Non
appena riaprii gli occhi, il mattino seguente, mi colpii il mal di
testa più lancinante che avessi mai provato prima e dopo
l'inizio dell'apocalisse. Era come avere le tempie strette in una
morsa d'acciaio, mentre un peso invisibile mi gravava sul capo,
peggiorando la situazione. Chiusi gli occhi di scatto, vinta dalla
luce della mattina che inondava il mio soggiorno. Mi sentivo tutta
indolenzita e con le ossa di gelatina a causa della dormita sul
divano. Quando riuscii a riacquistare un po' di lucidità,
cercai di ricordare per quale motivo mi trovassi lì e non
nel
mio letto.
Con
un po' di fatica, rimisi ogni dettaglio al suo posto, nel confuso e
intricato groviglio dei miei pensieri. Una sensazione di imbarazzo mi
colpì lo stomaco un secondo prima che il ricordo della sera
precedente facesse capolino sotto il riflettore della mia
consapevolezza.
Non
ricordavo molto i dettagli, i colori, o le parole esatte, ma in
generale sì. Forse il – ugh – bacio di
Aiden aveva
avuto un impatto notevole sulla mia psiche; quasi quanto i discorsi
senza senso – oh mio Dio – con cui avevo ammorbato
Daryl
Uno
strisciante senso di imbarazzo invase ogni centimetro del mio corpo,
facendomi raggomitolare su me stessa e nascondere la faccia sotto al
cuscino. Quasi mi mancò il fiato. Non potevo credere di aver
fatto davvero una cazzata, anzi, diverse cazzate simili.
Che
diavolo mi era preso?
Respirai
profondamente, cercando di calmarmi e di armarmi del coraggio
necessario a uscire da quel plaid e alzarmi da quel maledetto divano.
Mi tirai su a sedere lentamente per non innescare nausea o capogiri,
liberandomi della coperta e stiracchiandomi appena. Ero
scombussolata, frastornata e spossata: uno straccio in tutto. Per non
parlare di quanto la mia bocca fosse riarsa.
Dovevo
bere dell'acqua al più presto e farmi una doccia per
riprendermi.
Dal
nulla, mi colpì il ricordo di Daryl, accanto a me, che mi
teneva la mano per soddisfare il mio capriccio di averlo lì.
Mi guardai intorno, controllando se fosse rimasto o meno: in quel
soggiorno ero da sola. Tirai un sospiro di sollievo: non sarei
riuscita a confrontarmi con lui, a guardarlo negli occhi dopo la
pessima figura che avevo fatto quella notte. Almeno, non subito. In
realtà, non ero nemmeno pronta ad incontrare Maggie, o Aiden.
Forse,
per oggi, farei meglio a chiudermi in casa, pensai.
Facendo
mente locale, mi resi conto che era lunedì; per un attimo mi
prese il panico – sarei arrivata in ritardo in ambulatorio e
in
condizioni pessime, per giunta – ma poi mi ricordai che il
lunedì avevo la mattina libera.
Chissà
se Maggie avrebbe lavorato... Avrei potuto evitare di vederla durante
il giorno, okay, ma come avrei fatto a rifiutare l'invito della mia
famiglia a cenare con loro, quella sera? Come potevo giustificarmi?
Avrei dovuto risolvere le cose con mia sorella al più
presto,
ma ero ancora arrabbiata. Mi tornò in mente anche la scenata
della signora Neudermeyer che mi aveva spinta a urlare contro di lei
davanti a tutta Alexandria e, ovviamente, davanti a tutta la mia
famiglia. Altra fitta di imbarazzo nello stomaco. Sarebbe stata una
buona idea barricarmi in casa e non uscire mai più da
lì,
avevo combinato troppi casini in una sera sola.
Finalmente
mi alzai, con fatica immensa e mi trascinai su per le scale,
chiudendomi poi in bagno. Mi liberai degli indumenti e rimasi nuda,
entrando poi in doccia scossa da un piccolo brivido. L'acqua calda
sulla mia pelle mi rigenerò e distese i nervi, facendomi
passare un po' il male alla testa e la pesantezza che avvertivo sulle
palpebre.
Uscii
pulita e profumata, avvolgendo il mio corpo bollente
nell'accappatoio. Mi frizionai i capelli e li lasciai sciolti sulle
spalle, lavandomi bene il viso per rimuovere gli ultimi residui di
trucco.
Dopo
la doccia, mi sentii subito meglio. Legai i capelli ancora
leggermente umidi in una coda e mi diressi in camera con indosso solo
la biancheria intima. Cercai nell'armadio la felpa più
comoda
che avevo e un paio di pantaloni da ginnastica neri, indossandoli con
piacere e facendoli scorrere sulla mia pelle rinvigorita. Visto che,
tutto sommato, era presto
–
saranno state le nove del mattino – decisi di dormire un
altro
paio di ore: presi il cuscino che di solito usavo a letto e lo portai
con me sul divano, sprofondando tra la morbidezza dei cuscini. Mi
coprii col plaid e chiusi gli occhi, per dar pace al mio mal di
testa. Crollai in uno stato di dormiveglia dopo poco e stavo per
addormentarmi definitivamente, quando sentii bussare alla porta.
Stropicciai gli occhi, sbuffando e raddrizzandomi con fatica. Mi
trascinai lungo il soggiorno e il corridoio, pensando che avrebbe
potuto essere mia sorella, o Daryl, o Aiden. In tutti e tre i casi,
non sarei stata felice di aprire la porta.
«Chi
è?»,
domandai nervosamente, avvicinandomi all'ingresso.
«Sono
Noah».
Sospirai
di sollievo, girando la chiave e aprendo al mio amico.
«Wow,
Beth, hai una cera orribile», proferì non appena
mi
vide. Alzai gli occhi al cielo e lo ringraziai, invitandolo ad
entrare.
«Cosa
ci fai qui?», domandai, mentre raggiungevamo il
soggiorno.
«Sono
venuto a controllare che tu stia bene. Ieri sera ti ho persa di
vista, dopo… beh, hai capito».
