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Autore: Pauline MillerEunaNotte    06/04/2016    1 recensioni
“Lo sai che per me è troppo amaro questo tipo di caffè.”
“E mettici lo zucchero.”
“Con lo zucchero diventa dolce, ma resta lo stesso amaro.”
Come la nostra amicizia, riflettè Mai.
“Vuoi un bacio?”, chiese Kanami.
Ma che...? Non sto sbarrando gli occhi, vero? Non li sto sbarrando? la professoressa quasi si strozzò con la sua stessa saliva, che non riusciva a deglutire, prima di accorgersi che...
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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CAPITOLO III

CHAPPELOISE

 

 

 

Non appena salita sull'autobus, completamente deserto, mi lasciai cadere a peso morto in uno qualsiasi dei sedili azzurri a righe gialle, il primo che mi capitò a tiro, e mi lasciai sfuggire, finalmente, il sospiro che avevo trattenuto nell'ultima mezz'ora e che mi stava pesando come un macigno sulla bocca dello stomaco.

Esalato il tanto rimandato sospiro, però, la situazione non migliorò affatto e il peso opprimente non si era per nulla alleggerito. Cominciavo invece ad avvertire una sorta di nausea, e il mio colorito era evidentemente peggiorato, tanto che l'autista mi fissava tramite lo specchietto retrovisore con evidente preoccupazione, forse anticipando col pensiero l'immagine dello stato in cui avrei potuto ridurre i suoi preziosi sedili alla prima frenata, o forse chiedendosi se la sua guida fosse così pessima da far venire la nausea ad una passeggera ancora prima di mettere in moto.

Come era potuta succedere, in così poco tempo, una variazione così radicale nella mia giornata? Ero passata dalle stelle della danza “mignolo a mignolo” con Sae, alle stalle dello sconforto, e precisamente la mia ubicazione in quelle stalle pareva essere in pericolosa prossimità alla coda di un bovino che aveva ruminato parecchio.

Anch'io in quella mezz'ora avevo quasi ruminato, solo che invece che far passare il cibo attraverso quattro stomaci, avevo pensato e ripensato alle stesse cose, facendole passare e ripassare, per così dire, attraverso quattro cervelli. Non era, del resto, una cosa inusuale per me. Purtroppo.

La professoressa Ojiwara non si era fermata molto con noi dopo essersi rivelata a Sae come l'insegnante referente dal Club, anzi era partita, alla volta di altri club da supervisionare, subito dopo averci confermato che... non si ricordava affatto di me. Questa notizia non aveva fatto altro se non ricordarmi, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la mia assoluta irrilevanza in questo club, in questo istituto e in questo universo e, sebbene in linea teorica avessi dovuto essere ormai abituata da tempo alla sensazione, non era certo una stata una cosa piacevole.

Provato un altro paio di volte l'An Dro, in modo che rimanesse bene impresso nella mente (e nei piedi) della nuova iscritta, la Presidentessa decise di passare ad un'altra danza base del nostro repertorio, la Chappeloise. Qui si pose per la prima volta, in relazione a Sae, la questione del sesso, e in termini nettamente diversi a quello che poteva aver significato fino ad allora, per me, “la questione del sesso” riferita al mio (al momento, immaginario) rapporto con Sae.

Non si trattava infatti di faccende inerenti a piccole e curiose dita che sfioravano con delicatezza il bordo in pizzo di un candido reggiseno bianco, tracciandone il contorno più e più volte e generando piccoli brividi di desiderio, né di questioni relative ad altrettanto piccole e maliziose dita che scorrevano avanti e indietro lungo l'elastico interno di un reggiseno rosa rivelando a poco a poco il contatto con le calde e soffici curve che vi erano segretamente custodite.

Non si trattava di bocche che si assaggiavano, di lingue che si esploravano, non si trattava nemmeno del sapore dolce e salato che si poteva scoprire sulla pelle sotto la gola, poi lungo il lato del collo, poi sulla clavicola, né in nessuno degli altri punti che si potevano raggiungere proseguendo il percorso.

