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Autore: Cottage    06/04/2016    2 recensioni
Una banconota da 100 Pokè oscillava costantemente davanti ai miei occhi. "Ecco, questa è una cosa sospetta" avevo quindi detto, a Daisuke, il quale l'aveva già superata, non badandoci e dicendo "Sbrigati che siamo quasi arrivati"
Io, per tutta risposta, avevo sorriso, ridendo della mia distrazione "Hai ragione, scusa, si vede da lontano un miglio che questa è una trappola!" Quindi, dal nulla, erano scese altre banconote da 200 e 300 Pokè. "Oh, beh, direi che questo è un gran colpo di fortuna" Avevo ammesso, cambiando idea a facendo voltare un Daisuke stupito. Il mio lato taccagno aveva preso il sopravvento. Sembravo una bambina a cui la mamma aveva comprato un sacchetto di caramelle. Tante caramelle.

Madeleyne, Maddy, Madd-madd, chiamatela come più vi sembra comodo, è una ragazza normale (?), leggermente sarcastica e taccagna, che da un giorno all'altro decide di diventare allenatrice di Pokèmon e partire per una nuova regione.
In questo lungo -sì, si preannuncia lungo- viaggio incontrerà amici e nemici, persone divertenti e strambe e capirà che, dopotutto, stare chiusa in casa non è poi così divertente…
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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Note to Self
~ Rinnegare i cellulari in favore dei piccioni viaggiatori ~


Dovevo essere capitata in un universo parallelo, dove i Miltank saettavano nel cielo, i fossili di Kazeki si riunivano ogni notte per giocare a briscola e mia nonna aveva imparato a cucinare.
Non c’era altra spiegazione.
Perché Daisuke stava ridendo.
 
All’inizio a malapena udibile, poi, a dispetto di alcuni flebili tentativi per trattenerla, la sua risata era aumentata d’intensità.
La voce era inequivocabilmente sua, eppure faticai a riconoscerla: ero talmente abituata al suo tono serio, irritato e leggermente sarcastico, che ormai avevo dato per certo che quelli fossero gli unici di cui si potesse avvalere.
Chiusi gli occhi, lasciandomi trasportare da quel suono.
 
A dirla tutta, non aveva nulla di particolarmente interessante.
Non assomigliava a quella chiassosa ed a tratti molesta di Kakeru. Non esprimeva inquietudine come quella di Jack. Non risuonava melodica come quella di Désirée.
La risata di Daisuke era sommessa, sollevata. Aveva un effetto calmante, quasi fosse una nenia che ripeteva ‘Va tutto bene, andrà tutto bene.’
 
Non sapevo se fosse riferito a me, o a lui stesso.
Sapevo solo che avrebbe dovuto ridere più spesso.
 
“Accidenti!” Daikke si portò una mano davanti alla bocca, cercando di calmarsi, ma ottenendo solamente l’effetto opposto. “Credo… credo di avere sbagliato…”
“Eh?” Stridetti, presa alla sprovvista.
“Il colpo alla testa…” Cercando invano di riprendere un po’ di fiato, sollevò il braccio libero fino a tenersi la pancia.  “D-deve averti guastato i pochi neuroni che ti restavano!”
“Credimi, in questo momento non sono io quella che necessita di uno psicologo.” Bofonchiai, gonfiando le guance.
 
Daisuke, che era riuscito a calmarsi abbastanza da non morire soffocato, prese in mano il suo Pokédex, premette un paio di tasti e lo rivolse verso di me.
“Guarda qui.”
Sullo schermo c’era l’immagine del pokémon sirena e, incuriosita, presi a leggerne la didascalia ad alta voce.
“Vaporeon, pokémon Bollajet. Si è evoluto per adattarsi alla vita acquatica. Si può sciogliere nell’acqua—” Mi fermai. Rilessi. E poi mi fermai di nuovo.
Che?
 Non poteva essere. Doveva trattarsi di un errore dovuto alla stanchezza, all’esaurimento nervoso derivante dal fare da balia perenne ad un Wooper dal quoziente intellettivo di un carciofo, al mio povero stomaco che non riscuoteva alcun sacrificio da quella mattina. Dopo aver stropicciato gli occhi con energia, tentai di nuovo, pronunciando ogni sillaba al meglio delle mie capacità. Ma il risultato finale fu sempre lo stesso.
… Si può sciogliere nell’acqua diventando quasi completamente invisibile.”
Ed il mio cervello si prese una pausa.
 
C’era da chiederselo: cosa c’era di così stratosferico riguardo a pokémon (che per me equivalevano ad animali magici dai colori improbabili) capaci di liquefarsi? Dopotutto, avevo incontrato creature ben più bizzarre. Non mi sarei dovuta preoccupare per una questione del genere – specie perché per una volta non minacciava di attentare alla mia incolumità.
 
Ma… acqua?
 
Ebbi un breve flash mentale comprendente vari episodi della mia vita: io che andavo al mare per vedere Nonna gareggiare nelle gare di Triathlon; Nonno Gerald che, riempito il suo annaffiatoio, si dirigeva verso il suo piccolo orticello dietro casa; io che durante i giorni di pioggia uscivo per le strade di Topolonia saltando in tutte le pozzanghere che incrociavo; io che mi facevo il bagno; io che avvicinavo alle mie labbra un bicchiere di vetro colmo fino all'orlo…
 
Un pokémon che può sciogliersi in acqua?
 
Mi comparve davanti l'immagine del Vaporeon, con le branchie che si alzavano e si abbassavano a ritmo del suo cuore, con le scaglie spigolose e viscide, con gli occhi neri e lucidi simili a quelli di un alieno e--
Mi tappai la bocca con le mani, strizzando gli occhi e sperando di riuscire a contenere la bile che inevitabilmente si stava facendo strada fra le pareti del mio esofago.
 
"Hey."
Daisuke, dal canto suo, respirava con affanno, cercando di riprendersi dal suo precedente stato di euforia.
"Ugh." Risposi io, piuttosto eloquentemente. Mi appoggiai al parapetto alla mia destra, sperando che la corrente su cui stava viaggiando il Lapras aiutasse a lavar via le immagini raccapriccianti che mi turbinavano sulle palpebre ogni qual volta chiudessi gli occhi.
 
Come diamine avevano fatto a non estinguersi?
 
Il mio compagno di viaggio emise un lungo, modulato sospiro; ma ebbi come l'impressione che, in quel gesto, mancasse la solita punta di frustrazione.
"E adesso cosa c'è che non va?"
Preferendo restare in quella posizione per calmare il tumulto nel mio stomaco, lo guardai con la coda dell’occhio.
"Tante cose. Troppe cose. Ad esempio--” Feci una piccola pausa, combattendo l'arrivo di un conato. "Come faccio a sapere di non aver mai bevuto un Vaporeon?”
Daisuke cessò di ansimare. E, a giudicare dal modo con cui si era irrigidito, anche di respirare. Trascorsero una manciata di secondi, durante i quali apparve combattuto ed indeciso sul da farsi. Prese a massaggiarsi con insistenza il setto nasale.
Infine portò gli occhi, aventi ormai acquisito una sfumatura tetra e sciupata, sui miei.
Mi sentii trapassare da un brivido, riconoscendo quella come una versione più mite dell'Occhiataccia Daisukiana.
"Se sento un’altra scempiaggine lasciare l’anticamera del tuo cervello bacato, giuro che ti annego.”
Presi a grattarmi la nuca, ridacchiando nervosamente, nausea ormai del tutto dimenticata di fronte alla sensazione di pericolo che aveva preso ad aleggiare nell'aria.
 
Era giunta l’ora di cambiare argomento – dopotutto non avevo idea di quanto ci volesse per arrivare al termine del giro, e di certo non avevo intenzione di trascorrere il tempo rimanente in compagnia di un Daisuke dalle tendenze omicide. Perciò mi guardai in giro, e, in men che non si dica, notai di fianco a me due cavallucci marini impegnati in una disputa. Uno aveva rilasciato, con un versetto di sfida, un turbinio di bolle in direzione dell'altro, il quale rispose gonfiando il petto con espressione accigliata.
In meno di un secondo il mio lato di acquario venne completamente ricoperto dalle tenebre.
Lanciai qualcosa che poteva solamente essere paragonabile ad uno squittìo, e, strofinandomi gli occhi con fare nervoso, cercai di determinare il problema.
"Lascia stare." Intervenne Daisuke, con voce annoiata. "I Seadra sembrano non saper far altro che risolvere tutto a suon d'inchiostro."
"Aaah." Inchiostro. Certo . Ora i cavallucci marini sputavano pure inchiostro.
Il buio al di là del vetro aveva già cominciato a diradarsi, lasciandomi intravedere i due Seadra, che nel frattempo erano stati accerchiati da altri pokémon acquatici per niente felici. Ben gli stava.
 
La navetta proseguiva lungo i binari con una lentezza tale da rendere impossibile stimare quanto mancasse al termine del viaggio. Era passato molto tempo dall'ultima volta che mi era stata data l'occasione di rilassarmi, senza dovermi preoccupare di essere uccisa da pokémon selvatici, organizzazioni misteriose o insetti abominevoli. Il che era piacevole. Fantastico. Una vera e propria pacchia.
 
Diedi un'occhiata alla mia destra, dove il mio compare sedeva con il gomito sul parapetto e la testa fiaccamente sostenuta dalla sua mano. Osservava la scena con fare distratto, facendo passare lo sguardo sui vari pokémon che gli sguazzavano davanti, senza davvero vederli.
Emisi un piccolo sospiro: anche se per me la situazione era considerabile una sorta di vacanza in miniatura, per Daikke doveva essere una noia mortale. Forse perché lui, al contrario di me, già conosceva quei pokémon. Forse perché considerava l'intera situazione una perdita di tempo. Forse perché era stanco. Forse perché stava rimuginando riguardo a ciò che era avvenuto prima.
Distolsi immediatamente lo sguardo, in modo da non farmi beccare mentre lo fissavo. Non volevo rischiare di scatenare un altro attacco di... di...
Qualunque cosa fosse, non volevo che si ripetesse; non dopo la mia improvvisazione degna dell’Oscar.
Non sapevo se sarei stata ancora una volta capace di inventarmi una storiella abbastanza assurda da poterlo distrarre in tempo, e di certo non sarei stata in grado di resistere ancora al senso d’impotenza che mi aveva attanagliato il petto nel vederlo perdere il controllo.
Non quando sospettavo di esserne io la causa.  Scossi la testa, facendo una promessa con me stessa.
 
Finché gli fossi stata accanto, avrei cercato di impedirgli di tornare in quello stato.
 
Firmai il contratto mentale sulla tavola mentale imbandita di tè e pasticcini mentali. Strinsi la mano mentale di una me mentale indossante mentali abiti ottocenteschi. Mi lanciai in bocca un bonbon mentale alla panna. Sbagliai mentalmente il tiro e il dolcetto finì con il sfracellarsi sul mentale drago da compagnia della mentale me ottocentesca; ciò che avvenne dopo fu così drammatico che la mia mente si rifiutò di mostrarmi la scena.
 