Gli
sorrisi, grata delle sue premure. «Meglio così,
avrei
potuto creare problemi anche a te», sospirai, buttandomi sul
divano e facendogli posto. Noah si sedette accanto a me con
un'espressione perplessa.
«Cos'è
successo? Vuoi parlarne?».
Sì.
Morivo dalla voglia di raccontarlo ad una persona amica, l'unica con
cui non avessi mai avuto fraintendimenti di nessun tipo: Noah era
diventato come un fratello per me, il mio migliore amico.
Sprofondai
tra i cuscini del divano, strinsi le ginocchia al petto e iniziai a
raccontare. Noah mi ascoltò senza fiatare, mentre continuavo
a
parlare, arrossendo e inciampando nel discorso di tanto in
tanto.
Quando finii, attesi, senza guardarlo in faccia, un commento del mio
amico.
«Avevo
il sospetto che provassi qualcosa per Daryl. Evidentemente avevo
ragione».
Mi
sfuggì un lamento. «Non ti ci mettere anche tu,
Noah. Ne
ho avuto già abbastanza di questo
discorso».
«Ehi,
noi non stiamo litigando!», si difese,
alludendo a
Maggie.
«Lo
so, ma è un discorso inutile».
«Sei
adorabile quando neghi certe cose a te stessa»,
affermò,
arruffandomi i capelli.
«Non
c'è nulla da negare!», sbottai.
«"Aiden
non ha una cotta per me"», squittì, imitando il
mio
tono di voce. «Qualche giorno dopo: "Aiden mi ha
baciata"».
Guardai
da un'altra parte, gonfiando le guance e provocando le sue risate.
«Chissà a cosa porterà il tuo "non
provo
niente per Daryl"», affermò con fare malizioso.
«Sei
veramente insopportabile, Noah», berciai, incrociando le
braccia contro il petto.
«È
per questo che sono il tuo migliore amico, no?».
«Umpf,
spero che un giorno ti innamorerai anche tu, così
sarò
io a torturarti e a ficcare il naso negli affari tuoi».
Noah
si aprì in un sorriso furbo. «Ma sentila, sei
addirittura innamorata?».
«Smettila!»,
urlai esasperata, afferrando il cuscino e colpendolo in
faccia.
«Okay,
okay, scusami», si affrettò a rispondere, cercando
di
difendersi da una seconda cuscinata.
Sospirai,
abbandonando le braccia lungo il corpo e appoggiando una tempia
contro la sua spalla. «Ho fatto un bel casino. Non
ho il
coraggio di uscire da questa casa…».
«Non
puoi evitare Daryl per sempre».
Alzai
gli occhi al cielo. «Noah, non riguarda solo lui,
sai?
Ora come ora non riuscirei a guardare in faccia nemmeno Maggie o
Aiden. Per non parlare del fatto che, quando ho sbraitato contro
Shelly, era presente mezza Alexandria. Ho rovinato tutto su
più
fronti».
«Secondo
me la vedi troppo tragica. Inoltre, toglierei subito Aiden
dall'elenco delle persone con cui credi di aver rovinato tutto. Direi
che tua sorella e Daryl vengono prima».
«Non
mi sono comportata bene nemmeno con Aiden», borbottai.
In
risposta, alzò gli occhi al cielo. «Non hai fatto
niente
di male, Beth. Non puoi costringerti a baciarlo se non
vuoi!».
«Okay,
questo te lo concedo. Cosa dovrei fare, invece, con mia sorella? Sono
ancora arrabbiata con lei e, beh, non sono sicura che sia ancora
pronta a riparlarne con calma».
«In
effetti non hai molti motivi per non esserla. Ti ha trattata come una
bambina».
Rimasi
in silenzio qualche momento, per decidere se chiederglielo o no. Alla
fine, parlai.
«Pensi
anche tu che… insomma, Daryl…».
«Mi
stai chiedendo se penso che Daryl sia troppo grande per
te?».
«Più
che altro, se sono io ad essere troppo giovane per provare…
questo nei suoi confronti».
Noah
si strinse nelle spalle. «Beh, se devi provare "questo"
per uno giovane quasi quanto te e il giovane in questione è
Aiden, allora, tra i due, è meglio quello più
attempato, non credi?».
Scoppiai
a ridere di cuore. «Attempato! Vedi di non farti mai sentire
da
Daryl, non quando ha la balestra a portata di mano, almeno».
«Quello
può uccidermi anche a mani nude»,
ribatté
rabbrividendo e facendomi ridere di nuovo.
«Dai,
non è così violento! - esclamai, raddrizzandomi e
dandogli una gomitata - È un po' burbero, okay, ma non ti
farebbe mai del male per una cosa del genere».
«Ma
guardatela come difende l'uomo dei suoi sogni», mi
provocò
con finta aria sognante, pizzicandomi un fianco. Mi allontanai da lui
per lanciargli un'occhiataccia.
«Comunque,
col tempo, Maggie capirà. Sei la sua sorellina, è
normale che si preoccupi per te», affermò,
ignorando il
mio sguardo truce.
«Vorrei
solo che capisse che non sono una ragazzina che confonde i propri
sentimenti e li scambia per qualcosa di diverso. Vorrei che
rispettasse il legame che sento di avere con Daryl. Non capisco
perché si preoccupa tanto, visto che, ad ogni modo, non
sarò
mai ricambiata».
«Perché
ne sei tanto sicura?», domandò Noah,
curioso.
«Perché
Daryl… è Daryl. Tiene troppo ai suoi sentimenti e
al
suo orgoglio per metterli in gioco per una ragazzina come me.
Io…
Io non sono temprata per questo tipo di vita, lui invece è
fatto apposta per questo mondo. Ha bisogno di una donna, una donna
forte quanto lui che combatta al suo fianco, non che debba essere
protetta», spiegai, attorcigliandomi attorno all'indice una
ciocca di capelli sfuggita alla mia coda disordinata.
«Devo
ricordarti che è merito tuo se siamo arrivati fino a qui?
