Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Anne Elliot    05/04/2016    2 recensioni
Ciò che vide fu solo un foro. Un foro che ora divideva lei e suo padre nella foto alla sua laurea in medicina; l’ultima foto che avevano insieme. Vide il foro di quel fantomatico proiettile per cui lei era corsa giù per le scale, preoccupata. Preoccupata per Sherlock, preoccupata per quella stessa identica persona che, nonostante ciò che lei pensava di aver sentito in quegli ultimi giorni, la considerava solo e soltanto un mezzo per indebolirlo. Solo un mezzo.
- Seguito di "The third brother" -
Mi farebbero piacere le vostre critiche ^^
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Molly Hooper, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The third brother'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L'errore di Sherrinford Holmes 10
Note Autore:Salve a tutte/i!
Incredibile a dirsi ma sono tornata. Devo ammettere, a distanza di veramente tanti, tanti mesi, che probabilmente ho affrontato questa storia troppo presto, sulla scia del momento, ma mi sono ripromessa e soprattutto vi ho promesso di portarla a compimento, per cui eccomi qui con quello che sarà il penultimo/terzultimo capitolo.
Voglio ringraziarvi più delle altre volte per aver continuato a seguire questa storia e per i commenti che lasciate, non mi stancherò mai di ripeterlo: mi aiutate veramente tanto e mi spronate a fare e soprattutto fare meglio!
Per quanto riguarda questo capitolo sono arrivata all’amara conclusione che non so muovermi bene su ciò che riguarda la parte “thriller” (se così si può definire!) e fra le altre cose temo che in alcuni passaggi risulti eccessivamente pesante.
Ad ogni modo, è ora di lasciarvi alla lettura e, come sempre, a voi il giudizio.
A presto,
Anne ^^



L’errore di Sherrinford Holmes


Eravamo il peggio di noi”


Nessuno l’aveva notato. Dopotutto non era stato un vero errore quanto una leggera insicurezza.
Ciononostante John Watson se n’era accorto. Non poteva definirsi un grande esperto, tutt’altro, aveva persino difficoltà a distinguere fra una viola ed un violoncello ma conosceva il modo di suonare di Sherlock; le note tirate dei suoi nervosismi e quelle prolungate dei suoi pensieri, le note vuote che accompagnavano i suoi ragionamenti e quelle necessarie per riordinare la sua mente. Le conosceva tutte e di una cosa era certo, Sherlock non dimenticava le sue composizioni né tanto meno aveva insicurezze. Per cui, se ciò era avvenuto, doveva esserci un motivo più che valido.
Il dottore, dunque, seguì lo sguardo dell’amico fino ad un arco che dava sulla ampia hall dell’edificio. Un uomo stava entrando nel salone, stringendo mani e dando amichevoli pacche sulle spalle. John riportò la sua attenzione sul detective che, con sguardo vitreo, continuava ad osservarlo. Il Dottore si rese conto ben presto di essere alla presenza di Godfrey Norton.

Strinse il bicchiere tanto da far divenire le nocche bianche ed istintivamente impugnò la pistola nella tasca, lo sguardo a vagare alternativamente fra i due uomini. Come sempre era pronto a reagire ad ogni minimo accenno del detective. Un sopracciglio alzato, uno sguardo più intenso o un irrigidimento dei muscoli erano segnali ormai riconosciuti da John e a cui lui non avrebbe esitato a rispondere. Tuttavia, quando il Dottore vide gli occhi di Norton posarsi sul profilo di Sherrinford, fu stupito di trovare in essi un’ombra di qualcosa di più simile all’amore che all’odio. Dopo un primo istante di smarrimento osservò quell’uomo con più attenzione; il portamento fiero, il volto affascinante e gli occhi penetranti che in quel momento scrutavano la bella Holmes. Inconsapevolmente la sua mente collocò quell’uomo nello spazio che normalmente era riservato agli Holmes, esseri strani e in un certo senso superiori che aveva imparato a conoscere. Ora capiva perché Sherrinford si fosse innamorata di quell’uomo e del perché lui, nonostante tutto, la guardasse in quel modo. Erano simili, in un mondo fatto da persone normali, per non dire mediocri, loro erano riusciti a trovarsi.
Il violino di Sherlock stridette vagamente appena l'uomo tirò con troppa decisione la nota conclusiva; lo sguardo di Norton tornò ad essere inaccessibile andando a studiare il detective e la sua espressione algida.
Quando un applauso convinto riempì la sala il consulente investigativo fu costretto ad interrompere quella sfida di sguardi per sorridere con falsità alla folla ed accennare un piccolo inchino nervoso. Il salone presto tornò a riempirsi del vociare e del vagare delle persone,  rendendo impossibile al Dottore la vista sia di Norton che degli Holmes, sommersi da una piccola folla di estimatori.