Risoluta, seppure leggermente scossa, decisi di dimenticarmi dell’accaduto dedicandomi fin da subito alle mie buone intenzioni.
"Hey, Daikke?" Il sopracitato perse l'equilibrio e rischiò di battere il mento contro il ferro del parapetto.
Uh. Forse un po’ troppo risoluta.
"Cosa..." Guardati attorno, Maddy; cerca qualcosa di altamente interessante, originale, speciale— "…cosa sono quei cosi?" Indicai due puntini colorati che stavano risalendo un arco di pietra ricoperto di muschio. Man mano che ci avvicinavamo, notai che il primo, quello rosa, aveva delle strane punte sulla schiena, mentre l'altro, azzurro, aveva delle alucce gelatinose. Erano così lenti che, nel tempo che ci avrebbero impiegato a raggiungere la sommità dell’arcata, Nonna avrebbe imparato a cucinare, sarebbe stata ammessa a Pokéchef e avrebbe portato a casa il primo premio. Nel loro pigro avanzare portavano stampati in faccia dei sorrisi da ebeti, lasciandosi addietro una scia di bavetta traslucida di cui davvero facevo a meno di speculare la provenienza.
Resistetti all’impulso di lanciarmi davanti al Lapras e farmi schiacciare dalle rotaie. Non avrei potuto scegliere dei pokémon più ‘speciali’ di quelli nemmeno avendo avuto il depliant dell'acquario tatuato sulla parte interna delle palpebre.
Venni distolta dall’autocommiserazione da uno dei soliti commenti acidi di Daisuke, che, lanciandomi un’occhiata di puro risentimento, sibilò qualcosa di simile a “Guarda il Pokédex."
Ah. Comportamento da vipera venefica ferita nell’orgoglio. Probabilmente colpa del nomignolo.
"M-ma…" Balbettai, cercando di interpretare il ruolo di ragazza ingenua e innocente. E già che c’ero, anche un poco ruffiana. "Ma tu sai sempre tutto! E Dexi è noioso—“ Non è vero, Dexi. Ti amo. Mi salvi sempre la vita. Mi sei sempre fedele. Se fossi un essere umano, ti sposerei. “—e lento. E chi mi dice che non invii radiazioni ai pokémon che analizza?" Gasp drammatico. "Potremmo averli condotti verso la loro morte senza nemmeno essercene resi cont—". L'altro, avendo ben presto realizzato che l'unico modo per farmi tacere era accontentarmi, non perse tempo ad interrompermi, del tutto ignaro – o forse no? – del mio losco giochetto.
"Shellos. Provengono da Sinnoh. Sono di vari tipi. Se si schiacciano esce fuori un fluido viola, usato per alcuni medicinali." Daisuke incrociò le braccia. "Contenta?"
Mi portai l’indice alle labbra.
"Shellos, giusto?"
Come risposta ricevetti uno sbuffo.
"Sono lumache."
Alzata di occhi al cielo.
"Sputano inchiostro?"
Daikke sollevò un sopracciglio, guardandomi come se provenissi dal Pianeta Scemoidi. “Cosa ti fa pensare che possano sputare inchiostro?”
 
Ma, anziché fornirgli spiegazioni, decisi di passare in rassegna un'altra zona, decidendo che era giunto il momento di trovare un nuovo soggetto.
Lo trovai poco distante in un serpentone blu e arancione dalla bocca enorme, intento a strangolare una sorta di pokémon-lampione dal corpicino tondo blu e due antennine ricadenti davanti alla sua faccia, luminose come lucine di Natale.
"E quelli?" Puntai l'indice verso di loro: intanto le antenne del pokemon blu avevano preso a lampeggiare.
Daisuke, irritato dalla mia mancanza di chiarimenti, si limitò a bofonchiare due frasette striminzite.
"Huntail. Usa la sua coda per attirare le prede." Prima che potessi rendergli presente che il pokémon pareva più intenzionato ad usare la coda per stritolarlo che non per attirarlo subdolamente, continuò. "Chinchou. Un'antenna produce energia elettrica positiva, l'altra negativa. Questo per--"
Il Chinchou in questione toccò l'Huntail con ambedue le protuberanze, e in men che non si dica il pokémon serpente venne trapassato da una scarica elettrica tanto potente che dovetti schermarmi gli occhi per non venire accecata. Quando ricontrollai, l'Huntail pareva bacon a pois e la lucciola acquatica stava nuotando traballante via dalla scena. Mi grattai il mento, fingendo pensierosità.
"Penso di aver capito." In realtà, ero ancora piuttosto scettica su alcune questioni. Per esempio, com’era possibile che l'elettricità non si fosse propagata per tutto l'acquario, folgorando tutti i pesci e condannandoli all'oblio eterno? Scacciando dalla mia testa la - più che lecita - domanda, la sostituii con un'altra che sarebbe meglio servita ai miei scopi.
"E loro lo sputano? Inchiostro, dico."
Il damerino aggrottò la fronte, comprendendo le mie intenzioni.
"...stai cercando di farmi arrabbia-"
 
Il resto della sua frase si perse in un coro di vocine squillanti provenienti dall’alto. Alzai il capo, osservando la scena in preda alla confusione: i pokémon si stavano ammassando alle estremità dell’acquario, disponendosi in modo da far spazio a una marea di pesci rosati che turbinavano nell’acqua in modo caotico, cambiando spesso direzione ma restando sempre all’interno del branco.
Ben presto inondarono l’intero tratto di tunnel.
Ed il mondo si tinse di rosa.
 
Sgusciai fuori dalla sbarra di sicurezza – facendo uno sforzo immane per trattenere il fiato – e mi alzai in piedi sul sedile, circondandomi gli occhi con le mani poste a mo’ di binocolo.
“Sono… cuori labbrosi?”
I cosiddetti cuori si misero a danzare in cerchio, sfruttando i raggi emessi dalle lampade artificiali per creare un gioco di luci sempre cangiante, conferendo all’ambiente un’impronta gioconda. Li vidi disporsi in modo da formare onde sfasate, anelli concatenati, e numerose altre figure bizzarre, fino a riunirsi in un vortice risalente verso l’alto. Quando una loro colonna riusciva a raggiungere la cima, i suoi membri si sparpagliavano a raggiera, abbandonando la configurazione.
Notando che lo spettacolo sarebbe presto giunto al termine, emisi un verso di disappunto. Poi, ostentando nonchalance – ero troppo grande per essere impressionata da cuoricini rosa sbaciucchiosi e ronzanti – tossicchiai: “Carucci. Come si chiamano? Non mi dispiacerebbe averne un po’ nella piscina della mia futura villa.”
La me ottocentesca sollevò un pollice di approvazione.
 
Daikke s’irrigidì leggermente, quasi come se fosse stato colto alla sorpresa. Voltò la testa, fingendo di concentrarsi su un punto a caso dell’acquario in cui però non figurava un bel niente, eccetto l’acqua bollicinosa.
Strabuzzai gli occhi. Che non li riconoscesse?
Mi portai ad annuire, convintami della mia ipotesi: doveva essere difficile ammettere di essere ignorante su qualcosa, per un so-tutto-io come Daisuke.
Mi passò sulle labbra l’ombra di un sorrisetto diabolico, ma presi la decisione di non infierire sulla questione. Per quel giorno aveva già avuto la sua bella dose di problemi.
Tirai fuori Dexi, pronta a puntarlo contro uno dei cuoricini pesciosi.
 
“Ludvisc!” Esclamò il mio compagno di viaggio, inspiegabilmente irrequieto. Si schiarì la voce, nel – piuttosto vano – tentativo di parere più rilassato. “Si chiamano Ludvisc.”
Corrugai la fronte. “Se lo sapevi, perché non l’hai detto prima?” Lui aprì la bocca per contestare, ma non gliene lasciai il tempo. “Beh, ormai ho il pokédex in mano. Torna pure a rilassarti; chiederò a lui.”
Daisuke spalancò gli occhi, come se avesse qualcosa da ridire, ma fosse allo stesso tempo troppo riluttante per agire. Si guardò rapidamente attorno; poi, resosi conto di qualcosa, lasciò rilassare la propria postura.
Uh. Strano.
Feci spallucce e premetti il pulsante di accensione di Dexi, sul cui schermo comparve la scritta ‘Bentornato allenatore!’.
Aaah, il caro vecchio Dexi. Lui che sapeva come rendermi di buon umore!
Colma di determinazione, puntai l’aggeggio verso i Ludvisc.
O almeno, nella direzione in cui li avevo visti l’ultima volta: non ne era rimasto nemmeno uno.
 
Non ebbi neanche il tempo di lamentarmi, che il Lapras s’incagliò.
Dalla mia posizione in piedi sul sedile venni sbalzata in avanti e, con un urletto, presi a ruzzolare giù come un’idiota, urtando nel processo la mia spalla contro il lungo collo metallico del mezzo di trasporto. Ma invece di precipitare nell’acqua pullulante di pokémon potenzialmente-evolutisi-dalle-seppie-o-dalle-penne-a-sfera, mi ritrovai a sbattere la faccia su qualcosa di solido, bagnato e assurdamente freddo, che mi costrinse a spalancare gli occhi.
 
Correzione: solido, bagnato, assurdamente freddo e pure ricoperto di sangue.
 
Feci trazione sulle braccia con l’intenzione di alzarmi, o perlomeno arretrare, ma l’unico risultato che ottenni fu quello di scivolare e picchiare il mento a terra.
Rotolai di lato, tastandomi il volto in fiamme. Provai quasi inconsciamente a dimenarmi in preda al panico, ma i miei sforzi andarono solo ad alimentare il dolore. I miei occhi erano così pieni di lacrime che a malapena riuscivo a distinguere il sangue che mi macchiava le mani.
Che diamine era successo?
Mi lasciai scappare un singulto. Il mio volto sarebbe rimasto deturpato? I miei nonni sarebbero riusciti a riconoscere la loro cara nipote, ridotta in quello stato?
Acqua!
Ecco di cosa avevo bisogno. Iniziai a rotolare in una direzione presa a caso, sperando di incappare in un buco, in una frattura, che mi avrebbe poi permesso di raggiungere la salvezza, di calmare il demone infuocato, di—
 
“Finiscila di fare la melodrammatica, ti esce solo un po’ di sangue dal naso.”
Mi bloccai, prendendomi tutto il tempo per esaminare le nuove informazioni.
E mi accorsi che, in effetti,  ciò che avevo scambiato come ‘fuoco’ non era altro che un dolore pungente protrattosi per tutto il volto. Da cui stava colando qualcosa. Nel tirare su col naso, percepii in tutta la sua chiarezza un sapore ferroso che in poco tempo si trovò a mettere a dura prova la sanità delle mie papille gustative. La mia bocca si contrasse in una smorfia amareggiata.
Mi misi a sedere, asciugandomi gli occhi. Una volta che ebbi riacquistato la visione, mi tolsi le mani dal volto, osservando come dei piccoli rivoli rossicci si facessero strada fra le mie dita.
 
Nel tentativo di esporre il mio scetticismo, mi scappò un piccolo singhiozzo.
Solo un po’…?”
Daikke, estraendo un fazzoletto di stoffa e una bottiglietta d’acqua dalla sua valigetta, la richiuse con un secco clack. Rilasciò un sospiro, preparandosi psicologicamente a rifilarmi un’altra ramanzina… per poi bloccarsi alla vista del mio stato.
Strabuzzò gli occhi, studiandomi. Poi, corrugando la fronte in quella che speravo potesse essere apprensione, emise il suo verdetto finale.
“…un bel po’.”
Quindi versò l’acqua sul fazzoletto e me lo passò.
 
Mentre ero impegnata a ripulirmi da tutto quel sangue, passai ad adocchiare i dintorni. La cosa che più attirava l’attenzione erano senz’altro le macchie carminie che mi ero lasciata dietro durante i miei rotolamenti in stato delirante. Queste portavano ad una minuscola pozza davanti al Lapras, che fissai con rimprovero. Era colpa sua se in quel momento il mio povero naso si ritrovava a zampillare similmente ad un geyser di PokéCola in cui erano stati immersi dieci pacchetti di Mentos.
La navetta, dal canto suo, pareva aver già ricevuto un’adeguata punizione: il collo del pokemon si era infatti ammaccato, mentre due lunghi squarci ne adornavano l’addome, la cui vernice era stata grattata via dall’urto con la terra ferma. Ora il Lapras giaceva immobile, illuminato dalla tenue luce dei riflettori del condotto come una sorta di soldato caduto in onore della propria causa, abbandonato in un sonno da cui non potrà più risvegliarsi, fra le spaccature cristalline della riv— Aspetta.
Cristalline?
Voltai la testa di qua e di là, boccheggiando.
“G-ghiaccio …?” Perché o eravamo su una lastra di ghiaccio, o il sangue doveva essermi finito negli occhi arrecandomi danni tali da rendermi daltonica.
Mi alzai in piedi, attenta a non scivolare, adocchiando il resto del tunnel. Tutto era silenzioso; di pokémon non vi era più traccia. Un’occhiata alle pareti del condotto mi fece capire il perché: esse erano infatti ricoperte da una coltre di ghiaccio che si stava estendendo a velocità moderata lungo tutto il canale, congelando l’acqua presente nell’acquario. I pokémon dovevano probabilmente essere fuggiti verso l’entrata del condotto.
 