Stai
dicendo un mucchio di cazzate, Beth», ribatté,
alzando
gli occhi al cielo.
«È
merito nostro, Noah – lo corressi
– E non è
questo il punto».
«Allora
qual è?», sbottò, con tono spazientito.
«Spiegamelo chiaramente, perché sinceramente a me
sfugge. Credi davvero che gli serva conoscere una donna della sua
età
e che sappia uccidere i vaganti ad occhi chiusi e su una gamba sola,
per innamorarsene? Ti sei messa in testa di non essere abbastanza per
lui, ma abbastanza cosa? Grande? Forte?».
«Entrambi»,
sussurrai a occhi bassi, colpita dalle sue parole.
«L'età
ha sempre avuto importanza fino a un certo punto, figuriamoci nel bel
mezzo di un'apocalisse di questa portata. Quanti anni avete di
differenza, meno di venti? A me non sembra un divario così
scandaloso. Ecco, se avesse avuto ottant'anni sarebbe stato
più
preoccupante». Lasciò che smettessi di ridere,
prima di
continuare. «La cosa che mi fa incazzare di più,
però,
è che non ti rendi conto del tuo valore e ti
svaluti».
Gli
lanciai un'occhiata abbastanza eloquente. «Da che pulpito,
Noah».
«Sei
una ragazza forte, Beth», proseguì, ignorando il
mio
commento. «Sei tenace, gentile e la speranza non ti lascia
mai.
Non ti arrendi. Non ti sei arresa con la tua famiglia, hai fatto di
tutto perché Aaron li riuscisse a condurre qui e, nel
frattempo, non hai mai smesso di sperare».
«Beh,
non sono qualità che servono molto a
sopravvivere»,
mugugnai, per nulla convinta delle sue argomentazioni.
«Servono
per vivere. Vivere davvero. Servono a vivere la
vita alla
quale non è possibile aspirare quando si è
là
fuori, in pericolo. Cosa ti importa se non sei abile con le armi o
non sei una cacciatrice esperta?».
«Sono
un peso morto, ecco di cosa mi importa! In una situazione di
emergenza Daryl, Maggie, Rick o chiunque altro, sarebbe costretto a
controllarmi per proteggermi».
«Puoi
chiedere a qualcuno di loro di aiutarti a migliorare la tua
abilità
con le armi, se pensi che questo serva a Daryl per vederti sotto una
luce diversa», suggerì, esasperato.
Quel
commento fece apparire incredibilmente stupido tutto quello che avevo
detto fino a quel momento. Io dovevo voler migliorare le mie doti di
sopravvivenza per me stessa, non per apparire migliore agli occhi di
Daryl. Mi incupii all'improvviso e Noah lo notò,
perché
mi diede una carezza affettuosa sulla nuca.
«Sono
proprio una stupida», mugugnai.
«No,
non la sei. Sei una ragazza meravigliosa, Beth. Sono sicuro che Daryl
lo sa ed è per questo che tenta di allontanarti».
Lo
guardai, esibendo un'espressione perplessa che fece ridere il mio
amico.
«Beh,
non è ovvio? Tenta di allontanarti perché ha
paura
degli stessi sentimenti che stai provando tu. Secondo me quell'uomo
si sta facendo più paranoie di te»,
scherzò.
«Noah,
non stai azzardando a dire che Daryl mi ricambia, vero?»,
domandai, scettica. Come poteva pensare una cosa del genere? Era...
Sarebbe stato assurdo.
«Secondo
me tiene a te più di quanto tu riesca a comprendere.
Altrimenti perché ti sarebbe venuto ad aspettare davanti a
casa? Se senti di avere un legame tanto forte con lui, non puoi
aspettarti che sia a senso unico. C'è un riscontro, da parte
sua, altrimenti non proveresti certe cose».
No,
no, no. Non potevo permettere a Noah di insinuare certi dubbi, certe
illusioni nella mia testa. Io per Daryl ero un membro della famiglia
esattamente come qualsiasi altro; come Rick, Michonne, Carol, Glenn,
Maggie o Carl. Mi proteggeva e mi trattava come avrebbe fatto con
qualsiasi altra persona nella nostra grande famiglia. Non potevo
lasciare che nemmeno la più piccola parte di me credesse che
i
gesti di Daryl fossero frutto di un sentimento più forte.
Dovevo farmi bastare quello che provavo io, senza pretendere nulla da
lui. A sua detta, grazie a me, aveva ricominciato a credere che in
quel mondo esistessero ancora brave persone, e questo bastava a
rendermi felice. Era anche troppo.
«Io
e lui facciamo parte della stessa famiglia, Noah, tutto qui.
Probabilmente mi tratta con un occhio di riguardo perché si
sente ancora responsabile per la morte di mio padre. Vuole mantenere
non so quale promessa proteggendomi e preoccupandosi per me. Tutto
qui. Non illudermi facendomi fraintendere certi suoi gesti. Ti
prego», sussurrai con la voce stanca.
«Non
volevo illuderti, Beth. Scusami», mormorò,
guardandomi
preoccupato.
Gli
sorrisi, scuotendo il capo. «No, non scusarti. Apprezzo tutto
quello che hai detto, davvero. Grazie».
«Però,
davvero, secondo me dovresti chiedergli se può insegnarti
come
muoverti là fuori!», propose, allegro, cercando di
sviare l'argomento.
Sbuffai.
«Come no. Prima dovrei ritrovare il coraggio di parlargli e
non
so quanto tempo ci vorrà».
Noah
allungò le gambe davanti a sé e poggiò
la testa
sullo schienale del divano, distendendosi. «Beh, potresti
venire stasera a cena, per esempio, e fare pace anche con tua
sorella. Via il dente, via il dolore».
Al
solo pensiero, sentii attorcigliarsi lo stomaco. «Io... Non
credo di essere ancora pronta». Mi voltai verso di lui.
«Ti
prego, Noah», lo supplicai. «Stasera di' agli altri
che
oggi, dopo il lavoro, mi sono sentita poco bene e che non riesco ad
esserci per cena. Per favore».
