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Autore: AdeleBlochBauer    11/04/2016    3 recensioni
Se Valjean fosse stato presente quando Javert tentò il suicidio.
Un percorso morale e spirituale che, da qui, può scaturirvi.
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Una storia scritta qualche tempo fa, dedicata unicamente all'amore e alla gratitudine per Victor Hugo.
Non chiedo nulla e non ho nessuna pretesa: ma, forse, se hai amato I Miserabili quanto l'ho amato io, forse questo ti piacerà.
O, almeno, lo spero.
Grazie.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. Regina


La cattedrale di Notre-Dame de Paris.
Il lettore ci scuserà: parlandone, non potremo in alcun modo essere imparziali. Essa rappresenta, per noi, tutto ciò che di più sacro esiste al mondo.
Ecco: la pietra si fa statua, musica e poesia. E tutto sale su, verso le stelle.

Madre immensa di Parigi, bianca aurora di maestà, luce immortale di un passato eterno! Promontorio del sogno di anime strette nella magnificenza! Sublime riparo, solenne e invincibile, tanto per coloro in alto quanto per coloro in basso, custode di fede, amore, speranza e pietà, appartenente all’infinito! C’è la magia a Notre-Dame de Paris. Impossibile non tremare al suo cospetto; non arrendersi alla sua magnifica potenza, è imperdonabile.
La porta incisa di Notre-Dame è un ritrovo di anime sacre.

Quando il tempio di dentro, l’anima, incontra il tempio di fuori, la cattedrale, i due infiniti si uniscono in un canto consacrato.
Chi assiste a tali vibrazioni? L’ombra.
Qui, si trovava Javert.

Fin dal momento in cui era uscito dalla Morgue, Javert aveva avuto l’assoluta certezza che quello fosse il luogo dove avrebbe dovuto dirigersi.
Il motivo, non lo sapeva.

Benché in genere amasse seguire le formalità, egli non andava spesso in chiesa: la sua costante dedizione al lavoro glielo impediva. Javert era uno di quegli uomini che nutrivano un sacro e profondissimo rispetto per la religione umana, senza affatto conoscerla.

Entrò nella cattedrale, completamente deserta. Questa solitudine serrava il cuore e rapiva l’anima. V’era abbandono, rinunzia, oblio, esilio, sublimità. A mano a mano che la religione umana si allontana da quel misterioso e geloso edificio, la religione divina vi entra.

Entrate con la solitudine, ci sentirete il cielo.

Javert si fermò un attimo appena dopo aver superato la soglia, incerto, quasi forse timoroso. I pochi passi avevano già rimbombato per tutte le pareti dell’immenso edificio. Ebbe un moto come per voltarsi ed uscire dalla cattedrale, essendoci appena entrato.

Ma proseguì.

Attraversò, calmo e lento, la navata per intero, arrivando quasi a cospetto dell’altare: l’enorme croce dorata sorgente alle spalle della Madonna, con il viso rivolto al cielo.

Non ci fermeremo, benché ce ne rammarichiamo, a descrivere le meraviglie di tale interno: molte penne ben più capaci di noi hanno già provveduto. Noi, non ne siamo lontanamente degni. Al lettore basterà immaginare una sola entità, diffusa e intrisa fra ogni parete, vetrata e reliquia di quel sacro edificio: la Maestà.

Javert, dunque, arrivò all’altare. Qui, si fermò per qualche istante, incerto.
Momento d’infinito.
Appena oltre l’altare dorato, un leggio.
Sopra il leggio, un libro.
Il libro era aperto.

La Bibbia.

