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Autore: Thiliol    06/04/2016    1 recensioni
Galmoth non ha più nulla, nè onore, nè titolo, nè ricchezze, nulla se non la sua piccola nave da contrabbandiere e Laer, la figlia del suo migliore amico morto anni prima. Laer è giovane e ha la testardaggine di una ragazzina, ma non ha mai smesso di sognare i sogni di quando era bambina.
E poi c'è Silevril, il figlio di un amore morboso che vorrebbe solo andare per mare e che invece sconvolgerà le vite di entrambi.
Galmoth osservò con sguardo inquisitore l'elfo che gli stava di fronte:era nato e cresciuto a Dol Amroth e lì non era raro imbattersi nei Priminati e conoscerne anche qualcuno, ma quel Silevril aveva qualcosa di diverso, come un fuoco latente in lui. Non era come i Silvani che sempre più spesso salpavano da lì, diretti alle loro terre al di là del mare, riusciva a percepirlo chiaramente: riconosceva un elfo di alto lignaggio, quando lo vedeva.
< Dici che vuoi metterti al mio servizio? >
< Desidero solo il mare e la compagnia degli uomini, inoltre, la tua nave è meravigliosa. >
Galmoth rise, strofinandosi il mento sporco di barba non rasata.
< Sei un elfo ben strano, Silevril. >
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Finrod Felagund, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Narn o Alatariel ar Aeglos'
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To what you receive is eternited leave

 

 

 

Finrod estrasse il pugnale con un movimento rapido, quasi felino. Sapeva che avrebbe dovuto spostarsi, difendersi in qualche modo, ma non riusciva a muovere nemmeno un muscolo, la sua mente era come intrappolata in un ciclo in cui il volto serio e bello di Finrod Felagund si sovrapponeva a quello delicato, fanciullesco, di Laer… e poi diventavano entrambi Alatariel, con gli occhi scuri come il mare di notte che lo fissavano con delusione.

Cosa hai fatto, Silevril?

Attese di essere trafitto, perché alla fine era giusto così, perché sapeva benissimo, così come lo aveva capito lo stesso Finrod, che qualsiasi cosa fosse rimasta in lui era ben lontana da qualsiasi possibilità di salvezza e che aveva perduto se stesso nell’esatto momento in cui aveva varcato la soglia della casa in cui si trovava Rùth.

Ma il colpo non arrivò.

Ci fu una luce accecante e uno scoppio che fece volare Finrod contro il muro. Sentì il suo grido, ma non poteva fare niente per lui.

Laer e Galmoth erano per terra, l’uomo faceva scudo alla ragazza con il proprio corpo e guardava alla sua destra.

Silevril seguì il suo sguardo e quel qualcosa che lo aveva tenuto bloccato sembrò sciogliersi, allo stesso modo di una cima quando si lascia il porto.

Era Rùth ed era proprio di fronte a lui, con una mano alzata davanti a sé  e quel sorriso seducente a cui non poteva resistere. Ma era diversa: i ricci rosso fuoco erano scomparsi, cadevano sulla sua schiena scomposti, lisci e di un nero spento, quasi grigio, il suo corpo formoso e invitante appariva rattrappito, magro come qualcuno che non mangia da settimane e la veste nera che indossava ne amplificava il pallore. Eppure era lei e il suo viso era bello come sempre e il sorriso lo teneva avvinto.

Corse da lei e la prese tra le braccia, baciandola a lungo. Non sapeva cosa stava facendo, non capiva cosa quella donna rubasse dal più profondo di lui, ma non gli importava.

< Amore mio, mio amato Silevril, > disse lei, con voce di miele.

Finrod era poco distante e si rialzava a fatica, tenendosi una spalla dolorante.

< Silevril, allontanati da lei! >

Istintivamente i suoi piedi lo portarono verso l’elfo, il comando era troppo diretto, troppo forte… il tocco della mano di Rùth sul suo polso che lo tratteneva sembrava bruciare.

C’era potenza, in Finrod Felagund, e alla sua voce non poteva sottrarsi.

Rùth alzò di nuovo la mano e ne scaturì una luce intensa. Laer gridò.