«Beth...»,
provò ad opporsi lui.
«Solo
per questa sera, Noah. Per favore».
«Lo
sai che alcuni partiranno in missione, domani? Daryl
compreso»,
mi rese partecipe. Io mi irrigidii all'istante: se fosse successo
qualcosa a qualcuno di loro e il nostro ultimo ricordo non sarebbe
stato una cena in famiglia, tutti assieme, lo avrei rimpianto per
sempre. L'idea di affrontarli così presto, però,
mi
faceva contorcere lo stomaco allo stesso modo. Mi ero comportata
troppo da idiota.
«Sanno
cavarsela, Noah», dissi stancamente. «Sono fatti
per
stare là fuori. Domani sera torneranno e ceneremo tutti
insieme e io mi scuserò, te lo giuro. Ma stasera... non ce
la
faccio», sbottai, raccogliendo le ginocchia al petto e
poggiandoci sopra la fronte.
Noah
mi osservò con uno sguardo di rimprovero. «Okay,
Beth,
va bene. Sappi solo che poi per rivedere Daryl ci vorrà un
po'
di più».
Non
mi servì chiedergli cosa volesse dire, perché mi
venne
in mente pochi istanti dopo: se Daryl fosse uscito con Aaron, sarebbe
stato via molto più tempo e non mezza giornata soltanto.
Almeno una o due settimane.
Merda.
«Lo
so», sussurrai, abbassando lo sguardo.
«E
non vuoi comunque vederlo prima che parta?!»,
esclamò
Noah, accorato.
Scrollai
le spalle. «Forse è meglio così. Se non
gli
parlassi più lo libererei da un bel peso».
Il
mio amicò grugnì per esprimere il suo disaccordo.
«Sei
veramente impossibile».
Scoppiai
a ridere e gli rivolsi un sorriso. «Tanto quanto
lui».
Noah
mi lanciò un'occhiata maliziosa. «Siete fatti
l'uno per
l'altra allora».
Lo
colpii di nuovo con un cuscino, mettendoci tutta la forza che avevo.
«SMETTILA!».
~~~
Noah
se ne andò poco prima di pranzo, ma non prima di avermi
chiesto almeno una decina di volte se fossi sicura di star meglio.
Quando finalmente riuscii a convincerlo e se ne andò, chiusi
la porta, ci appoggiai la schiena e sospirai, sollevata.
Volevo
rimanere sola, per un po'. Avevo ancora mal di testa, ma mi sarebbe
passato. Tornai a sonnecchiare sul divano e puntai la sveglia che
avevo trasferito dal comodino in camera mia al tavolino del salotto
per andare all'ambulatorio nel pomeriggio.
La
giornata proseguì tranquilla, come sempre. Balbettai le mie
scuse a Josie, presente alla festa la sera prima, dicendole che non
era stata mia intenzione rovinare la serata, ma lei mi sorrise,
rincuorandomi e dicendomi di star tranquilla.
«Non
è successo nulla di grave, Beth», mi
rassicurò,
mentre metteva in ordine degli antibiotici nella credenza dei
medicinali.
«Lo
so, ma è imbarazzante lo stesso», borbottai,
seduta alla
scrivania di Pete. I miei occhi si posarono su un grosso libro di
medicina che non avevo mai visto prima. «Di chi è
questo
mattone?», domandai a Josie, indicando il libro sotto al mio
naso.
«È
il manuale di Denise», mi informò, richiudendo la
credenza e avvicinandosi a me.
Denise era una sopravvissuta che
era arrivata ad Alexandria poco tempo prima; stava studiando medicina
al college prima che i morti riprendessero a camminare, ed era il
secondo dottore, oltre Pete. In ambulatorio, però, non la
vedevo quasi mai e non mi ero mai soffermata a interrogarmi sul
motivo.
Josie
prese il grosso libro tra le mani, sospirando. «Se continua a
lasciarlo in giro, prima o poi Pete cambierà la serratura
dell'infermeria e non la farà più
entrare».
Guardai
la mia collega, perplessa. «Perché dovrebbe fare
una
cosa del genere?».
«Pete
non la vuole attorno», rispose, rabbuiandosi.
Sgranai
gli occhi, interdetta. «Cosa? Dovrebbe insegnarle tutto
quello
che sa, invece. Avere due medici con noi è una grandissima
risorsa».
«Lo
so, Beth», rispose Josie, infilando il manuale nella sua
borsa.
«Ho provato a parlarne con lui, ma... Non era in vena di
discussioni».
«In
che senso? Ti ha trattata male?», domandai ingenuamente.
Il
suo sguardo saettò nel mio, con urgenza. «No,
Beth, no.
Lui... Non importa».
Il
suo tono si era fatto improvvisamente strano, come se avesse qualcosa
da nascondere. Josie mi voltò le spalle e si
trovò
qualcos'altro da fare per evitare le mie domande, fingendosi
impegnata.
Iniziai
a rimuginarci sopra.
In
effetti, ogni tanto Pete aveva dei comportamenti strani, e capitava
che non si facesse vedere in ambulatorio per qualche giorno. A volte
incrociavo Jessie per le vie della città e mi sembrava
pensierosa, distratta. Quelle uniche due volte in cui ero stata
invitata a cena a casa loro non lo avevo notato, ma in quel momento
mi resi conto che Pete, troppo spesso, dava ordini a sua moglie, o le
rispondeva male se non gradiva quello che lei gli diceva. Anche mio
padre ogni tanto – specialmente quando era nervoso o
stressato
– si sfogava con mia madre, senza volere; ma Pete era strano,
il modo quasi timoroso con cui Jessie si approcciava a lui era
strano. Come se misurasse ogni parola per non far scattare suo
marito, per non farlo arrabbiare. E adesso anche Josie parlava di lui
in maniera così affrettata, come se una parola di troppo
avesse avuto conseguenze negative. Senza dimenticare Denise, che si
teneva alla larga dall'ambulatorio perché Pete aveva deciso
così e non poteva essere il contrario.
Mi
sentii una perfetta idiota a capire tutto solo in quel momento.
