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Autore: Andy Black    12/04/2016    0 recensioni
Il tempo è relativo, e questa è una delle frasi più fatte della storia.
Ma Oliver Jackson, un avvocato che vive la sua vita tranquilla, scopre quanto ogni granello di sabbia della clessidra degli eventi sia prezioso. Quindi cerca tempo, tempo per salvare la vita di sua figlia Nina.
E l'unico modo che ha a portata di mano per catturare il tempo è desiderare di averne un po' in più, giusto un'ora; un'ora che può donargli Jirachi.
Jirachi però è nei piani di risanamento di Hoenn, distrutta dai cataclismi creati da Groudon e Kyogre. Grazie a al Pokémon molti uomini e donne, tra cui Sapphire Birch e diversi Capipalestra, sarebbero ritornati in vita; ecco perché Rocco delega la coppia Pat - Fiammetta per catturare il Pokémon.
La storia compresa nell'universo Courage ed è immediatamente successiva ad Hoenn's Crysis ma può essere benissimo letta senza sciropparsi il polpettone sopracitato. Si avverte che ci sono residui tossici di Candleship (Rocco x Fiammetta) e di Frantic (Ruby x Sapphire).
Buona lettura a tutti ;D
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rocco Petri, Ruby
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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.  ... The25THhour.. .
- Capitolo 7.
- Epilogo.


Alla fine tutto era terminato. Pat e Fiammetta avevano ringraziato Rupert ed erano ritornati ad Hoenn tramite un aereo privato di Adriano. Una volta arrivate ad Iridopoli entrarono nella sede della Lega e fecero il proprio ingresso nella stessa sala dove quella mattina avevano preso in carica quell’insolita missione.
Fiammetta pensava durasse di più, quella situazione, e invece in poche ore erano riuscite a risolverla, a chiuderla.
Si sentiva turbata però, e Pat lo sentiva mentre camminavano e s’avvicinavano agli altri esponenti della Commissione della Lega di Hoenn.
Erano tutti lì, tranne Ruby. Lui era nella sala medica dell’edificio, accanto alla postazione di Sapphire Birch. Anche Tell era lì; non era mai andata a vedere suo fratello da quando era morto, e pensava fosse meglio in quel modo.
Non appena Fiammetta mise piede nella camera Rocco si diresse verso di lei; si alzò dalla sua poltroncina di pelle rossa ed allargò le braccia, accogliendola con un abbraccio caloroso.
“Come stai?” le chiese.
Fiammetta si specchiò nei suoi occhi d’acciaio e sorrise, baciandolo. “Sto bene”.
Tutti gli altri si alzarono ed applaudirono, e poi andarono a salutare Fiammetta mentre Rocco rimase davanti a Pat.
“Hey, soldatessa, come va?”.
Quella annuì, sorridente. “Tutto bene... È stata dura ma ce l’abbiamo fatta...”.
Dopo essersi congratulati con le due, si sedettero tutti.
Silenzio, attendevano che Rocco parlasse.
“Allora. Ce l’avete?”.
Fiammetta rise. “Sembriamo le tue pusher...”.
“In un certo senso è così...”.
Fiammetta guardò Pat e quella annuì, tirando fuori da una borsa la Pokéball di Jirachi.
La posa al centro del tavolo e si risedette.
Rocco scattò una rapida istantanea dei volti delle persone sedute a quel tavolo: tutti tesi, stanchi e provati. Impauriti.
Allungò la propria mano verso la sfera, tenendola ben stretta.
“È chiaro che non avremo altre occasioni, quindi sarà una sola persona a parlare a Jirachi, in modo da poter esprimere soltanto il desiderio che ci occorre”.
“E gli altri due?” domandò Alice.
Adriano la fissò per qualche istante, prima di tornare a seguire la scena.
“Il Pokémon passerà sotto il controllo di Green Oak, che lo ha richiesto ufficialmente”.
Alice annuì. Poi fu Walter a prendere parola.
“Chi è che parlerà con Jirachi?”.
Rocco s’alzò in piedi. “Lo farò io. Sono io il Campione, del resto. E non bisogna parlare... è più complicato di quel che sembra, quindi mi aspetto che voi facciate silenzio e mi lasciate fare quest’operazione con calma”.
Tutti annuirono.
Rocco lasciò che il Pokémon uscisse dalla sfera; Jirachi prese a fluttuare sul tavolo, fermandosi proprio di fronte al Campione.
“Jirachi” lo chiamò quello. “Mi chiamo Rocco Petri e...”.
Quello lo guardò.
In mente” lo redarguì Pat, facendolo sobbalzare. Poi sorrise quando Fiammetta increspò le labbra. “Lo stai facendo anche con lui?!” le chiese, a bassa voce.
Pat sorrise ancora e tornò a guardare Rocco.
 