Ma Finrod non ne veniva toccato, anzi, sembrava lui stesso brillare ancora più luminoso di Rùth, tanto che Silevril dovette coprirsi gli occhi; la figura dell’elfo era sfolgorante e i capelli dorati rilucevano come stelle.

Si gettò a terra di fronte a quella visione, con le mani sopra la testa. Il ciondolo attorno al suo collo sembrò diventare rovente e lui urlò più forte che poteva, finché non gli fece male la gola.

< Elbereth, salvami! > si sentì gemere, ma la luce aumentò e il ciondolo era ormai come lava contro il suo petto.

Chiuse gli occhi e le figure scintillanti di Finrod e di Rùth vennero sostituite con quella di Uinen. Era vestita di azzurro e piangeva. Le sue lacrime inondavano la stanza, mentre i suoi capelli si diramavano in ogni direzione, avvolgendolo, soffocandolo. Non riusciva a respirare, non riusciva a sopportare la vista delle lacrime della Maia, ma aveva paura che riaprendo gli occhi si sarebbe trovato di nuovo di fronte alla potenza di Finrod e alla luce che veniva da Rùth.

< NO! > gridò più forte che poté e Uinen scomparve.

Sentì Rùth che veniva sbalzata via e lentamente aprì gli occhi. Finrod era tornato il solito elfo dalle sembianze fin troppo umane, con la sua divisa da gondoriano e i lungi capelli biondo cenere, mentre Rùth era accasciata sul lato opposto, svenuta e bellissima, con i suoi ricci rossi e i seni pieni.

< Galmoth, vieni, aiutami a legarla, > disse l’elfo ansimando leggermente, < Laer, corri al presidio della porta al primo livello e porta qui tre guardie. >

Laer ubbidì, ma mentre usciva lanciò uno sguardo verso Silevril, ancora inginocchiato sul pavimento, con le mani alla testa e il volto sconvolto.

Finrod e Galmoth sollevarono Rùth e le legarono i polsi prima di adagiarla su una sedia.

< Cosa è successo qui? > domandò Galmoth. La sua voce era roca e nervosa.

< La magia di questa donna è antica e malvagia, ho dovuto usare tutto il mio potere per sovrastarla. Sono passati molti e molti anni da quando vidi qualcosa del genere e comunque mai in altri che nei servi di Morgoth. Ma in Gondor c’erano Uomini che praticavano la magia e la negromanzia… Numenoreani Neri, li chiamavano. >

Finrod si voltò e si accorse di lui, ancora per terra, con le mani sulla testa e le lacrime agli occhi, ansimante.

Lo guardò a lungo, stringendo le labbra, prima di avvicinarsi e accovacciarsi di fronte a lui, faccia a faccia.

Riusciva a sentirne il profumo, lieve come brezza di terra.

Finrod gli prese le mani, scostandogliele delicatamente, e poi posò il palmo contro la sua guancia. Il suo tocco era caldo e soffice.

< Silevril, > lo chiamò piano, come se si stesse rivolgendo a un bambino, < puoi sentirmi? >

Sì, avrebbe voluto dire, ti sento, ma non riesco a parlare.

Si sentiva paralizzato, la testa ancora piena della visione di Uinen, le orecchie che fischiavano dopo tutte quelle urla.

Lo sguardo di Finrod si spostò sulla pietra al suo collo, ora fredda e inanimata. Fece per toccarla, ma cambiò idea e ritrasse la mano, sospirando pesantemente e tornando a concentrare la sua attenzione su Rùth e su Galmoth che controllava i nodi ai suoi polsi.

Si alzò, ma con uno scatto Silevril gli afferrò il polso, impedendogli di allontanarsi.

< No, > sussurrò, < ci sei solo tu tra me e… qualsiasi cosa mi stia portando via. >

Finrod si sedette sul pavimento, scrutandolo.

< Cos’hai visto? >

< Lei mi ha baciato e ha preso qualcosa da me… Finrod, anche ora la desidero con ogni muscolo del mio corpo, anche se la mente è altrove, anche se la mente vuole… altro… >

< Altro? > chiese, ma Silevril lo ignorò.