Come
avevo fatto a non arrivarci prima? Pete era un uomo violento.
«Ti
ha fatto del male?», domandai a Josie, riprendendo il
discorso
arrivando dritta al punto.
Vidi
la sua schiena irrigidirsi e lei sospirò, voltandosi verso
di
me con aria preoccupata. «Beh, è stato aggressivo,
ma
no, non mi ha fatto nulla».
I
suoi occhi erano però così pieni di paura che non
riuscii a trattenermi dall'alzarmi e abbracciarla. «Mi
dispiace
Josie, io non sapevo nulla di tutto questo, non potevo
immaginare–».
«Non
devi dispiacerti per me, Beth», mi interruppe con un mezzo
sorriso. «Io sto bene, è Jessie che... che non se
la
passa bene, con lui», disse, con voce grave.
Deglutii,
mentre un fremito mi scuoteva la spina dorsale. «Lui la...
ecco...», balbettai. Non avevo nemmeno il coraggio di porre
la
domanda al completo.
«Sì»,
disse Josie, abbassando lo sguardo. «Va avanti Dio solo sa da
quanto. Jessie non mi ha mai raccontato nulla apertamente, ma una
sera, prima che tu arrivassi qui, se l'è vista davvero
brutta.
Si è precipitata in lacrime da me, pregandomi di medicarla
al
più presto in modo che i suoi figli non vedessero come Pete
l'aveva ridotta. Quella volta erano con altri ragazzini, per fortuna,
ma si è lasciata sfuggire che, quando questo succede, Sam e
Ron si chiudono nell'armadio e... mio Dio, non sembrava nemmeno
lei».
Immaginai
i figli degli Anderson chiusi a chiave in un armadio, mentre il padre
picchiava la loro madre. Ero scioccata. «Perché?
Perché
fa tutto questo?!».
Gli
occhi di Josie si riempirono di lacrime. «Perché
è
un alcolizzato figlio di puttana», sputò, con
rabbia.
La
afferrai per le spalle. «Josie, dobbiamo dirlo a qualcuno!
Non
possiamo lasciare che Pete continui così!».
Lei
scosse la testa con veemenza. «Non possiamo dirlo a nessuno,
non capisci? È l'unico dottore che abbiamo, non lo
allontaneranno mai dalla città».
«Non
sto dicendo di allontanarlo dalla città, ma da Jessie e i
suoi
figli. Quell'uomo va fatto ragionare, ha un problema di dipendenza
che va risolto prima che sia troppo tardi!».
«Pensi
davvero che Pete vorrà collaborare e fare il suo dovere,
quando avrà tutti apertamente contro?
Le persone lo
sanno, sanno tutto, ma fanno finta di non accorgersene. Lui non
accetterà mai di essere aiutato».
«Anche
noi, se non diciamo nulla, facciamo finta di non accorgercene e
diventiamo complici di questo schifo. Josie, io... Io posso parlarne
con Rick, posso–».
«No,
è inutile», mi interruppe. «Rick non
può
fare niente, Beth, niente! Abbiamo le mani legate»,
mormorò,
con la voce sconfitta.
La
sua voce esprimeva tutto il dolore che provava e la frustrazione di
dover lavorare accanto a un omuncolo del genere. Io stessa mi sentii
schifata e frustrata, senza la minima idea sul cosa fare e come.
Avrei
dovuto parlarne con qualcuno: era un bisogno che sentivo forte fin
dentro le ossa, perché non potevo sopportare di mantenere un
segreto del genere.
La
prima persona che mi venne in mente fu Maggie. Era l'unica che mi
avrebbe ascoltata e sarebbe stata abbastanza cauta da non dirlo a
nessuno, per il momento. Le altre persone a cui avrei potuto chiedere
aiuto nella mia famiglia erano troppo risolute e pratiche, avrebbero
ignorato le parole di Josie e le mie, risolvendo il problema alla
radice.
Un
motivo in più per fare pace con mia sorella al
più
presto.
La
giornata, a parte quello, proseguì tranquilla. L'imbarazzo e
la paura di rivedere la mia famiglia, dopo quello che era successo la
sera prima, non mi avevano ancora abbandonata: scappai a casa quando
terminò il mio turno in ambulatorio, sperando che Noah
mantenesse la promessa e si inventasse una scusa per coprirmi le
spalle, solo per quella volta.
Cenai
con una tazza di latte freddo e cereali, visto che non avevo molta
fame; poi mi stesi sul divano, cercando di immaginare come la mia
famiglia avesse commentato la mia assenza alla cena. Forse avevo solo
peggiorato le cose, facendo la figura della ragazzina immatura.
Avrei
avuto tutto il tempo del mondo per chiarirmi con Maggie, ma Daryl
sarebbe partito la mattina dopo e non sapevo a che ora. Dovevo
assolutamente scusarmi, chiarire con lui prima che partisse. Provai a
scavare nella memoria per capire se Aaron mi avesse mai detto, di
solito, a che ora usciva a reclutare.
Solitamente,
la quotidianità ad Alexandria prendeva il via verso le nove
del mattino ed era probabile che anche Eric e Aaron uscissero dai
cancelli per quell'ora lì. Avrei dovuto chiedere ad Aaron e,
per quanto potesse essere imbarazzante, era l'unico modo per sapere
quando avrei potuto incrociare Daryl prima che partisse.
Rimasi
in tuta e mi infilai la giacca, diretta verso casa dei miei amici.
Aaron
– che evitò di indagare troppo a fondo –
mi
informò che la mattina dopo, come previsto, avrebbero
lasciato
Alexandria verso le nove e che sarebbero rimasti fuori dalle mura per
un paio di settimane. Ringraziai il reclutatore e mi scusai per il
disturbo, tornando a casa mia in tutta fretta. Dovevo alzarmi in
tempo e, per esserne in grado, sarei dovuta andare a dormire non
troppo tardi: tolta la giacca e chiusa la porta a chiave, afferrai la
sveglia che era rimasta sul tavolino da quella mattina e mi diressi a
letto, puntandola per le otto della mattina successiva.