Jirachi... poche settimane fa l’ira di Arceus ha risvegliato Groudon e Kyogre. Loro hanno continuato il proprio scontro millenario lungo il territorio di Hoenn, distruggendo totalmente città e paesi. Ammazzando chiunque si ponesse sul loro cammino. Alcune persone, dei malintenzionati, hanno approfittato di ciò, ammazzando e distruggendo a propria volta; so che è difficile da rendere possibile ma tu sei l’unica entità vivente in grado di aiutarci: ti prego, fa’ che tutte le persone morte per via di questi avvenimenti resuscitino e che le nostre città vengano liberate dalle macerie... fa’ che ritornino allo stato iniziale delle cose; fa’ che tutte le città sommerse dall’acqua tornino ad essere bacini di civiltà; fa’ che Cuordilava venga liberata dalla lava solidificata e che la vita torni a scorrere normale, come un anno fa”.
 
Fiammetta guardava Rocco, che stava con gli occhi chiusi e le mani tese a toccare le zampe anteriori di Jirachi. Il Pokémon, amichevole, guardava incuriosito Rocco, come ascoltando una storia toccantissima che nessuno aveva mai raccontato.
 
“Siamo nelle tue mani”.
 
Jirachi sobbalzò, colpito notevolmente dalla richiesta. Il suo terzo occhio, già  aperto sulla pancia, s’illuminò e su di uno dei tre fogliettini che pendevano dalla sua testa cominciò ad apparire, in bella grafia, il desiderio espresso da Rocco.
“Sta succedendo!” esclamò Adriano, stringendo Alice in un abbraccio.
Walter rideva, mentre tutt’intorno cominciava a brillare di una luce argentea fortissima, che costrinse i presenti nella stanza a stringere gli occhi.
 
*
 
Ruby era davanti al lettino di Sapphire. Era rimasto immobile a guardare il suo volto cereo per tutto il tempo da quando avevano rimesso piede ad Hoenn; voleva che una volta risvegliatasi gli occhi blu di Sapphire guardassero i suoi, come prima cosa.
Erano passate quattro ore e ancora non era successo nulla, tardavano ad esprimere quel desiderio ed era immensamente sfinito da quella situazione.
Ruby voleva riabbracciare Sapphire e dimenticare le sevizie subite dal Team Magma, le torture attraverso le quali loro due, ed anche Emerald, erano finiti per cadere in uno stato di coma.
Ruby si sarebbe sacrificato volentieri al posto di Sapph. Le avrebbe donato il cuore se avesse potuto, ma purtroppo così non poteva essere.
Era sul letto a trattenere le lacrime, a sudare freddo, a sperare che gli sforzi fatti per catturare Jirachi non fossero stati vani.
Sapphire non poteva morire.
Era una ragazza troppo solare per perdere la vita; amava stare in mezzo alla natura, amava ridere delle sciocchezze. E poi non aveva pazienza e s’arrabbiava spesso, e lui rideva di lei, e lei metteva il broncio.
Ruby ricordava ogni sfaccettatura del suo carattere, ogni particolare del suo viso. Ogni movenza del corpo sinuoso che possedeva, maturato da quando era una giovane selvaggia.
Rideva, se ci pensava. Vestita di foglie e rami.
Per sentirsi parte della natura, diceva.
La cosa peggiore di tutta quella situazione era che lui la amava. E veder morire una persona che si ama è come morire a propria volta.
Soffriva, promise a se stesso di proteggerla da ogni cosa ove mai Jirachi l’avesse riportata in vita.
Poi tutto s’illuminò, come se venti riflettori da stadio si fossero accesi in quel preciso istante, inondandolo di luce argentea.
E lentamente tutto svanì.
Ruby mantenne gli occhi chiusi, una lacrima cadde.
“Ruby...” sentì poi, la voce di Sapphire era compressa.
Quello spalancò gli occhi, non riuscendo più a trattenere le lacrime. “Sei viva!” esclamò, gettandosi su di lei e la strinse.
Quella sorrideva, col volto sfatto e stanco.
“Cosa... cos’è successo?”.
Ruby la baciò e sorrise. “Cielo, è lungo da raccontare... Dovrebbero scrivere una storia, su quello che è successo...”.
 
