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Autore: blackmiranda    11/04/2016    3 recensioni
*INCOMPIUTA* Sette anni dopo la battaglia contro Deep Blue, una nuova minaccia si profila all'orizzonte. C'è solo un problema: le Mew Mew hanno definitivamente perso la loro mutazione e non possono più trasformarsi. Di conseguenza, Ryou è costretto a creare una nuova squadra di combattenti.
Riusciranno le nuove ragazze a sopportare il peso della loro missione e ad uscire a testa alta dal confronto con Ichigo, Minto, Retasu, Purin e Zakuro? E chi c'è dietro a questi nuovi attacchi alla Terra?
I nostri eroi saranno costretti ad affrontare un passato dimenticato e un futuro incerto, riscoprendo, passo dopo passo, l'amicizia e l'affetto che li legavano un tempo.
(Anche se dall'introduzione può non sembrare, in questa storia sono presenti tutti i personaggi dell'anime, più qualche "new entry". Mi impegno a dare a tutti loro il giusto spazio, magari sotto una luce diversa).
Era incredibile come nessuno di loro tre fosse riuscito ad essere immune al fascino di quelle umane ibridate. Cosa avevano mai di così speciale, da farli cadere ai loro piedi in quel modo vergognoso? Che diamine di sortilegio avevano gettato su di loro?(Cap.28)
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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30. Confrontation





Suika entrò nella stanza a passo di marcia, le braccia rigide lungo i fianchi. “Shirogane, devo parlarti.” esordì, e già si poteva intuire che avesse qualcosa che non andava.

Ryou sollevò un sopracciglio, scostandosi dalla scrivania del computer con una lieve spinta dei piedi. “Certo, dimmi pure.” le fece, squadrandola per bene. Sembrava in preda ad un nervosismo estremo, tanto che tremava leggermente. Il ragazzo socchiuse gli occhi. “Che è successo?” chiese, iniziando a preoccuparsi.

Suika prese un paio di respiri profondi, guardandosi intorno come se volesse assicurarsi che non ci fosse nessun altro, a parte loro, nella stanza. Dopodiché lo guardò di sfuggita e si decise a rispondere: “Ho bisogno che mi togliate la mutazione.”

Lui aggrottò la fronte, sorpreso da quella astrusa richiesta. “Lo sai che non è possibile…”

“Allora fate qualcosa per impedire che..!” sbottò lei all’istante, inviperita. “Io…non ce la faccio più a…stare così ogni volta che lo vedo.” aggiunse, incrociando le braccia al petto e abbassando lo sguardo. “Non ce la faccio più, o fate qualcosa o…”

“Aspetta, aspetta un secondo.” la interruppe lui, alzandosi dalla sedia. “Cos’è successo? Ti avevo detto di stargli lontana…” fece, intuendo subito, suo malgrado, di chi la ragazza stesse parlando.

“Beh, non è esattamente una cosa facile, sai!” esclamò lei, con voce stridula, mentre le si inumidivano gli occhi.

Ryou le andò vicino, prendendola delicatamente per le spalle. “Suika, che cosa è successo?” chiese, scandendo bene le parole.

Lei rifiutò di incrociare il suo sguardo, gli occhi lucidi a causa delle lacrime che si rifiutavano di scendere. Tirò su col naso, scuotendo la testa. “Niente, non è successo niente…” sussurrò, soffocando un singhiozzo.

“Suika, guardami e dimmi cos’è successo.” ordinò lui allora, mentre sentiva la rabbia montargli dentro. Cosa le aveva fatto, quel maledetto porco? Non gli bastava aver tormentato Ichigo a suo tempo, doveva pure perseguitare quella ragazzina, che già aveva ben altri pesi sulle spalle? Lo sapeva che non c’era da fidarsi…ma se fosse venuto a sapere che l’aveva sfiorata, anche solo con un dito…

La ragazza, intanto, lo guardava con un’espressione a metà tra l’avvilito e il colpevole. “Ecco, io…si è presentato alla mia finestra, e…” mormorò, e Ryou era certo che senza i sensi sviluppati dovuti al DNA per metà felino non l’avrebbe sentita.

“…cosa ti ha fatto?” ringhiò, ripromettendosi di rifilargli un cazzotto non appena se lo fosse ritrovato di fronte.

Suika tremò, sospirando pesantemente. “Niente, non mi ha fatto niente. È stata colpa mia, sono io che…ecco…che…” Arrossì come un peperone, abbassando la testa di nuovo, come una bambina colta in flagrante con le dita nella marmellata.

“Che?” la incalzò lui, che di pazienza ne aveva ben poca già in partenza.

Suika deglutì. “…l’ho baciato…” confessò infine con un filo di voce, nascondendo il viso tra le mani.

Ryou si immobilizzò, fulminato dalla rivelazione e, francamente, un tantino in imbarazzo. Quella ragazzina era sotto la sua responsabilità - era stato lui a coinvolgere lei e le sue compagne di squadra in quella situazione al limite della follia – e di conseguenza si sentiva in obbligo di aiutare tutte loro come meglio poteva, ma…insomma, che accidenti ne poteva sapere, lui, dei problemi di cuore di una quindicenne? Se c’era una cosa che, nonostante il suo Q.I. di tutto rispetto, non aveva mai capito, erano proprio le donne...

L’immagine fugace di Suika che baciava Kisshu gli passò nella mente e fece di tutto per scacciarla. Ma cosa diamine le era preso? Non la faceva così intraprendente…possibile che fosse tutta colpa della mutazione…? Abbassò le braccia lungo i fianchi, senza sapere bene cosa dire. Si ritrovò a desiderare che in quel momento ci fosse Retasu, lì con lui, a consolare Suika. Avrebbe di sicuro fatto un lavoro migliore.