John iniziò a farsi largo fra gli ospiti alla ricerca dell’amico quando si sentì strattonare leggermente per un braccio.
«Dov’è Sherlock?!» Il volto di Sherry era teso, la voce bassa e gli occhi intenti a scrutare la folla intorno a sé. «Dovete andare! Adesso!»
John boccheggiò un paio di volte non sapendo cosa dirle quando il detective si materializzò accanto a loro.
«Tu vieni con noi.»
La donna guardò il fratello prima con disapprovazione e poi con dolcezza.
«No Sherlock.» L’uomo serrò la mascella, gli occhi intenti a vagare sul volto della sorella. Lei gli strinse la manica della giacca con dolcezza. «Sto bene…forza, sbrigatevi.»
Il Dottore annuì con decisione sapendo di dover essere lui, quella volta, ad imporsi. Si avviò verso la scalinata principale per poi voltarsi verso l’amico con aria decisa.
Il detective tentennò per qualche istante prima di annuire ed incamminarsi.
«Ehi fratellino…» l’uomo si bloccò voltandosi con aria irritata verso la sorella che sorrideva divertita. «…cerca di ricordarti la configurazione del ferro!*»
Il detective spalancò leggermente gli occhi prima di lanciarle uno sguardo carico d’astio e tornare a camminare a passi spediti sino a superare un incerto Dottor Watson.
«Il ferro? Che c’entra il ferro?!»

Non avrebbe saputo quantificare da quanto tempo stesse guardando quell'identico ed immobile angolo di  tappetto. In realtà non lo guardava in quel momento non più di quanto aveva fatto negli ultimi minuti; l’unico scopo di quell’angolo rovinato era fermare i suoi occhi e con essi il suo corpo per cercare di lasciar vagare la sua mente.
Era perfettamente consapevole del fatto che quello non fosse né il luogo né il momento per capirsi ma non poteva far altrimenti. Non poteva impedire alla sua mente quel frenetico e quasi illogico vagare alla ricerca di ricordi,  ricordi di Sherlock. Non dello Sherlock che aveva immaginato, né tanto meno interpretato, ma dello Sherlock reale, dell’uomo Sherlock Holmes a prescindere dallo sguardo di Molly Hooper.
Un’infinità di mani, espressioni, sguardi, labbra, movimenti, voci e gesti di Sherlock le vagarono in maniera confusa nella mente ed alla fine dovette ammettere che appartenevano più a ciò che Sherlock era rispetto a ciò che per lei era. Quei pochi momenti del suo Sherlock, si perdevano in una mole infinita di sguardi vuoti, mani lontane, espressioni assenti, labbra immobili, voci algide e gesti negati.
Fece pochi passi lenti prima di immobilizzarsi per guardare il suo riflesso nello specchio sopra il camino.
I suoi vestiti sgualciti e sporchi davano alla sua figura un’aria ancora più trasandata e pesante. Il suo volto era stanco e bianco e la fasciatura che aveva sulla fronte era ormai divenuta un ammasso di stoffa e sangue rappreso. Le labbra ruvide e secche sembravano ancora più sottili. Le occhiaie erano dei solchi neri sotto gli occhi arrossati dal sonno e che in quel momento le restituirono uno sguardo vuoto.
Non sei fatta per questo, Molly! Cosa credevi, eh?! Che bastasse falsificare un paio di cartelle e mantenere un suo segreto per renderti parte del suo mondo, per renderlo quello che tu credi sia? Sai bene che non basta. Non basta essere la sua inutile assistente di laboratorio, la sua “di cosa hai bisogno?”, la sua Molly Hooper. Insomma, non basta essere te.
Inspirò profondamente cercando di rispondere al suo stesso sguardo vuoto con uno più deciso.
Doveva semplicemente dirgli addio. In fondo non doveva dire addio al suo Sherlock, doveva solo lasciar andare Sherlock Holmes, tutto qui.
Una leggera stretta alla bocca dello stomaco stava per indurla a piegarsi ma si bloccò.
Ora basta, Molly! Tu devi tornare ad essere la Dottoressa Hooper, con i tuoi maglioni, le tue espressioni e le tue labbra sottili; in fin dei conti ti ci sei sempre trovata bene, no? Benissimo. E lui tornerà ad essere il Detective Sherlock Holmes… consulente investigativo, Molly…ti prego, basta!

La giacca strusciava sottovoce lungo la parete del corridoio, le travi usurate del pavimento mugolavano sotto il peso del detective. Il pianoforte che aveva ripreso a suonare era un eco lontano ed ovattato.