Tirai su col naso, pentendomene subito quando ondate di muco misto a sangue rischiarono di farmi strozzare. Poi dichiarai dignitosamente:
“Sento puzza di Team Blyzzard.”
Daikke alzò gli occhi al cielo, riprendendo il cammino.
 
E fu così che passammo il quarto d’ora rimanente traballando pericolosamente per il condotto ghiacciato. Mai prima di allora avevo provato una paura tale nei confronti del semplice atto del posare un piede a terra.
Grazie alla nostra andatura a velocità di cetriolo di mare, però, evitammo di scivolare per terra, spaccare il ghiaccio e morire annegati nel canale. Certo, Daikke durante il viaggetto si era preso la briga di spiegarmi che no, il ghiaccio causato dai pokèmon non era così facile da infrangere, ma preferivo comunque non correre rischi.
Dopotutto io e il ghiaccio non avevamo mai avuto un rapporto amichevole.
 
“Daikke”, sussurrai dopo aver perso l’equilibrio per l’ennesima volta, “Ci dobbiamo prendere un pokèmon di fuoco. O un lanciafiamme, ma solo come ultima risorsa; costano troppo.”
Il diretto interessato – che al sentire il suo nomignolo si era aggrappato, per restare in equilibrio, agli spuntoni azzurrini della parete che lo affiancava – mi rivolse un’occhiata seccata.
“Se ne incontreremo uno, sarai libera di catturarlo.”
“Ma—“ Il mio piede slittò, ed il mondo si inclinò di 180°. Reagendo piuttosto in fretta e con più agilità di quella che, conoscendomi, mi sarei potuta aspettare, sbattei le mani sul terreno, salvandomi per un soffio.
Ma per una persona della mia stazza mantenere una posizione precaria come quella del ponte avrebbe comportato fin troppi legamenti strappati, perciò, prendendola con filosofia, mi lasciai stramazzare al suolo.
“Ma se andiamo avanti così prima o poi rischieremo di morire surgelati. Di nuovo.” Mi sollevai in piedi, asciugando le mani sulla camicetta.
“Non costringermi a ripetere ciò che ti ho detto.” Emise un breve sospiro, che nell’aria fredda si materializzò sotto forma di nuvoletta di vapore. Pensosa, inspirai tanta aria quanta i miei polmoni potessero contenere ed esalai con forza, sorridendo soddisfatta di fronte alla fiammata nebbiosa che ne uscì fuori.
Diamine, se solo fossi nata drago…
No, aspetta un attimo. Sii più realista.
Se erano in circolazione pokémon sirene capaci di liquefarsi, significava che potevano esistere anche degli ordinari draghi, no?
Eheh. Me la dovevo segnare come una delle future domande da porre a Daikke… per rompere il ghiaccio.
Sghignazzai fra me e me. Nonostante la situazione disastrosa, il mio umore si era mantenuto piuttosto positivo.
 
“Eddai, scommetto che se ci impegnassimo potremmo trovarne uno in un paio di giorni--”
“Che non possiamo permetterci di sprecare.”
E il mio buon umore inciampò in un fosso, si spezzò una gamba e, rantolando dal dolore, esalò il suo ultimo respiro.
Mi portai davanti a lui, nella speranza che egli riconoscesse i miei diritti da essere umano. Daisuke si era dimostrato puntiglioso riguardo alla nostra velocità di marcia fin dall’inizio della nostra collaborazione. Personalmente, ero stufa di sostenere un ritmo del genere, e ben presto avremmo dovuto affrontare il discorso.
“Sarebbe solo una piccola deviazione! Non stiamo partecipando ad una corsa contro il tempo.”
Rimanemmo in silenzio, lanciandoci occhiate di sfida. Poi lui mi superò, accelerando il passo. Sentendolo bofonchiare qualcosa a bassa voce, corrugai la fronte, intenzionata a chiedere spiegazioni.
Ma non appena lo raggiunsi, fui costretta a lasciar perdere, percependo la mia risolutezza afflosciarsi.
 
Eravamo infatti giunti alla fine del condotto, e quindi alla ricompensa per i nostri sforzi, il nostro sudore, e le nostre – beh, più che altro le mie – lacrime. Ebbene, di cosa si trattava?
Altro. Dannatissimo. Ghiaccio.
Ciò che in passato doveva essere stato un lago navigabile dotato di tetto a cupola, era adesso più somigliante ad una grotta in cui sarebbero felicemente abitati un branco di pinguini. Le pareti circolari erano in balìa del gelo, che proseguiva incontrastato nella sua arrampicata, lenta ma costante. In alcuni punti aveva già raggiunto il soffitto, da cui penzolavano stalattiti la cui mole mi fece istintivamente voltare la testa di qua e di là nella speranza di trovare una sorta di protezione.
Per mia sfortuna vi era solo un posto adatto al piano ‘evita di diventare un Emmental’: su una duna di sabbia dorata posta al centro della stanza si ergeva, infatti, una massiccia torre di pietra perlacea, decorata da intricati disegni di pesci, conchiglie ed alghe.
 
Era uno spettacolo magnifico.
E letale.
Ma comunque magnifico.
 
 “Laggiù.” Daisuke indicò una zona a qualche metro dalla spiaggia, dove il ghiaccio presentava un’apertura circolare di alcuni metri. Al centro di essa vi era un unico pezzo di ghiaccio, piuttosto instabile, sopra cui stava la capopalestra. Aveva le braccia incrociate, sprizzante snobbosità da tutti i pori.
Per qualche istante ebbi l’impressione che il gelo, oltre ad espandersi sulle pareti, stesse risalendo pure per le mie vene. E non tanto per il fatto che se avesse fatto anche un solo passo falso sarebbe sicuramente scivolata, battendo la testa, precipitando in acqua ed annegando.
Mi morsi il labbro.
D’accordo. Forse avevo un po’ a cuore il destino di quel piccolo demonio, ma non era lei la mia preoccupazione principale; no, la creatura che più mi impensieriva stava comodamente appostata dall’altra parte dell’acqua, sulla riva sicura. I suoi colori caratterizzanti erano solo un misero bianco ed alcune gradazioni di azzurro, ma mi venne comunque da rabbrividire; e chi non l’avrebbe fatto, alla vista dell’aura di oscuro potere che lo circondava, e dei suoi denti, digrignati in un’espressione feroce e sprezzante, quasi domandasse sacrifici umani per poter calmare la sua collera perpetua?
Non c’era via di scampo.
Non se Frost era lì.
 
Fu Daisuke ad esplicitare ciò a cui pensavamo entrambi.
“Siamo nei guai.”
Annuii, non osando staccare gli occhi dalla scena.
“Yep. Mi sa che stavolta Frost mi farà fuori.”
Ci fu una piccola pausa.
“Ti riferisci al Beartic… giusto?”
Ridussi gli occhi a due fessure, mettendo a fuoco la cosa su cui Frost era comodamente appoggiato: un orso polare delle dimensioni di un camioncino dei gelati intento a raschiare il ghiaccio con i suoi artigli, giusto per rendersi più comodo il lettuccio provvisorio.
“Nah. Parlo di Frost.”
Altro momento di pausa.
“E dove—“
“Mi ha costretto ad affrontarlo nelle fogne di Melmolandia, ma non ricordo bene il perché. Forse non gli piaceva essere chiamato ‘Polaretto’.” Spallucce. “Mi ha massacrato. E con solo uno Shellder. ”
Daisuke studiò il tizio dai capelli azzurri per qualche minuto, poi mi scrollò brevemente la spalla, segnalandomi di voler avanzare fino alla torre. Fece qualche passo, per poi arrestarsi, come se si fosse appena ricordato di qualcosa di vitale importanza. E infatti si voltò, ma solo per mettersi l’indice di fronte alla bocca, contraendo le labbra in una linea austera.
Sbattei le ciglia, processando.
Ah. È  quella la cosa che più lo impensierisce? La mia possibile mancanza di furtività?!
Aprii la bocca per lamentarmi, per fargli notare che forse avrebbe dovuto prestare più attenzione alla furia animalesca che avevamo a pochi metri di distanza— o, ancora peggio, a quel sadico di un Polaretto con le manie di persecuzione— ma Daikke, sfoggiando un’espressione frustrata quanto la mia, mi fece cenno di star zitta e proseguire.
E così feci, ma solo dopo aver fatto un’imitazione del suo tono patronizzante, scimmiottando ‘blah blah blah’ con la mano.
 
Arrivammo senza grossi intoppi fino alla torre, dietro alla quale ci acquattammo per tenere d’occhio la situazione. Polaretto ed Orso-Balù-Candegginato non si erano mossi di un millimetro, mentre la bambinetta era troppo impegnata a guardarsi le unghie con aria di superiorità per accorgersi della nostra presenza.
“Quindi,” Sussurrai, rabbrividendo al contratto con le pietre fredde che costituivano l’edificio. “Vie di fuga?”
Daikke puntò il dito alla sua destra, dove, parallelamente all’ingresso del tunnel, si trovava un’apertura nella parete. Sopra di essa vi era un’insegna, riportante le parole ‘Grazie e Arrivederci!’ scritte con pitture di diversi colori. Sicuramente un’uscita accogliente, non fosse stato per i metri di acqua che la separavano dal resto del lago ghiacciato.
Il brutto ceffo doveva aver pensato proprio a tutto, prima di trasformare la giostra-acquario in una pista da pattinaggio deluxe.
 
Tornai al mio socio, che nel frattempo stava studiando lo schermo del proprio cellulare; ma a giudicare dalla sua fronte corrugata, non doveva esserci alcun segnale. E se l’apparecchiatura tecnologica di un mago dell’elettronica come Daikke falliva a connettersi con la civiltà, era inutile che io provassi con il mio aggeggio antiquato.
 
Feci un piccolo sospiro, osservando con monotonia l’aria calda che risaliva verso l’alto, dissipandosi lungo il tragitto.
“Già. Un pokémon di fuoco sarebbe stato l’ideale per toglierci da questo pastic—”.
“Sssh!” Ribatté lui, facendo intuire di voler ascoltare la conversazione che si stava svolgendo ad una decina di metri più in là.
Misi il broncio, passando una mano attorno alle pokéball che avevo in tasca. Man mano che le avvolgevo, avevo come l’impressione che un peso andasse a premere sulla bocca del mio stomaco. Socchiusi gli occhi.
Forse non erano pokémon di fuoco, ciò di cui avevo bisogno.
 
“Hey, non ti avvicinare!” La voce abbatti-timpani della capopalestra mi riscosse dal mio rimuginare, costringendomi a sporgere la testa dal nascondiglio. L’allenatore infatti pareva essersi stufato di conversare con la mocciosa – come mai non l’avesse ancora trasformata in granita era ancora un mistero – e stava accorciando lo spazio che li distanziava marciando sull’acqua a passo spedito.
Era come uno schifo di gerride.
Inclinai la testa, incuriosita.
“E’ il Beartic...” Sussurrò il mio compare, appostatosi vicino a me. Scoccai un’occhiata al pokémon nemico, ma la poca visibilità di cui disponevo era aggravata da una coltre di foschia bianca che aleggiava sospesa a raso terra, nei pressi dell’animale. Perciò fui costretta, sospirando per l’ennesima volta, a chiedere spiegazioni.
“Il ghiaccio...” Il suo tono di voce si era fatto leggero, quasi distratto. “Il Beartic congela le superfici liquide mediante il suo respiro. Quindi basterebbe farlo avvicinare all’acqua vicino alla via d’uscita per…” lasciò la frase a metà, impegnato probabilmente a valutare il miglior piano d’azione. Il significato era comunque chiaro: se fossimo riusciti a sfruttare l’alito a temperatura freezer dell’orso, avremmo facilmente potuto raggiungere la nostra via di fuga.
“E questo vuol dire…” Questa volta Daikke si degnò di voltarsi e di puntare i suoi occhi sui miei, costringendomi istantaneamente a prestare attenzione. “…che qualcuno di noi dovrà fare da esca.”
 
Eh no.
 
