Ci accomodammo sul dondolo bianco situato sotto al porticato di casa sua, che oscillava quieto.
Dal nulla, mi viene in mente una domanda. «Maggie, ma perché non chiedi a Deanna di assegnare una casa solo per te e Glenn?».
Lei si strinse nelle spalle.
«Potremmo, in effetti. Non ci ho pensato, ma comunque credo che Rick si senta più sicuro se, i primi tempi, rimaniamo qui tutti insieme».
«Giusto», ne convenni, annuendo. Dopodiché calò il silenzio tra di noi.
«Daryl è andato via?», domandò Maggie dopo un po', tranquilla.
Annuii, accennando un sorriso.
«Sei preoccupata?», chiese ancora.
«
Sto provando con tutte le mie forze a non esserla. Mi fido delle sue capacità e so che torneranno. Presto».
Lei mi sorrise con un fondo di tristezza negli occhi. E di comprensione. «È partito anche Glenn, ma loro torneranno in giornata. Se tutto va bene», mormorò infine, rabbuiandosi appena.
«Tutto andrà bene», affermai con convinzione.
Maggie rialzò lo sguardo su di me e mi rivolse un sorriso, che si spense subito dopo.
«Senti, Beth, riguardo l'altra sera…».
«
È tutto passato», la interruppi.
«No, ascoltami», insisté, toccandomi un braccio. «Mi dispiace, volevo che lo sapessi. Ho iniziato dicendo di non volere fare la parte della sorella apprensiva e invece, alla fine, ho fatto anche di peggio. Scusami».
«Ho sbagliato anche io a rinfacciarti di non avermi cercata, scusa. Non avrei dovuto».
«No, avevi ragione. Ho cercato di importi di stare lontana dall'unica persona che si è presa cura di te e ti ha protetta mentre io ero in giro a cercare una cura che non esiste. Scusami Beth, anche per non esserti venuta a cercare. Sono una sorella terribile».
La abbracciai stretta, avvertendo un forte calore al centro del mio petto.
«Non dirlo nemmeno», la minacciai, sprofondando il volto nella sua spalla.
Nel suo profumo ritrovai i nostri ricordi di noi bambine, la fattoria in estate, il volto di mio padre, le canzoni di mia madre, la risata di mio fratello. Maggie era la mia famiglia, non potevo nemmeno pensare di restare arrabbiata con lei a tempo indeterminato, di non parlarle più. Era sangue del mio sangue.
«Promettimi solo che starai attenta a non farti ferire, Beth», sussurrò Maggie, stringendomi più forte.
Mi domandai quanto dovessero costarle quelle parole, ma sperai che col tempo sarebbe arrivata a capire i miei sentimenti e ad accettarli.
Il solo fatto che ci stesse provando mi riempì di gioia.
Mi separai da lei, senza lasciarla andare. «Stai tranquilla, Daryl non potrà mai ferirmi nel modo che intendi tu».
Mia sorella mi rivolse uno sguardo colmo di perplessità. «Perché?», domandò, incerta. «Lui… non credo che mi vedrà mai nel modo in cui lo vedo io».
Mia sorella diede l'impressione di rifletterci sopra per un momento. «Beh, questo non puoi saperlo. Daryl è molto bravo a nascondere quello che prova».
Sorrisi, rendendomi conto che, in quell'aspetto, Daryl era un libro aperto per tutti.
«Eppure, in quei giorni che abbiamo passato insieme… è stato diverso. Non l'ho mai visto così», riflettei a voce alta.
«Ecco, dimmi un po' cosa ti ha fatto perdere la testa per lui», mi prese in giro Maggie, ma non riuscì a nascondere una sfumatura di apprensione, nel fondo di quelle iridi così simili alle mie.
I giorni passati con Daryl si srotolarono davanti ai miei occhi.
«All'inizio è stato… difficile», proferii. «Daryl non voleva cercarvi, non voleva fare niente, era come spento. Mi sentivo a disagio e mi ripetevo spesso che avrei preferito essere fuggita con qualsiasi altra persona che non fosse lui. Qualsiasi altro mi sarebbe andato bene. Mi trattava con freddezza, tanto quanto io mi comportavo da bambina capricciosa. Alla fine abbiamo litigato furiosamente ed è crollato, confessandomi che si addossava la colpa per quello che il Governatore ha fatto alla prigione e… a papà…». Con la coda dell'occhio vidi Maggie sussultare, ma continuai. Mentre raccontavo, rivedevo tutto, come se fossi una spettatrice di quello che io e Daryl avevamo passato insieme.
«Si è aperto con me, capisci? Abbiamo passato una sera intera a parlare dei suoi genitori, di suo fratello. Ho sentito quello che ha provato lui, anche se in minima parte; come un'eco, ma l'ho sentito».
Maggie rimase in silenzio, ammutolita dalla sorpresa. Sembrava incredibile anche a me; come se non stessi parlando di Daryl Dixon, ma di un'altra persona.
