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Autore: carachiel    05/04/2016    5 recensioni
(STORIA SOSPESA)
Uno specchio dai mille misteri.
Una famiglia da ricostruire.
Un passato che torna al momento sbagliato.
Un'aspirante scrittrice che indaga sulle tracce della verità.
Odio, rimorsi, segreti, confusione e un pizzico di vero Amore.
Mescolare il tutto e servire freddo, con contorno di Angst in salsa di introspezione.
~•~•~•~
Lo Specchio delle Brame, uno dei manufatti più misteriosi del mondo, le cui origini sono incerte e tuttora avvolte nel mistero.
Ma qual è il legame che unisce quest’oggetto con la famiglia Arclight?
Due mesi dopo la Grande Invasione Bariana Tron e Kazuma Tsukumo sono stati rapiti e fatti prigionieri da un'organizzazione criminale per dubbi scopi.
I tre fratelli Arclight li vanno a salvare e, nella loro impresa, verranno aiutati da vari personaggi.
Tuttavia, una volta tornati a casa, dovranno fare i conti con loro padre, il cui unico desiderio è avere il loro perdono, ma dovrà confrontarsi con il rancore che i figli ancora gli serbano.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15

Capitolo 15: Windmill in the land


Un fragore improvviso scosse l’aria calma e placida di quella notte senza luna, disturbando un serpentello dal corpo lungo e sottile intento a cacciare un topolino.
Safiya, all’udire quel boato, si avvicinò un poco di più al rudere, torturandosi con un movimento convulso una ciocca di capelli sfuggita dall’ hijab che le fasciava la chioma corvina.
Al boato ne seguì un altro, più forte, tanto potente da far tremare la terra. Il serpente, disturbato, si rifugiò sotto un sasso, abbandonando la sua preda.

La ragazza si accasciò a terra, vedendo l’edificio che in pochi secondi si ripiegava su se stesso, per poi crollare e sprofondare nella sabbia per il suo stesso peso con un sordo fragore.
In pochi attimi si sollevò un gran polverone, di quella polvere fine e sottile come talco, che le chiuse il respiro e la gola in una morsa, provocandole una tosse secca e convulsa, e impedendole di vedere alcunché attorno a lei. La sabbia, impalpabile, era l'unica cosa visibile, vorticando e formando larghe tende dorate, come agitate da un mulino sorto dalle viscere della terra.

In quell’istante temette che Khaled non ce l’avrebbe fatta a riportare i tre inglesi e gli altri due indietro; gli occhi le si riempirono di lacrime all’immaginare il triste destino che immaginava per quei poveri sventurati, destinati a incontrare una morte immeritata e beffarda in terra straniera.

Pianse, pianse tutta la sua tristezza per non poter cambiare quel destino, tendendo l’orecchio, finché dal folto polverone non le rispose più il fischio del vento, ma dei rumori, all’inizio appena un brusio confuso, per poi diventare un vocìo sempre più forte.

Vide emergere, come guerrieri di terracotta, prima una, poi due figure, lente e incerte, poi altre ancora, sempre più numerose, chi appoggiato ad un altro, chi strascinandosi nella sabbia fredda della notte.

Aspettò che le figure divenissero ben riconoscibili, prima di esultare per ciò che il suo cuore sperava in segreto.
Vide Five avanzare alla testa del gruppo, barcollante ma vivo, che stringeva tra le braccia il corpo di un uomo dai lunghi capelli biondo spento, i due fratelli che sostenevano un altro uomo dalla chioma corvina con un ciuffo rossastro.
Il giovane aveva dipinta sul viso la solita espressione impassibile, smentita dal modo in cui si mordeva il labbro inferiore per il nervosismo.

Pian piano la polvere si diradò fino a dissolversi nel buio della sera e, alla luce della luna, poté constatare le condizioni dei sopravvissuti, il cui numero si contava sulle dita di una mano.
Fatta eccezione per i tre fratelli e i due uomini, il numero dei sopravvissuti della setta, che in origine contava una ventina di membri, si era ristretto a sette, Khaled compreso. Appena lo vide farsi più vicino, senza pensarci due volte, gli corse incontro e lo abbracciò con forza, senza più riuscire a trattenere le lacrime che premevano contro le palpebre.