A quel punto fu il mio turno di voltare la faccia e distogliere lo sguardo, lanciando occhiate disperate a qualunque cosa fosse nei paraggi ad eccezione del mio compagno di viaggio.
Lo sentii emettere dei versi lamentosi, ma ero troppo agitata per rispondergli a modo.
Il freddo doveva avergli montato alla testa. Perché qualcosa doveva essersi rotto nel suo cervello da so-tutto-io per avergli fatto venire in mente un’idea tanto suicida. Presi a sfregarmi nervosamente il braccio con la mano.
 
Che fosse stata la sua –senz’altro senza precedenti— risata di poco fa? Forse si poteva essere allergici alle risate. O alla felicità. O— spalancai gli occhi, fissandolo con aria allarmata: o forse voleva solo avere un pretesto per poter interagire col Beartic. Che non pensasse che non avessi notato l’inquietante scintilla che gli balenava negli occhi quando gli capitava di controllare la pagina dei tipi Buio nel Pokédex – cosa piuttosto frequente.
“I Beartic sono di tipo Buio?” Sbottai, cercando nelle sue pupille il familiare barlume di fanatismo che s’impossessava di lui quando erano coinvolti quei mostriciattoli assassini e particolarmente Madeleynnibali. Ma lui si limitò a corrugare le sopracciglia prima con fare confuso, poi con indignazione.
“Cosa? No!”
“Vuoi davvero affrontare quel coso?” Tagliai corto. “Non potremmo, che so, nuotare fino all’uscita? Saranno solo una decina di metri!” Continuai, cercando di fargli cambiare idea.
“Madeleyne,” Daisuke prese a massaggiarsi il setto nasale, richiamando tutta la pazienza di cui sembrava poter disporre. “L’acqua è ghiacciata. Sai cosa succede quando le persone si gettano nell’acqua ghiacciata?”
Rinunciai a commentare sul suo atteggiamento da essere superiore, decidendo che forse non fosse il momento più adatto. Mi strinsi nelle spalle.
“Diventano ghiaccioli?”
 
Daikke decise di sorvolare sulla mancanza di sofisticatezza della mia replica ed annuì sbrigativamente; ma prima di poter continuare venne interrotto da un altro urlo da parte della bambinetta. Lanciandoci una breve occhiata nervosa, tornammo ad osservare la scena. Il Polaretto, spazientito, aveva afferrato bruscamente le spalle della mocciosa, che si stava dimenando.
“Te l’ho detto, non lo so! Non so dove sia mio nonno!”
“E…” Una serie di parole indecifrabili. “…darmi la pietra. In caso contrario…” Brusio confuso. “…ucciderti.”
Il resto della conversazione tornò ad un volume contenuto, e quindi impossibile da afferrare.
 
Cacciando un piccolo ‘tch’ di impazienza, Daisuke si alzò.
“Io penso a distrarre il Beartic. Tu cerca di portare in salvo la capopalestra.”
Quindi mentre io avrei fatto una scampagnata sul ghiaccio verso il sociopatico locale, Daisuke sarebbe dovuto andare a combattere contro un Camper Peloso con il solo ausilio di un puffo del colore sbagliato e un piccione fuligginoso?
No, no, no.
Balzai in piedi, assalita da un’ondata di panico.
“No, aspetta! Tu ti occuperai del Polaretto, mentre io andrò a giocare con il suo animaletto da compagnia.”
Daisuke mi scoccò un’occhiata alla ‘Ho sempre saputo che ti mancassero delle rotelle, ma non pensavo fossi anche suicida.’ Feci spallucce.
“Ho preservato abbastanza rotelle da sapere che sarebbe più difficile uscire vivi da un incontro con quello lì che non da uno con quel Beartic. Legati. Con la testa fra le sue zanne.” Daikke alzò gli occhi al cielo, per nulla convinto.
Il silenzio fu interrotto dal ‘ring ring’ di un cellulare. Trasalii, cercando in fretta e furia il mio, prima di ricordare di aver impostato una suoneria diversa. Alzai lo sguardo verso il mio compare, che si limitò a scuotere la testa, mostrandomi il suo, ancora privo di connessione.
 
La mia perplessità si dissolse quando Frost estrasse dalla tasca del giubbotto una scatoletta grigia che aveva tutta l’aria di essere uscita fuori da un film degli anni Novanta.
“Cosa c’è adesso?” Iniziò a picchiettare il terreno col piede. “Spero che sia importante, altrimenti…”
Daikke indicò prima me, poi il Polaretto. Poi mi mollò lì come uno stoccafisso, raggirando l’edificio nella direzione opposta alla mia.
Non avevo idea di cosa diamine si fosse inventato, ma parve funzionare: il Beartic si sollevò su due zampe e, dopo aver annusato l’aria, si diresse verso la parte di torre dietro a cui si era nascosto.
 
Ammirare un pokémon del genere da distante e farlo mentre si avvicinava erano due cose completamente diverse. Dalla mia posizione riuscivo a vedere tutto: il modo in cui l’orso, camminando, raschiava il terreno con artigli grossi quanto il mio naso; il modo in cui la sua pelliccia si alzava ed abbassava; seguendo la contrazione muscolare dei suoi movimenti; gli occhi neri e lucidi, dalle pupille dilatate, che rendevano impossibile prevedere quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
Qualcosa all’interno della mia cassa toracica prese a vibrare, tanto che se avessi aperto bocca, se avessi continuato a soffermarmi sulle immagini che mi stavano bombardando la mente (molte riguardanti il mio nefasto destino, alcune quello di Daisuke), mi sarei sicuramente messa a singhiozzare.
 
Perché dovevo sempre finire in situazioni del genere?
Era normale? Anche gli altri allenatori erano costretti a vivere questo genere di incubo?
 
Mi passai le mani alla rinfusa sul volto, sugli occhi, sui capelli. Con difficoltà, presi a respirare in modo più regolare.
Avevo tanta voglia di riflettere sulle scelte da me fatte che mi avevano lentamente condotto a questo momento.
Avevo tanta voglia di sbattere la testa contro il muro, stendermi a terra e morire.
Ma il dovere mi chiamava.
 
Attesi che il Beartic sparisse oltre il muro, per avviarmi poi verso il Polaretto, che sembrava in preda ad una crisi di nervi.
“Allora, perché c’è tutto questo silenzio? Conoscendo voi smidollati, per essere riusciti a racimolare il coraggio necessario per telefonarmi dovreste essere almeno una dozzina.”
Ecco, avanti così. Urla pure alla cornetta. Non badare alla ragazza dietro di te che quando cammina incrina il ghiaccio.
“Questo- questo non vi dà il permesso di parlare tutti assieme!“ Fece un verso di stizza, passandosi una mano fra i capelli. “Stop. Zitti. Passatemi Frederick.”
Rischiai di scivolare. Frederick?
Il Frederick delle cui foto avevo pieno il cellulare e che, quando venivano visualizzate, sprigionavano così tanta fighezza ancestrale da rischiare di fondermi lo schermo? M’incupii, asciugandomi un rivoletto di saliva con la manica.
In effetti, aveva menzionato di essere il secondo in comando di un’organizzazione; ma, se lui era solo il vice…
 
“Insomma, cosa vogliono da me quegli imbecilli?”
 
…questo voleva dire che Frost era il capo.
La mia schiena fu percorsa da un lungo brivido, che mi costrinsi da ignorare. Mancavano solo cinque metri.
 
“Sì, sì, prometto di restare calmo. Come rimarrò calmo quando ti staccherò i denti ad uno ad uno con un paio di pinze roventi, se non arrivi al punto.” Ouch. Definitivamente il suo capo.
 
Ero riuscita ad arrivare ad un metro da lui senza farmi scoprire – beh, tranne che dalla capopalestra, ma quella aveva almeno avuto la decenza di ignorarmi, onde evitare di insospettire Frost. Era il momento perfetto per—
Per cosa?
Mi massaggiai il mento. L’avrei potuto buttare in acqua. Frost non era così alto, e per giunta sembrava anche mingherlino. Beh, in confronto a me un po’ tutti lo erano. Dannati salutisti. La loro vita non dipendeva da una scorta di merendine preconfezionate nascoste sopra l’armadio. Loro non dovevano fare i conti con la cucina di mia nonna, capace di portare all’anoressia un lottatore di sumo pluripremiato.
 
“Mi stai dicendo che Hiro, il fannullone dal quoziente intellettivo equivalente a quello dello zucchero filato che trangugia, ha già scoperto l’ubicazione della Grigiosfera…” Frost strinse il cellulare con così tanta forza che, anche da lì, riuscivo a sentire gli scricchiolii di protesta dei materiali di cui era costituito. “…e nessuno si è degnato di dirmelo?!
Il ghiaccio attorno agli stivali del ragazzo si crepò. Forse era dovuto alla pestata che gli aveva appena dato, ma la mia immaginazione preferiva attribuire la colpa all’aura assassina che stava emanando.
Al diavolo la premura, se non avessi agito al più presto ero sicura che Frost avrebbe mostrato la sua vera forma. Già me lo immaginavo: corna, ali da pipistrello, capelli che gli svolazzavano attorno anche senza un filo di vento e, dulcis in fundo, piedi palmati e becco dentato. Un perfetto Draculguino.
 
“’Prendila con filosofia’? Hai idea di quanto tempo ho sprecato per poter trovare uno straccio di pista? Certo che no, eri troppo impegnato a fare la corte alle tue maledette statue di ghiaccio per rendertene conto.”
Mi abbassai, mettendomi in posizione di partenza, decisa a colpirlo alla schiena con una poderosa spallata.
“E non cercare di difendere quei pezzi di carne surgelata! Lo sai cosa penso del tuo ‘innocuo’ passatempo.”
Tirai fuori la lingua, prendendo la mira. Così imparava a tenere acceso il telefono – se quell’obbrobrio uscito degno dei Flintstones si poteva definire tale – durante le missioni.
 
Che idiota…
 
~ It's all about the money, money, money
We just need your money, money, money ~
 
“Frederick?”
 
~ We just wanna make lots of cash
Forget about life sentence ~
 
 “Ti richiamo più tardi.”
 
…che sono.
 
Tastai il mio giubbotto alla ricerca del – maledetto, stupido, dannatissimo – cellulare, sperando di metterlo a tacere in pochi istanti. Naturalmente non lo trovai, e la suoneria continuò a rimbombare nella stanza. Mi sarei anche sentita imbarazzata, se solo la mia pancia non avesse deciso di fare gli scooby doo con i miei intestini.
Seguendo lo sguardo scocciato della bambina, il Polaretto voltò lentamente la testa, quel che bastava per potermi puntare addosso un singolo occhio. Venni percossa da una scarica di brividi, dovuti sia al suo colore – un azzurro così chiaro che per un attimo mi venne da pensare di star osservando l’interno di un cubetto di ghiaccio – che per il disgusto che vi lessi dentro.
Riuscii a deglutire solo dopo quattro tentativi. Quindi, ritrovandomi a sorridere più per la consapevolezza di aver commesso il mio ultimo errore che per il bisogno di essere garbata, sollevai mollemente un mano, a mo’ di saluto.
 
La suoneria continuava.
 
Buffo come negli ultimi istanti della tua vita il tempo paia come rendersi conto di aver corso senza sosta attraverso gli anni, e decida di rallentare; di concedersi un attimo di riposo, carico di tensione, prima di recuperare l’andatura di sempre con uno sprint talmente brusco e doloroso, da poterlo scambiare per un colpo di frusta.
 
Durante quegli attimi, presi improvvisamente coscienza del mio corpo. Del cuore che palpitava ad un ritmo di poco più veloce del normale; dei soffi gelidi che al loro passaggio pizzicavano le vie aeree del mio apparato respiratorio; di un minuscolo, quasi impercettibile ristagno situato nella parte superiore del mio petto.
Con la stessa chiarezza riuscivo ad avvertire il mondo esterno. Riuscivo a sentire il ghiaccio sotto i miei piedi pulsare, come se stesse lui stesso respirando. Riuscivo a vedere il Beartic come se ce l’avessi avuto di fronte, sollevato com’era sulle proprie zampe posteriori, mentre fissava nella mia direzione con fare quasi curioso. E, con altrettanta chiarezza, riuscivo a scorgere Daikke, posizionato dietro ai suoi pokémon: era leggermente sudato nonostante le basse temperature, e i capelli gli si erano appiccicati alla fronte in modo scomposto. Espressione congelata in una smorfia esasperata, occhi che distrattamente guardavano nella mia generale direzione, si era lasciato scappare qualcosa di molto simile ad un ‘dannazione’.
 