Sherlock girò leggermente la testa per guardarlo ed il dottore, come a rispondere ad una tacita domanda, tirò fuori la pistola.
Arrivati alla fine del corridoio il consulente guardò prima in una direzione e poi nell’altra. Nessuno.
John abbassò l’arma ed alzò un sopracciglio.
«Com’è possibile che non ci sia nessuno a controllare i piani?»
«E’ un’ambasciata John, non una base militare.»
Il Dottore strinse le labbra innervosito.
«Mi aspettavo che ci fosse almeno qualcuno a controllare che Molly…»
Il detective si voltò alzando un sopracciglio con fare critico.
Il dottore strinse i denti.
«Va bene, ho capito!...Quindi qual è il tuo piano? Bussiamo a tutte le porte chiedendo se hanno visto una donna ferita o urliamo il suo nome in giro come pazzi?»
Il detective ignorò il tono sarcastico dell’amico e mise due dita a stringere la radice del naso, la fronte corrugata.
John annuì più volte appoggiandosi al muro ed incrociando le braccia.
«Fai con comodo, non c’è alcuna fretta!»
Il consulente gli lanciò uno sguardo tagliente prima di tornare ai suoi ragionamenti.
Dopo qualche istante aprì improvvisamente gli occhi.
John lo vide avvicinarsi nuovamente all’angolo del corridoio, gli occhi chiusi, la fronte corrugata e gli altri sensi in allerta.

Molly si voltò di scatto.
«Lo facevamo da piccoli. Il fischio si propaga maggiormente della voce e se si è attenti si riesce meglio a percepirne la provenienza e la distanza.»**
Istintivamente si avvicinò alla porta e stava per rispondere a quell’inusuale richiamo quando, d’improvviso, si bloccò. C’era qualcosa che non andava. Come avevano fatto ad arrivare sino a lì? Normalmente di fronte alla sua porta c’era sempre qualcuno a controllare ma in quel momento regnava un silenzio quasi irreale. La stavano di nuovo usando contro di lui.
Un altro fischio arrivò alle sue orecchie ma mise le dita di fronte alle labbra per impedirsi di rispondere. Lentamente si allontanò dalla porta colta da un'irreale sensazione di poter essere vista. Nell’indietreggiare urtò un tavolino facendo cadere una tabacchiera sul pavimento ed un suono metallico riecheggiò nella stanza. Sgranò gli occhi osservando con terrore quel piccolo oggetto.

«Hai sentito?»
Il dottore corrugò la fronte allungando leggermente il collo.
«Cosa? Io non ho sentito niente. Proviamo al piano di sopr….Sherlock, dove stai andando?»
Il detective alzò una mano intimandogli di rimanere dov’era e di tacere mentre a passi lenti percorreva il corridoio.
Si fermò davanti ad una porta uguale alle altre, la fronte quasi a toccarne il legno. Chiuse gli occhi inspirando silenziosamente, i sensi intenti a percepire il rumore anche più tenue.
Molly strinse maggiormente le dita sulle labbra, i muscoli del corpo tesi per impedire anche il più minimo movimento. Il suono del battito irregolare del suo cuore le riecheggiava nelle orecchie impedendole di sentire qualsiasi altro rumore.
Dopo qualche istante di irreale silenzio vide il pomello della porta girare a vuoto e  non riuscì a trattenere quel respiro pesante che le stava lacerando il petto.
Un sospiro identico provenne dalle labbra del detective. Rapidamente prese dalla tasca interna della giacca il passepartout.
Molly riuscì a fare solo pochi passi verso la porta prima che l’uomo la aprisse.

Le pupille di Sherlock Holmes si dilatarono istintivamente per cercare di adattarsi alla luce tenute della stanza. I suoi occhi vagarono per essa cercando disperatamente di definire le varie ombre confuse sino a quando non  individuarono la figura incerta di fronte a lui. Lentamente il contorno della patologa si fece più definito, come anche il suo viso. La mente del detective ci mise pochi istanti per catalogare tutto ciò che stonava in Molly Hooper. I capelli sciolti e arruffati, le labbra secche che pronunciavano parole che in quel momento non riusciva a percepire, gli occhi stanchi e spersi che lo fissavano. Provò qualcosa di simile al dolore quando vide quella Molly ricrearsi all'interno della stanza a lei dedicata all'interno del suo Mind Palace e quando la sua mente registrò la fasciatura non poté trattenersi dall'avvicinarsi ed istintivamente stringerle le braccia come quella mattina.
Era stata una reazione istintiva ed umana, una delle poche che avesse mai avuto.
