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Autore: Lady Stark    04/04/2016    1 recensioni
«Per lei, tutto è possibile, ufficiale.» con un gesto delle braccia, il taverniere l'invitò a seguirlo.
Len sapeva che quello che stava per fare era sconsiderato, irrazionale e pericoloso.
Era perfettamente a conoscenza del fatto che quel comportamento l'avrebbe potuto distruggere.
Avrebbe potuto demolire tutto ciò che per anni aveva così faticosamente costruito...
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter XI 

«Che cosa succederà adesso?» Rin appoggiò il capo contro uno dei cuscini, accoccolandosi come un gattino al fianco dell'ufficiale. Le coperte di raso le coprivano le gambe, riscaldandole la pelle ed il cuore. Non ricordava l'ultima volta in cui era stata così bene.

I muscoli, ancora doloranti a causa dell'adrenalina, si stavano finalmente rilassando.

L'uomo abbassò il mento, lambendo con lo sguardo i suoi graziosi lineamenti da bambola.

Len disegnò l'ennesimo arabesco sulle spalle della ballerina, soffermando i polpastrelli sulla pelle nuda alla base del collo. Non sapeva da quanto tempo stesse ripetendo il medesimo movimento ma di una cosa era certo: sarebbe andato avanti per ore se gli fosse stata concessa quella possibilità. La camicia da notte era scesa sulla spalla sinistra della ragazza, ripiegandosi in morbidi drappeggi lungo il tricipite. Nella stanza la quiete regnava sovrana, interrotta sporadicamente dal grido di qualche uccellino che, in un frullo d'ali, sfrecciava di fronte al vetro.

Un pettirosso atterrò sul davanzale della finestra, mettendo in mostra gli sgargianti colori delle proprie piume. Zampettando a destra e sinistra per mantenere l'equilibrio, i suoi occhietti neri scrutarono affamati l'interno della camera, alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Non passò molto tempo prima che la creatura s'accorgesse dei piatti lasciati dai due ragazzi ai piedi del letto. Una generosa spolverata di briciole contornava i bordi scanalati di entrambe le stoviglie, dove qualche ora prima era stata sistemata una grossa fetta di pane bianco.

L'uccellino spalancò le ali, determinato a raggiungere quel granuloso paradiso ma, non appena tentò d'entrare, il capo cozzò contro la barriera di vetro.

Il pettirosso provò ancora una volta, ottenendo il medesimo risultato. A quel punto il volatile accettò la sconfitta, intontito dai colpi e forse intimorito dalla forza invisibile che gli aveva impedito di raggiungere la meta. Len aveva osservato tutta la scena e ridacchiando, alzò un dito per coinvolgere la compagna. Quel piccolo intermezzo gli permise di sfuggire per qualche minuto ancora alla domanda che gli era stata rivolta.

Len poteva quasi vedere il quesito vagare incorporeo nell'aria, infettandola di dubbi e nefaste possibilità. Il solo pensiero di dover rispondere lo spaventava.

Per la prima volta, dopo anni ed anni di servizio ai vertici del potere, Len era all'oscuro di ciò che stava avvenendo nei meandri del castello. Un pilastro della loro organizzazione era improvvisamente venuto a mancare ed ora, cinquanta paia di mani, si stavano accalcando per accaparrarsi un brandello di quella spropositata eredità. Essendo stato uno dei favoriti del vecchio, Len si era inevitabilmente creato uno smisurato numero di nemici.

Ora, ciascuno di loro lo voleva morto.

Le notizie a sua disposizione erano insufficienti e, basandosi solo su di esse, non sarebbe mai riuscito a cogliere la vera macchinosità della situazione.

Len serrò la mascella quando un un pungolo d'impotenza gli pizzicò le viscere.

I suoi aguzzini avevano astutamente approfittato della situazione. Difatti, confinandolo in quell'enorme camera da letto, nessuna voce avrebbe potuto raggiungerlo.

L'unica speranza rimastagli era Louis. L'ufficiale aveva un disperato bisogno del suo ingegno, perciò pregò che il lavoro d'ufficio non gli avesse ammuffito il cervello.

Non appena il pettirosso se ne andò, si vide costretto ad ammettere la propria ignoranza.

