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Autore: Sethmentecontorta    08/04/2016    1 recensioni
Camminava muta, come chiusa in una bolla che la separava dal resto del mondo: i suoni e le immagini la toccavano solo a metà, qualunque gioia, volontà, felicità era scivolata via da tempo. Era solo una dodicenne, quanto tempo avrebbe resistito sola a quel modo? Che motivo aveva per andare avanti? Ah, lei lo sapeva eccome quale motivo la convinceva a continuare, seppur così.
Nonostante la sua mente fosse così offuscata da oscuri pensieri, l’animo appesantito, il suo passo incedeva leggero, invariato; attraversava strade, superava semafori, negozi, parchi, case, persone. Quel mondo che le appariva così distante, in cui i bambini ridevano giocando insieme, le ragazze come lei chiacchieravano dei loro amori adolescenziali o di qualunque cosa interessasse loro, gli adulti affannavano dietro al lavoro, ai figli, a mogli e mariti. Mentre la vita scorreva frenetica, lei camminava lentamente per la sua via; lo sguardo nel vuoto, la treccia ondeggiante lungo la schiena con un ritmo quasi ipnotico. Era così estranea.
~
|Remake di "The dreamer girl|OC, Kidou Yuuto, Goenji Shuuya, Fubuki Shirou, Fudou Akio|triste|
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axel/Shuuya, Caleb/Akio, Jude/Yuuto, Nuovo personaggio, Shawn/Shirou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seth's corner: Ed eccoci di nuovo! Con un giorno di anticipo, sì, dato che era tutto bello e pronto per essere pubblicato e domani avrò probabilmente da fare. Cerchiamo di dire tutto ciò che devo dire, altrimenti mi perdo. Da questo capitolo in poi inizierà l'azione vera e propria, credo che limiterò il più possibili altri eventuali capitoli di passaggio, ma forse qualcun'altro che si limiterà a spiare un pochino la psicologia dei personaggi ci sarà. In ogni caso, qualche mistero sulla nostra protagonista inizia a venir svelato, qualcun'altro si infittisce, ma come ricompensa perché so di essere una stronza a voler creare tanto mistero, vi prometto che nel prossimo qualcosa svelerò del tutto. E sì, sta volta è davvero lungo tutto il papier, quasi 3400 parole, chiedo perdono.
Ah, stavolta il disegno di Tenshi di cui vi avevo parlato la scorsa volta non l'ho scordato, anzi ne ho ben due, questo e quest'altro, che è un po' più vecchio, ultimamente il mio stile cambia quasi ad ogni disegno perché non so bene quale fare mio, per cui se sembrano molto diversi è per quello, giuro. Passiamo alle solite cose, l'immagine del capitolo è stata presa da Anna Samula, mentre la canzone che vi consiglio è 
Bi☣hazard, di nuovo dei Vocaloid, ma sta volta in inglese. Per la canzone mi ci sono arrovellata parecchio, perché ero indecisa tra questa ed una dei Linkin Park, ma alla fine ho optato per SONiKA perché mi piaceva come quel "what you've done to me won't define who I am" sposava col fatto che Tenshi vuole essere chiamata solo Tenshi. Beh, penso sia tutto, buona lettura, spero che il capitolo vi piacerà e magari anche di sentirvi nelle recensioni!
~Seth
 

Chapter 3 ❧ The trap has just taken

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Passavano i giorni, le partite, era ormai la vigilia della finale del campionato regionale. Neppure a dirlo, le squadre che avrebbero disputato la partita sarebbero state la Teikoku e la Raimon. Tenshi si trovava in uno stanzino nell’ufficio di Kageyama, rovistando tra le scartoffie. Era in cerca di prove contro l’uomo, che potessero confermare che aveva sabotato la partita del giorno seguente. Era venuta a conoscenza del tentativo di manomissione dei pullman della squadra avversaria, ma sapeva anche che non era stata ordinata da Reiji, e per di più non era andato in porto, era perciò certo che avesse già preparato un’altra trappola; per ogni evenienza, come si suole dire. Lo conosceva bene, ormai, viveva con lui da diversi anni, sapeva che era un delinquente che avrebbe fatto di tutto per ottenere la vittoria. Qualunque mezzo, la vittoria andava perseguita. Per dirla con le sue parole “chi ha campioni in squadra vince già prima di scendere in campo”, ma Tenshi riteneva fosse troppo poco chiara, prediligeva decisamente la versione rivisitata “chi ha accoppato metà dell’altra squadra vince già prima di scendere in campo”. Controllò tutti gli archivi in cui sapeva avrebbero potuto trovarsi dati al riguardo, conosceva bene quella stanza, come il fatto che Kageyama volesse che tutte le cose fossero al loro posto. Eppure, non riuscì a trovare nulla.