Le sopracciglia corrugate di lei lo ingannarono convincendolo ad alzare le mani ed allontanarsi tuttavia, quando sentì i suoi palmi posarsi delicatamente sul suo petto, si bloccò. Riportò lo sguardo sul suo volto e la sua mente si focalizzò nuovamente sulle labbra di lei e su quello che gli stavano dicendo.
«…un uomo qui davanti ma ora non c’è! Sherlock non capisci…»
Le labbra di Molly si bloccarono ed i suoi occhi guardarono oltre la sua spalla. Una voce familiare lo costrinse a voltarsi.
«Che delusione Mr Holmes. »
Godfrey Norton entrò nella stanza preceduto da uno dei suoi uomini intento a tenere sotto tiro un disarmato e  teso John.  Con un cenno della testa Norton ordinò ai tre di sedersi sul divano per poi accomodarsi di fronte a loro.
Il sottoposto uscì chiudendosi la porta alle spalle.
«Veramente, veramente deludente.» Incatenò lo sguardo a quello del detective. Un sorriso algido e innaturale rendeva inquietante il bel viso dell'uomo. «E' un onore conoscerla  di persona Mr Holmes, dopo così tanto rincorrerci»
«Sono certo che lo sia»
L'uomo alzò un sopracciglio con fare perplesso.
«Prego?»
Il consulente accavallò le gambe.
«Conoscermi...sono certo che per lei sia un onore ma temo di non poter dire altrettanto.»
John strinse i denti agitandosi per la consueta ed inopportuna supponenza dell'amico. Norton sorrise divertito.
«Vedo che il suo carattere non è cambiato Mr Holmes...è sempre lo stesso scontroso ed iroso adolescente....»
Il detective si irrigidì ma un rumore sordo oltre la porta attirò l'attenzione dei presenti.
Con un cigolio leggero la porta della stanza si aprì rilevando un uomo accasciato al suolo e una altera e cupa Sherrinford.
Irene Adler la precedeva con le mani alzate in segno di resa.
«Non sei mai stato bravo a scegliere i tuoi sottoposti, Godfrey.»
Lo sguardo cupo che Norton lanciò alla Donna la costrinse ad abbassare il proprio. L'umiliazione non donava al bel volto della Adler.
«Ma ho ottime capacità strategiche...»
Il rumore di una pistola che veniva armata fece spostare gli occhi di Molly sulla mano di Norton. La canna puntava nella sua direzione.
Sherry lanciò uno sguardo in direzione della patologa prima di tornare ad incatenare i suoi occhi a quelli di Norton.
«Una situazione di stallo non la definirei un'ottima strategia.»
Un ghigno si palesò sul volto dell'uomo.
«Di che stallo stai parlando, tesoro?»
Norton osservò divertito il consulente investigativo e poi la Donna prima di tornare ad osservare la sua avversaria.
La mano della Holmes tremò impercettibilmente e Molly capì. Sherry non avrebbe mai potuto sparare ad Irene Adler, non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere a Sherlock.
Norton si alzò e fece un unico passo in direzione della patologa. Nonostante la reazione di Sherry fosse stata quella di  avvicinare istintivamente la canna al capo della Donna, Molly percepì chiaramente come quello fosse un gesto assolutamente inutile. Godfrey Norton non avrebbe avuto alcuna reazione alla morte di Irene Adler.
«Va bene, accettiamo lo scambio.»
La voce del detective incrinò inaspettatamente quel silenzio teso.
Molly si voltò per osservarlo. Gli occhi vitrei che fissavano Norton e la mano destra protesa a mostrare un cellulare nero. La patologa si immobilizzò alla vista dell'oggetto nero mentre una preoccupata e perentoria Sherrinford pronunciava il nome del fratello.
La voce calda di Norton e qualcosa che spingeva sul suo maglione in corrispondenza dello stomaco fecero trasalire la patologa.
«Non sarà così sciocco, voglio sperare?»
Il detective gli si avvicinò con un algido sorriso.
«Mi sopravvaluta»
«La mia offerta non è più valida. Perché dovrebbe esserlo? Ora lei non ha più pedine con cui poter giocare.»
Molly vide gli occhi del consulente investigativo diventare improvvisamente più scuri, le dita stringere maggiormente il cellulare.
La mano libera di Godfrey si allungò in direzione del detective e fu in quel momento che Sherlock spostò il suo sguardo su Molly che non poté far altro che sussurrare un sommesso “mi dispiace”. Non riuscì a decifrare quel lampo che per una frazione di secondo mutò l'espressione di lui ma sapeva che era solo e soltanto per lei.
Con passi rapidi Sherrinford si avvicinò togliendo con nervosismo il cellulare dalle mani del fratello e posizionandosi a pochi centimetri dal volto di Norton.
«Basta così! Vediamo di risolvere questa situazione senza altre ingerenze o complicazioni.»