Non si trattava di temperatura che aumentava, di biancheria che improvvisamente diventava troppo scomoda, troppo d'impiccio, troppo superflua; non si trattava della voglia di farsi leggere, nel buio, il corpo con le mani, come potrebbero fare due cieche alle prese con un appassionante libro in braille da divorare nel breve spazio di una notte.

Non si trattava di queste faccende né di nessuna delle altre simili che mi avevano tenuto sveglia durante quelle notti in cui io mi stupivo dei miei stessi pensieri e desideri, quasi come se un'altra me stessa si stesse impadronendo poco a poco di me.

Si trattava invece, molto più banalmente di una questione coreografica.

Di che sesso era Sae? Questa non era poi una domanda così balorda, da un punto di vista tersicoreo: se un ballo è danzato a coppie, solitamente i due partner eseguiranno movenze diverse tra loro e uguali a chi ricopre la stessa posizione in ogni altra coppia. E questi ruoli di solito vengono chiamati “l'uomo” e “la donna”: un po' perché tradizione vuole che le coppie siano composte da persone di genere diverso e un po' perché usare ogni volta una terminologia diversa (es. “persona che all'inizio del ballo stava a sinistra”) sarebbe un po' più scomodo.

Nel club eravamo sei, e le parti da uomo erano sempre state interpretate, oltre che dall'unico maschio “vero” (a cui, poco democraticamente, non era stata data alcuna facoltà di scelta), da una delle gemelle Shirakawa (non capivo ancora quale, nè se fosse sempre la stessa, perché non riuscivo ancora a distinguerle: erano identiche ed inquietanti almeno quanto quelle di “Shining”) e dalla Presidentessa. Hiro-senpai però si chiamò fuori dai giochi: non si poteva ballare una danza a coppie in un numero dispari di persone, ed era compito del leader spiegare i passi alla nuova arrivata e supervisionare il risultato complessivo. Il suo ruolo da “uomo” doveva pertanto essere colmato da qualcuno e la scelta più ragionevole era inserire al suo posto Sae che, dovendo imparare la danza da zero, poteva indifferentemente essere avviata all'uno o all'altro ruolo.

Si vedeva però ad occhio nudo che Sae non era troppo entusiasta del ruolo maschile assegnatole, e il suo viso angelico, che, dopo le faticose ripetizioni dell'An Dro, si era parecchio accaldato ed aveva così assunto una deliziosa sfumatura rosata sulle guance, si corrucciò.

“Senti, Hamada-senpai”, disse, rivolta alla Presidentessa. “Magari, per questa danza, io salterei, balla pure tu al tuo solito posto”.

“Non se ne parla nemmeno! Tu devi imparare la Chappeloise, e non la puoi assimilare solo guardando. Quindi oggi tu balli, e io spiego. E non ti preoccupare, ti prometto che salterai! Ma durante la danza, come un grillo! Eh, eh! Garantito!” rispose Hiro, strizzando l'occhio buono.

“Ma...” iniziò a protestare Sae, ma subito la Presidentessa le tese una mano da cui penzolava una striscia di tessuto bianco e bordeaux.

“Ecco una cravatta del Makarekawa, indossala prego. La usiamo per le ragazze che ballano la parte da uomo, altrimenti si crea confusione e non si capisce 'chi-deve-fare-cosa'... E' totalmente gratis, offerta dal Preside in persona!”

L'espressione di Sae non era molto convinta e la sua mano stava palesemente esitando nel protendersi per afferrare la cravatta che, forse, non le sembrava un accessorio adatto alla sua immagine, o al suo animo.