Chiuse l’ultima cartella, dopo averla ricontrollata per la terza volta, la ripose e, sospirando, si vide costretta ad uscire. Non voleva che il padre adottivo la cogliesse a ficcanasare nei suoi documenti, non l’aveva mai trovata in un atto simile, ma temeva la sua possibile reazione.
Uscita dall’ufficio di Kageyama, decise di recuperare la borsa nella sala del club ed uscire. Lì, però, trovò il capitano, seduto su una poltroncina a fissare il vuoto, aveva sopracciglia aggrottate e, qualunque fossero i suoi pensieri, era talmente perso in essi da non accorgersi dell’ingresso della ragazza.
– Kidou. – lo salutò. – Preoccupato per la partita di domani?
Il ragazzo si riscosse, portando le sue iridi cremisi, per una volta libere dagli occhialini che lo distinguevano, sulle sue. – Non è… completamente esatto.
Essa lo osservò per alcuni istanti, poi si portò di fronte a lui, accovacciandosi e scrutandolo direttamente negli occhi, che erano all’altezza dei suoi. Nel gesto il ragazzo rivide la bambina che talvolta si occupava delle sue ginocchia sbucciate, eppure ora quei due pozzi color cenere erano così neutri e vuoti da fargli dubitare che si trattasse della stessa persona.
– Qualcosa ti preoccupa. – stabilì la fanciulla. – Vuoi parlarne?
– Da quando ti improvvisi psicologa? – volle informarsi egli, accennando un sorrisino. Anche gli angoli della bocca rosea di Tenshi si piegarono lievemente. – Soltanto, non voglio che Kageyama giochi sporco anche questa volta. Vorrei portare a casa vittorie pulite, poter essere fiero di me stesso per le mie abilità.
– Ho appena controllato tutti i suoi documenti. Se ha preparato una delle sue trappole, l’ha fatto nascondendolo con grande abilità. Nessun assegno o foglio sospetto, nulla. Non ha lasciato tracce.
– Come fai a saperlo? – si stupì lui.
– Sono entrata nel suo archivio, ho controllato tutte le cartelle almeno due volte, nulla di recente che possa avere a che fare con questa storia. Ho controllato perfino il computer, assolutamente nulla. – ella continuava a guardarlo direttamente, con decisione, appoggiando distrattamente le mani sulle sue ginocchia. Avevano avuto contatti ben più intimi, ma solo molti anni addietro, ora quelle mani fredde percepibili attraverso la stoffa dei pantaloni gli davano una strana sensazione. Era in qualche modo come ritrovare un tocco amico, ma che al contempo gli era estraneo.
– Domani controllerò in lungo ed in largo lo stadio, ora andiamo, si fa tardi. – detto ciò, il ragazzo si alzò, prendendola delicatamente per i gomiti e riportandola in piedi a sua volta. – Ti va di fare la strada assieme? – aggiunse con un sorriso, raccattando i propri occhialini da aviatore, che pure non si sarebbe rimesso, probabilmente. Sapeva che ella li odiava, che per lei rappresentavano il simbolo del potere di Kageyama su di lui, per questo a volte si asteneva dal portarli in sua presenza. Li mise in borsa.
– Va bene. – assentì la ragazza, raccogliendo la cartella ed incamminandosi insieme a lui fuori da quella scuola covo di tanta malizia.
 
̶ Trovato nulla? – chiese Tenshi a Yuuto, andandogli incontro nei corridoi dello stadio. Stavano controllando ogni centimetro per di trovare la trappola di Kageyama ed inibirla. Sapevano che ce n’era una, non poteva essere altrimenti, era impensabile che quell’uomo non avrebbe provato a sabotare una squadra dalla forza così travolgente.
– Niente, e sono arrivati ora. Sani e salvi, per lo meno.
– Dove potrebbe mai averla nascosta? – imprecò la ragazza, mordendosi la punta di un’unghia, e torturandola nervosamente. Non voleva che qualcun altro si facesse male per colpa di quell’essere spregevole, non gli avrebbe permesso di mettere a repentaglio l’incolumità di un giovane innocente un’altra volta.