Ci sono avvenimenti, nella vita, che non hanno nulla di razionale. Ci si ostina a negare qualsiasi cosa che non si riesce a spiegare, dimenticandosi che il potere della mente umana è immenso, sì: ma non illimitato. Esso non concepisce l’infinito, eppure l’infinito esiste. Le stelle ne sono la prova. Perché tentare di calcolare ciò che è ineffabile, perché agonizzare sotto la sublimità?
Perché essere diffidenti davanti ad un’alba, a un tramonto, a un miracolo che nasce?
Posate gli strumenti, e fermatevi ad ammirarlo. Solo così potrete capirlo.
Essere superstiziosi, è dimenticarsi della mente; essere credenti, è ricordarsi dell’anima.

Javert si avvicinò al libro. Per un’anima che si guarda, e si ritrova sperduta, ogni dettaglio può essere un’ancora di salvezza.
Ad insaputa dello stesso Javert, la sua mente si era fatta un poco più profonda, il suo pensiero un poco più ampio. I grandi traumi, talvolta, sortiscono di questi effetti. Sono palle di cannone alle quali, nel loro impatto distruttivo, accade di rompere incidentalmente qualche temibile barriera, aprendo spiragli qua e là.
Spinto dalla necessità, e da qualcosa di più alto ancora, non poté impedirsi di leggere il testo, un Salmo, sulla pagina già aperta.

Ecco particolari frammenti del testo che lesse:

Beati coloro la cui vita è immacolata,
che camminano nella legge di Dio
.”

L’immagine di Jean Valjean, galeotto immacolato, custode di quella legge che era a lui sconosciuta, gli si presentò d’immediato alla mente.

Tu hai promulgato i tuoi precetti,
da osservare fedelmente.
Dunque, siano stabili i passi miei
nel compiere i tuoi statuti!”


Aveva mai osservato lo statuto cristiano? Ci aveva provato. Ci aveva provato davvero, ma aveva sbagliato a leggerlo: e nessuno, prima di Jean Valjean, l’aveva mai corretto.

Ti loderò con rettitudine di cuore,
istruito dei tuoi giusti decreti.
Voglio osservare i tuoi statuti:
non abbandonarmi ora!”


Dio l’aveva abbandonato? Fino a quella notte, Javert non aveva mai pensato a Dio che come una vaga, astratta definizione formale nei libri di preghiera.
L’immagine nella sua mente passò da Jean Valjean alla bimba appena morta.

Benefica il tuo servo,
affinché viva e osservi la tua parola.”


Javert aveva sfiorato la morte, l’aveva cercata, l’aveva voluto. A lei si era arreso; si era offerto, senza speranza né resistenza, al suo ineluttabile oblio. Eppure, viveva. Per cosa, per chi?

Aprimi gli occhi affinché io contempli
le meraviglie della tua legge.”


Quali erano le meraviglie della legge di Javert? L’ordine, l’inflessibilità, l’assolutezza. Quali, le meraviglie di quella appartenente a Jean Valjean? Il totale annullamento della prima. Da questo nulla, da questa distruzione, si poteva ricostruire qualcosa? Era stato bruciato o illuminato? Trafitto o irradiato? Era perduto, o aveva semplicemente aperto gli occhi?

Tienimi lontano dalla via dell’errore,
fammi grazia della tua legge.”


Questo coraggioso nuovo mondo, questa nuova concezione, questi nuovi esseri umani, gli sembrava tutto così orribilmente, terribilmente folle e caotico. Javert aveva creduto di sconfiggere l’errore con la certezza: ma come sconfiggere l’errore, se non con l’ammissione di essere fallaci?

“Ecco, io desidero i tuoi precetti:
dammi vita per la tua giustizia.”


Giustizia, ingiustizia, scelta giusta, scelta sbagliata, come riconoscerle ancora? Esisteva una traccia?

Osserverò la tua legge per sempre,
senza posa, in eterno.”


Una nuova legge, dunque, una nuova concezione assoluta, sicura, eterna? C’era una speranza?

“Ricorda la promessa fatta al tuo servo,
con la quale m’infondesti speranza.
Questo m’è conforto nella mia afflizione:
che la tua parola mi ridà vita.”

“Non cercate più di buttarvi nel fiume, Javert. Avete una scelta.”