*
 
Tutta la commissione Pokémon della Lega di Hoenn riaprì gli occhi.
“Che è successo?” domandò Fiammetta.
“Non lo so...” rispose Alice.
Tutti corsero verso le ampie finestrate, guardando a distanza Ceneride. Si vedevano le punte degli alti palazzi, che pochi minuti prima non c’erano.
“Ci siamo riusciti!” urlò Rocco, sorridente.
“Sì! Dannazione, avevo proprio voglia di rilassarmi un po’ sul mio divano” sorrideva a sua volta Walter.
Tutti erano fieri e soddisfatti del lavoro svolto.
Il Campione s’avvicinò a Fiammetta e le diede un bacio passionale, stringendola, sentendo il suo calore penetrargli nelle ossa.
“Ce l’avete fatta, dannazione... Sei la migliore...” sussurrò, baciandole la fronte.
Fiammetta sorrise, poggiando la testa sulla spalla di quello.
Si sentiva protetta, finalmente.
Dopo tanto tempo era tranquilla sul suo domani.
“Questo vuol dire che Fiammetta è nuovamente la Capopalestra di Cuordilava” sorrise Alice, da lontano.
Tutti applaudirono, anche Pat, che era rimasta in disparte, sorridente ma triste.
Fiammetta la vide.
Hey, belladonna, che è successo?” domandò la rossa, cominciando un’altra delle loro conversazioni mentali.
Pat allargò il sorriso. “Sono felice per te... credimi. Pensavo a Tell e... ad Oliver Jackson”.
“E chi diavolo è?!”.
“L’uomo col cappuccio. Quello che ci ha parlato di sua figlia... Vorrei poterlo aiutare”.
Fiammetta annuì, quindi alzò la testa.
“Rocco, io e Pat dobbiamo dirti una cosa in privato”.
 
 
- 2 ore e 48 minuti;
 
 
Oliver era a casa sua.
Aveva passato il resto di quella strana giornata con sua figlia Nina, accanto a lei, tenendola per mano. Il suo battito era debole e lei aveva dormito tutto il tempo, tranne per una ventina di minuti, in cui gli aveva raccontato di come la suora l’avesse convinta a mangiare la mela cotta e di quanto quella le fosse piaciuta.
“È dolce” fece, dopo un paio di distruttivissimi colpi di tosse.
Oliver aveva annuito, aveva sorriso ed era tornato cupo.
Le guardava il petto, immaginando quel putrido pezzetto di carne che lentamente collassava su se stesso.
Le diede un bacio sulla fronte, promettendole di ritornare una mezz’oretta dopo, il tempo di farsi una doccia e cambiarsi d’abito.
Aveva telefonato per chiedere informazioni sull’arrivo dell’aereo. Avevano detto che avrebbero fatto anticipo di dieci minuti ma chiaramente non era abbastanza.
Il Dottor Brown, dal canto suo, non gli aveva dato molte speranze; come ogni buon medico che si rispettasse era rimasto fedele alla sincerità, dicendo che se quel cuore non sarebbe arrivato lì entro quelle tre ore non avrebbe potuto fare più niente per Nina.
Era davanti allo specchio, Oliver, nudo dopo una doccia bollente.
Il vetro dello specchio era frantumato, con il rossetto di Roxanne ci aveva scritto sopra.
 