E poi gli salì un’altra ondata di rabbia, perché, nonostante la confessione di Suika, era certo che Kisshu avesse fatto qualcosa per spingerla a baciarlo. Non poteva essere stato semplicemente uno spettatore innocente di tutto quanto. Tanto per cominciare…

“Cosa ci faceva Kisshu alla tua finestra?” le fece, dando voce ai suoi pensieri.

Suika tirò nuovamente su col naso. “Uh, ecco…” fece, dopo qualche secondo di silenzio, “voleva dirmi che un’auto nera mi aveva seguito dal Café fino a casa, ieri sera…e anche stamattina, l’ho vista, era parcheggiata proprio sotto il mio condominio…ma ho…ho cercato di fare finta di niente, e comportarmi normalmente, anche se non so se ci sono riuscita…” balbettò, facendogli andare di traverso la bile.

A quel punto, facendo del suo meglio per non sbraitarle addosso, Ryou chiese: “C’era qualcuno che ti seguiva e…non hai pensato di comunicarmelo subito..?” Ecco cosa succedeva ad affidare il destino del mondo a delle ragazzine in preda alle turbe ormonali, si disse maledicendo tra sé e sé quella giornata, che era evidentemente iniziata molto male.

Suika sgranò gli occhi, mordendosi il labbro. “Oh…ecco, io…” rispose, l’imbarazzo che traspariva dalla sua voce. “Ops.” aggiunse, e Ryou si passò una mano sulla fronte, stancamente. “Ma no, aspetta! Non sapevo se potevo usare il cellulare, Kisshu mi ha detto che avrebbero potuto intercettarlo…” si affrettò a giustificarsi lei.

“Potevi usare il ciondolo. È su una frequenza criptata.” le ricordò il ragazzo.

Suika arrossì di nuovo, distogliendo lo sguardo. “…non ci avevo pensato.” ammise, mortificata. “Dio, non ne combino una giusta…” gemette poi, soffocando l’ennesimo singhiozzo.

Ryou scosse la testa, mentre la rabbia cedeva il posto al famigliare senso di colpa che provava a cadenza regolare da quando aveva avviato il primo µ-Project. “Capisco che la cosa non sia facile, Suika, e ti prometto che cercherò di trovare una soluzione. Però tu devi cercare di mantenere il sangue freddo.” La ragazza annuì, una mano sulla bocca come a volersi zittire da sola, lo sguardo fisso al pavimento.

Lui sospirò. “Non è che ti sei segnata la targa dell’auto, vero?” chiese, giusto per essere sicuro, anche se non si aspettava certo che ci avesse pensato, presa com’era dall’alieno…

“Detto fatto.” rispose per lei la voce del suddetto alieno, che si materializzò nella stanza appena un secondo dopo. Suika sobbalzò, arretrando fulminea fino a quasi toccare il muro del sotterraneo con la schiena.

Ryou gli lanciò un’occhiata furibonda. Kisshu aveva un sorrisetto strafottente dipinto sul volto e gli occhi gialli che parevano brillare dalla soddisfazione. Gli porse una piccola sfera semitrasparente in cui galleggiava l’immagine a colori dell’automobile, una Mercedes nera dalla targa distintamente leggibile, ma lo sguardo di Ryou non rimase a lungo sulla macchina, tornando a focalizzarsi, glaciale, sull’alieno di fronte a lui.

Kisshu lo fissò di rimando, il ghigno che si allargava. “Hai qualcosa da dirmi, Shirogane?” gli fece, la provocazione nella sua voce chiara come il sole.

Ryou calcolò rapidamente le opzioni che aveva a disposizione. Dirgli chiaramente di non avvicinarsi più a Suika, lo sapeva, non sarebbe servito, o avrebbe addirittura peggiorato le cose. Con tipi come Kisshu quelle tattiche non funzionavano: avrebbe anzi rischiato di renderla ancora più appetibile ai suoi occhi. Allo scontro fisico avrebbe preferito non arrivare, dato che, per quanto gli costasse ammetterlo, l’aiuto che quei tre potevano dare loro era preziosissimo…e comunque, nonostante fosse in ottima forma, non credeva che sarebbe uscito vincente da un’eventuale scazzottata.

“Come va la ricerca dell’entrata alla dimensione nemica?” optò per chiedergli, nel tono più autoritario che gli riusciva di fare. Con la coda dell’occhio, vide Suika dileguarsi rapidamente lungo le scale che portavano al piano terra, e la cosa lo rincuorò giusto un po’: poteva vedere che almeno si stava sforzando di non complicare le cose più del necessario.

Kisshu si strinse nelle spalle. “Ci sto lavorando.” rispose in tono noncurante.

“Bene. Hai la giornata libera, così potrai dedicarti al tuo lavoro senza altre preoccupazioni.” decretò spiccio, tornando a focalizzare tutta la sua attenzione su di lui.

L’alieno non batté ciglio. “Le tue ragazze non dovrebbero allenarsi? Mi sembrava di aver capito che il tuo piano fosse di mandarle dritte tra le braccia del nemico…” fece, sottolineando volutamente con la voce l’ultima parte della frase.

Gli faceva ribollire il sangue nelle vene, non c’era niente da fare. Forse si trattava di puro e semplice razzismo – o meglio, specismo -, ma non c’era dubbio che Kisshu si conquistasse facilmente il primo posto nella lista di alieni che non sopportava. Tutto in lui evocava strafottenza: le labbra sottili tirate a scoprire i canini bianchi e affilati, i capelli spettinati che arrivavano appena a sfiorargli le spalle, quegli occhi così ultraterreni, così inquietanti, che non potevano che appartenere ad un essere extraterrestre. Vestito di bianco com’era, con quella specie di divisa militare che anche gli altri suoi fratelli indossavano, poteva sembrare quasi un individuo rispettabile – era certo che Suika si fosse fatta abbindolare in un battito di ciglia – ma lui sapeva benissimo di che pasta era fatto.

