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Autore: FreddyOllow    09/04/2016    1 recensioni
Dopo che l'infezione ha divorato mezza città, Erik e il suo fratellino Brad trovano rifugio in un campo profughi della BlackWatch. Ben presto si accorgeranno che la Blackwatch non è lì per salvarli, ma per usarli come cavie. Cominciano così a prendere i bambini e trascinarli nei laboratori con la forza. Quando i sopravvissuti ribellano, i soldati li fucilano tutti.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erik scrollò di dosso la ragazza, che lo guardò confusa e indietreggio un poco.
- Come ti chiami? - chiese Erik.
Lei arrossì, abbassò gli occhi e si lisciò ciocca di capelli. - Ginevra. - Ginevra... Bel nome. Io mi chiamo Erik!
Restarono in un silenzio imbarazzante per un momento. Lei lo guardava di sottecchi, lui vagava con lo sguardo.
- È meglio andare via - aggiunse Erik.
Ginevra annuì, lo sguardo basso.

I due scesero dalla scala antincendio che fiancheggiava l'edificio e poggiarono i piedi nel vicolo. Nessun infetto o soldato della Blackwatch in vista.
Erik sapeva che doveva cominciare a controllare i suoi poteri, ma aveva paura di farlo. Ogni volta che lo faceva l'essere emergeva fuori. Temeva che prima o poi lui avrebbe perso il controllo e lo avrebbe imprigionato per sempre nella sua mente.
Ma con Ginevra non era successo. Forse la sua presenza gli infondeva sicurezza o qualcosa del genere. Non sapeva cosa fosse, ma quando aveva ucciso i tre soldati della Blackwatch non aveva perso il controllo. Aveva scacciato l'essere. Questa doveva significare qualcosa. Doveva solo capirlo. Forse aveva solo imparato a controllare il suo potere? Oppure era davvero Ginevra a dargli forza?
Mentre i dubbi lo assalivano, un'orda di infetti sbucò dietro l'angolo del vicolo. Urla, gemiti, il puzzo di putrefazione giunse ancora prima che arrivassero a cento metri di distanza.
Ginevra tirò il braccio di Erik, puntò il dito agli infetti. Era nel panico. Non poteva fuggire. L'unico modo di scappare era la scala antincendio, ma quella si trovava in alto. Doveva arrampicarsi su un cassonetto, saltare sulla scala e salire.
- Tranquilla - disse Erik. - Ti porterò via! - La cinse con un braccio e balzò in aria. Ginevra gridò, spaventa. Lui atterrò sull'edificio accanto.
Ginevra si liberò dall'abbraccio e si allontanò un poco, terrorizzata. Gli occhi sgranati, il viso pallido, i capelli corvino scompigliati dal vento. Anche se era spaventata, sapeva che doveva ringraziarlo. L'aveva appena salvata da una morte orrenda. - Grazie...
Erik abbozzò un sorriso.
Lei arrossì.
Lui le lanciò uno sguardo sfuggente. Il suo viso era come una calamita. Non riusciva a smetterla di guardarla del tutto.
- Cosa significa il tatuaggio che hai sul collo? - chiese Ginevra. - Anche mio padre ne aveva uno, ma non mi ha mai detto cos'è. - Gli occhi le si umidirono. - Quando glielo domandavo, lui diventava cupo.
Erik si toccò il marchio. - Non so cosa sia... Prima che diventassi un evoluto, non ce l'avevo. Non ho mai avuto tatuaggi.
- Un evoluto? - rispose Ginevra. - Mio padre non era un evoluto, ma aveva il tuo stesso marchio.
Erik corrugò la fronte, pensieroso. Forse il marchio non era collegato ai suoi poteri. Alex Mercer non ce l'aveva. - Cosa pensi che sia? - chiese lui.
Ginevra lo raggiunse e gli sfiorò il marchio con un dito. - Non lo so. Forse un effetto collaterale del virus?
- Effetto collaterale? Che vuoi dire?
- Hai detto che sei un evoluto. Forse quel marchio si è formato quando sei stato infettato, perché mi sembra una sorta di voglia. - Si allontanò da lui. - Mio padre non aveva il tuo potere, ma aveva il tuo stesso marchio. In un campo profughi mi avevano detto che questo marchio lo portano solo i portatori sani dell'infezione.
Erik era confuso. - Vuoi dire che sono in grado di infettare chiunque, senza trasformarmi in un mostro?
Ginevra lo fissò con sguardo spento. - Sì... mio padre... - Scoppiò in lacrime, le mani a coprire il viso.
Erik non sapeva cosa fare. La osservò per un momento. - Tutto bene?
Ginevra annuì, il volto coperto dai capelli.
Lui si sentiva incolpa per non aver fatto niente quando lei e suo padre erano stati assaliti dal bruto. Se avesse usato i poteri forse li avrebbe salvati. Ma aveva preferito starsene fermo, mentre il padre si era sacrificato per la figlia. Non poteva dirle che aveva assistito alle scena. Non sapeva come avrebbe reagito.
- Mio padre... - singhiozzò Ginevra. - Mio padre ha infettato mia Madre... Lei... lei è morta. I soldati l'hanno uccisa...
Erik abbassò gli occhi, rattristato. Nella mente gli balenò l'immagine sorridente di Brad. Chissà se stava bene. E se fosse morto? Scacciò subito il pensiero per non farsi trascinare dai ricordi. Si avvicinò alla donna e le posò una mano sulla spalla. - Mi dispiace...
La ragazza non rispose e si asciugò le lacrime con le mani.