fanculo
 
“Già... fanculo. Fanculo a tutti. Fanculo ai dottori, che non vogliono prendersi le responsabilità di rischiare: mia figlia è una morta che parla, non cambierebbe nulla provare a scommettere, a sperare che il cuore arrivi in tempo, tanto nel peggiore dei casi la situazione non cambia. Loro non vogliono operare senza il cuore, non possono stabilizzare il corpo di mia figlia, ripulirlo dai danni che sta subendo. Una bambina sta tossendo sangue, a loro importa solo di non andare in galera.
Fanculo alle tempeste, a quel cazzo di Thundrus che non poteva lasciar passare il mio aereo, quello col cuore di mia figlia.
Fanculo a mia moglie Roxanne, così strana, così dannatamente diversa da me, anche i suoi organi erano differenti.
Fanculo alla Lega di Hoenn, altruisti del cazzo che non possono lasciar passare nulla. Fanculo a quella rossa demente e quella psicopatica con la treccia, ad i loro Pokémon iperpotenziati e a tutte le lotte. Fanculo a quel ragazzino con la coppola, invece di stare per strada a giocare doveva per forza rompere le palle al prossimo.
Fanculo a Groudon e Kyogre, che non hanno mai trovato il tempo per capire che il mare ed i continenti stanno bene dove stanno. Perché dovete lottare, fatevi una canna e guardatevi i Denver Broncos in televisione. Fanculo anche ad Arceus, despota, prepotente del cazzo, incapace di fare le cose per bene, privo di compiere un lavoro perfetto. Ci ha fatto a sua immagine e somiglianza? Beh, brutta notizia per lui, hai una malformazione cardiaca, stronzo!
Fanculo a tutta la gente che specula su queste situazioni, che  guadagna sulle lacrime della povera gente, dei disgraziati, dei disadattati.
Fanculo ai Pokémon: abbiamo creato un mondo basato su di loro ma la vita non ce la semplificano quasi mai, quando necessario. Sono soltanto un futile passatempo, amici, compagni. E poi lasciano morire le persone.
Talvolta le uccidono.
Fanculo a te, Jirachi, Pokémon dei desideri... Che diamine di necessità hai? Come puoi stare sveglio sette giorni per ogni millennio? È esagerato!
Fanculo ad ogni dannata persona che ha avuto a che fare con me soltanto per sfruttarmi; ora sono solo, non ho più mia moglie, non ho più mia figlia. Non ho più un cazzo.
Ed il fanculo più grande, quello più importante, va a te, Oliver Jackson: non sei stato capace di costruirti una famiglia, vivi in una castello di carte. Hai quasi quarant’anni e non hai una dannata sicurezza nella tua vita e questo dovrebbe farti capire quanto tu sia patetico. Hai fatto finta di nulla quando Roxanne è morta, perché sei un fottuto debole! Non riesci a fare più nulla, non sei riuscito neppure a combattere per proteggere tua figlia. Ti meriteresti di morire più di chiunque altro perché sei una persona inutile”.
 
E poi il telefono squillò.
Lui lo tirò fuori dalla tasca, sperando che fossero quelli dell’aereo, dicendo che avevano rosicchiato abbastanza tempo. Oppure che il velivolo fosse crollato in mare, in modo da mettersi l’anima in pace, invece di vivere con quel patema d’animo fisso nel petto.
Il numero non gli diceva nulla, non lo conosceva.
Lasciò squillare.
Andò in salotto, ancora nudo, ed aprì una bottiglia di Cognac. La suoneria era cessata.
Roxanne aveva arredato quel posto in maniera sopraffina, creando ottimi punti luce ed abbinando gradevolmente i colori forti dei divani, rosso e blu, con gli elementi in acciaio del mobilio.
Versò il liquore in un bicchiere di cristallo e lo buttò giù senza neppure dare adito alle papille gustative di risvegliarsi, bruciandole in partenza.
Quel Cognac era fortissimo. Se ne versò ancora e giù tutto d’un sorso.
Si chiese perché diamine non stesse bevendo dalla bottiglia, quindi frantumò il bicchiere per terra sentendo i frammenti di cristallo colpirgli il polpaccio nudo.
Bevve da vicino, riempì la bocca, ustionò le tonsille e poi tossì.
Era troppo forte.
Il telefono squillò di nuovo, fanculo anche al telefono. Troppo tempo speso a far telefonate per gente di cui non gli importava nulla.
Gli girava la testa, pensò fosse meglio posare la bottiglia. Sospirò, guardando il vuoto e pensando al fatto che in cantina ci fosse una fune fatta di corda, quattro bei filoni intrecciati.
Solidi.
Il nodo scorsoio lo sapeva fare. Oddio, forse la testa girava un po’ troppo per riuscire a farlo per bene, ma in qualche modo ce l’avrebbe fatta. Si voltò proprio quando il telefono terminò di squillare e guardò la ringhiera.
Lo avrebbe retto, sicuramente.
Il silenzio si riappropriò di nuovo di quel salotto buio, il telefono aveva smesso di suonare ma quel rumore risuonava ancora nella sua testa.
S’alzò, calpestando i frammenti di cristallo che gli penetrarono nel piede; lui non fece una grinza. Lì levò alla bene e meglio e poi si diresse verso la camera da letto.
Ma il telefono suonò nuovamente.
E se il telefono di Nina fosse scarico e stesse usando quello di qualcun altro per contattarlo?
Gli prese il panico e corse verso il cellulare, rispondendo immediatamente.
“Pronto!” fece, accorato.
“Ehm... Oliver Jackson?”.
“Chi è?!” tuonò quello, mentre vedeva il suo tallone perdere sangue.
“Sono Fiammetta Moore. Ci siamo visti ad Adamanta, cercava di catturare Jirachi... dovrebbe ricordare”.
“Come ha avuto il mio numero?!” domandò duro quello, totalmente stupito dalla chiamata della donna.
“Abbiamo i nostri mezzi. Tra trenta minuti un aereo privato sarà all’aeroporto di Edesea. Jirachi la sta aspettando”.
“Come?!” esclamò quello. “Che cosa sta dicendo?!” urlò, spalancando gli occhi.
“Si sbrighi, è già partito. Il tempo passa e a lei serve... quindi vada all’aeroporto”.
“Subito!” esclamò Oliver, zoppicando nel buio del corridoio in direzione della camera armadio.
 