Il mondo intero si era fermato.
Frost no.
 
Non riuscii nemmeno a vedere il colpo: le prime cose che registrai furono invece il bruciore alle costole e il dolore alla bocca dello stomaco. Seguirono poi il ghiaccio su cui stavo scivolando priva di ogni controllo e la visione della gamba che Frost stava riabbassando con calma.
 
Oh, e nel sottofondo riuscivo pure a sentire i richiami confusi della bamboccia e di Daisuke. A cui naturalmente non potevo rispondere dato che quel gesto sarebbe risultato quasi sicuramente in me che svuotavo lo stomaco di ogni contenuto. E nella mancanza intollerabile di ossigeno. E nello scoppiare a piangere senza alcuna dignità, peggiorando così la situazione.
Priorità. Dovevo pensare alle priorità.
Perciò, raggomitolata su me stessa, tenendomi la pancia con la cura con cui avrei stretto l’assegno vincente della Lotteria Pokémon, presi una serie di piccoli respiri. E poi risposi al telefono.
 
“-erald, è da cinque minuti che provo e non ha ancora risposto! Chi lo sente poi quel bacucco di Theodore?”
“N-nonna...” Sussurrai, trasalendo per la fiammata di dolore che quel piccolo gesto aveva provocato al mio addome.
“Imbranata com’è, non mi sorprenderei se fosse caduta da un dirupo per scappare da dei Butterfree!” Riconobbi nel sottofondo la voce serena di mio nonno, presto però interrotta da quella possente ed infastidita di sua moglie. “Certo che non mi fido di lei! L’unico motivo per cui le ho permesso di intraprendere il viaggio è che così facendo avrei potuto far vedere a quei buffoni che si definiscono ‘triatleti’ qual è il vero posto che gli spetta nella maratona— dietro al mio deretano incallito!”
Ok. Le cose stavano decisamente degenerando.
“Nonna.”
“E invece di portare il primo premio a casa, mi toccherà portarlo in prigione!”  Ci fu un commento da parte di nonno Gerald, a cui seguì un verso esasperato della nonna. “Figuriamoci se Theodore me la farà passare liscia. Lo sai che quell’avvocataccio ha sempre avuto da ridire su come alleviamo nostra nipote… oh beh.” Un sospiro. “Gerald, aiutami a cercare il salvadanaio di Madeleyne. Tirchia com’è, forse c’è qualche speranza di poter pagare la cau—“
Oddio. No, i miei bellissimi, profumatissimi, preziosissimi risparmi no!
“Nonna!” Esclamai, in preda al panico. Me ne pentii quasi subito, in quanto venni trapassata da una serie di colpi di tosse.
“—zione. Oh. Madeleyne, cara? Da quanto tempo sei in linea...?”
Presi un piccolo respiro. “Non azzardarti a toccare i miei soldi. Se lo farai, venderò tutti i tuoi trofei su KeckleonBay. Con tanto di autografo falsificato.” A giudicare dal fragore che investì il mio orecchio, Nonna doveva aver fatto cadere il telefono.
Bingo.
“Toccare i tuoi soldi? Io che ti ho insegnato le tabelline, che ti ho preparato i pasti degli ultimi dieci anni, che ti amo dal profondo del mio cuore di tigre? Ah! Che sciocchina, devi avere sentito male!” Dall’altro capo della linea risuonò una fragorosa risata. Dopodiché i suoni divennero confusi ed ovattati, facendomi venire il sospetto che la nonna stesse cercando di tappare il microfono. Non riuscì, però, ad ammutolire il ‘Gerald, smettila di smontare le assi del pavimento della stanza di nostra nipote!’ che gracchiò  ad alto volume.
Alzai gli occhi al cielo. Ora sapevo cosa provava Daikke ogni qualvolta combinassi qualcosa di stupido.
“Niente Butterfree, qualsiasi cosa siano. Solo un altro potenziale assassino dal discutibile colore di capelli accompagnato dal suo fido Beartic rabbioso.”
“E’ forse un tizio dai capelli verdi? Perché è da stamattina che osserva la nostra casa, appostato fra i cespugli.”
Strabuzzai gli occhi.
“…che tipo di verde?”
“Non saprei. Mi ricorda il colore della mia zuppa di verdure con sorpresa.” Mi passò un brivido lungo la schiena, più per il ricordo della brodaglia fangosa che per la possibilità che Kazeki, in quel momento, potesse trovarsi accovacciato sul prato del giardino di casa mia.
“Nonna, lascia perdere quel tipo e stammi ad ascoltare! Sono intrappolata in un luna park, ed un hipster mancato sta cercando di—!”
“Tesoro, non riesco a sentirti. E non osare dare la colpa alla mia vecchiaia, che le urla dei miei nemici caduti le riesco ancora a sentire benissimo. Muovi le chiappe e spostati dove c’è più campo.”
Okay, mi sarei messa a piangere lo stesso. Tanto nessuno poteva biasimarmi.
“Nonna—”
 
Vedendo un’ombra calare su di me, rotolai maldestramente verso destra, fermandomi a pochi metri di distanza per una nuova fiammata allo stomaco, che mi costrinse a increspare le labbra in una smorfia. Quando mi voltai, vidi che il punto in cui prima ero raggomitolata era stato pestato dal Polaretto, e che la liscia superficie di ghiaccio si era frantumata a raggiera attorno al suo piede. Quando i nostri occhi si incontrarono, fu come se il mio corpo venisse travolto da una secchiata di acqua gelata.
Stringendo la presa sul cellulare, mi schiarii la voce.
“—ti richiamo dopo.”
Riagganciai; quel semplice gesto parve essere il segnale che il ragazzo stava attendendo, poiché in men che non si dica mi ritrovai il suo stivale conficcato nel ghiaccio di fianco alla mia faccia.
 
“Guarda guarda. Chi abbiamo qui?”
Polaretto non era contento.
“Un maleducato che interrompe le chiamate, direi. Io almeno ti stavo lasciando finire.”
Polaretto non era affatto contento. Ma, beh, questa era solo una mia supposizione; era difficile riconoscere lo stato emotivo di una persona quando si aveva la propria visuale bloccata dalla suola di uno stivale in discesa. Una suola adornata da spilloni di metallo dalla lunghezza delle mie falangi.
Fortunatamente parve ricordarsi del suo amore per le domande retoriche e l’abuso psicologico, perciò si limitò ad arrivare ad un centimetro dal mio bellissimo naso rosso e gocciolante.
 
“Quando lo capirai che non ti conviene impicciarsi negli affari altrui?”
Tentai di allontanarlo, spingendo lo stivale con le mani; invece di spostarsi, cosa che avrebbe fatto qualunque essere umano dotato di una coscienza – e un normale senso dell’equilibrio – iniziò a premere verso il basso.
“Eppure mi pareva di averti detto di stare alla larga.”
Frost aveva la peculiare capacità di alimentare la sua rabbia ad ogni parola che pronunciava. Il che lo rendeva piuttosto imprevedibile, e, cosa ancora più importante, pericoloso per la mia persona.
“Mmh.” Spostai lo sguardo alla mia destra, cercando di guadagnare tempo. “No, devi essertene dimenticato. Eri troppo impegnato a denunciare ai Grimer quanto facessi pena e fossi destinata al fallimento.”
Risposta sbagliata. Conseguenza? Una pestata sulla faccia, miracolosamente evitata grazie ai miei sensi di ragno. Quand’è che avrei imparato a mettere un freno alla mia lingua?
“E vedo che non sei affatto cambiata. Sei sempre logorroica.”
“Nemmeno tu, del resto. Sempre così…”, veloce, dovevo trovargli un nomignolo chic e originale e—“…pinguinoso.”
 
Diamine, perdevo colpi.
 
Le labbra del ragazzo dal cuore surgelato si incurvarono in una smorfia disgustata.
Con la coda dell’occhio notai una saetta bluastra piombare sul pavimento, seguita dal rumore di qualcosa che s’infrangeva. Non ci diedi peso, preferendo non staccare il contatto visivo con il robot che mi sovrastava.
Ma alla saetta ne seguì un’altra. E poi ancora una. Finché non ci ritrovammo circondati da una pioggia di stalattiti che per metà si conficcavano nel terreno e per metà s’infrangevano in una miriade di schegge potenzialmente mortali.
 
“Senti.” Cercai di essere diplomatica. “Ti piace l’emmenthal?”
La risposta che ottenni non fu altrettanto diplomatica, ma la ignorai.
“Presupporrò che la risposta sia negativa. Dubito che ti piaccia qualcosa…” Lo squadrai, inarcando un sopracciglio. “…eccetto l’azzurro.” Allargai gli angoli della mia bocca in un sorriso smagliantemente fasullo. “Ebbene, nemmeno a me piace l’emmenthal! Vedi? Abbiamo qualcosa in comune! Allora, dato che nessuno di noi apprezzerebbe essere trasformato in tale pietanza bucherellata, perché non—“
Frost mi tirò un altro calcio, stavolta al fianco.
 
Già mi immaginavo davanti allo specchio, senza maglietta, a giocare con un pennarello a ‘collega gli ematomi’. Chissà quale figura avrei ottenuto. Come minimo Frost stava prendendo la mira ad ogni calcio in modo da formare il suo nome.
 
Non potendone più di venire malmenata, mi sollevai sulle mie povere gambe tremolanti – o era il terreno, a tremare?—, tenendomi l’addome. Puntai un dito verso il Polaretto, pronta a spolverare la sezione ‘sproloqui e minacce di morte’ del mio cervello, quando il punto in cui prima giacevo si squarciò.
 
Da esso fuoriuscì qualcosa di immensamente oblungo.
Sfrecciando verso l’alto, ci ritrovammo di fronte ad una creatura dalla faccia per niente amichevole. Forse era dovuto agli occhi, privi di emozione ed illuminati da un bagliore sinistro; forse era colpa della bocca perennemente spalancata, che lasciava intravedere i denti acuminati; forse tale antipatia era causata dal fatto che quella mostruosità si era scagliata immediatamente contro di me, costringendomi a slittare sul ghiaccio e ad abbandonare i miei propositi di vendetta.
Il pavimento cedette senza la minima resistenza al passaggio del mostro marino – un serpente? – ed esso scomparve dalla mia vista.
 
Per qualche secondo nessuno osò muoversi.
Poi la capopalestra ne ebbe abbastanza, e, messasi le mani ai fianchi, urlò: “Svelti, portatemi fuori da qui!”, proprio come una principessina viziata.
Frost marciò verso la marmocchia, seguito a ruota dal suo Beartic, che aveva subito abbandonato il suo combattimento contro la squadra di Daisuke. Dubitavo che quell’orso sarebbe potuto servire a mettere k.o. una creatura del genere, ma di certo dava l’idea di poter offrire una maggior protezione da attacchi di enorme portata. Non come i miei pokémon, o quelli di Daikke.
Localizzai in fretta Sey e Yoru; il primo era appoggiato contro il muro della torre, l’altro stava passando il becco fra le piume delle sue ali, cercando di capire la gravità delle sue ferite.
Al contrario dell’orso bianco, il cui pelo era rimasto immacolato, i due pokémon avevano i loro corpicini ricoperti di graffi e lividi piuttosto gonfi. Nulla che un po’ di superpozione non potesse aggiustare.
Sarebbero tornati come nuovi. O forse no. Era Daikke il medico di bordo, io mi limitavo a—
Il mio stomaco eseguì una serie di salti mortali da dieci punti l’uno.
Dov’è finito Daikke?
 
Perlustrai con lo sguardo l'intera area, ma del mio collega minion non vi era alcuna traccia. Il mio organo digestivo si sentì libero di portare i carpiati al livello successivo.
Il serpente marino non poteva averlo afferrato – non era ancora riemerso, e poi mi era parso abbastanza goffo da poter essere schivato senza grosse difficoltà. Che il Beartic se lo fosse pappato mentre il suo allenatore non guardava...?
 