Il sole morente mandava gli ultimi sprazzi di luce dietro i palazzi. Strade deserte, cadaveri sull'asfalto, veicoli divorati dalle fiamme. Un furgone della Blackwatch si era schiantato contro uno spartitraffico di cemento. I soldati morti e fatti a pezzi tutt'attorno. Il silenzio spezzato da urla e spari in lontananza.
Quando le urla erano orripilanti, tutti i sopravvissuti nei paraggi capivano che i bruti avevano ucciso l'ennesima vittima dell'epidemia. Chi viveva nella Zona Rossa imparava da subito a riconoscere le urla, gli spari, i ringhi, i gemiti. Ma qualcuno alla fine impazziva e cercava di farsi largo correndo verso la Zona Gialla. Non ci arrivava mai. Veniva fatto a pezzi subito. E se qualche fortunato ce la faceva, i soldati gli ficcavano una pallottola in testa.
Ginevra si tappò le orecchie per non ascoltare. Erik camminava e si teneva lontano dalle grida.
Ogni tanto scorgevano alcuni bruti correre lungo le facciata degli edifici, e si nascondevano sotto i portoni o dietro le auto per non farsi vedere. Erik non poteva affrontarli. Quelli avevano una forza incredibile e una resistenza disumana. Non sarebbe mai riuscito a ucciderli. E ora che li scorgeva in gruppo, la sensazione di impotenza si faceva ancora più grande. Doveva pensare a proteggere Ginevra. Lei contava su di lui.
Alex era l'unico che poteva affrontarli e ucciderli.
Mentre i due camminavano lungo le strade dall'asfalto dissestato, puntellato di auto, cadaveri e sangue rappreso, qualcuno li seguiva.
Erik aveva percepito una presenza da quando avevo lasciato il tetto, ma aveva pensato che fossero i bruti. Si fermò davanti a un negozio di abiti e si guardò attorno. Non c'era nessuno. Grida e gemiti lontani. Varcarono la porta aperta. Scaffali e vestiti sul pavimento cosparso di sangue e cadaveri.
- Perché siamo entrati qui? - chiese Ginevra, perplessa.
- Ho la sensazione che qualcuno ci stia inseguendo - rispose Erik.
La ragazza si guardò intorno, agitata e spaventata. - Cosa? Chi? -
- Va tutto bene. Forse mi sbaglio.
Ginevra rilassò le spalle e si fece vicino.
Erik era a disagio. - Devi fare una cosa per me.
Lei lo guardò, preoccupata. - Ti devi nascondere e non uscire finché non te lo dico io - aggiunse lui.
Ginevra incrociò le braccia. - No! Io vengo con te!
- Devi nasconderti! Fallo per me!
- Perché devo nascondermi?
Lui le posò una mano sulla spalla. - Perché qualcuno ci sta seguendo e devo scoprire chi è.
La ragazza abbassò lo sguardo per un momento. - Ma poi tornerai a prendermi? Non mi lascerai sola, vero?
- Certo che no. Tornerò a prenderti. Te lo prometto.
Ginevra gli sorrise e gli diede un bacio sul lato delle labbra.
Lui spalancò gli occhi, incredulo. Il petto gli batteva all'impazzata e uno strano formicolio si era espanso per tutta la testa. Sorrise come un idiota.
Lei ricambiò e andò a nascondersi dietro tra gli scaffali.
Erik raggiunse l'entrata del negozio, si nascose dietro la porta e sbirciò in strada. Chi veniva da fuori, non lo avrebbe notato, perché nascosto nella penombra. Forse solo gli infetti potevano scorgerlo.
Passarono dieci minuti, ma nessuno era passato per la via. Il ruggito di un bruto, uno sparo, le urla strazianti si ripetevano senza sosta. Poi udì molteplici passi avvicinarsi all'entrata del negozio.
Una luce squarciò la penombra all'interno.
- State attenti, potrebbe essere nei paraggi - disse il soldato della Blackwatch con la torcia.
Dieci soldati si sparpagliarono nella strada. Erano troppi per una perlustrazione veloce. Dopo il tramonto era rari vederli in giro. Erik pensò che forse erano lì per lui. Non c'era altra spiegazione.
D'un tratto la terra cominciò a tremare.
- È lui! - gridò il soldato con la torcia con voce rotta dal terrore.
I soldati aprirono il fuoco. Un soldato fu scaraventato contro la fiancata di un furgone. Un altro si schiantò contro il muro. E un altro ancora fu fatto a pezzi, seguito dal resto dell'unità.
Erik, con la schiena appiccicata alla porta, era incapace di sbirciare per capire cosa fosse successo.
Un tetro silenzio calò nell'aria per un momento. Poi si udirono i ruggiti dei bruti che si facevano sempre più vicini. Erano stati attirati dalle grida e presto sarebbero stati seguiti dagli infetti. A breve l'isolato sarebbe stato invaso.