*
 
Pat entrò nella sala medica. Ruby riposava accanto a Sapphire, con la testa poggiata sul fianco della ragazza e la schiena curvata, seduto su di una sedia d’acciaio.
La salutò rapidamente dandole un bacio sulla guancia e poi proseguì oltre. Rudi e Petra dormivano, ma Alice era andata a verificare personalmente le condizioni dei due e stavano benone; insomma, avevano appena oltrepassato la soglia che delimitava la vita dalla morte, e nel modo più anticonvenzionale per altro, andando a ritroso.
Era logico non fosse tutto regolare fin da subito.
Il letto oltre era libero, Fosco era con ogni probabilità uscito. Oppure non lo sapeva.
Frida e Drake, e poco oltre Ester, riposavano ognuno su di un fianco.
E all’ultimo c’era Tell.
Era sveglio, seduto sul letto, annoiato; giocava facendo fluttuare due bicchieri di plastica vuoti.
Era vivo, e stava bene.
La moretta spostò la treccia dietro le spalle e sorrise, avvicinandosi nel silenzio più che totale, e lo strinse.
I bicchieri crollarono sul letto.
“Sei vivo!” pianse poi. Affondò il naso nei capelli del ragazzo che la strinse.
Totalmente identico a lei, lineamenti più marcati, più solidi, barba sul volto pallido e capelli sciolti.
Tell la tirò a sé, quella s’adagiò su di lui.
“Ho avuto paura di perderti” pianse lei. “T’ho visto senza vita e... e... Cielo!”.
“Non fare così... Ora è tutto finito. Ruby mi ha raccontato tutto, sei stata bravissima”.
Pat si tirò indietro e guardò gli occhi del fratello, del tutto uguali ai suoi.
Tra quei due c’era un filo indissolubile, una linea così forte da passare attraverso le pareti delle differenze e fungere d’autostrada.
Lì, i due si passavano sensazioni ed emozioni, vivendo in simbiosi perfetta l’una con l’altro.
“Ora andrà tutto per il verso giusto, ne sono certo”.
 
*
 
- 1 ora e 07 minuti;
 