Hiro-senpai capì che si stava verificando qualche tipo di problema, e ritenne necessario fornire ulteriori delucidazioni. “Sai, forse non è tanto ovvio, ma in realtà il fatto di dover ballare la parte di un genere diverso a volte provoca dei veri e propri incidenti! Persone che non sanno più se stanno ballando la parte maschile o femminile... crisi di identità!!! E perciò non capiscono più se devono andare verso destra o sinistra e si schiantano le une contro le altre... Questo lo capirai meglio quando balleremo, allora converrai con me che un segno di riconoscimento è indispensabile... per il corretto svolgimento della coreografia.”

Ma Sae non era ancora persuasa.

Di colpo mi balenò nella mente il pensiero che essere obbligata ad accettare un ruolo controvoglia l'avrebbe soltanto scoraggiata e avrebbe reso più sgradevole la sua partecipazione al club, che, fino ad un momento prima, non sembrava pesarle così tanto, benchè fosse stata assegnata come una punizione. E questo non giocava certo a mio favore, perché poteva abbreviare o rendere meno gradevole il tempo che avevamo occasione di trascorrere insieme. Questo pensiero mi turbò incredibilmente: il giorno prima mi era stata data dal destino, impersonificato nella professoressa Ojiwara, un'opportunità, e il giorno seguente la sorte, sotto le mentite spoglie di Hiro Hamada, stava già facendo vacillare questa piccola chance che avevo di poter frequentare da vicino la ragazza dei miei sogni.

Improvvisamente risoluta, feci una cosa che non avevo mai fatto.

Senza pensarci una seconda volta, agii.

D'impulso.

Con uno scatto in avanti, afferrai con due mani la cravatta della discordia. “Dunque, beh... ehm, è un po' che pensavo che... forse... potrei imparare io la parte maschile. Ecco, magari... se qualcuno un giorno è assente... se conosco entrambe le parti... potrei servire come un jolly e ballare nel ruolo che serve... quel giorno intendo...”

La Presidentessa mi fissò in modo strano. Anche se il suo sguardo era sempre un po'... eccentrico, in quel momento mi sembrò ancora più inconsueto, anche se non capii il perché: non era un'espressione cattiva, arrabbiata o contrariata, o sbalordita, ma la registrai comunque come una anomalia nel suo consueto modo di guardarmi.

“E sia”, accordò infine infilandomi la cravatta. “Ecco il nostro nuovo uomo!”

In quell'istante sentii dentro di me la calda sensazione di aver guadagnato mille punti nella considerazione che Sae doveva avere di me: non solo avevo fatto un gesto per uscire dall'anonimato, un'azione che non era trasparente e che mi aveva invece posto al centro della scena per un attimo, ma avevo anche salvato la fanciulla dei miei sogni dalla sua temporanea difficoltà! Questo atto eroico doveva per forza avere un qualche tipo di valore!

Mi sentivo intimamente molto soddisfatta. Persino Miss Universo, pensai, nel momento in cui le avevano infilato la fascia che la consacrava come la donna più bella del mondo, sicuramente era stata meno felice di me in quell'attimo in cui Hiro mi aveva infilato l'orrenda cravatta del nostro istituto, decretandomi un “uomo”.

Ma la sensazione di felicità, in un attimo, si capovolse.

Appena finita la spiegazione del ballo e compiuti un paio di giri di prova, Hamada-senpai accese la musica per danzare sul serio e lì cominciarono i guai. La Chappeloise si ballava a coppie, disposte l'una dietro l'altra lungo un cerchio. All'interno della coppia si eseguivano gli stessi movimenti in maniera più o meno speculare al proprio partner e, dopo ogni sequenza, l'uomo faceva piroettare la donna in direzione dell'uomo retrostante, e in questo modo le coppie si mescolavano. E poiché stavamo ballando in sei, mi sarei quindi ritrovata a ballare con Sae ogni tre giri.