Lo detestava.

“Taruto sarà perfettamente in grado di gestirle per il momento.” replicò lapidario. Kisshu scosse la testa, ridendo. “Non lo invidio. Le ragazze come loro possono essere difficili da gestire…”

Ryou serrò le mani a pugno. “E questo cosa vorrebbe dire?”

Il sorriso di Kisshu si allargò. “Credo che tu lo sappia già.” Detto questo, gli voltò pigramente le spalle. “Vado. Ci si vede.” si congedò in tono scanzonato, teletrasportandosi fuori dalla stanza.

Ryou aspettò un paio di secondi prima di prendere un respiro profondo. “Promemoria per me: progettare un campo di forza in grado di impedire la smaterializzazione all’interno di questa stanza.” disse tra sé e sé, mentre ripeteva mentalmente la targa dell’auto sospetta che aveva letto poco prima.


 
***

 
Il portale si aprì alle spalle di Pai con un rumore secco, facendolo girare appena. Taruto ne emerse subito dopo, lo sguardo fisso sul pavimento viola immerso in una fredda nebbiolina biancastra.

“Ciao.” mormorò l’alieno più giovane, andando ad appoggiarsi con la schiena ad una colonna. Sembrava di malumore. Pai risolse di non indagare. Ricambiato il saluto, tornò a dedicare la sua più completa attenzione al messaggio appena ricevuto dalla madrepatria. Era bello, finalmente, poter leggere di nuovo qualcosa scritto nella sua lingua natia. I segni che gli umani usavano per scrivere i loro innumerevoli linguaggi erano estremamente inefficaci e ineleganti ai suoi occhi: un’altra riprova del fatto che, in moltissimi campi, la loro specie era ancora alquanto arretrata. Certo, cose come il µ-Project erano effettivamente brillanti, questo doveva ammetterlo…

…estremamente brillanti quanto rare

Facendo del suo meglio per ignorare l’immagine di MewRetasu che gli era appena comparsa in mente, Pai allungò un dito per far scorrere il messaggio a mano a mano che lo leggeva. Quelle lunghe stringhe di codice proiettate sullo schermo tondo dell’interfaccia rappresentavano il primo contatto che avevano avuto in settimane di assenza da K’mat. Come di consueto, la prima parte consisteva di ordini ufficiali dalla capitale, mentre la seconda era dedicata ai messaggi personali di amici e parenti. Dopo un attimo di esitazione, Pai represse il desiderio di leggere per primi i messaggi personali e selezionò il rapporto sulla missione.

In risposta alla sua richiesta di informazioni, era stata inviata tutta la documentazione riguardante i tre terroristi con cui si erano ritrovati ad avere a che fare. Sfortunatamente, i dati in loro possesso erano scarni, a dir poco: si trattava per lo più di censimenti quinquennali in cui figuravano i nomi e le date di nascita dei traditori. La femmina, Pastel Tatenen, era apparentemente più vecchia di quanto gli era sembrata durante lo scontro al molo, e risultava fosse madre di una bambina. Aveva una formazione scientifica di alto livello, almeno a giudicare dalla sua istruzione.

Taruto gli si avvicinò, apparentemente incuriosito. “Cosa leggi?” gli chiese, mentre Pai apriva una foto che ritraeva Pastel con l’uniforme ufficiale della divisione di ricerca e sviluppo del settore nord. “Hanno inviato i dati che avevo chiesto.” rispose, serrando poi la mascella. “Settore nord, come volevasi dimostrare…”

“Si sa che vengono tutti da lì, i traditori.” mugugnò Taruto.

Pai gli lanciò un’occhiata obliqua. “A questo devo il braccio rotto…” fece poi aprendo il file relativo al tizio coi capelli rossi che Kisshu aveva colpito al fianco durante l’ultimo scontro. Kuchen, si chiamava. “Uso massiccio di steroidi e probabile sperimentazione genetica.” lesse Taruto sporgendosi in avanti. “Mica male.”

Pai annuì. “Secondo la mia esperienza, è eccezionalmente forte.”

“E guarda qui…soldato, terza divisione, T’challa. Settore nord.” continuò Taruto, incrociando le braccia al petto come a voler dire te l’avevo detto

“Hmm.” Pai scorse in fretta il resto delle informazioni alla ricerca della cosa che più di tutte gli interessava, ovvero il Chimero mutaforma, ma ovviamente di quello non si sapeva assolutamente nulla.

“Ehi, aspetta, non ho mica finito di leggere!” fece Taruto, seccato. “Kue Min…wow.” mormorò, recuperando in silenzio il pezzo che aveva saltato. “Evaso dalla prigione di Synth tre cicli fa…arrestato per aver ucciso il vicino di casa…”

“Originario di Synth. La tua teoria è inesatta.” osservò Pai con una punta di sarcasmo aprendo un altro file, questa volta contenente una foto di Kue. Taruto sbuffò. “Beh, i pazzi ci sono anche da noi, non dico mica di no.”

“Non aveva la cicatrice, quando l’hanno arrestato.” notò il fratello maggiore.

Rimasero in silenzio a leggere le ultime righe del rapporto, che non aggiungevano molto a parte l’ordine perentorio di fare il possibile per acquisire dati sul Chimero…e sulle Mew Mew. I due fratelli corrugarono la fronte nello stesso momento. “…vogliono che raccogliamo dati sul loro DNA? Ma è quello che stiamo cercando di impedire!” esclamò Taruto, incredulo.