Prima
di addormentarmi, mi torturai pensando a cosa avrei potuto dire,
all'imbarazzo che avrei provato, a come avrebbe reagito Daryl, a come
mi avrebbe trattata e se fosse arrabbiato con me per la mia codardia.
La
mattina mi svegliai con un nodo stretto allo stomaco e l'ansia che mi
opprimeva il petto. Mi vestii, feci colazione e mi diressi ai
cancelli per aspettare di incrociare Daryl prima che uscisse per
andare in missione.
Chiacchierai
con chi era di guardia, finché non vidi l'arciere
avvicinarsi
assieme ad Aaron. Le parole mi si bloccarono in gola e mi dimenticai
all'istante di cosa stessimo parlando. Balbettai qualche scusa e
andai incontro ad un perplesso Daryl. Ci fermammo entrambi, a pochi
passi di passi di distanza l'uno dall'altra, guardandoci.
Aaron,
per lasciarci soli, blaterò qualcosa sull'aprire i cancelli
e
preparare le macchine e la moto di Daryl, che la sera prima avevano
parcheggiato vicino alla torre di vedetta.
L'arciere
aveva la balestra in spalla e mi osservava con occhi imperscrutabili,
l'espressione neutra dietro la quale era solito nascondere tutto
ciò
che provava.
Non
sapevo assolutamente cosa dire, ma sapevo che lui stava aspettando
che parlassi per prima; al pensiero mi si attorcigliò lo
stomaco e abbassai lo sguardo, a disagio.
«Così,
uhm, state andando a reclutare» fu il mio imbarazzante
esordire.
«Già»,
rispose lui, impassibile. Sembrava in attesa e sapevo bene di cosa:
aspettava che dicessi qualcosa di sensato, visto che gli era chiaro
che lo stavo aspettando e che ci fosse un motivo dietro. Non riuscivo
ad aprire bocca perché avevo paura, paura che qualsiasi cosa
avessi detto sarebbe stata stupida. Temevo di fare la figura della
stupida, ai suoi occhi. Provai a parlare, ma non riuscivo a fare
uscire dalla mia bocca nemmeno un suono; rimanemmo così per
qualche minuto, e per tutto il tempo pregai che una voragine si
aprisse sotto i miei piedi e mi inghiottisse una volta per tutte.
Poi, prendendomi in contropiede, mi superò e si diresse
verso
la sua moto, con la stessa espressione illeggibile.
Ecco,
si era seccato di aspettare che balbettassi una delle mie idiozie.
«Daryl»,
provai a fermarlo, voltandomi nella sua direzione con urgenza. Lo
raggiunsi oltre il confine del cancello, fin dove aveva spinto la sua
moto ancora spenta.
«Ci
metteremo due settimane al massimo», affermò dal
nulla,
mentre montava in sella alla sua moto e cercava di tenerla in
equilibrio. Mi sorprese: era forse un tentativo goffo di
rassicurarmi?
«Lo
so», dissi, avvicinandomi a tal punto che, con un movimento
del
braccio, avrei potuto toccare il manubrio della sua moto. «Io...
Io volevo chiederti scusa per l'altra sera», mormorai,
incoraggiata dalla sua rassicurazione malcelata.
«Sei
una seccatura, ragazzina», sbottò, alzando gli
occhi al
cielo. Accese il motore che, con un rombo, diede vita alla moto e
catturò la mia attenzione. Quando spostai di nuovo lo
sguardo
su Daryl, notai che aveva le labbra appena ricurve in un sorriso.
Gli
sorrisi di rimando, col cuore più leggero.
«Stai
attento», gli dissi con premura, appoggiando una mano sul suo
braccio teso, stringendo appena la stoffa della camicia e lasciandola
andare subito dopo. Mi pentii amaramente di aver sprecato il giorno
prima lontana da lui, soprattutto perché non trovai il
coraggio di abbracciarlo e salutarlo come avrei voluto.
Daryl
non disse più nulla: mi rispose con un cenno del capo e con
quel mezzo sorriso, lo sguardo legato al mio. Non serviva altro:
bastavano i suoi occhi blu per capire che, tra noi, era tutto a
posto. Il mio cuore si riempì di serenità.
Rimanemmo
a guardarci per qualche momento, finché la moto non
ruggì
nuovamente e lui partì, precedendo Aaron – alla
guida
del pick-up – sulla strada che portava lontano da Alexandria.
Salutai anche il mio amico con una mano e li guardai allontanarsi
finché non sparirono dalla mia visuale.
Sospirai
a fondo, pronta alla logorante attesa che mi separava dal ritorno di
Daryl.
Mentre
tornavo indietro in direzione di casa mia, incrociai Maggie. La sua
espressione era seria ma pacifica e probabilmente mi stava studiando
per capire se poteva rivolgermi la parola o no; la tensione tra noi
si era notevolmente allentata, ma forse non era il luogo migliore per
chiarirci, non lì, in mezzo ai viali.
Senza
che ci fosse bisogno di parlare, la seguii. Ci accomodammo sul
dondolo bianco situato sotto al porticato di casa sua, che oscillava
quieto.
Dal
nulla, mi viene in mente una domanda. «Maggie, ma
perché
non chiedi a Deanna di assegnare una casa solo per te e
Glenn?».
Lei
si strinse nelle spalle. «Potremmo, in effetti.
Non ci
ho pensato, ma comunque credo che Rick si senta più sicuro
se,
i primi tempi, rimaniamo qui tutti insieme».
«Giusto»,
ne convenni, annuendo. Dopodiché calò il silenzio
tra
di noi.
«Daryl
è andato via?»,
domandò Maggie dopo un po', tranquilla.
Annuii,
accennando un sorriso.
«Sei
preoccupata?»,
chiese ancora.
«Sto
provando con tutte le mie forze a non esserla. Mi fido delle sue
capacità e so che torneranno. Presto».
Lei
mi sorrise con un fondo di tristezza negli occhi. E di comprensione.