«Non lo so.»

La voce uscì dalle sue labbra sotto forma di un preoccupato sospiro.

Rin, percependo quella nota stridente, si sottrasse alle carezze ed appuntò il proprio sguardo sul suo viso.

«Siamo in pericolo?»

La ballerina era stata più brava di lui a modulare le emozioni ed ora, l'ufficiale non sapeva come interpretare quella frase, apparentemente così tranquilla.

Muovendosi come un grizzly su un tappeto di cristalli, articolò con cautela la risposta.

Non sapendo cosa aspettarsi dalle segrete complotti dei suoi avversari, l'uomo non si sbilanciò.

La vicenda si sarebbe potuta concludere con un semplice “vissero felici e contenti”, come nelle favole. Il futuro avrebbe potuto riservagli una mera espulsione dalle file dell'esercito; avrebbero potuto disonorarlo, privandolo dei titoli e delle ricchezze. Eppure, celata nelle tenebre, si nascondeva una probabilità agghiacciante, impregnata di sangue e terrore.

«Non lo so, tesoro.» L'uomo accarezzò il viso della ballerina, catturandole il mento tra l'indice ed il pollice. Con fare possessivo l'attirò a sé, stampandole un bacio sulle labbra.

«Però so per certo che nessuno riuscirà a sfiorarti, neanche con con un dito.» un briciolo di malizia luccicò nel suo cristallino, facendo venire la pelle d'oca alla danzatrice, seduta davanti a lui.

Le coperte si erano ammucchiate attorno ai suoi polpacci nudi, mettendo in risalto la candida sfumatura della sua pelle.

Len si stava sforzando di non divorarla con gli occhi ma era pur sempre un uomo.

Concentrandosi, sarebbe riuscito ad avvertire lo sfrigolare del suo autocontrollo, divorato dal fuoco del desiderio.

«Che c'è?» la ballerina inclinò il capo contro la spalla, illuminandolo con un sorriso.

«Cambiati quella camicetta, te ne prego.»

La ballerina sgranò gli occhi, stupita da quella subitanea richiesta e, arricciandone un lembo tra le dita, attese spiegazioni.

Len sbuffò, rubandole dalla mano quel minuscolo triangolo di tessuto.

«Possiedo una tenace la resistenza, ma non sono d'acciaio.»

Comprendendo finalmente ciò che voleva dirle, Rin venne invasa da una veemente ondata di pudore. La ragazza gettò le coperte in faccia a quello screanzato per poi marciare in direzione dell'armadio con le gote rosse come due fragole.

L'ufficiale le ridacchiò alle spalle, donandole qualche veloce indicazione sull'ubicazione dei vestiti di cui doveva sbarazzarsi.

La cosa più piccola che riuscì a trovare fu una tunica nera di almeno due taglie più grande. Per la parte inferiore, dovette accontentarsi di un paio di pantaloni tanto lunghi da farla sembrare uno gnomo.

«Sei contento adesso?» la giovane uscì dall'ansa riparatrice dell'armadio appoggiandosi le mani sui fianchi, strizzati in una cintura che aveva per fortuna trovato tra le ordinate pile delle casacche.

Len aveva cominciato a tremare, sforzandosi di non scoppiarle a ridere in faccia.

Ovviamente, come l'orlo dei pantaloni, anche le maniche erano troppo lunghe e pendevano flosce oltre i polsi, trasformando le sue braccia in canne grottesche.

«Sua signoria ha finito di prendersi gioco della sua ospite?» borbottò a denti stretti, picchiettando la punta del piede contro il pavimento. Len spalancò le braccia, cercando di reprimere quel delizioso sfogo di allegria che gli ribolliva in gola.

Adorava quella piccola ed insolente ragazzina.

Lei, con la sua semplicità, era riuscita a dissotterrare la sua parte più colorata ed effervescente; quella che aveva da tempo immemore dimenticato. La sua solarità lo aveva resuscitato.

Ora, il suo unico desiderio era quello di continuare a vivere al fianco della ragazza, beandosi della luce positiva da lei emanata.