Il problema fu che in virtù del mio repentino “cambio di sesso” dovevo eseguire movimenti inversi a quelli che la mia parte da donna aveva sempre previsto fino a quel momento. Mi ritrovai perciò a sbagliare ripetutamente, sbattendo contro la mia partner del momento, dimenticando di farla girare, dimenticando di lanciarla all'indietro e quindi scombinando il gioco all'incastro dei cambi di partner e mandando così in tilt l'intero meccanismo della danza al punto da dover fermare la musica per impossibilità di proseguire.

Ero diventata l'esempio vivente di quel problema al quale aveva accennato la Presidentessa parlando con Sae: ero in crisi di identità danzatoria, a causa mia si creavano ingorghi di persone vaganti che non formavano più coppie complete, ma rimanevano singole metà disperse in angoli remoti del cerchio (ammesso che un cerchio possa avere angoli).

Cercavo di concentrarmi sui nuovi passi da eseguire, ma bastava un attimo di distrazione per lasciare che il mio corpo eseguisse in modalità pilota automatico i vecchi passi a cui lo avevo con pazienza addestrato in precedenza: e purtroppo i momenti in cui la mia mente si deconcentrava con più facilità erano quelli in cui mi ritrovavo in coppia con Sae.

Ecco che Touya, davanti a me, dopo avere ballato con Sae, me la “recapitava” tramite una piroetta: Sae era “mia” per un turno, ora, finalmente! Un attimo di gioia nel ballare i primi passi mano nella mano con lei, una sensazione di evanescente felicità e, -sbang- di colpo durante i saltelli laterali prendevo la direzione sbagliata e le cozzavo contro con il fianco. Costernatissima, chiedevo scusa e incollavo lo sguardo a terra, cercando di concentrarmi, ma ormai ero preda del panico e, di nuovo - ouch- ripetendo il saltello, sempre in contromano, le atterravo con precisione sul mignolo del piede destro. Eccoci al momento del cambio partner, e -ohibò- mi dimenticavo di farla girare (perché ero abituata al fatto che qualcun altro facesse girare me) e così si formava un tamponamento a catena di donne che finivano addosso alla povera Sae, che per colpa mia era diventata il tappo che andava ad ostruire il meccanismo di slittamento all'indietro delle donne.

Insomma, era diventata una danza quasi infernale, almeno per me che cominciai a sentirmi terribilmente a disagio e a pensare che stavo perdendo le poche posizioni che mi ero immaginata di guadagnare un attimo prima nella (ipotetica) classifica di Sae e anche molte più di quelle, precipitando impietosamente verso punteggi negativi, a causa della mia goffaggine. Inoltre stavo anche arrivando alla conclusione che a nessuno avrebbe fatto piacere far parte di un club dove si viene continuamente ammaccati, e perciò con la mia iniziativa forse stavo ottenendo proprio il risultato opposto a quello sperato, perché rischiavo di allontanare Sae dal club e di conseguenza da me.

Ero assorta in tutte queste tristi considerazioni quando inaspettatamente si aprì la porta.

“Ojiwara-sensei?” esclamò la nostra Presidentessa piuttosto perplessa. “Due visite oggi?”

“...quale onore...” aggiunse con fare ironico Sae, sottovoce, evidentemente convinta che tutto questo via vai della professoressa c'entrasse qualcosa con lei e con la sua punizione.

“Vi porto novità” rispose l'insegnante, con un insolito tono allegro.

Novità. Questa parola non era proprio di mio gradimento. Ma, forse, quel giorno un'ennesima novità poteva cambiare di nuovo l'andamento della giornata riportandola in positivo.

“Vengo ora dal un altro club del quale sono referente, il Club del Teatro. Non penso che la notizia si sia ancora diffusa, comunque non è nemmeno segreta: hanno deciso di inscenare, per il Festival Culturale Scolastico, una rappresentazione, di cui loro stessi scriveranno il copione, ispirata al 'Diario di Anna Frank'”

Bene, pensai, si saranno stancati di dare a ripetizione Romeo e Giulietta. Ma a noi cosa interessa?