“Non è esatto. Stiamo cercando di impedire che la fazione nemica li raccolga.” replicò Pai, mentre il suo cervello si metteva in moto. Si era aspettato una richiesta del genere; in tutta onestà, negli ultimi tempi aveva pensato di chiedere lui stesso l’autorizzazione a procedere in tal senso. Si trattava di un compito senza dubbio difficile, ma non impossibile da mettere in pratica. L’essenziale era fare il tutto con discrezione. Era certo che Shirogane non glielo avrebbe mai lasciato fare, dunque era necessario evitare che lo scoprisse…

Taruto, nel frattempo, lo guardava a bocca aperta. “Stai pensando di farlo di nascosto, non è vero?” chiese d’un tratto, la voce un po’ più acuta del solito. “Pai, sarebbe tradire la loro fiducia!” protestò.

Pai lo squadrò dall’alto in basso. “Sai benissimo che Shirogane non ce lo farebbe mai fare, se ne venisse al corrente.”

“Certo, e posso capire le sue ragioni!” esclamò Taruto avanzando di un passo.

Pai annuì. “Lui ha le sue ragioni, noi abbiamo le nostre.” dichiarò con semplicità.

Il fratello minore fece una smorfia di disappunto. “Potremmo almeno provare a chiedere, prima.”

Pai scosse la testa lentamente. “Troppo rischioso.”

“Rischieremmo di mandare a monte la missione, se ci scoprissero!”

“Non ci scopriranno. Me ne occuperò io.” tagliò corto Pai, iniziando a innervosirsi. “Farò finta di non aver capito dove vorresti arrivare, Taruto.” aggiunse poi, tornando a guardare il computer.

“Ah sì? E dove vorrei arrivare?” lo incalzò l’altro, andandogli di fronte. Era evidente che era arrabbiato. Pai sostenne il suo sguardo senza battere ciglio. “Stai contestando gli ordini della regina. Lo sai cosa significa, questo. Tuttavia, dato che sei mio fratello, e che la tua mente è annebbiata dalla rabbia e dalla vicinanza di quell’umana, chiuderò un occhio.”

Taruto arrossì, colto in flagrante. “C-ci puoi giurare, che sto contestando gli ordini! Ho una mente indipendente, io!” esclamò in tono accorato.

Pai lo fulminò con lo sguardo. “Smettila.” lo avvertì abbassando il tono di voce. Lo stava davvero indisponendo, adesso.

“Pai, ascoltami…” iniziò Taruto, ma non lo lasciò finire: “No, adesso tu ascolterai me!” sbottò, glaciale. Prese un breve respiro, poi continuò, recuperando un tono di voce controllato: “Ricorda a chi devi obbedienza. Il nostro popolo è spaccato in due dalla guerra civile, e tu hai scelto di stare dalla parte del legittimo governo di Synth, il che significa che, se la regina ordina, noi ubbidiamo. Altrimenti non sei migliore di questi traditori.” fece, indicando l’immagine di Kue ancora presente sullo schermo.

Le guance di Taruto si arrossarono ancora di più, e le sue pupille si assottigliarono. “Come ti permetti di darmi del traditore?! Io non uccido la mia stessa gente! Io non porto sangue e disperazione dove c’è la speranza per un futuro migliore!”

“Il tradimento nasce nelle idee, prima che nei fatti.” sentenziò lapidario Pai. “Potrai anche non essere d’accordo con gli ordini che ricevi, ma se sei un soldato fedele li esegui. Fino alla fine.” Detto questo, chiuse con un gesto brusco il file che aveva di fronte, aprendo il resto del messaggio. “Queste sono le persone che ti amano, Taruto. Nostra madre e nostro padre, nostra sorella, i nostri nipoti. Anche Kyrie e Shazan. E i figli che avrai in futuro, e la persona che deciderai di sposare. Queste sono le cose che restano quando tutto passa.” Gli scoccò un’occhiata severa. “Non buttare via tutto questo per un’umana.”

Taruto reagì come se l’avesse schiaffeggiato. Sembrava in procinto di dire qualcosa, ma dalle labbra non gli uscì alcun suono; invece, abbassò il capo, irrigidendo la schiena.

Pai avvertì una punta di rimorso. A differenza di Kisshu, non era per nulla incline agli scoppi d’ira, né traeva da essi particolare soddisfazione. Amava suo fratello e non voleva certo vederlo stare male per colpa sua…ma Taruto aveva già dimostrato in passato una preoccupante tendenza a contestare gli ordini sotto la spinta della sua emotività. E, se era vero che con Deep Blue quel modo di fare si era dimostrato giusto, si era certo trattato di un’eccezione, non della regola, ragion per cui nessuno di loro avrebbe dovuto prenderlo ad esempio.

L’unica ragione per cui erano tornati sulla Terra era impedire che i terroristi avessero la meglio. Tuttavia, se per qualche disgraziato motivo non fossero riusciti a fermarli, era essenziale assicurarsi che almeno avrebbero combattuto ad armi pari. E se questo voleva dire combattere con l’ausilio del potere Mew, così sarebbe stato.

“Non dovrai preoccuparti di nulla. Come ho già detto, penserò io a questa incombenza. Sono certo che prima o poi si presenterà l’occasione adatta.” disse, cercando di tranquillizzarlo.

Taruto gli scoccò un’occhiata gonfia di risentimento, ma non disse nulla.  


 
***

 
La bicicletta frenò con uno stridio di fronte al cancello di casa Momomiya e Masaya scese di sella in un unico, fluido movimento, la sacca di Kendo oscillante sulla schiena.