Il sorriso dell'uomo, per quanto celato dietro uno sguardo sadicamente divertito, aveva un che di lontano e familiare, come se le sue labbra non potessero far altro che reagire alla presenza di Sherrinford.
Irene Adler, ormai libera, si precipitò sull'uomo disteso al suolo e ne prese l'arma per poi indirizzarla verso Sherry.
«Il telefono, Miss Holmes.»
Sherrinford lanciò uno sguardo annoiato in direzione della Donna prima di riportare gli occhi sul volto di Norton. Dopo qualche istante di silenziosa riflessione il sorriso dell'uomo si allargò ed annuì elegantemente.
«Ovviamente la Dottoressa Hooper rimarrà a farci compagnia.»
Sherlock inspirò pesantemente ma la Holmes lo ignorò con eleganza continuando a sostenere lo sguardo dell'uomo.
«Ovviamente...»
Passarono alcuni istanti prima che John li oltrepassasse per avvicinarsi al detective per indurlo al movimento.
Molly, impietrita, lanciò uno sguardo prima al dottore e poi al detective ma se dal primo ricevette un vago conforto dal secondo non ebbe alcuna risposta. Sherlock Holmes era immobile, gli occhi cupi e duri rivolti verso Norton.
Ad un ulteriore richiamo dell'amico il detective si mosse avviandosi verso la porta.
Norton con la coda dell'occhio percepì lo sguardo che John lanciò ad Irene Adler e rise divertito.
«Non tema Dottor Watson, sono un uomo di parola...Irene!»
La Donna sgranò impercettibilmente gli occhi e fece per rispondere quando lo sguardo severo dell'uomo la bloccò. Ingoiò nervosamente prima di uscire dalla stanza.
Tutto quello che Molly riuscì a vedere fu la pistola nella mano della Donna che puntava sui due uomini e gli occhi chiari di Sherlock che le contraccambiavano lo sguardo.
La porta si chiuse.

Si sentiva incredibilmente a disagio. Certo, uno degli elementi che la rendevano tale era la pistola che aveva puntata contro ma il vero problema era l'essere lì, con loro. Era assurdo e incredibilmente sciocco ma era così: si sentiva a disagio perché era un banalissimo terzo incomodo! Abbassò lo sguardo per guardare la punta delle sue scarpe...in fin dei conti le era capitato tante volte ma questa volta era diverso, pistola a parte.
Sherrinford fece pochi passi verso il camino per poi alzare lo sguardo sullo specchio che troneggiava sopra di esso e studiare il suo stesso viso con espressione seria e meditabonda. Norton si voltò per osservarla e fece segno alla patologa di sedersi prima di avvicinarsi alla donna.
Molly si accomodò abbassando lo sguardo ed osservando le proprie dita intente a giocare con un filo scucito del divano.
«Questa non c'era...» nonostante si fosse ripromessa di non voltarsi, il viso di Molly si girò leggermente per capire a cosa si stesse riferendo la donna e ne vide le dita seguire una ruga leggera sulla fronte «e queste...» agli angoli degli occhi  «e queste...» intorno alle labbra colorate dal rossetto.
«Se solo ti fossi fidata di me.» La voce dell'uomo era stata un sussurro carezzevole.
La donna si voltò di scatto, lo sguardo cupo e ferito.
«L'ho fatto! E tu mi hai tradito.»
L'uomo raddrizzò le spalle.
«Non è così e lo sai bene. Era necessario.»
«No! Non era necessario, sei tu che lo hai voluto rendere tale mettendo a rischio la mia famiglia e...»
Norton si allontanò con un gesto di palese nervosismo prima di tornare di fronte alla donna. Gli occhi erano scuri e rabbiosi.
«Famiglia? Di quale famiglia stai parlando Sherry?» La Donna ebbe un istante di esitazione. «Stai per caso parlando di quella famiglia che ti ha lasciato vagabondare? Stai parlando di quel Mycroft che ti ha lasciato marcire in quella specie di covo di matti per 20 anni o di quel tuo dannatissimo Sherlock che non si è mai neanche preso la briga di venirti a trovare mentre viveva la sua vita? Di questa famiglia stai parlando?!»
Sherrinford osservò l'uomo; il suo respiro pesante, le labbra disgustate e gli occhi carichi d'odio.
«Si Godfrey, di questa famiglia...di questa famiglia che, nonostante tutto, non mi ha mai mentito o tradito.»
Un sorriso beffardo e algido si impadronì del volto dell'uomo.
«Non farlo Sherry, non farmi credere di essere stata una delle tue alternative, sappiamo entrambi che non è così. Questo proprio non lo merito.»
Il respiro della Holmes divenne incerto e il suo sguardo si abbassò in segno di resa.