Oliver scese dall’aereo, con la premura che gli stritolava lo stomaco.
Ad accoglierlo ci fu Rocco.
Era decisamente tardi, nessuno era più in quel posto.
“Lei... lei è Rocco Petri?” domandò umilmente Oliver, asciugandosi la mano sui pantaloni prima di stringergliela.
Presa stretta, come piaceva a lui.
“In persona. E lei è la persona di cui mi hanno parlato Fiammetta e Pat. Ammetto che in simili situazioni sarei ricorso al suo stesso metodo” sorrise l’uomo dai capelli grigi.
Oliver abbassò lo sguardo. “Non c’è ancora tanto tempo...”.
“Andiamo subito”.
Arrivarono nell’ufficio di Rocco. Oliver si guardò attorno, vedendo enormi librerie, zeppe di tomi antichi, rilegati con pregiati materiali. Vi era anche una grossa teca, dentro la quale vi erano ordinatamente disposte e classificate diverse pietre e gemme, con targhetta identificativa davanti ad ognuna.
Rocco camminava con quel portamento elegante che lo aveva sempre contraddistinto, fino ad arrivare alla sua grande scrivania. Aprì un cassetto e ne estrasse una Pokéball.
Guardò Oliver negli occhi e vi vide timore e speranza uniti. Quello si mordeva un labbro.
“È molto semplice: lei pensi ardentemente al desiderio di cui necessita... si prenda pure tutto il tempo necessario per formulare la frase ma deve far sì che sia molto chiaro in quel ch’esprime. La cometa Millennium tiene aperto l’occhio sulla pancia del Pokémon, ed è grazie a questo che siamo in grado di esprimere i desideri. Tutto chiaro fin qui?”.
“Sì. Tutto chiarissimo”.
“Oliver... Posso chiamarti per nome, vero? Posso darti del tu? Beh, Oliver... io mi sto fidando di te. Tu potresti desiderare qualsiasi cosa in questo momento, anche qualcosa di profondamente egoistico, di cattivo. Di inutile. Mi appello alla tua umanità; se è vero che tu devi salvare tua figlia, voglio vedere sui fogliettini che Jirachi ha accanto alla testa proprio questo desiderio”.
“Non c’era bisogno nemmeno di dirlo”.
“Lo so, figurati, ma meglio essere precisi fin dall’inizio”.
Rocco fece uscire Jirachi dalla sfera.
Oliver non riuscì a trattenere un fremito d’eccitazione: aveva davanti a sé il Pokémon che aveva soltanto sfiorato nella lunga giornata che era trascorsa. Quello fluttuava, con la sua solita aria, stanca e felice. Notò che uno dei tre bigliettini che pendevano dal suo capo era già scritto.
Era il desiderio che Pat e Fiammetta gli avevano decantato liberamente durante i loro scontri.
Ve ne erano due liberi.
Due.
Avrebbe potuto salvare due persone.
Nina, certamente. E Roxanne.
Avrebbe potuto portare indietro Roxanne.
Guardò gli occhi severi di Rocco e poi lasciò che a parlare fosse solo il proprio cuore: non poteva fare una cosa così bassa; quella gente non aveva nessun obbligo verso di lui, quei tre desideri appartenevano a loro, ma ne avevano concesso uno a lui.
Lo avevano concesso a Nina.
Si convinse quindi a salutare Roxanne da lontano, una volta per tutte, e si sedette di fronte al Pokémon.
Lo guardò per altri dieci secondi quindi, nervoso, strinse i pugni e sospirò.
 
Dovresti ricordarti di me, Jirachi... Sono l’uomo che oggi ha provato a catturarti almeno due volte. Sai, ho una figlia, che si chiama Nina. A Nina rimane poco più di un’ora di vita... Vorrei che potesse averne almeno un’altra. Già, puoi tu, Jirachi, donarle una venticinquesima ora?”.
 
Jirachi s’illuminò, i suoi tre occhi esplosero di luce e tutto fu investito per qualche attimo che sembravano ore, anni, fino a quando il suo desiderio non apparve scritto sul bigliettino che aveva sulla fronte il Pokémon. Sorrisero, entrambi, poi il cellulare di Oliver squillò.
Rocco guardò con occhi intrepidi l’avvocato che con eccitazione malcelata cercava il cellulare nella tasca interna del completo grigio Armani che indossava.
Voleva morirci in quel completo, pensò, con una corda a spezzargli la colonna vertebrale. Prese il Samsung e guardò la chiamata in ingresso.
Marcus Brown, c’era scritto.
Era il Dottore.
“Avvocato Jackson? Sono Marcus Brown, seguo sua figlia, Nina”.
“Ricordo, Dottor Brown. Che è successo?”.
Temeva che quello gli stesse per comunicare di accorrere lì subito, per il repentino peggioramento delle condizioni di sua figlia. Forse Jirachi non era servito a nulla, forse era stato tutto inutile.
“Sua figlia sembra stare meglio. Potremmo mantenerla in osservazione per un’ora ulteriore. Il suo aereo dove diamine si trova?!”.
Le lacrime sgorgarono dagli occhi dell’uomo ed un sorriso s’aprì fiero sulle sue labbra.
“È... è poco al di fuori di Adamanta! Sarà lì a brevissimo!”.
“Bene. L’aeroporto non è molto lontano dall’ospedale, qui ad Edesea. Mi raccomando. Lei dov’è?”.
“Sono... ad Hoenn...”.
“Hoenn?! Sua figlia è in queste condizioni e lei si allontana?”.
Rocco aveva sentito tutto e guardava gli occhi mortificati di Oliver. “Gli dica che tra meno di venti minuti sarà lì” fece il Campione.
“Sarò... sarò lì tra... tra meno di venti minuti... Ora dovrei andare”.
Poi si sentì bussare alla porta.
“Un momento” tuonò Rocco. Vide Oliver chiudere la telefonata e rinfilare il cellulare nella tasca interna della giacca, quindi si alzò in piedi, non riuscendo più a trattenere le lacrime.
“Grazie” esplose, abbracciando l’uomo in maniera fin troppo goffa. “Grazie mille! Giuro che le sarò riconoscente a vita! Io e mia figlia le saremo riconoscenti a vita!”.
“Si figuri! Abbiamo salvato milioni di vite, oggi, per noi è importante continuare a preservare la sicurezza ed il bene di tutti”.
“Grazie mille”.
“Ora le chiamo Pat, che con i suoi Pokémon sarà in grado di teletrasportala velocemente ad Adamanta”.
Oliver spalancò gli occhi. “Grazie”.
“Non mi ringrazi più. Ora vada che ho un altro appuntamento”.
 
