Capitolo 15: Windmill in the land
Un fragore improvviso scosse
l’aria calma e placida di quella notte senza luna,
disturbando un serpentello
dal corpo lungo e sottile intento a cacciare un topolino.
Safiya, all’udire quel
boato, si avvicinò un poco di più al rudere,
torturandosi con un movimento
convulso una ciocca di capelli sfuggita dall’ hijab che le
fasciava la chioma
corvina.
Al boato ne seguì un
altro, più forte, tanto potente da far tremare la terra. Il
serpente,
disturbato, si rifugiò sotto un sasso, abbandonando la sua
preda.
La ragazza si accasciò a
terra, vedendo l’edificio che in pochi secondi si ripiegava
su se stesso, per
poi crollare e sprofondare nella sabbia per il suo stesso peso con un
sordo fragore.
In pochi attimi si
sollevò un gran polverone, di quella polvere fine e sottile
come talco, che le
chiuse il respiro e la gola in una morsa, provocandole una tosse secca
e convulsa, e impedendole di
vedere alcunché attorno a lei.
In quell’istante temette
che Khaled non ce l’avrebbe fatta a riportare i tre inglesi e
gli altri due
indietro; gli occhi le si riempirono di lacrime
all’immaginare il triste destino
che immaginava per quei poveri sventurati, destinati a incontrare una
morte
immeritata e beffarda in terra straniera.
Pianse, pianse tutta la
sua tristezza per non poter cambiare quel destino, tendendo
l’orecchio, finché
dal folto polverone non le rispose più il fischio del vento,
ma dei rumori,
all’inizio appena un brusio confuso, per poi diventare un
vocìo sempre più
forte.
Vide emergere, come
guerrieri di terracotta, prima una, poi due figure, lente e incerte,
poi
altre ancora, sempre più numerose, chi appoggiato ad un
altro, chi
strascinandosi nella sabbia fredda della notte.
Aspettò che le figure
divenissero ben riconoscibili, prima di esultare per ciò che
il suo cuore
sperava in segreto.
Vide Five avanzare alla
testa del gruppo, barcollante ma vivo, che stringeva tra le braccia il
corpo di
un uomo dai lunghi capelli biondo spento, i due fratelli che
sostenevano un
altro uomo dalla chioma corvina con un ciuffo rossastro.
Il giovane aveva dipinta
sul viso la solita espressione impassibile, smentita dal modo in cui si
mordeva
il labbro inferiore per il nervosismo.
Pian
piano la polvere si
diradò fino a dissolversi nel buio della sera e, alla luce
della
luna, poté constatare le condizioni dei sopravvissuti, il
cui
numero si
contava sulle dita di una mano.
Fatta eccezione per i tre
fratelli e i due uomini, il numero dei sopravvissuti della setta, che
in
origine contava una ventina di membri, si era ristretto a sette, Khaled
compreso.
Sebbene fosse coperto di
polvere, il viso graffiato e i capelli scompigliati, lo trovava sempre
e
comunque affascinante, di una bellezza inconscia e virile. Khaled la
tenne
stretta a sé a lungo, lasciando che sfogasse nel pianto la
tensione e il
nervosismo accumulato in quelle ore, sapendolo lontano, alle prese con
una
missione pericolosa.
Alla fine la giovane poco
a poco si calmò e guardandosi attorno pian piano contava i
presenti, intenti
chi a curarsi le ferite, chi a riassestarsi. Notò
l’assenza di Selim, ma non ne
soffrì, sapendone il carattere tendenzialmente psicotico e
instabile.
Poco più distante, tre
adepti avevano raccolto dei ramoscelli, e stavano costruendo delle
rudimentali
croci, per onorare i compagni, morti senza alcuna colpa. Del rudere non
era
rimasto altro che parte dei muri portanti e un cumulo indistinto di
massi
grigiastri.
Nel frattempo i tre
Arclight si erano allontanati, puntando verso le proprie tende per
curarsi le
ferite e ristorarsi un poco dopo le troppe emozioni.
Esitò un attimo, poi
decise di restare ancora con Khaled per dare assistenza a chi era
ferito e
confortare chi tra quei massi aveva perduto un amico o un familiare.
Strapparono le tuniche,
improvvisando bendaggi improbabili al prezzo di un ringraziamento e
null’altro.
In quel momento non c’erano amici o nemici, erano tutti
umani. E la solidarietà
in situazioni d’emergenza era l’unica soluzione.
Dopo aver aiutato chi ne
aveva bisogno, i due si allontanarono.
Vedendo l’amica con lo
sguardo perso Khaled si domandò se stesse pensando a
quell’inglese.
Non ne aveva a male, del
resto l’albino aveva il suo fascino, ma lo…
infastidiva vedere come si fosse preso in pochi giorni la fiducia della
sua migliore
amica, dato che lui ci aveva impiegato sei anni a conquistarsela.
Intuendo ciò che stava
pnsando l’amico, Safiya si voltò e disse a mezza
voce “Non stavo pensando a
lui, se è questo il tarlo che ti rode.”
“E allora, che stavi
pensando?”
“Pensavo a cosa succederà
ora. Bisognerà ricostruirsi una vita, e non è
così facile.
“Dici bene, alcuni di
questi ragazzi non hanno niente, o hannno lasciato tutto ciò
che avevano.”
“Ognuno dovrà decidere
cosa fare della propria vita…” mormorò
la giovane a bassa voce pensando che
anche lei avrebbe dovuto prendere una decisione per la propria vita,
per sé e per
il proprio futuro.
Suo padre era morto, lei
aveva raggiunto la maggior età, e ciò significava
che era una donna libera.
Già.
Una donna libera che non aveva idea di cosa fare della propria vita. Di
tornare
a casa neppure l’idea, dato che restare un altro giorno
lì non avrebbe fatto altro che acuire il ricordo
del dolore sofferto tra quelle mura spoglie.
Decise di tornare alla
tenda dei tre fratelli, mettere qualcosa nello stomaco che reclamava
cibo, per
poi dormirci su.
“Torni da loro?” le
domandò Khaled.
“Sì, ho bisogno di
mangiare qualcosa. Vuoi unirti?”
“No, grazie, ma se ti va
ti accompagno.”
Nota: La Janna è l'equivalente del Paradiso cristiano.
Angolo Autrice: Sono tornata con questo nuovo capitolo. Il titolo del capitolo è ispirato a una frase di una canzone dei Gorillaz. Ditemi cosa ne pensate, non è stato molto facile elaborare il capitolo (ma prevedo che i prossimi saranno ancora più tosti... Che bella prospettiva) I ringraziamenti vanno a Everian Every, il mio critico preferito, a DarkLiar, che mi segue sempre e dovunque, e a Nazuhi.
E il solito ringraziamento speciale... blablabla a Osage_No_Onna, la mia beta.