Era forse chiedere troppo? Il destino gli avrebbe ben presto servito la risposta su un piatto d'argento, bordandola con un delizioso contorno di fiori o con un macabra pozza di sangue.

«Vieni qui. Desidero farmi perdonare.»

La ballerina avanzò d'un paio di passi e sollevando da terra l'orlatura dei pantaloni, ondeggiò i fianchi stretti con fare sensuale.

«Io non voglio le tue scuse, damerino da strapazzo.» ghignò, sollevando di scatto il mento con fare signorile. Fingendo d'aver indosso una gonna, la ragazza ruotò su sé stessa facendo ondeggiare il tessuto della tunica che, simile ad una vela, si gonfiò.

«Cosa desideri, mia capricciosa metà?» Len arricciò le labbra in un sorriso al sapore di presunzione. La ballerina avrebbe potuto esprimere qualsiasi tipologia di desiderio e lui sarebbe riuscito ad accontentarla, solo battendo le ciglia.

«Qualsiasi cosa?»

«Chiedi e ti sarà dato.»

Rin si fece improvvisamente seria e, saltando sul letto, si accostò al giovane.

Tese la mano destra, lasciandola sospesa tra loro, come una specie di ponte.

«Voglio una tua promessa, Len.»

Il ragazzo inarcò le sopracciglia, indubbiamente sorpreso dalla richiesta ma, malgrado ciò, annuì.

«Dovrai portarmi a vedere il mare.»

Il visino della giovane era cristallizzato in un'espressione di assoluta gravità.

Len sbatté tre o quattro volte le palpebre, certo di non aver capito bene.

«Vuoi dirmi che non hai mai visto il mare?»

«Mai. Eppure ne ho sentito tanto parlare!» l'entusiasmo brillò nelle iridi della ballerina, facendo risplendere il suo sorriso come un diamante. Senza rendersene conto cominciò a gesticolare, emozionata dall'idea di poter soddisfare uno dei suoi sogni più grandi.

Le dita affusolate ondeggiarono, nel tentativo di catturare il movimento possente delle onde che, rombando, si infrangevano contro gli scogli. Con un gesto del braccio descrisse il volare dei gabbiani, indistinte macchie bianche che dominavano la brezza marina.

«Sarebbe bellissimo poter salire su una nave, avvertire il suo beccheggiare sotto la suola delle scarpe. Non so cosa darei per udire lo schiocco delle vele che tentano di imprigionare il vento..»

La mano del ragazzo afferrò saldamente quella della compagna.

«E sia. Sul mio onore, ti prometto che ti porterò a vedere il mare.»

Le loro dita si intrecciarono e, in quella stretta, non si celava solo l'impegno appena stipulato ma un'intera vita di promesse da mantenere.

«Ti ho già detto che ti amo?» Rin gli gettò le braccia al collo, sfiorando con la punta del proprio naso il collo del giovane. Lui le accarezzò la nuca e, socchiudendo gli occhi, tentò di stamparsi nella mente la setosa morbidezza di quelle pelle.

Qualcosa gli diceva che, ormai, i granuli di sabbia contenuti nella pancia della clessidra stavano per terminare.

Nel silenzio, quasi riusciva ad avvertirne il macabro grattare mentre procedevano verso l'oblio.

In quel momento, un feroce bussare sconquassò il legno dell'uscio.

Un fiotto di paura si riversò nel petto dell'ufficiale che, con fare protettivo, stringe più forte le spalle della compagna. Il martello della realtà calò ancora sulla sottile cupola di cristallo sotto cui i due giovani erano rannicchiati, minacciando di riversare loro addosso una pioggia di schegge.

Rin rimase immobile, serrando tra i polpastrelli le crine bionde del militare.

L'uscio venne scosso da un altro pugno ed una voce graffiante rintoccò, simile ad un'araldica sentenza di morte.

«Aprite!»

«Non c'è bisogno di fare tutto questo baccano. Le ricordo che dietro questa porta c'è un nostro compagno, ed è ferito.» la voce di Louis, per quanto mascolina, risuonò pacata ed infantile.

«Per i cospiratori non deve esserci pietà.»