«Non mi sono mai sentita così vicina a qualcuno che non fossi tu, o papà ovviamente», continuai. Evitai di tirare in ballo Zach o Jimmy, qualcuno che potesse corrispondere all'idea di un fidanzato, per non preoccupare mia sorella. «Il giorno dopo mi ha insegnato a seguire le tracce, a cacciare. Siamo diventati una squadra e lui…», mi interruppi, travolta da un misto di imbarazzo e un'altra emozione indescrivibile quando ricordai i suoi occhi nei miei, così intensi ed eloquenti.
L'unica volta in cui mi ero sentita davvero in grado di capire quello che pensava.
«Lui?», mi spronò Maggie.
«Mi ha fatto capire che, grazie a me, ha iniziato a credere che in giro ci siano ancora brave persone. Ho visto della speranza, in lui».
Maggie mi studiò per qualche istante, senza dire nulla. Poi si sciolse nel sorriso di chi la sapeva lunga. «Come potrebbe essere il contrario?».
«
Cosa?».
«
Anche il più freddo degli uomini si scioglierebbe davanti ai tuoi occhioni e al tuo sorriso», rispose mia sorella, accarezzandomi una guancia e facendomi arrossire. Guardai da un'altra parte. «Smettila, Maggie».
«Ma è vero!» esclamò, circondandomi affettuosamente le spalle con un braccio.
«Peccato che non abbia funzionato coi nemici che abbiamo incontrato per strada», le ricordai, rabbuiandomi.
«Quelle erano persone cattive, non fredde», puntualizzò. «Comunque, ora ti ho capita un po' di più».
Mi voltai verso di lei. «Davvero?», quasi urlai.
Lei sorrise del mio entusiasmo e annuì, perdendosi con lo sguardo davanti a sé. «Sai, Beth, non so esattamente per quale motivo l'idea che tu provi questi sentimenti per lui mi faccia così paura. Forse mi sento in dovere di sostituire papà, perché lui non può preoccuparsi per te», disse, sorridendomi tristemente.
Le sorrisi. «Non avete niente di cui preoccuparvi Maggie, te l'ho detto».
«E se ti sbagliassi?», replicò, tranquilla. Una vampata di calore mi accese le guance, ma Maggie continuò. «Se Daryl ti ricambiasse?».
La guardai, provando a capire cosa stesse pensavo veramente. «Tu cosa faresti?», domandai, rivolgendole la domanda che lei stava facendo a me.
Mi osservò per qualche istante, seria; poi, le sue spalle si rilassarono e Maggie accennò a un sorriso. «Sei giovane, Beth», proferì, ed io ero già pronta a controbattere, quando lei parlò di nuovo. «Sei giovane, ma non sei più una bambina. Quello che hai passato ti ha resa più forte, lo abbiamo visto tutti. Mi fido di te e del tuo buonsenso, quindi, nel caso... Non farò nulla», concluse, mentre i battiti del mio cuore mi rimbombava nelle orecchie. «Sai, Beth, a volte penso a tutto quello che abbiamo perso, ed è così difficile da accettare che quasi mi sento mancare l'aria. Poi, però, mi viene in mente Glenn e mi ritrovo a pensare che, forse, tutto questo a qualcosa è servito. Se Daryl rappresenta lo stesso per te, e tu lo rappresenti per lui, non posso e non voglio ostacolarvi in nessun modo. Ma lo terrò d'occhio comunque, okay? Se prova a farti soffrire io–».
«Grazie», la interruppi, abbracciandola, mentre sentivo gli occhi inumidirsi.
Maggie, dopo qualche secondo di sorpresa, ricambiò l'abbraccio e mi strinse forte tra le sue braccia.
Mi sentii incredibilmente stupida a ripensare a tutta la paura inutile che mi aveva paralizzata. Le parole di Maggie significavano molto per me, tutto.
Sapere che accettava i miei sentimenti per Daryl, sentirla quasi paragonare il suo legame con Glenn – che era l'amore della sua vita, qualcosa che nessuno avrebbe mai messo in discussione – a quello che univa me e l'arciere mi riempì il petto di un calore dolce e rassicurante.
Si allontanò appena da me e mi guardò, lo sguardo colmo di affetto. «Papà sarebbe così fiero di te, Bethy. Per tutto».
Quando usò quel soprannome, la mia mente si riempì di un ricordo: vidi me stessa, a letto e mio padre al mio capezzale. Teneva la mia mano stretta nella sua, mentre mi canticchiava una filastrocca che la mamma mi aveva insegnato quand'ero piccola.
Mi mancava così tanto...
«Smettila Mag, o mi farai piangere», scherzai, asciugando una lacrima che stava per sfuggirmi.
Lei scoppiò a ridere e mi diede un'ultima stretta prima di lasciarmi andare. Rimanemmo sul dondolo un altro po', a parlare: non le raccontai di quello che era successo la sera della festa con Aiden, né di Daryl, ma ne approfittai per condividere con lei la mia preoccupazione riguardo tutta la questione di Pete.
I suoi occhi si accesero di inquietudine, ma mi promise che, per il momento, non ne avrebbe fatto parola con nessuno e che avremmo pensato a qualcosa, insieme.
Insieme: bastò quella parola, quella certezza, a rasserenare il mio animo.