– Deve essere da qualche parte, non può non esserci… ma dove? – l’altro si scostò dietro le spalle il mantello in un moto di stizza. – Non può averla nascosta del tutto!
Ella tirò un lungo respiro, doveva rimanere calma, o la sua capacità di ragionare sarebbe stata inibita dalla rabbia. Non poteva farsi battere da Kageyama, non se lo sarebbe mai perdonato. Non un’altra volta. – Sta calmo, lo so che manca poco, ma se ci agitiamo peggioriamo le cose. Dobbiamo essere lucidi. Dove potrebbe essere nascosta dagli sguardi di tutti? Un luogo a cui nessuno penserebbe…
– Ah, a volte vorrei essere nella mente di quel pazzo. – imprecò il ragazzo.
– Non dirlo, se pensi come loro, pian piano diventi come loro. – la fanciulla osservò come i pugni dell’amico fossero serrati al punto da far diventare le nocche sempre più bianche, osservò il lieve tremore delle braccia, osservò lo sguardo abbassarsi al pavimento scuro, le labbra serrarsi. Rimase in silenzio, attendendo che fosse lui a parlare.
– Non pensavo sarebbe stato così difficile. – mormorò in un soffio egli, attraverso le lenti scure degli occhialini lei intravedeva le sue iridi tremanti, non ebbe bisogno di pensarci un solo istante per capire cosa turbasse il capitano della squadra della sua scuola. Mosse un passo in avanti e, sfilandogli gli occhialini, pose una mano poco sotto il suo gomito, sapeva che nella mente del ragazzo che aveva di fronte gravava il pensiero della ragazzina dai capelli blu come il cielo notturno, la più giovane fra le manager della squadra avversaria.
– È complicato e difficile, ma stai facendo tutto questo per lei. – mosse il pollice sulla sua pelle, in una piccola e leggera carezza.
– Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per non farla soffrire, eppure temo di aver ottenuto l’effetto contrario. Vedessi come mi fissava, Tenshi, aveva proiettili al posto delle pupille. Non riuscivo neppure a guardarla direttamente per più di pochi istanti. – l’amarezza nella sua voce era tanta da sembrare aleggiare fuori dalle sue labbra come una nuvoletta di vapore in inverno, solo molto meno innocua.
– Hai cercato un modo per riportarla nella tua vita, per farla soffrire il meno possibile, tutto ciò che volevi era il suo bene, non devi prendertela con te stesso. Spesso, quella che si credeva essere la giusta soluzione si rivela non essere stata la migliore. È tua sorella, Kidou, e ti ama, ci metterei la mano sul fuoco. Tornerete a stare insieme, dobbiamo solo continuare a vincere. – la mano candida scorse lungo l’arto del ragazzo, in un lento e rassicurante tocco, che gli fece rilassare gradualmente i muscoli, e sciogliere i pugni.
– Tu non hai mai fatto decisioni sbagliate. – commentò in risposta.
– Io ho avuto la possibilità di compiere due uniche scelte di importanza rilevante, nella mia vita. La prima mi fu posta quand’ero ancora bambina, seguire o meno Kageyama Reiji. Il mio passato ed un tetto sulla testa, in cambio di obbedienza. Ero così piccola, desiderosa di avere una storia, una vita, che avrei mai potuto scegliere? Fu poi una decisione giusta? Cos’ho ottenuto, se non di venir ingannata per tutto questo tempo, tutti questi anni, ottenendo poco più che pochi piccoli indizi? – mentre parlava in tal modo, i suoi occhi erano rimasti fissi su quelli di lui, che ora ricambiavano le loro attenzioni, concedendole di perdersi in quel color sangue. Lo sguardo di quegli occhi color fuliggine era aspro, ma saldo.
– E la seconda decisione? – si limitò a chiedere.
– Di quella, mi pento ogni secondo che passo da sola nella mia stanza. – solo in quel momento le sue iridi ebbero un lieve tremore, che pure non sfuggì al calciatore. Era forse la prima volta da che frequentavano la stessa scuola media che aveva un discorso così intimo con la ragazza, che lei gli rivelava qualcosa del suo mondo, quello oscuro e corrotto in cui viveva immersa. Poggiò la mano su quella che lei teneva stretta intorno al suo braccio, sorridendo.
– La nostra indagine ci attende ancora, mia cara signorina Watson.