Dopo aver appoggiato la bicicletta al muretto che circondava l’abitazione, il ragazzo suonò il campanello per farsi aprire. Era strano, rifletté fissando il numero civico scolpito in un unico pezzo di ottone, dover fare la spola tra la casa dei suoi genitori e quella dei genitori di Ichigo, abituato com’era, ormai, ad anni di convivenza con la ragazza nel loro piccolo appartamento in Inghilterra. Era come essere tornati indietro nel tempo, in un certo qual modo. Del resto, anche aver ripreso ad allenarsi con il suo vecchio maestro di Kendo era strano...gli tornò alla mente quando, giusto qualche giorno prima, erano andati insieme a dare un’occhiata al dojo della scuola in cui aveva passato tante sudate ore da ragazzino. Gli era sembrato più piccolo, quasi come la stanza in miniatura di una casa delle bambole, ma l’odore era lo stesso di tanti anni prima, inconfondibile, un odore che rievocava immagini di fatica, disciplina e rigoroso impegno, mescolato al profumo del legno altrettanto rigorosamente tirato a lucido. La palestra era vuota, ma al ragazzo era quasi parso di vedere, al di là della porta a pannelli scorrevoli in carta di riso, una familiare figura minuta dai capelli rossi raccolti in un paio di codini.

Erano anni ormai che Ichigo non portava più i capelli legati. Sua madre Sakura, d’altronde, per tutto quel tempo aveva sempre mantenuto quello sbarazzino caschetto cremisi con cui gli si presentò di fronte quella sera, aprendogli la porta per farlo entrare in casa. “Bentornato, Aoyama-kun!” lo salutò, sorridente. “Ichigo è di sopra, credo stia studiando. La cena è quasi pronta!” lo informò con voce squillante. Masaya ricambiò il sorriso, ringraziandola. Che la signora Momomiya lo adorasse era risaputo, a differenza del marito Shintaro, che, nonostante non lo trattasse più ormai come il disgraziato che osava uscire con sua figlia, pareva comunque non aver digerito del tutto il fatto che “se la fosse portata dietro” a Londra, come lo aveva sentito sbottare al telefono più di una volta.

Ovviamente, pensò Masaya con un mezzo sorriso accondiscendente mentre si toglieva giacca e scarpe, non aveva certo costretto Ichigo a seguirlo. Lasciare il Giappone era stata una scelta sofferta quanto sentita; ne avevano parlato per mesi e, alla fine, era stata lei a voler andare a vivere in Inghilterra insieme a lui. Era stato così fiero di lei, quando si era messa in testa di passare l’esame di ammissione e vincere la borsa di studio. Non era mai stata più motivata in vita sua a studiare, glielo aveva detto chiaro e tondo, ridendo, le guance tinte di un rosa imbarazzato. Ichigo Momomiya poteva certo essere pigra di natura, ma era anche una ragazza estremamente testarda, e quando si metteva in testa qualcosa non c’era nulla che non potesse fare, come in effetti aveva dimostrato, infine, alla sua famiglia e a tutti gli altri. E lui si sentiva l’uomo più fortunato del mondo, ad averla con sé. 

Salì le scale portando con sé la sacca in cui teneva l’armatura e la katana. Era davvero felice di aver ricominciato ad allenarsi. Da quando era arrivato in Inghilterra aveva abbandonato molte cose che amava per dedicarsi quasi esclusivamente al suo sogno di lavorare per la causa ambientalista, ma forse, si era reso conto da poco, il suo era stato un abbandono troppo improvviso. Tornare alle sue vecchie abitudini era come fermarsi ad ammirare il paesaggio attorno a sé dopo una lunga corsa. E poi, rispolverare le sue abilità come spadaccino non era una così brutta idea, visto e considerato che erano di nuovo sotto attacco da parte di invasori alieni. I suoi poteri come Ao no Kishi erano spariti - per sempre, si augurava - ma questo non voleva per forza dire che lui non potesse a suo modo contribuire a difendere le ragazze dagli attacchi nemici…

Bussò piano alla porta della camera di Ichigo, che gli aprì subito dopo, scostandosi una ciocca di capelli dal viso. “Buonasera.” le fece con un sorriso complice, appoggiando la sacca ai piedi del letto.

Ichigo gli sorrise di rimando, le mani strette al livello dello stomaco. Indossava un maglione bianco a collo alto, su cui spiccava il ciondolo a forma di gatto regalatole da Minto, e una gonna beige che le arrivava alle ginocchia. “Com’è andata oggi?” gli chiese, mentre lo sguardo di lui cadeva sulla scrivania ingombra di libri, fogli di block-notes, matite colorate ed evidenziatori, oltre che di un portatile fucsia.

“Bene. Mi sono rilassato.” rispose Masaya serafico, tornando a guardarla. “Tu, che hai fatto? Sei andata al Café?” si informò, posandole un bacio sulla fronte.

Ichigo ridacchiò, poi fece una smorfia. “No, ho preferito restare a casa, oggi.” rispose, appoggiando la testa sul petto di lui e circondandogli il busto con le braccia.

“Oh.” Masaya corrugò la fronte. Erano due…no, tre giorni, almeno così gli sembrava, che Ichigo non si faceva viva al Café. “C’è qualcosa che non va?” domandò, abbracciandola di rimando. Aveva un profumo dolce, di vaniglia, sui capelli, che le sfiorò appena con il mento.

La ragazza si strinse nelle spalle. “Ma no…sono solo un po’ stanca, e fuori fa freddo. Non ho proprio voglia di uscire.” si giustificò, sciogliendo l’abbraccio. Gli fece un sorriso imbarazzato e tornò a sedersi alla scrivania, agguantando una penna dal tavolo. “E poi, Shirogane mica mi paga più, per presentarmi lì tutte le mattine…” aggiunse con una sfumatura polemica nella voce, giocherellando con la penna.