“Sapete che il vostro Club è escluso dalla possibilità di prenotare il palcoscenico in occasione del Festival per via del Regolamento d'Istituto, che prevede che i club abbiano diritto ad occupare il palco solo se dispongono almeno di otto iscritti”

Lo so, è per quello che non mi sono fatta problemi quando mi sono iscritta, esibirmi non rientra proprio nelle mie corde.

“Per cui, come negli anni precedenti, non potreste eseguire in pubblico le vostre danze popolari. Ma ho avuto un'idea!”

Non la dica, la prego, non la dica!, pregai mentalmente.

“Hamada, conoscete delle danze popolari ebraiche?”

“Sì, Ojiwara-sensei, ne conosciamo due.” assicurò la Presidentessa.

“Perfetto. In occasione del Festival Scolastico sarete ospiti del Club del Teatro, e parteciperete alla loro rappresentazione, interpretando due danze ebraiche all'interno dello spettacolo su Anna Frank.”

La professoressa ci passò in rassegna con lo sguardo, da sopra gli occhiali, concludendo poi il discorso con un “Così è deciso!” che mi piazzò quel bel masso sullo stomaco che era ancora lì collocato mentre, mezz'ora dopo, seduta sull'autobus, aspettavo che l'autista mettesse in moto e partisse, ponendo fine al lungo pomeriggio che era precipitato tanto velocemente e tanto in basso, dopo avermi fatto sfiorare per un attimo la pura felicità.

Ma qualche dio evidentemente non voleva proprio che quel maledetto pomeriggio avesse mai fine. Ecco che il pullman non era ancora partito e che inaspettatamente Sae vi faceva il suo ingresso!

“Kanbayashi-san!” Mi chiamò, avvicinandosi.

“Nishimura-san... non ti ho mai visto prendere l'autobus”, le risposi. “Ti avrei... aspettato” aggiunsi. Era un'affermazione, ma per il tono in cui la dissi, poteva anche sembrare una domanda.

“Eh, di solito vado a piedi, ma ho il polpaccio a pezzi dopo tutti quei balli”

“Il sinistro immagino”, ipotizzai.

“Come fai a saperlo?” chiese spalancando gli occhi dalla sorpresa.

“L'An Dro sforza moltissimo il polpaccio sinistro. E' normale, non preoccuparti, Nishimura-san”

“Sae. Chiamami Sae”

Adesso ero io ad allargare a palla gli occhi. Non ci credevo: non mi odiava dopo tutti i disastri che le avevo combinato durante la Chappeloise, anzi, voleva addirittura che la chiamassi per nome!

“Oh grazie, Nishimura-san. Cioè... Sae-san”

“Facciamo Sae-chan? Va bene? E io posso chiamarti per nome?”

“A... Akemi va bene” pronunciavo sempre malvolentieri il mio nome proprio. In effetti per una ragazza insignificante come me, chiamarsi “Bellezza abbagliante” non era proprio... confortevole.

“Akemi-chan, posso chiederti una cosa?”

“Chiedi pure”, le risposi, pensando che forse non avevo perso poi così tanti punti con lei e che forse la situazione era, tutto sommato, recuperabile.

“"Quel ragazzo che c'è nel club, Shibutani-kun, intendo... ha la ragazza?”

La situazione è irrecuperabile, pensai.

Irrecuperabilissima.





Due parole dell'autrice.

Un capitolo un po' difficile da scrivere. In realtà volevo narrarvi della professoressa Ojiwara e della sua "amica", ma poi ho pensato di slittare il tutto di un capitolo. Non picchiatemi!

Lasciatemi due righe per dirmi se vi è piaciuto o cosa non vi piace!

Vi aspetto anche sul 
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Ci trovate, a parte articoli e pensieri vari, anche la possibilità di lasciare (in modo anonimo) la vostra email al fine di essere avvertite/i quando esce un nuovo capitolo.
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A presto (spero)!



 
   
 
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