Norton continuò a fissarla, lo sguardo perso fra la tenerezza e l'odio, prima di riprendere il controllo di sé. Gli occhi guizzarono verso la patologa per poi tornare sulla donna.
«Il telefono Sherry...» la Holmes alzò lo sguardo su di lui scrutandone l'espressione e Godfrey non poté trattenersi dal risponderle con un sorriso vago. «...non preoccuparti, non c'è nulla di realmente rilevante. Sono solo affari, lo sai.»
La donna scosse la testa sconsolata mormorando un sarcastico “si, lo so” prima di alzare l'arma e puntarla sull'uomo.
Godfrey sgranò gli occhi ma non reagì; al contrario, mise le mani nelle tasche con fare annoiato ed espressione.
«Non dirmi che di punto in bianco ti ritrovi una coscienze, tesoro!»
Lei sorrise amaramente a quelle parole.
«Se solo fossi stato quel Godfrey che avresti potuto essere.»
«Sono semplicemente ciò che sono, Sherry, non ciò che tu credevi io fossi.»
Lo sguardo velato di tristezza e rammarico di lei fece vacillare la sicurezza dell'uomo.
«No, non si tratta di me. Non si tratta di cosa speravo tu fossi per me ma solo di cosa tu hai scelto di essere. Ed hai scelto il peggio di ciò che potevi essere. Esattamente come ho fatto io.»
Nonostante la pistola, l'uomo fece un passo verso di lei.
«Credo invece di essere esattamente ciò che dovevo diventare per sopravvivere. Sai qual è il punto Sherry? E' che io non me ne vergogno, io non sono come te. Io non cerco di ripulirmi la coscienza perché so bene cosa ho fatto e so bene il perché. Per cui non ho alcuna intenzione di colpevolizzarmi per delle scelte che, quando ho fatto, ho reputato giuste.»
Lei scosse nuovamente la testa. La voce le uscì strozzata.
«Ma non capisci? Erano giuste per te o per me ma non realmente giuste.»
La voce dell'uomo proruppe lasciandosi dietro una leggera eco.
«Preferivi morire?!»
«Si, se voleva dire essere migliore di come sono adesso. Di come siamo adesso!»
Norton si immobilizzò, lo sguardo sconvolto e le labbra socchiuse. Sherrinford abbassò l'arma in un gesto carico di stanchezza.
«Guardaci Godfrey, che cosa siamo? Tu lo sai? Perché io non lo so. Sento di aver sprecato la maggior parte della mia vita allontanandomi da tutto ciò che di vero e valido avevo intorno a me. Non so chi sono, non riesco a guardarmi indietro senza inorridire e non riesco a guardare avanti perché non vedo nulla. Mi sento persa ed immobile fuori da tutto ciò che c'è di reale. Non ho un luogo dove tornare e da poter chiamare casa senza rimpianti, non ho qualcuno con cui poter stare e che sappia cosa o chi io sia...»
Una tenerezza intrisa di malinconia si impossessò del volto di Norton quando lui le si avvicinò accarezzandole con un tocco leggero il volto.
«Ma io sono qui, tesoro. Io so chi sei. Il fatto è che noi siamo diversi, il nostro mondo è diverso. E' normale che tu ti senta così ma è soltanto perché gli altri non possono capire, non possono capirci.»
Molly percepì quelle parole come un urlo che le rimbombava nelle orecchie e il volto di Sherlock le si ripropose davanti agli occhi.
«Sai qual è stata la cosa peggiore?» La voce di Sherry fu quasi un sussurro. L'uomo le sorrise comprensivo in attesa che lei continuasse. «Accorgermi di non provare più nostalgia di noi.»
La mano di Norton si fermò per poi allontanarsi lentamente dal viso di lei.
«Non ero preparata ad abbandonare quei ricordi ma è successo...il problema non sono gli altri e non siamo noi, il problema è il nostro volerci nascondere dietro l'essere diversi. Non è vero che gli altri non possono capirci, forse non possono comprenderci a pieno ma possono capire. Il vero problema è come noi abbiamo reagito alla nostra diversità, cosa abbiamo fatto sapendo di sbagliare e cosa non potremo mai perdonarci. Ed è stato quando ho capito questo che ho anche realizzato di non poter più provare nostalgia per quello che eravamo perché eravamo qualcosa di sbagliato, qualcosa che non avremmo dovuto essere. Eravamo il peggio di noi.»
Una lacrima rigò il volto di Molly ma nessuna quello di Sherry.
Norton sembrava un essere inanimato e vuoto.