Un sorriso adornò le labbra di Tenshi. Un sorriso piccolo, nostalgico e triste, ma genuino, dolce e vero; era un sorriso, tanto raro su quel viso da scaldare il cuore dell’attaccante, a ricordare i suoi antenati che una volta splendevano radiosi al suo posto. Come lui, anche lei stava rimembrando i mesi d’infanzia vissuti insieme, i loro giochi in cortile, la ricerca di indizi che loro stessi avevano disseminato.
– Non vale, volevo farlo io Sherlock Holmes.
 
Nonostante le numerose ricerche, nulla riuscirono a cavarne su qualche possibile inganno del preside, e si videro costretti ad iniziare la partita. I ragazzi erano in campo a riscaldare i muscoli in vista dello sforzo cui avrebbero certamente dovuto sottostare presto, mentre Tenshi sistemava bottiglie, asciugamani e kit del pronto soccorso per ogni evenienza, pronti all’uso in un angolo della panchina. Osservò i suoi giocatori, Kidou mancava, era ancora in cerca di segni di una qualche trappola tesa a danno degli avversari in maglia giallo-blu. Sentiva il peso di due occhi su di lei, ogni tanto, ma si rifiutava di volgere loro i propri, tenendoli ostinatamente puntati sulla propria squadra o su ciò che stava facendo.
All’improvviso, assordante, si udì il rumore di qualcosa che urtava con forza un grande oggetto metallico. La ragazza si voltò verso la metà campo della Raimon, un pallone era stato in qualche modo scagliato in aria ed aveva sbattuto con fragore sul soffitto. Oltre al pallone, però, ricaddero a terra altri piccoli oggetti, che colpirono il suolo poco distante dal malcapitato giocatore responsabile - era quel ragazzo alto e sovrappeso, Kabeyama -, che ora era steso a terra terrorizzato. Il suo cuore pulsò una volta di troppo, mentre stringeva le dita intorno all’asciugamano che stava piegando e riponendo: indizio. Avrebbe voluto avvicinarsi, ma non le era permesso. Per fortuna, il capitano della Raimon non era tanto ingenuo quanto sembrasse, e pensò lui a fare in modo che gli oggetti caduti, che si rivelarono essere dei bulloni, venissero consegnati ad un gruppo di detective che stavano indagando per l’intera scuola. Tutto ciò che poteva fare ora lei era sedersi ed attendere che trovassero prove, e pregare che lo facessero prima che la trappola scattasse e qualcuno si ferisse, o peggio.
 
Secondo rumore fin troppo forte della giornata, sta volta perfino più assordante del precedente, Tenshi scattò in piedi e si portò le mani tremanti al petto mentre il fragore di quelle enormi travi che colpivano il terreno del campo da gioco le faceva tremare la cassa toracica. Era a dir poco esterrefatta. Kageyama aveva davvero osato tanto.
E se fosse accaduto qualcosa ai giocatori della Raimon?
E se Goenji fosse...?
Tremava, lei come tutte le persone all’interno dello stadio, molte delle quali come lei si erano sollevate dai loro posti a sedere. Ogni singola persona tremava, guardando quella nube di polvere e terriccio col fiato sospeso, le urla morte in gola.
Stavano bene.
I giocatori, tutti, erano arretrati, grazie all’avviso del capitano della Teikoku Gakuen, e nessuno era rimasto ferito, sebbene fossero comprensibilmente molto scossi. Osservò un certo biondo tremante, e tirò un sospiro di sollievo, lasciandosi cadere di nuovo sulla panchina. Stava bene, grazie al cielo.
Questo è troppo, Kageyama.
 
Kidou falciò di gran lena la distanza che lo separava dall’ufficio del preside, seguito a ruota da Tenshi, dal portiere Genda, dall’attaccante Jimon, da Endou e dall’allenatore della Raimon. L’uomo li attendeva col suo solito ghignetto, un poco nascosto dietro le mani congiunte sul mento. La ragazza gli avrebbe volentieri tirato un pugno, come avrebbe probabilmente voluto fare ciascuno dei presenti, ma si trattenne e rimase in silenzio ad ascoltare il castano urlargli contro. Osservò passivamente la scena, lasciando la rabbia gorgogliare nel suo animo, senza mitigarsi, non avendo avuto sfogo.  Osservò mentre la squadra si rivoltava contro il proprio allenatore, mentre i detective sbattevano in faccia a quell’uomo spregevole le prove della sua colpevolezza, mentre veniva condotto via, osservò perfino il suo sorriso di chi ha vinto alle spalle del proprio nemico, facendogli credere una vittoria. I suoi pugni serrati tremavano, gli occhi erano tenuti bassi, le labbra strette fortemente l’uno all’altro. Uscì dalla stanza prima degli altri, muovendosi senza curarsi di dove andasse. Senza curarsi degli occhi preoccupati di Kidou sulla propria schiena.