«Cospiratore?» Rin sussurrò quella parola a fior di labbra, quasi avesse paura di darle concretezza vocale. Il terrore le accapponò la pelle e Len, avvertendo il suo disagio, emise un gutturale e difensivo brontolio.

«Ti proteggerò.»

La porta si spalancò verso l'interno con un colpo secco, svelando le tozze figure di tre uomini in uniforme. Rin si svincolò dall'abbraccio per acquattarsi al fianco del letto, pronta a proteggere il ragazzo. I muscoli guizzarono sotto il superficiale strato di pelle, cozzando contro i nervi, tesi come corde. Louis entrò per primo, raggiungendo i piedi del letto in un simbolico atto di appoggio.

Len squadrò in cagnesco i propri colleghi, arricciando le labbra in un ghigno amaro.

«Allora è così che stanno le cose.»

Un uomo sulla cinquantina si fece avanti, aggiustando una delle tante stelle al valore appese sul petto. Un paio di baffoni color cenere spiccavano sotto la punta arcuata del naso del soldato che con fare indifferente, ne arricciò la punta tra i polpastrelli.

«Se fossi in te, rimarrei in silenzio, ufficiale.»

«Modera i termini, ragazzino. Se sei in questo letto è solo merito della pietà del sottotenente.» un ometto tozzo dal collo taurino avanzò, zoppicando appena.

Un paio di occhi porcini si appuntarono sul viso tumefatto del condottiero, graffiandolo.

«Se fosse stato per me, ora saresti appeso per il collo alle mura di cinta!»

«Non ne avevo dubbi, Shurke.» Len sputò quelle parole senza spogliarsi del suo sorrisetto irriverente. Malgrado fosse spaventato per la ballerina, il ribrezzo che quel verme gli suscitava era superiore a qualsiasi cosa.

«Sembrate due poppanti. Smettetela e comportatevi da adulti, per una volta.» il terzo soldato borbottò, incrociando le braccia sul petto.

Rin non aveva mai visto in vita sua un uomo più brutto; il suo aspetto era davvero orripilante.

La testa del militare assomigliava ad una palla di cannone appena lucidata. Il naso, grosso quanto una patata, era sfigurato da una bitorzoluta cicatrice che partiva dalla parte esterna dell'occhio sinistro e terminava appena fuori la narice destra.

«Credo sia doveroso spiegare al nostro collega il perché della vostra piacevole visita.» ringhiò Louis, serrando i pugni lungo i fianchi. A giudicare dalla tensione del suo collo, Len comprese che quella volta non sarebbe stato semplice sorpassare il problema stagliato all'orizzonte.

«Ufficiale, dopo un attento studio delle prove pervenute, sei stato accusato di cospirazione. Sul tuo capo pende l'accusa di aver contribuito all'assassinio del nostro onorato comandante.»

Un silenzio tombale calò nella stanza, fagocitando le ultime vibrazioni prodotte dalla voce del militare. Un cubetto di ghiaccio percorse il profilo della spina dorsale della ragazza che, senza produrre il benché minimo suono, si voltò verso il proprio compagno.

L'espressione di Len era imperturbabile. L'arco delle sopracciglia era disteso, le labbra appena contratte in una smorfia di oltraggio.

«Come osate dire una cosa del genere? Voi che non eravate neanche lì il giorno dell'imboscata?»

Shurke prese nuovamente la parola, mettendo così a tacere il portavoce del drappello.

«Abbiamo dei testimoni.»

«Ma non fatemi ridere! Io so perfettamente chi è il vostro “testimone”.» Len scosse la testa, disgustato dalla falsità delle accuse che gli stavano attribuendo.

Se desideravano rendere credibile l'imputazione, avrebbero perlomeno potuto costruire più attentamente le fila della loro menzogna.

«Non credevo foste così stupidi. Come potete dare ascolto alle parole di colui che ha architettato l'imboscata ed ucciso di propria mano il generale?»

Louis, evidentemente d'accordo con il collega, tossicchiò per mettere in risalto l'assurdità della scena. I due uomini rimasero indifferenti alla frecciatina; Shurke invece, assunse il medesimo colorito di un pomodoro.

Le sue guance sembravano sul punto di esplodere, tanto erano tese e gonfie.

«Come osi..?»