Per la seconda volta in quella notte, le parole di Valjean gli erano apparse alla mente, senza il minimo preavviso.

Ti scongiuro dal fondo del cuore,
pietà di me, secondo la tua promessa.
Rifletto sulla mia condotta,
rivolgo i miei passi ai tuoi insegnamenti.”


Tutti gli errori, le ingiustizie, le tirannie che, inconsapevolmente, aveva commesso.
Ancora, l’immagine della bambina uccisa…

Prima di essere afflitto, mi sviavo,
ma ora osservo i tuoi precetti.”


Decisamente, la sua afflizione era stata fatale. La più tremenda delle crisi.
Tuttavia ora, per la prima volta, Javert non era più così convinto di avere fatto la scelta giusta, tentando di buttarsi nel fiume. E non solo perché gliel’aveva detto Jean Valjean.

Buon per me essere nell’afflizione,
per imparare la tua volontà.”


Quella che aveva considerato come la sua più grande catastrofe, il patibolo designato, la prigione priva di fuga, poteva invece essere il frutto, o l’inizio, di qualcosa di giusto? Secondo Jean Valjean, lo era. Javert considerò se stesso: si trovò minuscolo dinnanzi a Jean Valjean.

Signore, so che sono giusti i tuoi giudizi,
e che a ragione mi affliggesti.
Or il tuo amore mi consoli,
secondo la promessa fatta al servo tuo.”


Cosa sarebbe successo se non fosse mai andato alle barricate, se non avesse incontrato di nuovo Jean Valjean, se non avesse permesso a questi di essere in debito con lui? Avrebbe condotto la sua vita futura nel modo esatto in cui aveva agito durante tutti gli anni precedenti. Il pensiero, inaspettatamente, lo irritò profondamente.

Praticai la giustizia e il diritto:
non abbandonarmi a chi mi opprime.”


Questi, nella sua vita, erano stati tutti i suoi obiettivi: seguire la giustizia e il diritto. Doveva ancora inseguire ciò, ma in un modo completamente differente, che intravedeva ma non capiva.

Volgiti a me, abbi pietà di me,
com’è tua norma con chi ama il tuo nome.
Fissa i miei passi con la tua parola,
Non mi vinca alcun male.”


Javert aveva cercato la morte, perché aveva avuto paura. Paura del futuro, dell’incertezza, dello sbaglio. E aveva avuto orrore di sé. Ma Jean Valjean, lui, aveva avuto pietà.

La tua giustizia è giustizia eterna,
e la tua legge è verità.”


Verità.

Anelo la tua salvezza, o Signore,
la tua legge è la mia delizia.
Viva l’anima mia per darti lode,
mi aiutino i tuoi precetti.
Se mi svio come pecora smarrita,
vieni a cercare il tuo servo,
poiché non ho dimenticato i tuoi comandi.














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Nota (spiacevole) dell'autrice:

Ho iniziato questa storia tre anni fa, al liceo. Non ho mai avuto particolari istinti da scrittrice, la narrazione di storie è una di quelle abilità che davvero non mi viene automatica. Avevo deciso di iniziare questa fanfiction perchè le scene mi ronzavano in testa da tempo. In un altro account, avevo già scritto qualche altra piccola cosa, ma volevo che Via Lucis fosse proprio la "mia" fanfiction: grande (10 capitoli di questa lunghezza sono per me, scrittrice lenta fino all'esasperazione, davvero tantissimo!), che passasse i messaggi a me cari e, soprattutto, che fosse un mio personale omaggio a Victor Hugo di cui potevo essere mediamente soddisfatta.
L'avrei scritta principalmente per me, non ero nemmeno sicura di volerla pubblicare.
È stato solo poche settimane fa che una sera, all'improvviso, mi sono detta "Oh che cavolo! La pubblico".