Scivolai sul ghiaccio – o meglio, barcollai sbattendo le braccia come un dodo ubriaco – verso Frost e il suo divoratore di uomini, che nel frattempo, all'ordine del suo padrone, aveva formato col suo fiato gelido una nuova lastra di ghiaccio – quella di prima doveva essere crollata durante la pioggia di stalattiti – collegante l'isolotto su cui aspettava la bambina con la terra ferma.
La capopalestra sgranò gli occhi, ma non esitò nemmeno un istante a percorrere il ponte. Arrivata di fronte al nemico, provò a scappare di lato, ma l'orso le tagliò la strada, permettendo a Frost di afferrarla saldamente per le spalle.
"Ragazzina—“
“Mi chiamo Momoka, stolto!”
Il Polaretto doveva aver sfogato tutta la sua rabbia su di me, perché non ribattè.
“Momoka, è tuo il Gyarados?” La principessina cercò dapprima di divincolarsi, ma vedendo che il ragazzo non accennava ad allentare la presa, squittì un veloce 'No'.
"Se non è tuo, allora di chi è?"
Frost era crucciato. Lo si vedeva dal modo in cui si guardava attorno, cercando di cogliere qualunque forma di movimento sotto la superficie ghiacciata. Presi a sfregarmi sbrigativamente le mani sulle braccia, cercando non tanto di scaldarmi, quanto di calmare il caro Terrore e Senso Di Morte Certa che avevano iniziato a fare un picnic nelle mie budella. Perché se lui  era preoccupato, allora avevo il presentimento che le cose non si sarebbero risolte con solo un paio di ematomi.
"No, cioè, sì, ma--!"
"E’ di tuo nonno?"
"Doveva essere solo parte dell'attrazione, una decorazione!" Cercò di spiegare la bambina.
"Parte dell'attrazione...?" Il Polaretto staccò gli occhi dal pavimento per dedicarsi allo studio delle pareti della stanza.
"Ehi." Mi intromisi, stando attenta a rimanere a distanza di sicurezza dal Beartic. "Sicura che tuo nonno non sia in realtà un pazzo omicida e che abbia ideato il Gyarados per—"
Ricevetti un’occhiataccia.
"Hai dei problemi di udito? Ho detto che doveva essere solo una statua meccanica!"
"Da quel che mi risulta le statue non sguazzano nelle profondità di un lago in attesa del momento giusto per potersi gustare giovani ed ingenui allenatori."
"D-da quel che mi risulta gli unici allenatori qui presenti sono il t-tuo compare tappo e il b-bruto che mi sta bloccando la circolazione." Tirò su col naso.
Strinsi i pugni. Inspirai. Esalai. E poi allungai una mano verso il Beartic, facendogli un pat pat sulla testa.
"Sicuro che il tuo bestione non la possa mangiare?" Il pokémon inclinò la testa con fare confuso, sbuffando aria calda dal naso. Momo mutò la propria faccia in una smorfia sgraziata, ma prima di potermi insultare fu presa da un attacco di starnuti.
"No." Aprii la bocca per lamentarmi, ma il tono di Frost non ammetteva repliche. "Però se ti sembra  così denutrito potresti sempre offrirti volontaria."
Scossi la testa, decidendo di lasciar perdere la questione. Tanto nel più probabile dei casi la capopalestra sarebbe morta in meno di due ore— come tutti noi, del resto.
 
Come se il robot avesse percepito di essere stato chiamato in causa, il terreno venne nuovamente percorso da scosse, che ci costrinsero a barcollare per non cadere.
"D'accordo. Ascolta attentamente." Frost si tolse il giubbetto e, senza indugio, lo posò sulle spalle della bambina. "Dentro c'è una pokéball. Corri sulla torre e resta lì. Non ti sporgere troppo. Non farti vedere. Usa la pokéball solo come ultima risorsa."
Momoka, che fino a qualche secondo prima si era limitata a sbattere le ciglia con fare confuso, squadrò Frost con sospetto. Ma la nuova ondata di tremori sembrò farle mandare a quel paese la prudenza, per cui accettò senza tante lamentele e prese a correre  verso la torre.
 
Posai una mano sul mio fianco, stufa di non contribuire.
"Aspetta. Io dovrei lasciarti fare senza confiscare la pokéball contenente quasi sicuramente un pokemon dalle tendenze omicide perché...?"
Lo sguardo che Frost mi rivolse mi fece rimpiangere di aver anche solo pensato di aprire la bocca.
"Perché?" Per un attimo mi parve di vedere del fumo uscirgli fuori dalle narici. "Come diamine pensi di proteggerla, nel caso in cui la situazione si evolvesse per il peggio?"
"E' una capopalestra, saprà--"
"Appunto. Questa non è una palestra. Questa è una situazione reale con un pericolo reale, e se compiamo un solo errore saremo spacciati." Il suo tono acquisì una nota sibilante che mi fece accapponare la pelle. Mi grattai la nuca, cercando di mascherare i tremiti che mi stavano percorrendo le spalle. Non sapevo dove posare lo sguardo.
"Toglimi una curiosità." Frost socchiuse gli occhi, concentrando la sua attenzione sui miei movimenti, studiando ogni mia reazione. "Tu. Cosa proponevi di fare?"
Dischiusi le labbra, pronta a contrattaccare. Ero ferita nell’orgoglio. Se pensava di potermi sminuire ulteriormente, si sbagliava di grosso. Non avevo affrontato mesi di avventure e pericoli senza imparare qualche lezione. Senza imparare a cavarmela, a reagire agli imprevisti.
Sapevo di poter aiutare.
(Davvero?)
Sapevo di esserne capace.
(Ne sei certa?)
Sapevo di…
(Non sai niente.)
Sapevo…
 
Sentivo la testa pesante. Si era fatto difficile respirare.
Chiusi la bocca.
 
Frost emise uno sbuffo soddisfatto.
"Come pensavo." Senza perdere tempo, si voltò, percorrendo a passo deciso la superficie ghiacciata in direzione della torre. "Non sei adatta a far parte del mondo dei pokémon. E' giunta l'ora che tu riconosca i tuoi limiti, e te ne ritorni a casa."
Allungai una mano per fermarlo, per dirgli che no, era lui che non capiva una rapa secca di come funzionasse il mondo e che sì, ero in grado di cavarmela con le mie forze.
Potevo contribuire.
Aumentarono le scosse. Un pezzo di ghiaccio sbalzò in aria, minacciando di cadere su Frost. Prima che potessi avvertirlo del pericolo, il suo Beartic allungò gli artigli e, con una sola zampata, trasformò l'iceberg in una dozzina di cubetti innocui.
Abbassai la mano.
Potevo contribuire…
… giusto?
 
Il Gyarados spaccò il terreno, schiantandosi contro la torre. Nell’aria risuonò l'urletto soffocato di Momoka, che dopo poco tempo si spense. Il robot tornò nelle profondità del lago, provocando un altro paio di tremori e fratture nel ghiaccio.
"Hey, nanerottolo." Per un attimo credetti che Frost si stesse riferendo a me, ma poi intravidi Daisuke fare capolino da dietro l’edificio. E, da come aveva stretto i denti, mi pareva di capire che non fosse affatto felice del nomignolo.
"Il Gyarados è solo una macchina meccanica. Dovrebbero esserci dei cavi elettrici qui attorno. Vai a--"
Daikke lo interruppe, sbuffando.
"Già fatto. Non si spegne." Frost spalancò di poco gli occhi. Probabilmente era stato colto alla sprovvista dall'efficienza di Daisuke.
Le mie labbra tremolarono, riconoscendo il mio fioco desiderio di sorridere come avrebbe fatto una madre fiera del proprio figlioletto; poi questo venne risucchiato da qualche misteriosa forza presente nel mio torace, in cui sprofondò senza più riemergere.
"Bene, allora." Frost strinse la presa sulla sua pokéball. "Io penso ad attaccare l'automa, tu ad aprire un varco per fuggire."
Non aveva ancora capito che Daisuke non avesse alcuna intenzione di farsi mettere i piedi in testa.
"No." Nonostante l'elevata differenza di altezza, il mio compare non era affatto intimidito. "Se ci scambiamo i ruoli, ci metteremo meno." Dicendo ciò, scoccò un'occhiata di sfida al Polaretto, che ricambiò senza indugio.
Non era affatto un brutto piano. I pokémon di Daikke erano stremati a causa degli incontri di quella giornata, ma erano comunque più agili di un Beartic, e quindi gli sarebbe stato più facile schivare gli attacchi del colosso metallico. Nel frattempo, grazie alla distrazione, Frost avrebbe avuto abbastanza tempo per creare uno dei suoi soliti ponti e squarciare il ghiaccio che bloccava l’uscita.
Un buon piano. Però...
 
Dal mio stomaco iniziavo a percepire vaghe ondate di nausea.
"Aspettate!" Mi intromisi, sventolando una mano fra di loro. Daisuke sollevò un sopracciglio; Frost non si sforzò nemmeno di trattenere un piccolo 'tsk'. "In tutto questo, io che faccio?"
 
Sembrò che Daikke avesse sviluppato un profondo interesse per i pavimenti in ghiaccio.
Frost invece doveva essere rimasto immune a tale fascino, perché, come se la risposta fosse ovvia, sentenziò con monotonia: “Il tuo ‘compito’, è quello di restare fuori dai piedi.”
Il mio volto doveva riflettere un certo sbigottimento, perché l’altro si sentì in dovere di chiarificare con una punta di acidità.
“Cosa pensi di poter fare con ratto alto quanto un fungo?” Si diresse verso l’uscita, dandomi una spallata nel processo. “Levati di torno.”
Daisuke ci mise un po’ di più a scollarsi dal suo posto, ma quando lo fece se ne andò subito dai suoi pokémon, evitandomi con lo sguardo.
 
Ah.
 
Il Gyarados frantumò la superficie, catapultando pezzi di ghiaccio dallo spessore sconcertante in tutte le direzioni. Feci un paio di passi di lato, evitando di venire schiacciata da un blocco grosso quanto un armadio, ma cadendo subito dopo a causa delle ormai perpetue scosse sismiche.
 
Quindi contribuire non era nemmeno un’opzione.
 
Le vibrazioni fecero cadere altre stalattiti; rotolai per un paio di metri, schivandone alcune, e mi fermai solo quando la mia schiena andò a sbattere contro i gradini della torre.
 
Come al solito.
 
Salii le scale, fissandomi le mani, come se una delle increspature dei miei palmi potesse contenere la soluzione al mio problema. Man mano che proseguivo per la rampa, mi sembrava di perdere il contatto con il mio corpo. I miei pensieri erano come dei fili colorati, che ad un certo punto, non saprei ben dire quando, avevano preso a volteggiare, sospinti da corpulente raffiche di vento. Ogni volta che allungavo la mano per catturarne uno, questo mi scappava via dalle mani, come se fosse tutta un’enorme beffa.
Mi chiesi da quando al posto dei piedi avessi due blocchi di cemento.
Giunta in cima alla torre, andai a sedermi vicino ad un fagotto azzurro che si stava affacciando dal parapetto. Fagotto che una delle poche parti non ancora annebbiate del mio cervello andò ad identificare come ‘Momoka’. Fissai il muretto di pietra, sopra al quale spuntava, ogni tanto, la testa dell’automa.
 
“No, così non ce la faranno mai…” Sussurrò, stringendosi nel giubbotto di Frost.
Avrei voluto sospirare, ma anche quello avrebbe richiesto fin troppa energia, che al momento non disponevo.
“Dov’è finita quella pezzente?”
La bamboccia si scostò dal cornicione per cambiare posizione, ma nel farlo inciampò su di me. La vidi spalancare gli occhi, sorpresa.
“Tu…”
Un attimo dopo, però, aveva già sostituito la sua espressione con una smorfia accigliata.
Tu! Cosa ci fai qua a poltrire? Dovresti essere giù ad aiutarli!”
 
Dovresti.
 
Sentii il mio ultimo briciolo di sensibilità dissolversi dal mio petto.
Stupendo. Stavo venendo sgridata pure da una bambina di al massimo tredici anni.
“Li sto aiutando.” Borbottai. “Mi sono ‘tolta dai piedi’.” Scandii meglio le ultime parole aprendo e chiudendo la mano a mo’ di bocca, e dando a mini-Frost una vocina deforme e lamentosa.
Momoka sbatté il piede sul pavimento di pietra, facendo risuonare il tacchetto in modo piuttosto minaccioso.
“E li abbandoni così, senza nemmeno aver provato a far qualcosa? Codarda!”
“Ascolta, non…” Scrollai la testa, sconfortata. “Okay, sono una codarda. Ma credi seriamente che io possa combattere contro quel coso?”
“Sei un’allenatrice!” Curioso. Mi sembrava di averla sentita decretare il contrario, non molto tempo prima. “Dovresti almeno provarci!”
 