«Non sta a te giudicare l'operato del Consiglio, ufficiale. Verrai processato per cospirazione.»

A quel punto, le iridi del militare si appuntarono sulla ballerina che, prima, aveva sgarbatamente ignorato.

«Inoltre, ritengo opportuno allontanare questa.. signorina.. dai confini del nostro palazzo.»

«Vorrai dire “sgualdrinella”..» Shurke si mise a ridere e, aspirando rumorosamente dal naso, produsse una serie grugniti molto simili a quelli di un grasso maiale.

Prima che potesse aggiungere qualcosa alla frase, un cuscino gli piombò sulla faccia e la federa che l'avvolgeva gli entrò in bocca, impregnandosi di saliva.

«Ringrazia il cielo che io non possa alzarmi da questo letto, Shurke. Altrimenti ti avrei già strappato via quella maledetta linguaccia.»

La voce di Len tagliò l'aria con la stessa facilità di un coltello da macellaio.

L'ometto, incrociando il suo sguardo, esitò un istante, spaventato dalla freddezza emanata dal ragazzo. Atteggiarsi non aveva mai costituito un problema per quel viscido servitore ma posto di fronte alla nuda potenza dell'avversario, la sua arroganza venne a mancare.

«Possibile che tu non riesca mai a tenere la bocca chiusa, Shurke?» lo rimproverò il pelato, facendo un passo avanti per spingerlo indietro e porre così fine alle sue intromissioni.

Louis rivolse un'occhiata di scuse alla danzatrice prima di tornare ad affrontare i tre militari.

«Adesso che avete portato a termine la vostra misera scenetta, direi che potremmo lasciare in pace l'ufficiale.» Il veterano serrò la mascella e guardò l'amico con un misto di dispiacere e rabbiosa impotenza. Louis si era battuto strenuamente per confermare l'innocenza dell'amico ma era riuscito a combinare ben poco. La lista dei nemici dell'ufficiale era infinita e tutti avevano abilmente riconosciuto nell'imboscata la possibilità di sradicarlo dalla sua privilegiata posizione.

«Di modo che possa affrontare in modo dignitoso il processo.»

«Certo.» con un cenno del capo, il portavoce si congedò ed abbandonò la sala. Louis seguì a testa bassa i soldati, soffermandosi per qualche lunghissimo istante sullo stipite della porta spalancata. Le sue unghie si conficcarono nel legno.

«Mi dispiace, amico mio.»

«Non dirlo neanche per scherzo.»

Le spalle possenti del soldato crollarono, vinte dal peso della sconfitta.

«Rimarrò al tuo fianco fino alla fine, comunque vada..»

«Ti ringrazio.»

«Per qualsiasi cosa, non esitare a farmi chiamare.» gli intelligenti occhi dell'uomo sfiorarono per un mero secondo il viso di Rin. L'ufficiale comprese istantaneamente ciò che l'amico voleva riferirgli ed i suoi occhi si velarono di lacrime.

Una minuscola crepa si aprì nel suo cuore, spingendolo sull'orlo di un pianto dirompente.

Non credeva d'aver mai provato una tristezza più grande in vita sua.

«Grazie, amico.»

Louis si chiuse la porta alle spalle, abbandonando i due giovani sotto l'incudine del silenzio.

L'ufficiale respirò, raccogliendo tutto il coraggio rimastogli per pronunciare quelle fatali parole che gli avrebbero annientato il cuore.

«Rin, amore mio..»

La ragazza ruotò piano il capo, asciugando con il dorso della mano il nastro perlaceo di una lacrima, soffermatasi sul suo zigomo.

Aveva capito tutto.

Le spine del suo amore lacerarono l'animo dell'ufficiale, mozzandogli il respiro.

L'estate era finita ed i rigori dell'autunno stavano indebolendo i petali della povera rosa, venandoli di un malsano colorito giallastro.

I ragazzi si guardarono per qualche minuto, lasciando che il silenzio sostituisse ogni discorso, inutile di fronte a quell'inferno di sofferenza.

Len chiuse gli occhi, costringendosi a dar voce a quelle parole che gli gravavano sulle labbra.

«È giunto il momento di dirsi addio.»

   
 
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