«È
partito anche
Glenn, ma loro torneranno in giornata. Se tutto va bene»,
mormorò infine, rabbuiandosi appena.
«Tutto
andrà bene»,
affermai con convinzione.
Maggie
rialzò lo sguardo su di me e mi rivolse un sorriso, che si
spense subito dopo.
«Senti,
Beth, riguardo l'altra sera…».
«È
tutto passato»,
la
interruppi.
«No,
ascoltami»,
insisté,
toccandomi un braccio. «Mi
dispiace, volevo che lo sapessi. Ho iniziato dicendo di non volere
fare la parte della sorella apprensiva e invece, alla fine, ho fatto
anche di peggio. Scusami».
«Ho
sbagliato anche io a rinfacciarti di non avermi cercata, scusa. Non
avrei dovuto».
«No,
avevi ragione. Ho cercato di importi di stare lontana dall'unica
persona che si è presa cura di te e ti ha protetta mentre io
ero in giro a cercare una cura che non esiste. Scusami Beth, anche
per non esserti venuta a cercare. Sono una sorella terribile».
La
abbracciai stretta, avvertendo un forte calore al centro del mio
petto.
«Non
dirlo nemmeno»,
la
minacciai, sprofondando il volto nella sua spalla.
Nel
suo profumo ritrovai i nostri ricordi di noi bambine, la fattoria in
estate, il volto di mio padre, le canzoni di mia madre, la risata di
mio fratello. Maggie era la mia famiglia, non potevo nemmeno pensare
di restare arrabbiata con lei a tempo indeterminato, di non parlarle
più. Era sangue del mio sangue.
«Promettimi
solo che starai attenta a non farti ferire, Beth»,
sussurrò Maggie, stringendomi più forte.
Mi
domandai quanto dovessero costarle quelle parole, ma sperai che col
tempo sarebbe arrivata a capire i miei sentimenti e ad accettarli.
Il
solo fatto che ci stesse provando mi riempì di gioia.
Mi
separai da lei, senza lasciarla andare. «Stai
tranquilla, Daryl non potrà mai ferirmi nel modo che intendi
tu».
Mia
sorella mi rivolse uno sguardo colmo di perplessità.
«Perché?»,
domandò, incerta. «Lui…
non credo che mi vedrà mai nel modo in cui lo vedo io».
Mia
sorella diede l'impressione di rifletterci sopra per un momento.
«Beh,
questo non puoi
saperlo. Daryl è molto bravo a nascondere quello che prova».
Sorrisi,
rendendomi conto che, in quell'aspetto, Daryl era un libro aperto per
tutti.
«Eppure,
in quei giorni che abbiamo passato insieme… è
stato
diverso. Non l'ho mai visto così»,
riflettei a voce alta.
«Ecco,
dimmi un po' cosa ti ha fatto perdere la testa per lui»,
mi prese in giro Maggie, ma non riuscì a nascondere una
sfumatura di apprensione, nel fondo di quelle iridi così
simili alle mie.
I
giorni passati con Daryl si srotolarono davanti ai miei occhi.
«All'inizio
è stato… difficile»,
proferii. «Daryl
non voleva cercarvi, non voleva fare niente, era come spento. Mi
sentivo a disagio e mi ripetevo spesso che avrei preferito essere
fuggita con qualsiasi altra persona che non fosse lui. Qualsiasi
altro mi sarebbe andato bene. Mi trattava con freddezza, tanto quanto
io mi comportavo da bambina capricciosa. Alla fine abbiamo litigato
furiosamente ed è crollato, confessandomi che si addossava
la
colpa per quello che il Governatore ha fatto alla prigione
e…
a papà…».
Con la coda dell'occhio vidi Maggie sussultare, ma continuai. Mentre
raccontavo, rivedevo tutto, come se fossi una spettatrice di quello
che io e Daryl avevamo passato insieme.
«Si
è aperto con me, capisci? Abbiamo passato una sera intera a
parlare dei suoi genitori, di suo fratello. Ho sentito quello che ha
provato lui, anche se in minima parte; come un'eco, ma l'ho sentito».
Maggie
rimase in silenzio, ammutolita dalla sorpresa. Sembrava incredibile
anche a me; come se non stessi parlando di Daryl Dixon, ma di
un'altra persona.
«Non
mi sono mai sentita così vicina a qualcuno che non fossi tu,
o
papà ovviamente»,
continuai. Evitai di tirare in ballo Zach o Jimmy,
qualcuno
che potesse corrispondere all'idea di un fidanzato, per non
preoccupare mia sorella. «Il
giorno dopo mi ha insegnato a seguire le tracce, a cacciare. Siamo
diventati una squadra e lui…»,
mi interruppi, travolta da un misto di imbarazzo e
un'altra
emozione indescrivibile quando ricordai i suoi occhi nei miei,
così
intensi ed eloquenti.
L'unica
volta in cui mi ero sentita davvero in grado di capire quello che
pensava.
«Lui?»,
mi spronò Maggie.
«Mi
ha fatto capire che, grazie a me, ha iniziato a credere che in giro
ci siano ancora brave persone. Ho visto della speranza, in lui».
Maggie
mi studiò per qualche istante, senza dire nulla. Poi si
sciolse nel sorriso di chi la sapeva lunga. «Come
potrebbe essere il contrario?».
«Cosa?».
«Anche
il più freddo degli uomini si scioglierebbe davanti ai tuoi
occhioni e al tuo sorriso»,
rispose mia sorella, accarezzandomi una guancia e facendomi
arrossire. Guardai da un'altra parte. «Smettila,
Maggie».
«Ma
è vero!»
esclamò,
circondandomi affettuosamente le spalle con un braccio.
«Peccato
che non abbia funzionato coi nemici che abbiamo incontrato per
strada»,
le ricordai,
rabbuiandomi.
«Quelle
erano persone cattive, non fredde»,
puntualizzò. «Comunque,
ora ti ho capita un po' di più».
Mi
voltai verso di lei. «Davvero?»,
quasi urlai.