Dovresti.
 
“Ho un topo viola ed un girino dalla salivazione eccessiva.” Sbuffai, appoggiando il gomito su una gamba e sostenendo il mio mento col palmo della mano.
“…un’allenatrice scadente, ma pur sempre un’allenatrice. Dovresti amare le avventure ed i pericoli che derivano da esse!”
 
Dovresti.
 
C’erano un po’ troppe cose che avrei dovuto fare. Che avrei dovuto essere.
Iniziavo a sospettare di aver compiuto una scelta sbagliata, quando decisi di andare via di casa. Forse la via dell’allenatore era al di là delle mie capacità. Dopotutto, non faceva alcuna differenza se fossi rimasta reclusa in casa o meno. Non se tutto ciò che potevo fare era stare in panciolle e litigare con una bambina dal carattere più forte del mio. Con anni di esperienza nei combattimenti, ed una squadra decisamente più forte della mia.
La fissai senza alcuna espressione particolare.
“Per ora non ho le capacità di affrontare pericoli del genere.”
“Sei solo una—“
“Ma tu sì.”
Si bloccò, senza riuscire a continuare la frase. Scosse frettolosamente la testa, facendo oscillare la matassa di molle dorate che aveva per capelli.
“Non posso usare Reginald. Con il suo peso, se provasse a lottare, precipiterebbe nel fondo del lago.”
Con Momoka fattasi improvvisamente sconsolata, la conversazione raggiunse un punto morto.
Si udì un forte scricchiolio metallico, e la bambina, imbozzolata in un giubbotto di almeno tre taglie in più della sua, corse a sporgersi di nuovo per il parapetto, quasi fosse felice di avere una giustificazione per abbandonare il discorso.
Ma avevo ormai imparato che i silenzi, a volte, valevano più di un intero dibattito.
 
A ridosso del mio pezzo di muretto, infilai le mani nelle tasche, andando a tastare le pokéball. Erano gelide, perciò passai a rigirarmele nelle mani. O forse presi a farlo solo perché loro costituivano una delle poche ancore che mi permettevano di non perdermi nella mia nebbia di pensieri.
Non ero una brava allenatrice. Beh, diciamo pure che ero pessima. Ma sentendo i miei pokemon così vicini, non potevo fare a meno di appoggiarmi a loro, di aggrapparmi alla piccola scheggia di speranza che seppur in modo flebile, ripeteva senza sosta ‘Ci dev’essere un modo.’
Gli angoli delle mie labbra s’incurvarono verso il basso.
 
Glielo dovevo, dopotutto.
 
Ai capopalestra che mi avevano conferito le loro medaglie.
Se fossi morta in un modo simile, senza nemmeno provare a lottare, avrei senz’altro disonorato ciò che quei pezzi di metallo stavano a significare: tutta la strada che avevo fatto, tutta la gente che avevo incontrato, gli allenatori contro cui avevo combattuto, i pokémon e le disavventure che avevo affrontato…
 
A Daisuke, che ogni giorno si preoccupava di tenere d’occhio le riserve di medicinali e rimedi di cui disponevamo e di stabilire il tragitto migliore per giungere alla nostra meta, guidandomi attraverso una regione, un mondo, a me sconosciuti.
 
Ai miei pokémon.
Lo dovevo ai miei pokémon, che mi avevano seguito senza mai contestare le mie decisioni o il modo in cui li trattassi, e senza i quali non sarei potuta sopravvivere fino a quel punto.
Chissà cosa dovevano pensavano di me; un’allenatrice solo di nome, ma non di spirito.
 
Le pokéball avevano assorbito un po’ del mio calore e risultavano tiepide. Sperai che tale differenza fosse tangibile anche per i miei piccoli compari.
Per quanto patetico, quel pensiero mi fece sorridere e, d’un tratto, ebbi l’impressione che si fosse sollevato un grosso peso a livello del mio sterno.
 
Decisi che glielo avrei chiesto.
E che avrei cercato di migliorare. Di diventare più forte, in modo da aver più possibilità di proteggere ciò che meritava di essere protetto.
La torre tremò di nuovo, più come un monito che una minaccia. Feci un bel respiro, stringendo per un attimo le sfere poké.
 
Perché ovviamente i miei nobili propositi sarebbero finiti nel cesso se non fossi riuscita a uscire viva da lì.
 
“Marmocchia.” L’altra sbuffò, ma con meno astio del solito. Era nervosa.
“Mi chiamo Momoka, plebea.”
Mi alzai, raggiungendola. “Madeleyne. Ora, vuoi fermare quel coso?”
“Certo che sì!” Momoka spalancò gli occhi, la cui grandezza, evidenziata anche da quel poco di trucco che si era fatta applicare, mi ricordò quelli delle tante bambole che Nonno Gerald teneva disposte ordinatamente sulla mensola del salotto. Non avevo idea del perché fossero lì, ma fin da piccola non avevano fatto altro che inquietarmi.
“Perfetto.” Compiaciuta, presi a sfregarmi le mani, non riuscendo a trattenere una risata ben poco rassicurante. “Ci sono due possibilità. Nella prima, tu rimani qui a distrarre il serpente evitando di farti mangiare, in modo da permettere a noi tre di aprire un varco nel muro e sgattaiolare via.”
“Pusillanime, manigolda--!” Cercò di schiacciarmi il piede usando il tacco della scarpa, ma mi ritrassi appena in tempo. Seriamente, cosa ci trovavano le persone a pestarmi a suon di tallonate?
“Okay, okay, diciamo addio al piano più semplice.” Momoka incrociò le braccia, cercando di contenersi. “Ora, secondo l’altro piano, dovrai dire al tuo gigantesco e grigio amico di tenere fermo il robot e…”
Nell’aria riecheggiarono dei versi di dolore, che mi costrinsero ad abbandonare il discorso.
 
Avanzai fino al parapetto, sentendo la fronte imperlarsi di sudore. Perché sapevo perfettamente a chi appartenessero. Dopotutto, solo un pokémon, lì dentro, era capace di gracchiare.
Feci appena in tempo a vedere la coda del Gyaridos sparire sotto al ghiaccio, che subito dopo la mia attenzione fu catturata da una macchia nera che si era appena sfracellata al suolo.
Yoru…
Daisuke, che in un primo momento era rimasto immobile, con le mani sulle ginocchia – come se stesse faticando anche solo per restare in piedi – scattò verso il suo compagno, evitando i buchi lasciati dal serpente marino durante i suoi precedenti attacchi. Una volta arrivato sul posto, la sua mano, che era già andata ad infilarsi nella borsa che portava al fianco, si immobilizzò, lasciandomi perplessa.
Ma nel vedere lo stato del pokémon buio, capii.
Dopotutto, le ali dei pennuti non potevano normalmente piegarsi di un’angolatura simile.
Trattenendo a stento un conato, decisi di passare temporaneamente ad un altro soggetto.
 
Nemmeno Frost se la stava cavando così bene. Il ghiaccio dell’ingresso recava segni di tartassamento, ma non abbastanza da poter essere eliminato. Il Beartic non riusciva a concentrarsi per più di una manciata di secondi sul creare una via di fuga che il Gyarados, come se avesse compreso le sue intenzioni, prendeva di mira il suo allenatore, costringendo l’orso ad interrompere il suo lavoro.
La superficie di ghiaccio attorno a loro assomigliava in modo impressionante ad un colabrodo, simbolo dei numerosi attacchi ricevuti. Ma dal canto suo, il Polaretto era perfettamente illeso.
 
Mi chiesi se fosse bravo a pattinare.
E se i Gyarados reali evocassero lo stesso livello di terrore.
Mi risposi che, in entrambi i casi, avrei preferito non scoprirlo.
 
E poi accadde.
Il Sableye di Daikke, che non era ancora capitolato, ricevette una codata in pieno petto che lo fece volare di diversi metri più indietro. Il Gyarados, finalmente liberatosi di quella seccatura, si girò verso il vero problema.
Frost piegò le gambe, pronto a scattare.
Daisuke gli gridò qualcosa, ma le sue parole vennero coperte dal lamento del pokémon meccanico. Mi strinsi nelle spalle, sentendo come se un milione di spilli mi perforassero la pelle.
E poi il mostro, come una molla, si lanciò su Frost, spalancando le fauci.
 
Il Beartic fu abbastanza veloce da poter spingere via in tempo il suo padrone; ma non abbastanza da poter anche contrattaccare. Sotto gli occhi di tutti, l’orso polare venne schiacciato da tonnellate di metallo.
Il Gyarados si ritrasse come se nulla fosse, cercando la sua vittima originaria; nel punto in cui fino a pochi secondi prima s’ergeva il Beartic, ora si trovava un semplice buco nel ghiaccio.
Feci un passo indietro.
Ma fu solo allora, nel vedere Frost che si lanciava in acqua mentre il Gyarados abbatteva in un unico colpo l’unico pokémon rimasto a Daisuke, lasciandolo privo di ogni difesa, che capii di non avere alcuna speranza.
Che mi ero illusa.
 
Qualcuno… qualcuno deve aiutarci!
Con la mano tremante, recuperai il cellulare dalla tasca, adocchiando la barra della connettività.
Due secondi dopo quasi non mi accorsi del tonfo prodotto dal pezzo di plastica contro la pietra.
 
“Madeleyne… il piano?”
La voce di Momoka mi riportò alla realtà. Mi accorsi con vergogna che le mie gambe stavano tremando. La bambina notò il mio disagio, ma invece di prorompere in un’esplosione di pura furia, si limitò a scuotere flebilmente il capo, come se non volesse credere a ciò che stava accadendo, e ripetere:
“M-Madeleyne…”
Il suo tono era quasi timido, quasi disperato; come se mi stesse supplicando di risolvere magicamente tutto, ben sapendo quanto quella richiesta fosse impossibile da realizzare. Sbatté più volte le ciglia, facendomi intravedere il velo umido che stava iniziando a rivestirle gli occhi.
 
Serrai le palpebre, rifiutandomi di piangere assieme a lei. Abbassai la testa.
Non c’era modo di avvertire i soccorsi, ma avevamo bisogno che qualcuno, chiunque, ci aiutasse: il campione della Lega, un altro capopalestra, un allenatore…
 
Riaprii gli occhi. Davanti a me c’erano le mie mani.
Stavo ancora tenendo in mano le pokéball.
 
Strinsi i denti.
 
“C’è sempre una possibilità.” Ripetei, facendomi forza.
Non aveva senso pensare al negativo; se avessi continuato così, non avrei mai trovato ciò che stavo cercando.
Momoka tirò su col naso, stringendo il cappotto di Frost come se fosse in grado di proteggerla da tutto il male del mondo. “Davvero?”
“Certo.” Credo. ”Dobbiamo solo trovarla.”
Adocchiai la buca in cui erano spariti Frost e il suo pokémon.
“Magari potremmo iniziare coll’immobilizzare il bestione. Così forse Frost potrà tornare a galla senza rischiare di essere tramortito.”
La capopalestra prese a giocherellare con le sue dita.
“Forse Reginald può fare qualcosa. Se resta vicino alla torre, dove il terreno è più solido...”
Le dedicai un pollice in su, facendole coraggio.
“Ottimo! E poi, se anche cadesse in acqua, potresti sempre farlo rientrare nella…”
Non ebbi il tempo di terminare la frase, che mi morì il sorriso sulle labbra.
La mia espressione si fece identica a quella di un Magikarp appena pescato.
 
Perché Daisuke era appena scivolato, e il Gyarados, sfruttando l’occasione, si stava proiettando a fauci spalancate verso di lui.
 
“Bloccalo!”
 