< Uinen ha tentato di salvarmi, ma non ci è riuscita > rise amaramente, < sono sempre stato fin troppo testardo e avevo la presunzione di essere indistruttibile. >

Mise una mano dietro la nuca del Noldo, avvicinando i loro visi finché le fronti non si toccarono.

< Vorrei che mio padre fosse qui, vorrei poter sentire lo spirito di mia madre dentro di me, vorrei non desiderare di uccidere te e Galmoth e Laer solo perché me lo ha chiesto lei … vorrei che  il potere del Tesoro di Ulmo non mi corrodesse dall’interno… >

< Puoi opporti. Dammi la collana. >

< No. > Si allontanò con un sospiro, < Non capisci, mio signore? Ormai è legata a me, Uinen mi ha parlato. Devo solo trovare la forza di non volgerla al male. >

Finrod lo fissò, senza parlare. Il viso dell’elfo era stanco, terribilmente umano. Gli sembrava di fissare un mortale nella seconda metà della sua vita, con rughe profonde sulla fronte, fili argentei tra i capelli, la traccia appena visibile della barba sulle guance e sul mento. Ma i suoi occhi erano antichi e percepiva il loro potere come una mano sulla spalla.

Non sapeva cosa gli passava per la testa, ma sentiva che avrebbe dovuto appigliarsi a qualcosa, una qualunque, per ricordarsi che era Silevril e che non era perso tra le ombre dei capelli di Uinen o nel corpo caldo di Rùth.

Finrod era lì, lo attraeva fatalmente, si sentiva legato a lui da qualcosa che non sapeva spiegarsi, a metà tra la paura e il desiderio.

Lo afferrò ancora per la nuca, con forza, ma lui gli resistette. Aveva le pupille leggermente dilatate e una minuscola goccia di sudore sopra il labbro.

< No > lo sentì sussurrare, < non è questo il modo. >

< Allora sono perduto. >

Chiuse gli occhi e le lacrime gli rigarono il volto.

 

 

Galmoth cercava di rimanere chinato il più possibile sulla donna, stringendo le corde attorno ai polsi e alle caviglie, facendo di tutto per non guardare verso i due elfi. Se ne stavano accovacciati sul pavimento, vicini come amanti, con le fronti che si toccavano.

Pensava a Laer e al modo in cui aveva guardato Silevril fin dal primo momento della loro conoscenza, come diventava rossa quando l’elfo la stuzzicava con battutine sarcastiche. Era felice che non fosse presente e si augurò che quei due la smettessero prima del suo ritorno.

Era ovvio che Silevril non era in sé e il ricordo dello sguardo che gli aveva lanciato poco prima gli dava ancora i brividi. Non credeva che avrebbe potuto avere paura di lui, invece era rimasto quasi paralizzato dal terrore.

Una parte di lui si chiedeva se Rùth non avesse semplicemente risvegliato qualcosa che l’elfo aveva sempre avuto dentro.

Il cigolio della porta di ingresso e un rumore sordo di passi annunciarono il ritorno di Laer.

Finrod Felagund sembrò destarsi improvvisamente e si allontanò con un movimento brusco da Silevril, scattando in piedi e lasciando l’altro che rimase nella stessa posizione, con il volto bagnato di lacrime.

Laer entrò seguita da tre uomini con la divisa delle Guardie della Cittadella.

Con uno sguardo confuso videro prima la donna svenuta e legata sulla sedia, poi l’elfo piangente sul pavimento, infine fissarono il loro comandante.

< Questa donna è a capo dei ribelli che stavamo cercando, > disse Finrod in fretta, < è pericolosa e non deve essere assolutamente lasciata da sola o slegata. Per nessun motivo dovete ascoltare le sue parole, se potrà vi ucciderà, sono stato chiaro? >

Quelli annuirono.

< Galmoth, ti prego, rimani qui a vigilare su di lei. Il sole è già alto e io devo riferire ciò che ho scoperto al Re. Laer, aiutami a portare Silevril con noi. >

Galmoth osservò mentre Laer si inginocchiava di fronte a Silevril e gli prendeva la mano.

< Vieni, > disse dolcemente, come se si trovasse di fronte un bambino piccolo. Lui la guardò stupito per un secondo, poi la riconobbe e sorrise.

< La piccola Laer, > disse.