O per lo meno, fino a quando non vide comparire ai bordi del suo campo visivo un’ombra, seguita poi da un paio di piedi. Arrestò la sua marcia, e sollevò lo sguardo. Due gambe muscolose, una divisa della Raimon, pelle dorata, una coppia di taglienti occhi color ebano, capelli biondo chiaro. Oh no, lui no.
– Tenshi. – la chiamò, facendo un passo avanti, cosa che portò lei, di riflesso, a farne uno indietro, stringendo un pugno tra i propri seni come in gesto di protezione. Il ragazzo le rivolse un amaro sorriso. – Ah, capisco, ora scappi perfino da me.
Abbassò lo sguardo, in un gesto misto di colpevolezza e soggezione. Si sentiva una stupida al solo pensarci, eppure ora quel ragazzo la intimoriva.
– Tenshi, cosa accidenti credi possa farti?
Eppure, il modo in cui le sue iridi profonde colpivano il suo viso, come le stessero scagliando contro un sasso dopo l’altro, spingevano il suo inconscio a voltarsi e fuggire. Le sue mani tremavano, le strinse ancora più forte, fino a far diventare le nocche bianche per lo sforzo. – Goenji, ti prego…
– Il tuo cognome è Kageyama, eh? – un altro passo. Si sforzò di non indietreggiare. – È per questo? Tu non sei lui.
– Il mio cognome non è Kageyama. – sibilò lei, alzando gli occhi sui suoi, ed egli poté vedere la tempesta che imperversava nel loro colore metallico. Tentennò, il bomber di fuoco.
– I documenti dicono…
– Ti sei messo pure a fare ricerche? – la fanciulla sospirò, in un suono che sembrava impregnato di frustrazione e tristezza, colpendo dritto al cuore il calciatore. – Non ti ho mai mentito, Goenji. Io sono solo Tenshi.
Fece per voltargli le spalle, ma il ragazzo glielo impedì afferrandole con delicatezza il polso, ella si fermò qualche istante ad ammirare il contrasto tra la pelle dorata di lui e la propria che aveva invece un colore assai pallido. Le labbra morbide si strinsero, sottoposte alla pressione dei denti, e le mani ripresero a tremare in maniera appena percettibile. Si strinse nelle spalle, dominata dall’indecisione e dalla confusione.
Durò poco. Dopo appena pochi secondi, si liberò il braccio da quella calda morsa, aggirandolo ed allontanandosi in fretta. Era giusto così, pensava, per cui non avrebbe avuto senso rimanere lì a ferirsi inutilmente con dolci ninnoli taglienti.
Goenji rimase fermo alcuni istanti, udendo come in ipnosi i rintocchi dei bassi tacchi delle scarpe di lei alle sue spalle. Odiava quel suono. Le mani gli prudevano dalla voglia di compiere nuovamente il gesto fatto poco prima, riportandola a sé e costringendola, per una volta, a dirgli tutta la verità, senza tacere su nulla. Eppure sapeva che tale atto non avrebbe portato a nulla, con lei. Voltò di poco la testa, osservando con la coda dell’occhio quella schiena, quella lunga treccia grigia come l’argento. Le sue mani sembrarono colpite da un’orticaria ancora più violenta, decise così che tornare in campo sarebbe stata una scelta assai migliore a qualunque sciocchezza avrebbe potuto compiere in quel momento.
 
Perso. Avevano perso. Loro. La Teikoku Gakuen aveva conosciuto la sconfitta, per la prima volta da decenni. Eppure, non era quello a crearle quel peso che le opprimeva il petto, anzi rappresentava un fardello in meno a gravarle addosso, poiché finalmente si erano liberati di Kageyama ed avevano giocato onestamente una partita. Lei però, in cuor suo, sapeva che non poteva essere finita così. Kageyama Reiji sarebbe tornato, lo sentiva. Egli era troppo corrotto, troppo potente, troppo pieno di invidia e malvagità per potersi arrendere così. No, sarebbe tornato presto. Solo la morte può fermare Kageyama, solo una bara imprigionarlo.