Masaya ridacchiò. “Sei proprio una gattina…” osservò, accennando al modo in cui la ragazza tormentava la biro blu.

Lei si arrestò di colpo, lanciandogli una strana occhiata, dopodiché posò la penna sul libro aperto che aveva di fronte. “Hai ragione, dovrei smetterla.” borbottò distogliendo lo sguardo.

Masaya si stupì di quella reazione improvvisa. “Ma no, non stavo mica dicendo questo…” si affrettò a dire, osservandola con più attenzione. Aveva la pungente sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto. Si sedette sul letto di fronte a lei, cercando di catturare il suo sguardo. “Sicura di stare bene?” le chiese con voce pacata.

La ragazza annuì. “Ma sì, tutto ok. Non preoccuparti.”

Non era per niente convincente. Se c’era una cosa in cui Ichigo non era per niente brava, al contrario di lui, era mentire. Non per niente ci aveva messo poco a capire chi si celasse dietro quella spavalda Mew Mew in rosa, sette anni prima…

Lanciò una seconda occhiata ai libri sparpagliati sulla scrivania: non riusciva a leggere tutti i titoli, ma un volume sui disturbi della personalità attirò subito la sua attenzione. Vicino ad esso, un altro sullo stesso argomento, mentre un terzo, aperto sopra i primi due, sembrava trattare del disturbo post traumatico da stress.

Ichigo seguì il suo sguardo e arrossì lievemente. “Scusa, è che sono un po’ preoccupata per l’esame, tutto qui. Come puoi vedere.” fece, gesticolando in direzione dei libri. “Ehm…forse è meglio che riordini un po’.” aggiunse poi, chiudendo frettolosamente con una mano un tomo di almeno cinquecento pagine piene di orecchie. Al margine della scrivania color crema giaceva un piatto pieno di briciole, evidenti resti di quello che sembrava essere stato un panino. Masaya lo prese in mano prima che cadesse, mentre Ichigo impilava alla bell’e meglio libri, quaderni e fogli di appunti scritti in inglese e cacciava matite ed evidenziatori nell’astuccio a forma di coniglio nero. “Se mamma mi vede adesso, come minimo mi fa saltare la cena…” scherzò la ragazza. Masaya le sorrise, comprensivo. “Se sei preoccupata per lo studio, sai che puoi sempre contare su di me. Posso aiutarti a ripassare, se vuoi.”

Lei lo guardò con affetto, intenta a riempire l’astuccio fino al limite. “Lo so, amore. Grazie.” fece dopo qualche secondo, mentre tirava con forza la cerniera nel tentativo di chiudere l’astuccio, che aveva ormai assunto l’aspetto di un coniglio obeso. Il ragazzo assistette in silenzio alla scena, sforzandosi di non ridere ai sonori e poco eleganti sbuffi della propria fidanzata alle prese con la cerniera. Alla fine, come sempre, Ichigo ebbe la meglio. “Ecco fatto.” constatò con una punta di soddisfazione nella voce, soppesando l’astuccio con la mano destra. “Ehi, al prossimo Chimero che mi attacca potrei lanciarlo in faccia! Sarebbe letale.” scherzò, e Masaya si rasserenò giusto un po’ nel vederle tornare il buonumore. “Non devi preoccuparti di questo, ci penso io a difenderti.” disse dolcemente, raccogliendo la sacca da terra. “Vogliamo scendere?”

Ichigo annuì, posando l’astuccio sulla scrivania. Gli passò davanti, prendendogli il piatto dalle mani, e si avviò verso le scale, sorridendo appena, con uno strano luccichio negli occhi. Masaya corrugò la fronte, ma si astenne dal commentare. Non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che qualcosa non andasse...e qualcosa gli diceva che non si trattava dell’ansia pre-esame. Anche perché, rifletté aggiustandosi la sacca sulla spalla destra, normalmente si sarebbe aspettato di vederla più iperattiva e nervosa, mentre invece quella sera l’aveva trovata quasi…spenta. Non poteva fare a meno di pensare che c’entrasse qualcosa legato al Progetto. Forse era per quello che non si era più presentata al Café?

Si girò verso la scrivania per un momento, quasi istintivamente, controllando che fosse tutto in ordine, per poi chiudersi la porta della camera alle spalle.

Non voleva forzarla a dirgli nulla contro la sua volontà, decise iniziando a sua volta a scendere le scale. Si augurava solo che, qualsiasi cosa fosse, si decidesse a parlargliene da sola.


 
***

 
Era giunta la fine di un’altra lunga giornata di lavoro e allenamento. L’umore generale era abbastanza cupo, dato che alla stanchezza si sommava la preoccupazione dovuta all’interferenza dei servizi segreti o chi per loro nelle vite delle cinque ragazze – Ryou aveva provveduto ad avvertire tutti della misteriosa auto nera che aveva preso a pedinare Suika.

Persino Taruto, il più giovane dei tre alieni loro alleati, era sembrato incupito, quel pomeriggio. Anche le ragazze più grandi si erano trovate un paio d’ore ad allenarsi, ma tra Purin che sembrava voler prendere a calci tutto quello che le capitava a tiro, Retasu pensosa e Minto innervosita dall’ennesima assenza di Ichigo, il clima non era per nulla migliorato.