< Sì, proprio lei. Dai, alzati, andiamo dal Re, lui saprà cosa fare. >

Con grande stupore di Galmoth, Silevril si alzò e si asciugò gli occhi. Sembrava perfettamente normale, il solito elfo con il viso da ragazzo e gli occhi di ghiaccio che aveva imparato a conoscere e amare.

Si scambiò una fugace occhiata con Laer, mentre  uscivano insieme a Finrod, un’occhiata che voleva dire stai attenta ma che sembrò diventare una specie di saluto.

Un brivido gli attraversò la schiena, mentre guardava la treccia della ragazza sparire oltre la porta.

 

 

La sala del trono non era come l’aveva immaginata. C’era bianco dappertutto, accecante sotto il sole del mattino che entrava dalle finestre. Si sentiva come in un sogno ad occhi aperti e se per un istante era riuscito a ritrovare la lucidità – gli occhi verdi e limpidi di Laer, le sue lentiggini su tutto il viso, la voce un po’ più bassa di come ci si potrebbe aspettare da una ragazzina come lei – ora l’aveva perduta nuovamente.

Il Re stava parlando con Finrod.

Finrod lo chiamava Estel, lo guardava con l’amore di un padre, gli spiegava che qualcosa di oscuro era all’opera. 

Beruthiel, diceva, i Numenoreani Neri sono tornati, vogliono il trono degli Uomini, ma non riusciva davvero a seguirli.

Sentiva la gemma pulsare e se chiudeva gli occhi, Uinen era lì, e Rùth era lì (Beruthiel? Avrebbe forse dovuto sapere di chi si stava parlando?) e lo tiravano ognuna verso una direzione.

Era un po’ come essere diviso in due, un po’ come non sapere davvero se si è buoni o cattivi.

Solo tu puoi riportarmi a casa

Solo tu puoi usare la gemma, sollevare l’Anduin su Minas Tirith

Silevril, riportami a Dol Amroth, vieni con me

 

Entrambe parlavano nella sua testa come se stessero sussurrando nelle sue orecchie ed era meraviglioso e terribile.

Si portò una mano alla gola, afferrando il ciondolo a forma di goccia. Era freddo come l’acqua profonda le mattine d’inverno, quando si tuffava dalla scogliera per dimenticare che sua madre era andata via, nuotando finché non gli mancava il respiro, finché non si sentiva intirizzito fin dentro le ossa.

Si piegò su se stesso e, istintivamente, cercò Laer al suo fianco. La ragazza gridò qualcosa, lo sorresse quando si accasciò, incapace di distinguere la realtà dalle voci nella sua testa.

La sentì pronunciare il suo nome, sentì Finrod accorrere, seguito dal Re, mentre una luce azzurra accecante li avvolgeva. Avrebbe voluto aprire gli occhi, ma non ci riusciva.

< Silevril è perduto nelle profondità del Mare > si udì dire, ma avrebbe anche potuto essere tutto un sogno.

 

 

Non era riuscita a mettere nemmeno un piede sulla banchina di legno, prima di finire in acqua.

L’Anduin sembrava impazzito, grosse rapide si erano formate improvvisamente sulle sue acque normalmente tranquille, gettando nel panico i marinai, rovesciando le imbarcazioni che scaricavano le merci sui Campi del Pelennor. Onde alte il doppio di lei si abbatterono sul porto, trascinando tutti tra i flutti fangosi.

Alatariel tentò di aggrapparsi a qualcosa, ma invano. Gridò il nome di Aeglos, ma la mano di lui era scivolata via dalla sua quando l’acqua si era abbattuta su di loro.

La Stella Marina si rovesciò. Sentiva le urla intorno a lei e non poteva farci nulla.

Riemerse a fatica, annaspando per trovare aria, per poi essere sommersa di nuovo e ancora lottare per respirare.

Si sentì afferrare e trascinare verso riva con decisione.

< Ti tengo! > gridò Aeglos, aggrappato ad una delle strutture in pietra del molo.

A fatica riuscì a tirarsi fuori e si ritrovò tra le braccia di suo marito.

< Stai bene? > chiese frenetico, nel panico, < Sei ferita! > le toccò la nuca e guardò ad occhi sbarrati il sangue sulle dita.