In quanto squadra vincitrice dell’ultimo Football Frontier, avevano accesso alle nazionali nonostante quell’ultima sconfitta. Ragion per cui avrebbe dovuto lavorare anche il doppio, anche se Kageyama non era più alla loro guida. Avrebbero finalmente giocato un torneo in maniera completamente pulita, se avessero vinto l’avrebbero fatto unicamente con le loro forze. Anche senza il loro preside, avevano una forza disarmante, in campo, per cui sarebbero andati bene; o almeno così sperava. In verità, sentiva che vi era qualcosa che non sarebbe andato affatto per il verso giusto, ma non voleva temere fantasmi invisibili. Avrebbero dato ogni cosa sarebbero stati in grado di dare, questo era certo, non avrebbero ceduto. Loro erano pur sempre giocatori - o manager, nel suo caso - della Teikoku Gakuen, non certo l’ultima squadra formatasi.
Eppure si trovò a chiedersi se, in caso di sconfitta, tutti gli altri avrebbero saputo mantenere la testa alta. Perdere contro la Raimon era un conto, quei Ragazzi erano letteralmente fenomenali, ma se avessero dovuto perdere prima di poter arrivare in finale, che avrebbe potuto fare questo fatto a dei giovani cui era sempre stato insegnato che la vittoria va perseguita sempre e ad ogni costo? A dei giovani che mai avevano conosciuto sconfitta?
Sospirò, prendendo una ciocca di capelli fra le dita e giocherellandoci, bloccando per qualche istante il flusso come interminabile di pensieri. I cuori e le menti umane sono facili da traviare, da spingere per vie che non si sarebbe mai potuto non solo desiderare, ma neppure immaginare. Era a conoscenza di questo rischio, eccome, ma sapeva bene come la vita sia piena di tali pericoli, sapeva come ovunque vi siano cose o persone pronte a ghermirci ed a trascinarci ove non avremmo mai voluto. Lei ne era un esempio, in fondo.
Si sollevò dal letto su cui era adagiata e si sfilò l’uniforme, scoprendo, mano a mano che si liberava di un indumento dopo l’altro, la pelle di colore diafano. Rimasta in biancheria intima, si diresse verso il bagno cui poteva accedere direttamente dalla stanza, mentre con le mani scioglieva l’intreccio che le intrappolava i capelli. Lungo il tragitto, lo sguardo le si posò casualmente sulla sua immagine riflessa nello specchio a figura intera appoggiato al muro. Guardò solo per un’istante quell’immagine allampanata e spigolosa, magra tanto da avere le costole in vista, le ossa sporgenti dalle anche, lucidi occhi color cenere dall’aspetto orribilmente corrotto. Odiava quello specchio e quel riflesso tanto quanto odiava sé stessa. Avrebbe tolto quella detestabile superficie riflettente da lì, sì.
Distolse gli occhi, poggiò una mano sulla gelida maniglia ed entrò. Aprì il rubinetto della vasca, mentre canticchiava un motivetto che non ricordava dove avesse sentito, sembrava una dolce e lenta ninna nanna, chissà, probabilmente l’aveva udita all’orfanotrofio. Con la mente intorbidita da mille e più pensieri caotici che la attanagliavano, sommergendosi l’un l’altro per avere la mente, rimestava lentamente con la mano l’acqua che si innalzava, disegnando figure che acquisivano senso unicamente per il suo inconscio. Quando reputò la temperatura ed il livello di riempimento della vasca adatti, chiuse il rubinetto, si sfilò gli ultimi indumenti e vi si immerse con un sospiro di sollievo. Amava fare lunghi bagni, sentire il calore e le carezze dell’acqua lavarle via la tensione, lo stress e, per alcuni momenti, perfino i suoi problemi. Purtroppo, però, odiava uscirne, sentire il peso della vita piombarle nuovamente addosso mentre si copriva il corpo nudo con un accappatoio. Sospirò nuovamente, lasciando lambire l’intero corpo da quel piccolo specchio di serenità, tenendone fuori solo il volto. I lunghi capelli muovendosi carezzavano le sue forme, mentre si lavava pigramente, più presa del desiderio di lasciarsi andare all’assenza di pensieri che dall’igiene in sé. 
   
 
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