Tuttavia, mentre si cambiava d’abito negli spogliatoi sul retro del Café, Suika non poté fare a meno di darsi una immaginaria pacca sulla spalla. Ce l’aveva fatta, a superare quel giorno con discreta dignità, cosa che non credeva le sarebbe riuscita, data la figuraccia epocale che aveva fatto con Kisshu appena la sera prima e la conseguente isteria che quasi non le aveva fatto chiudere occhio. Tirò un sospirone di sollievo che non passò inosservato alle compagne di squadra: Sumomo le fece un sorriso sornione, mentre Nasubi si produceva in un’espressione a metà tra la preoccupazione e il disappunto, voltandole le spalle subito dopo.

“Chissà la nostra cara Suika-oneechan a chi sta pensando…” canticchiò Sumomo, andandole vicino mentre raccoglieva i capelli biondi in una coda alta.

Suika le scoccò una fugace occhiata imbarazzata, dandosi attentamente da fare per appendere la divisa da cameriera alla gruccia. Non era riuscita a tenersi quella cosa per sé, aveva dovuto per forza confidarsi con qualcuno che non fosse Shirogane…e comunque quella mattina l’avevano capito subito, le altre, che qualcosa le frullava in testa. La cosa frustrante era che Sumomo era anche fin troppo entusiasta (Suika si aspettava quasi che si vestisse da cheerleader per fare il tifo, con tanto di pon pon) mentre Nasubi non riusciva proprio a nascondere lo scetticismo e la disapprovazione, col risultato che Suika si sentiva in perenne tensione tra due poli opposti, quasi che Sumomo e Nasubi fossero le personificazioni, rispettivamente, del suo cuore e della sua mente.

In tutto questo, Ichijiku se ne stava zitta e impassibile, mentre Ninjin oscillava tra l’entusiasmo del vedere la sua oneechan innamorata e il rispetto che provava per Nasubi in particolare, con tutte le conseguenze del caso.

Suika si schiarì la voce. “Beh, è stata una giornata…faticosa.” fece, cercando di cambiare argomento.

“Già. Ma devo ammettere che mi sento molto più forte rispetto a una settimana fa.” disse Ichijiku, incrociando le braccia. Le altre concordarono.

Uscite in fila indiana dallo spogliatoio, salutarono Akasaka che stava spazzando i pavimenti. “Buon rientro a casa, ragazze. State attente.” si raccomandò lui in tono eloquente.

Le Mew Mew annuirono all’unisono. “Mi raccomando, ragazze. Se avete bisogno usate i ciondoli.” ribadì Suika una volta che furono uscite dal locale. Era essenziale non perdere di vista la missione, problemi di cuore o meno, si disse cercando di rimettersi in riga, e istintivamente il suo sguardo incrociò quello di Nasubi. Le sorrise, impacciata, e dopo un attimo di esitazione l’amica ricambiò, abbassando un po’ il capo, quasi a volerle chiedere scusa.

“Va bene, rompiamo le righe, soldati!” scherzò Sumomo stemperando un po’ la tensione. Le altre annuirono, augurandosi a vicenda una buona serata.

Si separarono, guardandosi le spalle di tanto in tanto alla ricerca della macchina nera, che tutte e cinque immaginavano in agguato nell’oscurità della sera.

Erano passati a malapena un paio di minuti che a Suika parve come di percepire una presenza nei paraggi. Rallentò il passo, rigirandosi nervosamente il ciondolo della trasformazione tra le dita. Poteva avvertire i propri sensi di tigre affinarsi, eppure, allo stesso tempo, la sensazione che provava in quel momento le sembrava andare al di là della sfera fisica. Col cuore in gola, si guardò attorno. Stava percorrendo la solita strada attorno al parco, e qualcosa le diceva che, chiunque fosse quel qualcuno di cui percepiva la presenza, l’avrebbe trovato tra gli alberi.

Continuò a camminare, la mano destra serrata attorno al ciondolo. Gli unici rumori che udiva erano quelli delle auto poco distanti e dei suoi stessi passi nella ghiaia del sentiero…  

Improvvisamente, il baluginio di un paio di occhi alla sua destra le mozzò il respiro. Subito portò il ciondolo al petto, allarmata, senonché la figura si portò alla luce – era su uno degli alberi del parco, aveva indovinato! – e la paura per la minaccia incombente si tramutò in istantaneo imbarazzo quando realizzò a chi appartenevano quegli occhi che aveva intravisto nell’oscurità.

“Sicura che non abbiano fuso i tuoi geni con quelli di un coniglio, invece che con quelli di una tigre?” le fece Kisshu con il suo solito tono irriverente, che stava iniziando a conoscere piuttosto bene.

Suika inspirò rumorosamente. Aveva trattenuto il fiato per la tensione. “Mi-mi hai spaventata. Hai gli occhi come quelli dei gatti anche al buio…” cercò di giustificarsi lei, riponendo il ciondolo dorato nella tasca del giaccone. Ed ecco le guance che vanno a fuoco…maledizione…oh, e potevi dirlo con un po’ più di venerazione nella voce, già che c’eri…pensò, distogliendo automaticamente lo sguardo dal suo interlocutore. Ma tanto chi se ne importa, l’ho baciato…se non era già palese prima di ieri sera, lo è diventato…

Ripensò all’occhiata stranita che le aveva rivolto Kisshu quando le loro labbra si erano staccate. Se n’era andato subito dopo, senza dire una parola, e lei aveva dovuto soffocare la crisi di nervi nel cuscino per non rischiare di farsi mandare al reparto psichiatrico.

O Dio, salvami. Manda un fulmine, un uragano, qualcosa!, pregò, silenziosamente quanto disperatamente, mentre l’alieno scendeva dal ramo dell’albero su cui si era seduto. “Sono desolato di averti spaventata,” disse, anche se non sembrava per niente dispiaciuto, anzi, “ma al tuo boss è quasi venuto un infarto, stamattina, e volevo risparmiargli il dispiacere.” spiegò, facendo un cenno in direzione del Café.