Il mostro si fermò, circa ad un metro di distanza dal mio compagno di viaggio, che restò del tutto illeso.
Il mio cuore riprese a pompare sangue.
“Bravo Reggie! Ora portalo qui!” Distolsi lo sguardo da Daikke per osservare la scena: Reginald – il colosso che la capopalestra aveva fatto uscire per primo durante lo scontro in palestra – dopo aver tirato il Gyarados per la coda, lo aveva stretto in una morsa di ferro, limitando i suoi movimenti.
 
“E adesso?” Momoka rimase immobile, spostando nervosamente lo sguardo da me al suo pokémon, che iniziava già ad accusare segni di stanchezza.
Già. E adesso?
Ero riuscita a guadagnare un po’ di tempo, ma se non mi fossi inventata qualcosa, e alla svelta, il Gyarados sarebbe riuscito a liberarsi e niente si sarebbe concluso.
Ma cosa fare?
Frost aveva ragione. I miei pokemon non erano abbastanza forti per affrontarlo, e dubitavo potessero anche solo scalfire quella corazza metallica. Mandare a combattere il pokémon di Momoka sarebbe stato come mandarlo ad affogare, dato che era ovvio che il ghiaccio non avrebbe retto il peso del gigante d’acciaio. E se il Beartic non era ancora riemerso dall’acqua, figuriamoci se ce l’avrebbe fatta lui.
 
“Sinceramente, non ne ho idea.” Cercai di sospirare, ma a causa del groppo che avevo in gola ne uscì fuori un gorgoglio tremante. “Quella corazza è fin troppo resistente. Nonostante tutti gli attacchi che ha ricevuto, non sembra essere minimamente stanco. Forse se avessimo un pokemon elettrico…” Scossi la testa. Quel posto era pieno di acqua e ghiaccio: se avessi provato a mandare in cortocircuito il robot, avrei rischiato di folgorare anche gli altri.
 
Abbassai inconsciamente gli occhi sulla superficie del lago.
Daisuke stava avvolgendo l’ala del Murkrow demoniaco con delle bende pulite. Nonostante sapesse benissimo del pericolo in cui si trovava, procedeva metodicamente, con estrema delicatezza e precisione, seguendo istruzioni che solo lui era in grado di leggere. Terminato il lavoro – palesemente insufficiente, ma impossibile da migliorare in quelle condizioni – sollevò la testa fino ad incrociare il mio sguardo e per qualche secondo restammo in silenzio, a studiarci. Poi lui scosse la testa ed io feci spallucce, entrambi incapaci di formulare uno straccio di piano d’azione.
 
Eravamo una grande squadra.
 
E il Gyarados di certo non stava aiutando, con tutti gli stridii che emetteva da quel buco che si ritrovava per bocca. Stridii piuttosto feroci.
Sembrava arrabbiato.
Il che era illogico, dato che era conoscenza comune che i robot fossero incapaci di provare emozioni.
Ma d’altronde non avrebbero nemmeno dovuto essere capaci di muoversi senza corrente, né avere abbastanza coscienza per dedicarsi all’uccisione di quattro poveri esseri umani…
 
Beh. Non che rifletterci sopra avrebbe cambiato qualcosa: quell’affare era indistruttibile. Non era possibile attaccarlo direttamente sperando di combinarci qualcosa. Occorreva vedere le cose da un punto di vista differente. Iniziai a rovistare fra i cassetti impolverati della mia mente.
Se ci fossimo ritrovati di fronte ad un essere in carne ed ossa, avremmo avuto la vita più semplice. E non mi riferivo alla possibilità di poterci ragionare assieme da un punto di vista emotivo – quel piano si era rivelato fallimentare in fin troppe situazioni. Mi portai inconsciamente una mano alla pancia, facendo una smorfia.
No. Contro un vero pokémon avremmo semplicemente potuto lanciargli contro tutte le pokéball in nostro possesso. E nemmeno con l’intento di catturarlo; essere ficcati a forza in una pallina dai pochi centimetri di diametro e dibattersi per uscirne liberi doveva essere un’esperienza disorientante, se non addirittura frustrante. E soprattutto, ci avrebbe fatto acquistare minuti preziosi.
Mi massaggiai una tempia. Stupido robot.
C’era sempre l’opzione di ingannare il Gyarados, per… farlo schiantare contro una parete?
Come minimo ci sarebbe caduta addosso l’intera struttura, mentre quello ne sarebbe uscito fuori solo ammaccato. Stupido, stupido robot.
Quel suo fisico da serpente doveva pur avercelo un punto debole. Mi balenarono in testa immagini di Snake, il gioco retrò per cellulari di vecchia generazione. Se gli avessimo fatto ingoiare la sua stessa coda…?
Emisi dei suoni nasali non molto regali. Stavo perdendo il senno.
Avevo bisogno di una spinta nella giusta direzione. Di un segno.
 
Mi sentii tirare per una manica, ed abbassai lo sguardo, crucciata.
Mi ritrovai davanti una Momoka intenta nel rigirarsi fra le mani sudate la pokéball del suo pokémon. “Reggie non resisterà ancora per molto…” La sua voce tremava.
“Lo so, ma…” Non mi viene in mente niente. “… ho bisogno ancora di un po’ di tempo. Quel coso è—“
“Va bene.”
Strabuzzai gli occhi. “Come?”
Non mi sarei mai aspettata un atteggiamento così ben disposto da parte sua. La bambina, come se mi avesse letto nella mente, alzò il mento, recuperando un po’ della sua immagine dignitosa.
“Non sembri una persona intelligente.”
“Beh, suvvia—” Battè un piede per terra, zittendomi.
“Lasciami finire!” Tirò su col naso. “Non sembri una persona particolarmente intelligente… ma hai comunque sconfitto il mio Mawile. Mi hai battuto, e usando solo un misero ratto.”
“Ehi!” Il mio occhio fu venne afflitto da un grave tic. Iniziavo a ricordare il perché mi infastidisse.
Quella assunse una tonalità rosata e si voltò da un’altra parte. Sembrava non fosse abituata ad essere ripresa.
“Uffa! Smettila di dare importanza a questi piccoli dettagli!”
“Ti darò dieci secondi per permetterti di rimediare, dopodiché ordinerò al misero ratto di mangiarti il vestito.”
“Bleargh!” Fece una smorfia, arricciando il naso. Ma dopo pochi attimi parve assumere un atteggiamento più mite, perché distolse lo sguardo. “I-intendevo dire che, se ce l’hai fatta allora, puoi r-riuscirci anche adesso.” S’imporporò, iniziando a ciondolare da un piede all’altro. “Forse. Con molta fortuna.”
La fissai, sentendo la mia mandibola cedere di colpo.
Momoka si… fidava?
Sentii i miei zigomi andare a fuoco. Immediatamente i miei pensieri assunsero toni più dimessi.
Dopotutto, era ancora piccola e quindi facilmente impressionabile. E non si poteva paragonare il suo pokémon-piantina-mutante con un androide-dominatore-dei-laghi. Ed ero riuscita a batterla solo per miracolo, perchè il mio cervello era pieno di informazioni inutili sulla cultura videoludica e televisiva e—
 
Voltai la testa con talmente poco preavviso che dal mio collo si udì un crack.
Il Gyarados si dimenava nella stretta del pokémon acciaio, lanciando suoni gutturali ogni due per tre da quella enorme, labbrosa voragine che si ritrovava per bocca.
Bocca incapace di chiudersi.
 
Come si fa nei videogames a sconfiggere un boss impenetrabile dall’esterno?
 
Mi colpii la fronte con il palmo della mano.
Momoka trasalì. “Che stai facendo?!”
Non le risposi, come ignorai del resto il pizzicore alla mano e l’impronta rosa che dovevo aver lasciato sulla cute maltrattata.
Il mio sangue ribolliva di adrenalina pura.
 
“Ho un piano.”
Gli angoli della mia bocca si flessero in un ghigno.
 
Oh sì. Ero definitavemente uscita di senno.
 
“Ho un piano.” Ripetei, tamburellando ritmicamente il piede sul pavimento. Non avevo molto tempo. “Un piano geniale.” Alzai lo sguardo. “No, stupido.” Le rivolsi un sorriso che, a giudicare dall’espressione preoccupata della capopalestra, non doveva essere affatto rassicurante. “Insomma, è perfetto!”
Ma Momoka era ancora scettica. “Cos—“
 
Reginald rilasciò un verso addolorato, allentando la presa sul mostro meccanico. Fortunatamente riprese subito  il controllo, ma era chiaro la povera creatura era sfinita.
Non c’era tempo per le spiegazioni.
Mi voltai di nuovo verso Daisuke, rivolgendogli un pollice un su ed un sorriso sfavillante.
Lui sollevò un sopracciglio.
Io gli rivolsi due pollici in su, ed un sorriso ancora più sfavillante.
La sua espressione s’incupì.
 
Mi allontanai dal parapetto della torre, chiedendomi cosa ci fosse di tanto sbagliato nei miei sorrisi.
“Dove stai andando?” Domandò Momoka, seguendomi.
“A rovinare il rossetto di un Gyraridoo.”
“Gyarados.” Corresse la saputella. “E non hai risposto alla domanda.”
Feci un paio di saltelli, per poi passare a compiere delle torsioni sul posto. “Te l’ho detto, vado— bah, lascia perdere.” Non avevo intenzione di far preoccupare la bamboccia ulteriormente.
E poi, c’era qualcosa di più importante che dovevo dirle.
“Senti, fammi una promessa.”
Momoka mi studiò, per nulla convinta. Ma all’ennesimo urlo del suo pokémon, annuì velocemente.
“Se riesco a fermare quel coso… o se, fallendo, avrò dilettato così tanto gli déi da fargli considerare di accettarmi come vittima sacrificale in cambio della vostra salvezza…” Ripresi fiato. “Restituisci la medaglia a Daikke, intesi?”
A quel punto la mia interlocutrice assunse un colorito rosato e abbassò lo sguardo, non so se per l’offesa o per la vergogna. Ricevetti per risposta un piccolo ‘Okay’ borbottato.
Presi la mira. Mi fermai.
“E magari, già che ci sei, cerca di far sì che quel pazzo omicida dai capelli azzurri finisca dietro alle sbar—“
 
In lontananza sentii la voce di Daisuke che mi chiamava, e anche piuttosto insistentemente.
Doveva – finalmente! – aver riconosciuto la genialità del mio piano.
Non mi aspettavo di certo di veder la sua faccia sbucare fuori dalla rampa delle scale. Faccia per niente felice, fra l’altro.
 
Uh oh.
 
Lui aprì la bocca.
Io sbattei le ciglia con tanto di sorrisino nervoso.
Poi corsi via in preda al panico, balzai sul parapetto e mi scaraventai dritta verso il Gyarados.









~ Author's Corner ~
Ciao a tutti. Mi chiamo Cottage e soffro di Sindrome da Procrastinazione e Sensi di Colpa. E' una malattia molto grave, ma affligge circa tutta la popolazione, per cui mi appello umilmente al vostro senso di cameratismo quando dico che sono profondamente dispiaciuta per tutto il tempo che ho lasciato passare prima di pubblicare questo capitoluccio.
Capitoluccio lungo 26 pagine. Vogliate scusarmi anche di questo. Vi consiglio di leggerlo durante le ore di storia. O geografia. O storia dell'arte. A meno che, uh, non siano le vostre materie preferite.
Mmh. Vi vorrei fare gli auguri per qualcosa, ma non ci sono festeggiamenti in corso. Quindi mi limiterò ad augurarvi buona fortuna con lo studio, con le relazioni sociali (che possono essere ben più stressanti) e con il cercare di convincere vostra madre a permettervi di 'lasciare il nido' per poter inseguire il vostro sogno di diventare allenatori di pokémon IRL in compagnia del vostro amico Pokémon Go.
(Grazie Nintendo)
Un ciaone a tutti ♪

Ps: mia sorella mi fa violenza psicologica perchè non ho ancora corretto il problema dell'età dei personaggi. In prima stesura dovevano avere sui 13 anni, ma dai loro comportamenti ciò non è realistico. Quindi risolverò la cosa rivelandovi che secondo la nuova disposizione--> Maddy (16), Daikke (quasi 17), Kakeru (16), Desirée (17), Jack (19), Frederick (18), Kazeki (19), Hiro (20), Frost (19).
...giuro che prima o poi modificherò i capitoli. E finirò la fic.
   
 
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