Oliver uscì dallo studio di Rocco e vide due persone in piedi ad aspettare. Era notte fonda, lui era stanchissimo, e si recò all’ingresso. Poco dopo arrivò Pat.
Quella gli lesse l’aura, decisamente più calda, di un giallo vivo.
“Salve” sorrise lei, stringendogli la mano. Lo vedeva, ancora con le lacrime agli occhi.
“Grazie anche a lei” disse.
“Bene. È importante che lei raggiunga velocemente Adamanta a quanto mi ha detto Rocco”.
“Sì. L’aereo sta per arrivare e mia figlia ha ottenuto una venticinquesima ora”.
“Perfetto”. Tirò fuori dalla sfera un grande Gardevoir. “Gli prenda le mani” disse poi.
Oliver lo fece immediatamente. Aveva paura di ciò che stava per succedere, ma durò poco meno di un secondo, chiuse gli occhi ad Iridopoli e li riaprì fuori l’ospedale di Edesea.
E trenta minuti dopo il cuore raggiunse l’ospedale.
Tutti i medici si predisposero per un intervento d’urgenza. Nina salutò il suo papà con la mano prima di entrare in sala operatoria.
L’intervento durò trentasette ore consecutive, ed il Dottor Brown riuscì a trapiantare quello strano cuore nel petto della piccola.
Un mese dopo Nina era a casa, e giocava con Indra nel loro giardino.
Oliver riprese a lavorare, anche se per poco, nello studio in cui era entrato in aspettativa, per poi ritirarsi ed aprirne uno proprio. “Jackson&Wishes” si chiamava, ma nessuno aveva mai visto il secondo socio.
Era più tranquillo, il sorriso di sua figlia era lo stipendio giornaliero che gli spettava per essere un buon padre. La guardava, alle spalle delle finestre della camera da letto. Assomigliava così tanto a sua madre che ogni due minuti era costretto a voltarsi a guardare il volto di Roxanne dalle fotografie appese alle pareti.
“Ce l’abbiamo fatta” sorrise a sua moglie.
 
Ma Rocco aveva ancora un appuntamento.
 