Suika ci mise qualche secondo per capire a cosa si stesse riferendo. “Oh.” commentò semplicemente, il cuore che batteva all’impazzata. “Volevi…cioè, intendo…hai bisogno di me?” gli chiese, mentre la temperatura sotto il giaccone invernale iniziava a salire.

“Hm. A dire il vero, sì.” rispose lui, avvicinandosi. Suika, allarmata, fece un passo indietro. “O-ok. Se posso aiutarti, dimmi pure.” balbettò, guardando ovunque tranne che nella sua direzione.

Kisshu avanzò di un altro metro e Suika arretrò nuovamente. L’alieno rise. “Perché scappi? Hai paura di baciarmi di nuovo?”

Fu come ricevere un pugno nello stomaco. Suika si sentì svuotata, tutto d’un tratto. Nonostante la cotta, una vocina nella sua testa si indignò per il modo in cui la stava prendendo in giro. Non aveva la minima idea di quanto mortificata si sentisse, in quel momento? Forse che si divertiva a vederla così in panico? Le tornarono alla mente le parole che Shirogane le aveva detto prima di Natale. Forse, dopotutto, aveva ragione lui…e anche Nasubi…ma chi prendeva in giro, l’aveva sempre saputo che avevano ragione, in fondo.

Prese un respiro profondo, mordendosi l’interno della guancia sinistra. “A-a proposito di quello…” esordì, riuscendo a trovare la forza d’animo necessaria a guardarlo in faccia per un fugace istante. Era come guardare il sole a occhio nudo; si ricordò di averlo già pensato.
Chinò il capo, poggiando le mani sulle ginocchia. “Ti chiedo immensamente scusa, è stato un gesto che non è dipeso da me.” continuò, gli occhi socchiusi. Le veniva da piangere. E le girava la testa. Di nuovo.

Sbuffò, raddrizzandosi e sbattendo le palpebre. “E…non succederà mai più, lo giuro.” aggiunse con un groppo in gola.

“…quindi è questo il problema che stai avendo con la mutazione.” commentò lui, lasciandola senza parole. Come faceva a sapere del difetto nella sua mutazione? Qualcuno gliel’aveva detto? Oppure l’aveva sentita lamentarsi con Shirogane, quella mattina?

Suika cercò di ricomporsi, facendo cenno di sì con la testa. Kisshu la fissava con l’aria di chi aveva appena risolto un rompicapo. D’un tratto le sorrise, e il suo stomaco prese a fare le capriole, di nuovo. “Immagino che sia una cosa plausibile. L’istinto animale prende il sopravvento.” Riprese ad avvicinarsi. “Così come voi umani discendete dai primati, così noi siamo, tecnicamente, felini…” mormorò, come se non stesse realmente parlando con lei, ma con sé stesso.

La ragazza indietreggiò per la terza volta, andando a sbattere contro il tronco di un albero. Kisshu si fermò a poca distanza da lei. Sembrava perso in un qualche ragionamento, una mano alle labbra, lo sguardo fisso nel vuoto.

“Sono felice che tu, ecco, capisca. Che la cosa non dipende da me, ecco. Lo so, voglio dire, sono perfettamente consapevole del fatto che…tu e io…” Oddio Suika, che cavolo stai blaterando?! Stai zitta!, si rimproverò la ragazza mordendosi la lingua. Il cellulare che teneva nella tasca dei jeans vibrò, e improvvisamente si rese conto che era in ritardo per la cena, e che probabilmente sua madre stava iniziando a preoccuparsi.

“Ok, beh, sono contenta che questa cosa è sistemata.” disse frettolosamente, accennando un debole sorriso. “Ora devo andare.” aggiunse, e suo malgrado gli voltò le spalle, soltanto per sentirsi afferrare il polso un secondo dopo. Chiuse gli occhi, rabbrividendo dalla testa ai piedi a quel semplice contatto. La mano di lui era fredda, ma allo stesso tempo sembrava bruciarle la carne; era la stessa, curiosa sensazione che provava quando si trasformava, come di un fuoco che le avvampasse dentro…

Kisshu la fece voltare, non con violenza ma con decisione, anche se sarebbe bastata la più lieve spinta a farla muovere. Lo fissò, si rese conto, come un assetato che si trovasse davanti una caraffa d’acqua fresca.

Si sentiva come creta in attesa di essere plasmata.

E, improvvisamente, un’ondata di panico le risalì lo stomaco. Aveva paura di svenire di nuovo, o di perdere un’altra volta il controllo di sé stessa. Ormai conosceva quelle sensazioni: il turbinio del sangue nelle orecchie, la carenza di ossigeno al cervello… “Ti prego, lasciami!” esclamò, divincolandosi. L’alieno la guardò con le sopracciglia corrucciate. “Ti faccio così tanto effetto?” le chiese, incredulo.

Suika si allontanò, respirando affannosamente mentre si massaggiava il polso che lui le aveva stretto, lo stesso in cui era comparsa la voglia che la contrassegnava come Mew Mew. Il cellulare vibrò ancora. “Sì.” rispose semplicemente. “Sì.” ripeté.

E corse via.
 
 
 
 









Finalmente, dico io, FINALMENTE anche questo capitolo è concluso. *-* Quanto ho faticato per scriverlo. Non voglio commentare niente perché l’ho riletto ormai tante di quelle volte da avere le traveggole. -.-“ Spero solo che vi sia piaciuto. Grazie a tutte per le splendide recensioni. Un baciotto.
P.s.: Nel prossimo capitolo, botte. Botte a non finire. >:3
   
 
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