Lei
sorrise del mio entusiasmo e annuì, perdendosi con lo
sguardo
davanti a sé. «Sai,
Beth, non so esattamente per quale motivo l'idea che tu provi questi
sentimenti per lui mi faccia così paura. Forse mi sento in
dovere di sostituire papà, perché lui non
può
preoccuparsi per te», disse, sorridendomi tristemente.
Le
sorrisi. «Non avete niente di cui preoccuparvi Maggie, te
l'ho
detto».
«E
se ti sbagliassi?», replicò, tranquilla. Una
vampata di
calore mi accese le guance, ma Maggie continuò.
«Se
Daryl ti ricambiasse?».
La
guardai, provando a capire cosa stesse pensavo veramente. «Tu
cosa faresti?», domandai, rivolgendole la domanda che lei
stava
facendo a me.
Mi
osservò per qualche istante, seria; poi, le sue spalle si
rilassarono e Maggie accennò a un sorriso. «Sei
giovane,
Beth», proferì, ed io ero già pronta a
controbattere, quando lei parlò di nuovo. «Sei
giovane,
ma non sei più una bambina. Quello che hai passato ti ha
resa
più forte, lo abbiamo visto tutti. Mi fido di te e del tuo
buonsenso, quindi, nel caso... Non farò
nulla»,
concluse, mentre i battiti del mio cuore mi rimbombava nelle
orecchie. «Sai, Beth, a volte penso a tutto quello che
abbiamo
perso, ed è così difficile da accettare che quasi
mi
sento mancare l'aria. Poi, però, mi viene in mente Glenn e
mi
ritrovo a pensare che, forse, tutto questo a qualcosa è
servito. Se Daryl rappresenta lo stesso per te, e tu lo rappresenti
per lui, non posso e non voglio ostacolarvi in nessun modo. Ma lo
terrò d'occhio comunque, okay? Se prova a farti soffrire
io–».
«Grazie»,
la interruppi, abbracciandola, mentre sentivo gli occhi inumidirsi.
Maggie,
dopo qualche secondo di sorpresa, ricambiò l'abbraccio e mi
strinse forte tra le sue braccia.
Mi
sentii incredibilmente stupida a ripensare a tutta la paura inutile
che mi aveva paralizzata. Le parole di Maggie significavano molto per
me, tutto.
Sapere
che accettava i miei sentimenti per Daryl, sentirla quasi paragonare
il suo legame con Glenn – che era l'amore della sua vita,
qualcosa che nessuno avrebbe mai messo in discussione – a
quello che univa me e l'arciere mi riempì il petto di un
calore dolce e rassicurante.
Si
allontanò appena da me e mi guardò, lo sguardo
colmo di
affetto. «Papà sarebbe così fiero di
te, Bethy.
Per tutto».
Quando
usò quel soprannome, la mia mente si riempì di un
ricordo: vidi me stessa, a letto e mio padre al mio capezzale. Teneva
la mia mano stretta nella sua, mentre mi canticchiava una filastrocca
che la mamma mi aveva insegnato quand'ero piccola.
Mi
mancava così tanto...
«Smettila
Mag, o mi farai piangere», scherzai, asciugando una lacrima
che
stava per sfuggirmi.
Lei
scoppiò a ridere e mi diede un'ultima stretta prima di
lasciarmi andare. Rimanemmo sul dondolo un altro po', a parlare: non
le raccontai di quello che era successo la sera della festa con
Aiden, né di Daryl, ma ne approfittai per condividere con
lei
la mia preoccupazione riguardo tutta la questione di Pete.
I
suoi occhi si accesero di inquietudine, ma mi promise che, per il
momento, non ne avrebbe fatto parola con nessuno e che avremmo
pensato a qualcosa, insieme.
Insieme:
bastò quella parola, quella certezza, a
rasserenare il
mio animo.
Angolo autrice.
Innanzitutto
mi scuso per il ritardo, ma sono stata talmente impegnata da non
rendermi pienamente conto che l'ultimo aggiornamento risale a
febbraio. Scusatemi.
Ma
oggi, che è un giorno nefasto perché in America
andrà
in onda il terrificante finale di stagione (NEGAN AIUTO NEGAN), mi
sembra una buona occasione per aggiornare la storia. Anche se non
succede nulla in particolare Beth sta bene, i guai sono lontani e
c'è
amore tra sorelle dappertutto, il che mi pare un buon alleviante per
quello che dovremo sopportare domani. Ho paurissima, non ce la posso
fare.
Mi dispiace se Daryl in questo capitolo è stato quasi assente e se il loro chiarirsi non è appassionato e grondante di retorica, ma quello che ho deciso di inserire mi pare più adatto al personaggio di Daryl. Ho preferito lunghi sguardi a lunghi discorsi, e una promessa muta nascosta in un sorriso. Mi è sembrato più da loro, ecco :)
Per quel che riguarda Maggie, mi rendo conto che magari le ho fatte riappacificare presto, ma ogni minuto è prezioso in una situazione del genere e volevo che Beth prendesse la matura decisione di chiarirsi subito invece di serbare rancore.
Il
prossimo capitolo, lo dico subito, sarà un po' difficile. Vi
tranquillizzo da subito e vi assicuro che a Daryl non
succederà
nulla, tranquille.
Per
esigenze di trama, mi serve dilatare il lasso di tempo da questo
giorno e gli avvenimenti del prossimo capitolo di almeno un
mese.
Anche se mi pare che nella serie originale sia questione di pochi
giorni. Quindi, tutti gli avvenimenti del telefilm saranno posposti
di un mese, e la prossima volta vi spiegherò meglio!
Come sempre, vi ringrazio per le vostre visite, le vostre recensioni e per aver inserito la mia storia tra le seguite e le preferite.
Ce
la possiamo fare ragazze, ce la possiamo fare.
Credo
che scriverò un post/muro del pianto sul mio blog
(https://blakiescrive.wordpress.com/)
dopo la puntata di domani, se volete discuterne/piangerne
lì,
siete le benvenute.
Forza
e coraggio, ragazze. Forza e coraggio.
Alla
prossima!
Un
abbraccio,
Blakie