Avrei voluto una lunghezza finale di circa 20 capitoli. C'erano delle scene già perfettamente delineate nella mia testa, ma la maggior parte erano degli sprazzi confusi. Ad ogni modo, cominciai a scriverla. E ci misi molto di me stessa.

Racconto questo perchè, ora, la fanfiction è finita.
E lo faccio perchè, se una persona è arrivata a leggere fin qui, la buona speranza è che abbia letto la storia intera :') non mi andava di interromperla qui la senza nessuna spiegazione, anche se non ho proprio la folla ad attendere un buon finale -ce n'e "solo" una che ha scelto di seguirmi commentando ogni mio aggiornamento e che mi ha dato grande grande gioia!- preferivo chiarire un po' di cose.

Prima di tutto, che mi dispiace finirla così, a chiunque importerà (e forse la sto anche facendo troppo lunga con questa conclusione, saranno forse in due a leggerla, tuttavia: la speranza non muore mai!).  Perchè ho anche tentato di portarla avanti, ma è da due anni che ormai non la tocco più e, ora come ora, non penso proprio che potrò mai riprenderla. 
Da quando ho finito di scrivere il presente capitolo, concludendo così la Parte 2 della storia (l'avevo pensata di 3 parti in tutto, con al massimo una quarta puramente conclusiva; la terza si sarebbe chiamata "Ecce Luce"), mi sono irrimediabilmente bloccata. Da allora ho scritto neanche un capitolo e mezzo, pieno di imperfezioni e, a rileggerlo, non mi sembra valga neanche la pena. Mi è parso di avere già detto più o meno tutto ciò che volevo dire.
Ho amato scrivere ogni singola parola di questi 10 capitoli, e spero che siano piaciuti anche a qualcun altro. 

Certo, ci sono altre scene che avrei voluto raccontare, inserire in un contesto, ma va bene così.

D'altra parte, questo ultimo capitolo può già essere considerato, forse, una conclusione. Non nella religione in sè, ma nella consapevolezza che da essa ne scaturisce, nella piena concezione hughiana della religiosità intesa solo ed unicamente come identità ed espressione potente dell'anima umana, senza formalismi di sorta.
O, almeno, così la vedo io.

Voi immaginavate un finale ben specifico? Be', allora... perchè non me lo raccontate?
Javert dovrà di sicuro incontrare di nuovo Jean Valjean, come gli aveva promesso. E poi che succede?

Sul serio, sarei molto curiosa. Io so come l'avrei fatto finire, e dopo dirò qualcosa. Ma voi? :D
Fatemi sapere, se volete e se vi interessa abbastanza, come avreste fatto finire questo racconto. Anche via semplice messaggio personale, senza la recensione se preferite. Se capita, io ne sarò molto molto contenta, e ne parleremo.

Riguardo a me...

Dirò solo la poesia che avrebbe introdotto la Parte 3:

{“O miseria di me! O cuore nero come la morte!
O anima reclusa, che, combattendo per liberarti,
Trovi sempre più catene! Aiuto, angeli! Muovete all’assalto!
Piegatevi, caparbie ginocchia; e tu, cuore dalle fibre d’acciaio,
Sii tenero come le membra d’un neonato!
C’è ancora speranza.”


-William Shakespeare, Amleto, atto III}


E quella che avevo intenzione di usare nella conclusione:

{"Il sole ha oscurato la fiamma delle candele:
e, sempre vittorioso, il suo fantasma assomiglia, anima splendente,
al sole immortale."


-Charles Baudelaire, L'aube spirituelle [L'alba spirituale]}


...Dove il sole è Jean Valjean (niente Valvert, preciso: tutto tenuto scrupolosamente canon). 


E, niente, ringrazio moltissimo chi è arrivato fin qui e si è preso la briga di leggere la storia intera.
Ringrazio anche l'amichetto IKilledSiriusBlack  (:D) per avere fatto da beta reader a questa fanfiction.

Grazie, grazie, grazie di cuore!

AdeleBlochBauer
   
 
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