Il volto di quell'uomo divenne una maschera immobile mentre quelle parole vagavano per la sua mente andando a riscrivere, modificare ed alterare tutti suoi ricordi e le sue percezioni. Molly sapeva che cosa volesse dire cambiare la propria percezione della realtà. Lo aveva capito parlando con quell'uomo, rivedendosi e rivendendo il suo mondo e i suoi ricordi, percependo ciò che da sola non avrebbe mai potuto capire; ed ora capiva perfettamente cosa Godfrey Norton provasse, cosa la sua mente lo stava portando a fare e quanto alla fine avrebbe provato dolore. Cambiare percezione, cambiare la propria realtà per avvicinarla alla realtà era un processo difficile, contorto e doloroso, soprattutto doloroso.
Sherrinford abbassò lo sguardo per qualche istante per poi rivolgerlo alla patologa ed incamminarsi verso di lei. Molly avrebbe voluto stringerla per quanto quella donna, normalmente fiera e solare, le sembrasse, in quel momento, fragile e vuota.
Un fruscio leggero le fece voltare entrambe verso Norton. L'uomo, con volto inespressivo, puntava la sua pistola verso la patologa; gli occhi vuoti rivolti verso Sherrinford.
«Il telefono.»
La donna non reagì né a quella richiesta né alla minaccia ad essa connessa e rimase immobile a fissarlo prima di alzare la pistola e puntargliela contro.
«Godfrey, io non cederò. Sono certa di ciò che voglio essere e fare. E tu?»
L'uomo armò la pistola.
«Mai stato così certo.»

Un boato riecheggiò nella stanza seguito da un assordante rimbombo che fece tremare le pareti ed il pavimento.
Tutto iniziò a muoversi e lentamente a sparire attratto in un enorme ed implacabile buco nero. Sherlock fece vagare i suoi occhi intorno a sé cercando di afferrare qualcosa, qualsiasi cosa, ma invano. Tutto era inesorabilmente troppo lontano e continuava a svanire in quel buio assoluto che continuava ad avanzare inglobando ogni più piccolo oggetto e ricordo. Ebbe la netta sensazione che anche l'aria intrisa di quel profumo a lui familiare stesse divenendo più rarefatta e pesante. Rimase immobile in attesa di venire anche esso ingoiato da quel nero assoluto che gli si avvicinava sempre di più ma arrivato a pochi millimetri da lui sparì. Ora, di fronte agli occhi sbarrati del detective, c'era solo una parete vuota del suo Mind Palace.

La voce di John, in principio un eco lontano, si fece largo nella sua mente sino a diventare riconoscibile.
«Oh mio dio...»
Il dottore fece qualche passo in direzione della porta dietro la quale era stato esploso il colpo ma l'arma di Irene Adler che puntava al suo torace lo fermò.
Sherlock era immobile, gli occhi fissi su quella porta chiusa e il volto pallido e inespressivo.
Quando improvvisamente la porta si aprì, un'insieme di informazioni secondarie si insinuarono nella sua mente: Sherrinford che puntava la pistola verso la Donna intimandole di consegnare la propria a John, un lamento distante che veniva malamente trattenuto, il vociare concitato di uomini che si avvicinavano, la pelle eccessivamente pallida della sorella e il viso alterato da un'emozione non controllabile. Tutto questo, insieme ad altri infiniti dettagli, occupò velocemente il suo Mind Palace ma l'unica cosa che riuscì realmente a vedere fu Molly Hooper. I capelli sul viso, lo sguardo confuso e sperso e il suo corpo che veniva faticosamente sorretto da Sherrinford.
Non si rese conto di essersi precipitato su di lei, di essersi sostituito alla sorella nel sorreggerla e dell'aver iniziato a scrutare il suo corpo ripetendo sconclusionati e concitati “dove! dimmi dove!”.
Molly gli strinse un avambraccio attirando gli occhi dell'uomo nei suoi e lui capì.
Con la patologa ancora fra le braccia si voltò verso la stanza ormai quasi deserta.
Godfrey Norton era a terra. Il volto deformato da un'espressione di autentico dolore mentre con una mano  cercava inutilmente di fermare il sangue che continuava ad uscire dalla spalla destra.
La voce di Sherry attirò l'attenzione dei presenti.
«A te la scelta.»
Molly corrugò la fronte alle parole di Sherrinford ma comprese ben presto che la donna si stava rivolgendo ad Irene Adler. Ora stava a lei scegliere se essere la compagna di quell'uomo oppure no.
Il vociare del personale e delle guardie dell'ambasciata stava diventando sempre forte; si stavano avvicinando rapidamente.
Lo sguardo della Donna si fece ansioso, gli occhi vagavano alla ricerca di non si sa quale aiuto mentre gli occhi della Holmes rimanevano immobili su di lei.