Sebbene fosse coperto di polvere, il viso graffiato e i capelli scompigliati, lo trovava sempre e comunque affascinante, di una bellezza inconscia e virile. Khaled la tenne stretta a sé a lungo, lasciando che sfogasse nel pianto la tensione e il nervosismo accumulato in quelle ore, sapendolo lontano, alle prese con una missione pericolosa.
Alla fine la giovane poco a poco si calmò e guardandosi attorno pian piano contava i presenti, intenti chi a curarsi le ferite, chi a riassestarsi. Notò l’assenza di Selim, ma non ne soffrì, sapendone il carattere tendenzialmente psicotico e instabile.

Poco più distante, tre adepti avevano raccolto dei ramoscelli, e stavano costruendo delle rudimentali croci, per onorare i compagni, morti senza alcuna colpa. Del rudere non era rimasto altro che parte dei muri portanti e un cumulo indistinto di massi grigiastri. Si avvicinò e, inginocchiandosi, mormorò una breve preghiera ad Allah, per garantire ai compagni morti ingiustamente l’accesso alla Janna*.

Nel frattempo i tre Arclight si erano allontanati, puntando verso le proprie tende per curarsi le ferite e ristorarsi un poco dopo le troppe emozioni.
Esitò un attimo, poi decise di restare ancora con Khaled per dare assistenza a chi era ferito e confortare chi tra quei massi aveva perduto un amico o un familiare.

Strapparono le tuniche, improvvisando bendaggi improbabili al prezzo di un ringraziamento e null’altro. In quel momento non c’erano amici o nemici, erano tutti umani. E la solidarietà in situazioni d’emergenza era l’unica soluzione.
Dopo aver aiutato chi ne aveva bisogno, i due si allontanarono.

Vedendo l’amica con lo sguardo perso Khaled si domandò se stesse pensando a quell’inglese.
Non ne aveva a male, del resto l’albino aveva il suo fascino, ma lo… infastidiva vedere come si fosse preso in pochi giorni la fiducia della sua migliore amica, dato che lui ci aveva impiegato sei anni a conquistarsela.

Intuendo ciò che stava pnsando l’amico, Safiya si voltò e disse a mezza voce “Non stavo pensando a lui, se è questo il tarlo che ti rode.”
“E allora, che stavi pensando?”
“Pensavo a cosa succederà ora. Bisognerà ricostruirsi una vita, e non è così facile.
“Dici bene, alcuni di questi ragazzi non hanno niente, o hannno lasciato tutto ciò che avevano.”
“Ognuno dovrà decidere cosa fare della propria vita…” mormorò la giovane a bassa voce pensando che anche lei avrebbe dovuto prendere una decisione per la propria vita, per sé e per il proprio futuro.
Suo padre era morto, lei aveva raggiunto la maggior età, e ciò significava che era una donna libera. 
Già. 
Una donna libera che non aveva idea di cosa fare della propria vita. Di tornare a casa neppure l’idea, dato che restare un altro giorno lì non avrebbe fatto altro che acuire il ricordo del dolore sofferto tra quelle mura spoglie.

Decise di tornare alla tenda dei tre fratelli, mettere qualcosa nello stomaco che reclamava cibo, per poi dormirci su.
“Torni da loro?” le domandò Khaled.
“Sì, ho bisogno di mangiare qualcosa. Vuoi unirti?”
“No, grazie, ma se ti va ti accompagno.”

 Si avviarono assieme, ciascuno immerso nei propri pensieri, tenendo lo sguardo fisso sulla strada che scorreva sotto le suole delle loro scarpe, finchè non arrivarono vicino alle tende, dove dopo essersi salutati, si allontanarono in direzioni opposte.


Nota:  La Janna è l'equivalente del Paradiso cristiano.

Angolo Autrice: Sono tornata con questo nuovo capitolo. Il titolo del capitolo è ispirato a una frase di una canzone dei Gorillaz. Ditemi cosa ne pensate, non è stato molto facile elaborare il capitolo (ma prevedo che i prossimi saranno ancora più tosti... Che bella prospettiva) I ringraziamenti vanno a Everian Every, il mio critico preferito, a DarkLiar, che mi segue sempre e dovunque, e a Nazuhi.
E il solito ringraziamento speciale... blablabla a Osage_No_Onna, la mia beta.
   
 
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