Angolo autrice.

Innanzitutto mi scuso per il ritardo, ma sono stata talmente impegnata da non rendermi pienamente conto che l'ultimo aggiornamento risale a febbraio. Scusatemi.
Ma oggi, che è un giorno nefasto perché in America andrà in onda il terrificante finale di stagione (NEGAN AIUTO NEGAN), mi sembra una buona occasione per aggiornare la storia. Anche se non succede nulla in particolare Beth sta bene, i guai sono lontani e c'è amore tra sorelle dappertutto, il che mi pare un buon alleviante per quello che dovremo sopportare domani. Ho paurissima, non ce la posso fare.

Mi dispiace se Daryl in questo capitolo è stato quasi assente e se il loro chiarirsi non è appassionato e grondante di retorica, ma quello che ho deciso di inserire mi pare più adatto al personaggio di Daryl. Ho preferito lunghi sguardi a lunghi discorsi, e una promessa muta nascosta in un sorriso. Mi è sembrato più da loro, ecco :)

Per quel che riguarda Maggie, mi rendo conto che magari le ho fatte riappacificare presto, ma ogni minuto è prezioso in una situazione del genere e volevo che Beth prendesse la matura decisione di chiarirsi subito invece di serbare rancore.

Il prossimo capitolo, lo dico subito, sarà un po' difficile. Vi tranquillizzo da subito e vi assicuro che a Daryl non succederà nulla, tranquille.
Per esigenze di trama, mi serve dilatare il lasso di tempo da questo giorno e gli avvenimenti del prossimo capitolo di almeno un mese. Anche se mi pare che nella serie originale sia questione di pochi giorni. Quindi, tutti gli avvenimenti del telefilm saranno posposti di un mese, e la prossima volta vi spiegherò meglio!

Come sempre, vi ringrazio per le vostre visite, le vostre recensioni e per aver inserito la mia storia tra le seguite e le preferite.

Ce la possiamo fare ragazze, ce la possiamo fare.
Credo che scriverò un post/muro del pianto sul mio blog (https://blakiescrive.wordpress.com/) dopo la puntata di domani, se volete discuterne/piangerne lì, siete le benvenute.
Forza e coraggio, ragazze. Forza e coraggio.

Alla prossima!
Un abbraccio,
Blakie

   
 
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