Le voci erano ormai a pochi metri da loro quando, dopo un ultima occhiata lanciata in direzione del detective, Irene Adler si voltò per poi sparire dietro l'angolo.
Lo sguardo carico d'odio che Sherrinford rivolse alla Donna, e ciò che esso significava, non sfuggì alla patologa ma fu lo sguardo di amore e tristezza che la Holmes rivolse di sfuggita al fratello che sarebbe rimasto nel cuore di Molly Hopper per sempre.
Un nuovo rantolo di dolore proveniente dalle labbra tese di Godfrey Norton fece voltare la patologa verso di lui. Il sangue denso e scuro continuava a fuoriuscire propagandosi lentamente sino ad arrivare all'angolo di quel tappeto che lei aveva reso fulcro dei suoi pensieri solo qualche minuto prima. I disegni e le loro sfumature cromatiche andarono attenuandosi fino a divenire un unico e piatto color vermiglio.  Non riusciva a separarsi dalla vista di quel sangue, di quel foro che aveva dilaniato la pelle, i muscoli e le ossa dell'uomo. Non riuscì a distogliere lo sguardo neanche quando si sentì strascinare via.
«Andiamo»
Percepì la vibrazione di quel sussurro. Lo sentì vibrare in quel petto che scaldava la sua schiena e lo sentì riecheggiare dentro di sé.
Stava per ubbidire, abbandonandosi a quel tono basso e calmo, quando il suo istinto la spinse a fermarsi.
«Sta perdendo troppo sangue, rischia di...»
La voce sofferente e bassa di Godfrey Norton pronunciò il nome della Holmes.
La patologa si fermò voltandosi verso la donna, immobile pochi passi dietro di lei. La vide voltarsi per poter osservare l'uomo.
«Nonostante tutto, non mi pentirò mai di essere stato il tuo Frey...»
Molly sgranò gli occhi...voleva forse dire che....
Un fruscio leggero del vestito di Sherry accompagnò i pochi passi che la donna aveva fatto per potersi avvicinare a lui. Si accovacciò per poter avere il volto a livello di quello dell'uomo e tolse il fazzoletto dal taschino della sua giacca per premerlo sulla ferita e limitarne l'uscita del sangue.
«Se solo fossi stato quel Godfrey che avresti potuto essere anche io avrei potuto darti il mio nonostante tutto...»
Il volto di quell'uomo divenne una maschera immobile mentre quelle parole vagavano per la sua mente andando a riscrivere, modificare ed alterare tutti suoi ricordi e le sue percezioni.
Sherrinford si alzò e si voltò che ancora l'uomo non aveva concluso quella difficile mutazione.
A passi lenti si incamminò verso di loro per poi superarli ed  uscire.
Molly continuò ad osservare quell'uomo che lentamente ma inesorabilmente comprendeva il tutto e come il suo corpo sprofondasse sotto il peso di un mutamento così repentino.
Il tocco delicato di Sherlock la fece voltare per poi condurla via e lasciarsi alle spalle Godfrey Norton.




Note Autore:

*La configurazione del ferro è una citazione a “The third brother”. Per chi non l’avesse letta o l’avesse dimenticata (eventualità più che comprensibile dato il tempo passato ^^’), nella storia precedente Sherry prende
in giro Sherlock perché non si ricorda tutta la tavola degli elementi ed alla fine, quando lui le dice che i sentimenti sono solo un difetto chimico, lei sarcasticamente gli risponde che non può saperlo: “non sai la
configurazione elettronica del ferro, come puoi conoscere quella dei sentimenti?!”
** Sempre un richiamo a “The tird brother” quando Sherlock “chiama” Sherry non riuscendo a vederla. E’ giunto il momento di spiegare questa cosa del violino e del fischio. Il tutto parte dal film “L’uomo che sapeva troppo” di Hitchcock. la scena che mi ha ispirato è quella in cui la madre, per far capire al figlio rapito che sono vicini a lui, inizia a suonare e cantare la ninnananna che gli sussurrava tutte le sere (la canzone è
“Que sera sera” che sicuramente conoscete ^^) e il bambino, in risposta, la fischietta; così facendo il padre lo sente e lo va a salvare. Lo so, io non sono Hitchcock e un conto è un film un altro un racconto ma me la fate passare? ^^
Che dire? Spero che questo capitolo non vi abbia deluso e che sia tornato al livello di quelli iniziali. Probabilmente la parte finale e un po' troppo affrettata e la “scomparsa” della donna troppo repentina ma devo ammettere che già così è stato fisicamente (lo so, è assurdo ma vi assicuro che è quella la percezione che ho) stancante. Grazie a chi è arrivato fino a qui e a chi ancora segue questa storia, nonostante tutto.
A presto,
Anne ^^
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Anne Elliot