< Non è nulla, Aeglos, solo un graffio. >

Si abbracciarono e l’elfo sembrò quasi volerla soffocare nell’impeto.

< Non spaventarti, non mi sono fatta nulla. >

La verità, anche se tentava di rassicurarlo, era che il terrore per un attimo l’aveva sopraffatta esattamente come aveva sopraffatto lui. Aveva creduto di perderlo, in mezzo a una tale furia.

Le onde continuavano ad abbattersi su di loro, mentre si alzavano e si allontanavano correndo verso i cancelli della Città. Decine di uomini e donne correvano con loro, urlando e spingendo.

Per un secondo il pensiero del ragazzino, Barry, e dell’uomo di Rohan la fecero quasi inciampare e sarebbe caduta se Aeglos non l’avesse sostenuta. Forlond era anch’egli sparito nel Grande Fiume quando la Stella si era ribaltata. Si scoprì a pregare i Valar perché fossero vivi, tutti e tre.

Avrebbe voluto piangere.

 

 

Rùth era in piedi di fronte a lui. I tre soldati giacevano morti intorno a lei, come macabre decorazioni.

Era bellissima e terribile e lo stava guardando con occhi di fuoco.

Era successo tutto talmente in fretta: Rùth aveva aperto gli occhi e aveva pronunciato strane parole; gli uomini di Gondor, prima che Galmoth potesse muovere anche un solo muscolo, avevano rivolto la loro spada contro se stessi e si erano trafitti, poi Rùth si era alzata, nessuna corda a tenerle i polsi e le caviglie, il suo irresistibile sorriso e i boccoli invitanti sui lati del viso.

< Mio caro Galmoth, > aveva detto con voce di miele, < che stupido sei stato a sottovalutarmi. Finrod Felagund è accecato da se stesso e non capisce nient’altro che non sia il suo potere. Ma io ho la magia dell’Oscuro Signore dentro di me. >

Sollevò una mano con il palmo verso l’alto e fece comparire dal nulla una sfera di nera oscurità.

Un gatto bianco era dietro di lei, con sguardo maligno. Da dove fosse entrato, Galmoth non avrebbe saputo dirlo, sempre che l’animale non fosse sempre stato lì.

< Sì, mio caro, > disse Rùth al gatto, rispondendogli come se quello avesse parlato a parole, < Ogni cosa è al suo posto. >

Lanciò la sfera di oscurità con un movimento fluido proprio contro di lui, immobile e senza via di fuga.

Quando lo colpì, le tenebre scesero anche su di lui.

 

 

Al Cancello la calca bloccava il passaggio e la gente spingeva per entrare.

L’Anduin continuava ad ingrossarsi e presto le sue acque avrebbero invaso anche la prima cerchia della Città, trascinando via i suoi abitanti.

Fradicia e sanguinante, si teneva aggrappata a suo marito, terrorizzata al solo pensiero di essere separata da lui di nuovo. Aveva perso suo figlio, perdere anche lui sarebbe stato troppo da sopportare.

Improvvisamente Aeglos lanciò un grido.

La folla guardava verso l’alto, puntando il dito verso la parte più alta della Città, dove le mura si fondevano con la piazza e assumevano la forma della prua di una nave.

Una figura solitaria era lì in piedi, in bilico sul ciglio dello strapiombo, le braccia sollevate sopra la testa da cui si sprigionava un bagliore azzurro intenso, che si diramava fino al Fiume.

Alatariel riconobbe i suoi capelli neri spettinati, la figura asciutta, la postura sprezzante da ragazzino. Il suo cuore mancò un battito e si strinse ancora di più contro l’elfo che le stava accanto.

< Silevril, > sussurrò Aeglos, incredulo.

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

In questo capitolo è successo di tutto, talmente di tutto che ho il fiatone. Ho preso in prestito il titolo, ancora una volta, dai miei amati Massive Attack, in particolare dalla splendida “Splitting the Atom”. A volte mi chiedo se la connessione tra il titolo e il capitolo la capisco solo io nella mia mente contorta o se alla fine ci capite qualcosa anche voi…più probabile la prima ipotesi. A presto!

Lunga vita e prosperità

Thiliol

   
 
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