Qualcuno si fermò sotto l'ingresso del negozio. La torcia che giaceva al suolo illuminava le spalle dell'uomo e allungava la sua ombra nella stanza.
Erik pensava fosse Alex, ma non ne era sicuro. Le spalle erano più larghe, più massicce.
La sagoma entrò lentamente nel negozio e si guardò intorno. - Lo so che sei qui! - urlò con voce profonda, gutturale. - Sono Heller!

Erik aveva sentito parlare di lui. Alex lo nominava spesso durante gli allenamenti, quasi con ossessione. Diceva che voleva uccidere lui e tutti gli evoluti, ma Erik non ci aveva mai dato peso.
- Heller, non capisce! - diceva Alex, irato. - L'uomo ha fatto il suo corso. Ora è tempo di guardare avanti. Saranno gli Evoluti a ereditare la Terra. Noi siamo l'evoluzione! Il futuro!
Parole che ripeteva all'infinito. Spesso Erik lo trovava a parlare da solo e diceva le stesse identiche parole.
E ora che Heller era qui, voleva dire solo morte.




ANGOLO AUTORE: Grazie per il vostro supporto e le vostre recensioni! Mi aiutano a migliorare e continuare questa storia. Grazie infinite!
Ringrazio anche chi legge i miei racconti senza recensire!

- Un abbraccio FreddyOllow

   
 
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