Poco dopo che Oliver Jackson abbandonasse lo studio, le due persone in sala d’attesa entrarono.
Uno dei due era Green Oak. Sorrise cordialmente mentre, entrando, Rocco accorse a stringergli la mano.
“Caro Green, come stai?”.
Quello sorrise ancora, cercando di allontanare la stanchezza dallo sguardo. “Tutto bene. Ti presento Zackary Recket, ex Campione della Lega di Adamanta”.
Dalle spalle del Dexholder apparve Zack, sorridente, con gli occhi più stanchi di quelli di Green.
“Ti conosco di fama” sorrise Rocco, stringendo la mano anche a lui. Quello aveva una stretta potente. “So che eri parecchio forte, ed hai abdicato per motivi personali”.
“Sì, poco tempo fa... la mia donna è incinta e voglio starle accanto”.
“Mi sembra più che giusto. Ma accomodatevi” disse Rocco, dando il buon esempio. Jirachi fluttuava sonnecchiante al suo fianco.
Guardò il volto di Green, con i capelli di quel castano chiaro e gli occhi smeraldini stanchi. Il volto era solido, come un blocco di granito, e la sua serietà era interamente rivolta verso Jirachi. Anche Zackary Recket guardava il Pokémon, con immensa serietà ma con il viso più disteso. Anch’egli aveva gli occhi smeraldini ma i capelli decisamente più scuri.
“Rocco” aprì Green. “Mi spiace che tu abbia dovuto riceverci in piena notte, ma a quanto ho visto hai impegni ad ogni ora”.
“È il destino di chi è Campione. Hoenn è un cantiere a cielo aperto, dopo i danni provocati da Groudon e Kyogre...”.
“Arceus” rettificò Zack, sbuffando. “È stato parecchio stressante l’ultimo mese...”.
Rocco sorrise.
“Beh, siamo venuti qui perché il destino di molta gente dipende dal bambino che aspetta Rachel, la donna di Zack” fece invece Green.
“Come mai?” domandò l’altro, a braccia conserte.
“Vuoi raccontare tu?” domandò il Dexholder a Zack. Quello annuì e si sistemò meglio nella poltroncina.
“Beh. Rachel è praticamente l’oggetto che un migliaio di anni fa l’oracolo di Arceus utilizzava per evocare il Pokémon. Caso voglia che Rachel sia l’oracolo stesso”.
“La storia del cristallo della luce, giusto?” chiese Rocco.
“Esattamente” annuì Green.
“Me l’hanno raccontata due anziani che vivevano sul Monte Pira. In effetti ora ci vivono di nuovo... Dunque, continua”.
“Prima di venire qui, Rachel ha dovuto affrontare suo padre, l’uomo che l’ha letteralmente rapita e sfruttata per evocare Arceus. Lo ha sconfitto, ma abbiamo capito che esistono persone che mirano ad Arceus per i propri scopi, per le proprie megalomanie. Oltre a non volere che ciò succeda, io amo Rachel e non posso permettere che succeda qualcosa di male a lei”.
“Mille anni fa...” entrò in tackle Green “... scoppiò una grossa guerra ad Adamanta. C’era chi voleva proteggere Arceus e chi lo voleva distruggere. L’oracolo, che non è altri che un’antenata di Rachel, per proteggere il cristallo decise di desiderare, proprio tramite Jirachi, di inglobare il cristallo e diventare essa stessa il modo per evocare Arceus. In questo modo avrebbe levato dalla circolazione il cristallo e lo avrebbe tenuto sotto controllo. L’oracolo diventava quindi il cristallo, e così via, di generazione in generazione”.
“Ok” annuì Rocco.
“Rachel stava per morire, Rocco. Non voglio che a mia figlia accada lo stesso”.
“Già sai che è una femmina?” si voltò Green, stupito.
“Il cristallo fa nascere solo donne, perché soltanto le donne possono fare da oracolo”.
“Dannazione...” sospirò Rocco.
“Allegra, mia figlia, non avrà niente a che fare con tutta questa storia”.
Il Campione di Hoenn s’alzò dalla sedia ed annuì. Camminò fino all’ampia finestra e guardò fuori, mentre Fiammetta prendeva il volo per raggiungere Verdeazzupoli.
“La situazione è più delicata del previsto. Dopodiché il cristallo dove sarà mantenuto?”.
“Sarà nascosto fino a quando non avremo una locazione definitiva. Intanto verrà indetta con urgenza una riunione generale” rispose Green.
“L’Unione Lega Pokémon, l’insieme delle federazioni... Tutti presenti. Ne sono già tutti a conoscenza?”.
“Per il momento no. Lo sappiamo solo noi in questa stanza e Camilla, che è stata allertata” rispose Zack.
“C’è bisogno di questa riunione, assolutamente. Questo cristallo è uno strumento assai importante e bisogna preservarlo  con la massima cura possibile. Dovrebbe essere decretato come segreto di Livello S e messo agli atti”.
Green guardò Zack.
“La ragazza d0v’è?” chiese ancora Rocco.
“È a Primaluce, a casa” rispose quello di Adamanta.
“È al sicuro?”.
“Sì, ci sono i Superquattro e Ryan Livingstone in casa, l’attuale Campione a cui ho lasciato il posto”.
“Dovrebbe essere protetta” aggiunse Green, grattandosi il mento.
Rocco annuì. “Prendete il Pokémon e detenetelo con la massima cura. Sappiate che una volta espresso il terzo desiderio automaticamente fuggirà. Avete ancora pochi giorni prima che la Cometa Millennium lasci l’orbita che s’affaccia sulla Terra, ed allora il suo occhio si chiuderà”.
“Saremo tempestivi” s’alzò in piedi Green. Zack lo seguì.
Rocco fece rientrare Jirachi nella Pokéball e la diede a Green.
“Abbiatene cura. Ora, scusatemi, ma è stata una lunga giornata” fece Rocco, accompagnando gli ospiti alla porta ed uscendo con loro.
Spense le luci e tornò a casa. Fiammetta dormiva già nel grande letto, abbracciata al cuscino dell’uomo, inalando ciò che rimaneva del suo odore.

 
nd.
 
   
 
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